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Autore: Joy    18/12/2018    2 recensioni
Non lo vedevo da un anno e la sua assenza mi era amica a tal punto che averlo di fronte a me, nella stessa stanza, in casa mia, mi causava quasi dolore.
Albus/Gellert
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL FOCOLARE DOMESTICO

 

Dicembre 1913, Scozia.

 

Ad annunciarmi la sua presenza fu il silenzio.

La musica da camera, che da sempre faceva da sottofondo alle mie serate pensose, s'interruppe; il vento che ululava sferzando le imposte si acquietò, e persino Fanny, rinata da poche ore dalle sue ceneri, smise di gorgogliare e alzò la testa in attesa.

Posai la penna e alzandomi dalla scrivania mi portai al centro della stanza. Sapevo cosa stava per accadere e mi resi conto, mio malgrado, di star trattenendo il fiato.

“Non sei neanche venuto ad aprirmi il portone.” esordì lui non appena varcò la soglia.

Non lo vedevo da un anno e la sua assenza mi era amica a tal punto che averlo di fronte a me, nella stessa stanza, in casa mia, mi causava quasi dolore.

È sempre stato più facile rinunciare a lui piuttosto che amarlo incondizionatamente mettendo a tacere i miei sensi di colpa.

“Era necessario?” gli chiesi, sollevando eloquentemente un sopracciglio.

Gellert si tolse il mantello fradicio di pioggia e dopo averlo gettato con noncuranza su una sedia, si lasciò cadere sulla poltrona più vicina al camino.

“No.” rispose “Ovviamente no.”

Il portone d'ingresso era chiuso, ma non avevo eretto alcun tipo d'incantesimo a protezione della mia dimora, e comunque Gellert sarebbe stato in grado di raggirarli tutti.

Lui entrava e basta. Sempre.

Afferrai dal tavolino un bicchiere panciuto e dopo avergli versato una dose abbondante di whisky incendiario, glielo misi tra le mani.

Le sue dita erano fredde.

“Non mi hai chiamato.” gli sussurrai poi sedendogli di fronte.

Lui incrociò brevemente il mio sguardo; era serio e più teso di quanto volesse apparire.

“No.” mi rispose semplicemente, prima di riabbassare gli occhi sul bicchiere.

“Eppure avevi bisogno di un luogo sicuro.” insistetti.

“Sì.” e questa volta incatenò lo sguardo al mio.

Non ha mai avuto problemi ad ammettere le sue debolezze, lui.

Sospirai lasciandomi andare contro lo schienale imbottito. “Sai Gellert, mi chiedo cosa accadrà il giorno in cui non sarò in grado d'intuire le tue necessità.”

Lui sorrise e si scolò l'intero bicchiere.

“Non preoccuparti, Albus.” mi disse. “Farò in modo che le tue intuizioni siamo sempre giuste.”

Scoppiai a ridere.

“Molto educato da parte tua.” gli risposi e lui accennò a una breve riverenza.

Poi gettò la testa indietro e si adagiò contro i cuscini, le braccia abbandonate contro i braccioli.

Sembrava stanco.

Avrei voluto fargli delle domande, sapere se, come pensavo, fosse stata la vana ricerca della pietra della resurrezione a portarlo allo sfinimento, e fui quasi sul punto di chiederglielo, socchiudendo appena le labbra su di una muta domanda, ma lui scosse impercettibilmente la testa, declinando ogni mio accenno di conversazione.

Aveva già gli occhi chiusi.

Serrai le labbra e gli posai brevemente una mano sul ginocchio, prima di togliergli il bicchiere vuoto dalle mani e di alzarmi per lasciarlo riposare.

Quando mi voltai a guardarlo dall'altro lato della stanza,dormiva già; il torace che si sollevava piano e i riccioli biondi sparsi sul velluto consumato della poltrona.

Dormì per ore ed io, che non ero avvezzo a questo tipo di familiarità passai lo stesso tempo seduto alla mia scrivania, la piuma sospesa su di un foglio bianco, ascoltando il crepitio delle fiamme nel camino, il ridondante sottofondo della mia mente inquieta e il lieve respiro che usciva dalle sue labbra.

Ad un certo punto, nel mezzo della mia silenziosa attesa, lui si mosse; scivolò dalla poltrona su cui si era addormentato e si gettò di peso sul divano.

Non credo che fosse del tutto sveglio.

Gettai uno sguardo oltre le imposte della finestra, il vento aveva ricominciato a ululare e scendevano i primi sporadici fiocchi di neve.

La temperatura si era notevolmente abbassata.

Mi alzai per rinvigorire le fiamme nel camino e prima di ritornare alle mie carte solitarie posai sulla sua sagoma addormentata la mia vestaglia da camera.

Lui sorrise senza aprire gli occhi, come era solito fare nelle notti tiepide della nostra giovinezza, quando il sonno ci coglieva all'improvviso dopo infinite discussioni e altrettanti baci.

Erano trascorsi più di dieci anni e ancora potevo sentire il calore del suo braccio che mi stringeva a sé mentre sonnecchiava beato, il sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi.

Ricordavo il sollievo della brezza notturna sulla pelle sudata, sapeva di erba tagliata e rugiada; quel giorno invece i vetri erano chiusi e fuori imperversava la bufera, e la mia pelle, la sentii gelida.

Non riuscii a tornare alla mia scrivania, piegai le gambe intorpidite dal freddo fino a sedermi sul tappeto e poi le distesi fin quasi a toccare con i piedi gli alamari del camino; rimasi lì fissando le fiamme con la schiena appoggiata al bordo del divano, da quella posizione potevo sentire il battito del suo cuore.

Con quel tepore che si propagava piano per tutte le mie membra avrei potuto dormire anch'io, ma non ci riuscii.

Lui mi ha sempre tenuto sveglio. In un modo o nell'altro.

 

Mi accorsi che si stava svegliando dal guizzo della sua magia, la irradiava involontariamente e se ne beava; sentii il fremito del mio potere che entrava in risonanza con il suo e anche lui se ne accorse perché balzò seduto all'istante.

“Albus.” disse semplicemente. Sembrava molto più lucido di quando era arrivato.

“Dormito bene?” gli chiesi tentando in modo fallimentare di nascondere il sorriso; mi rimaneva difficile restare serio di fronte ai suoi riccioli scomposti.

Sembrava anche molto più giovane.

Si chinò fino a sfiorarmi la guancia con il pollice poi avvicinò le labbra al mio orecchio.

“Sempre, accanto a te.” sussurrò.

Non riuscii a trattenere il desiderio e lui se ne accorse, ovviamente.

Rise e scivolò sul tappeto accanto a me.

“Andiamo Albus” continuò “non cercherò ancora di convincerti a starmi accanto nella guerra che verrà, mi basta che tu stia sopra di me, ora.” e si sdraiò tra i cuscini.

Merlino, irradiava potere magico e desiderio in egual misura.

Potevo resistere alle sue idee politiche, sebbene le ritenessi allettanti, ma non ho mai avuto possibilità contro l'innegabile attrazione che provavo per lui.

Rise di nuovo come un ragazzino, anche se aveva più di trent'anni, e contagiò anche me; era una delle tante cose che amavo in lui.

Scrollai la testa, ammettendo a me stesso di essere più che felice di accontentarlo, allentai il colletto della mia camicia e finalmente concessi alle mie mani di toccarlo.

Lo spogliai aprendo un bottone dopo l'altro, le mie dita che sfioravano leggere la sua pelle. Era bianca più di quanto ricordassi.

Lo sentii trattenere il fiato quando arrivai ai suoi calzoni, ma non mi fermai e lui s'inarcò contro di me.

Non era uno che cedeva il comando, Gellert, ma sotto le mie mani amava lasciarsi andare.

“Albus...” sussurrò chiudendo gli occhi.

Io glieli baciai.

Da ragazzi, la prima volta che passammo la notte insieme non riuscimmo a fare l'amore.

Lui aveva paura di ciò che provava ed aveva ragione, quel sentimento è stato la sua più grande debolezza.

Quanto a me, ciò che ho sempre provato per lui ha reso la maggior parte della mia vita un incubo.

Gellert a diciassette anni, a differenza di me, l'aveva previsto.

Scostai una ciocca di capelli dalla sua fronte e come sempre tra noi, lui parve seguire il filo dei miei pensieri.

“Sarai la mia rovina, Albus.” sussurrò mentre avvicinavo i fianchi ai suoi.

“Tu, la mia, lo sei già.” riuscii a rispondergli con il fiato corto.

Eravamo schiavi l'uno dell'altro.

 

La mattina dopo, il gelo aveva ricamato sui vetri un mosaico di cristalli.

“Le braci nel camino sono quasi del tutto spente.” constatò Gellert con aria pensierosa.

“Hai freddo?” gli chiesi , stringendolo contro di me e tirando la coperta fino a coprire le nostre spalle nude.

Lui sospirò profondamente, rilassando la schiena contro il mio petto.

Affondai il naso nei suoi riccioli arruffati, gli baciai il collo e lo osservai compiaciuto mentre rabbrividiva di piacere.

“Non voglio andarmene.” mormorò poi languido.

“E io non voglio che tu vada.” confermai strofinando le labbra contro la sua schiena.

Gemette e si staccò da me all'improvviso; si sedette e la coperta scivolò dal suo corpo nudo, la sua pelle bianca risplendeva illuminata dalle ultime tremule fiamme.

Lo osservai mentre si portava le mani alla testa, chinando le spalle.

“Non sarei dovuto venire.” bisbigliò.

Sapevo cosa stava provando, lo sentivo anche anche sulla mia pelle.

Quella fitta straziante e innaturale al pensiero di separarmi da lui, la consapevolezza di non poter vivere una vita completa al suo fianco, il terrore della solitudine, sapendo che mai nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto.

Allacciai strettamente le braccia attorno a lui ed evitai di chiedergli di restare, sapevo che non l'avrebbe fatto.

“Puoi tornare qui” gli dissi però “ogni volta che vorrai, anche se io non ci sarò.”

Annuì e rimase immobile, non cercò di sciogliersi dal mio abbraccio ne vi si abbandonò, continuò a fissare con sguardo assente le braci ormai quasi soffocate dalla cenere.

Il nostro focolare domestico.

 

FINE

 

Note dell'autrice:

Salve a tutti, probabilmente mi sono lasciata prendere un po' la mano con questa fic, c'è molto più fluff di quanto dovesse essercene in origine, perdonatemi se potete. ç_ç

Se qualcuno ha letto Solamente grigia avrà notato che sto seguendo un ordine cronologico, nonostante questo le due fic sono autonome e leggibili separatamente. Se in qualche parte mi sono contraddetta, fatemelo notare, che farò Mea Culpa. ^_^

È possibile che mia mente contorta decida di partorire altri seguiti ambientati negli anni successivi, in tal caso cercherò di mantenere le stesse prerogative sopracitate, forse. ^_^

Buonanotte a tutti.

Joy.

  
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