Serata imprevista
Le familiari
note del Liebesleid di
Rachmaninoff raggiunsero
Kousei in cucina, proprio mentre stava per aprire il forno e
controllare se i
canelè fossero pronti. Si bloccò, riconoscendo la
suoneria; non era una
chiamata, solo un messaggio – più di uno, a
giudicare dalla durata. Poteva
essere qualcosa di importante? Doveva correre a leggere, o poteva
attendere? A
riscuoterlo dal suo amletico dubbio fu un odore pungente, come di
bruciato.
Proveniente dal
forno davanti a lui.
«Aaaaah!!».
Nel panico,
aprì lo sportello, venendo
investito da calore e fumo. Si affrettò a spegnere, e
– dimentico dei messaggi
che l’avevano distratto – passò la
seguente mezz’ora a tentare di salvare il
salvabile.
“Sono
in ritardo!”, realizzò infine,
controllando l’orologio, e “Kaori mi
picchierà a sangue”.
Sudando freddo,
impacchettò al meglio il
risultato dei suoi sforzi culinari, recuperò il cellulare e
montò in bici,
dirigendosi a ritmo folle verso l’appartamento di una sua
conoscente dal
pessimo carattere – nonché la sua partner nei
concorsi, e la ragazza per cui
aveva una cotta da ormai due anni.
Non
sbuffò solo per conservare il fiato,
ne aveva bisogno; in ogni caso, scacciò quel pensiero.
Rimuginarci avrebbe solo
finito per rovinare il suo rapporto con la violinista.
Arrivò;
stremato e ansante, ma con solo
un quarto d’ora di ritardo sull’orario previsto.
Raggiunse il portone, spalancato,
del palazzo ed entrò, pregando tra sé che la
presenza di Watari trattenesse l’amica
da reazioni eccessivamente violente.
Suonò
il campanello e attese.
Non successe
nulla. Kousei iniziò a preoccuparsi seriamente;
poteva essere che Kaori fosse così arrabbiata per il suo
ritardo da non
volergli aprire? Bussò nuovamente, chiamandola per nome.
Ancora nulla.
C’era
qualcosa di strano, però: dall’interno
non proveniva alcun rumore. Oltre a Tsubaki e Watari, sapeva di almeno
un’altra
decina di invitati, quindi… com’era possibile che
fosse tutto così silenzioso?
«Kousei?»
udì, in poco più di un
sussurro.
La porta si era
aperta, permettendogli
di intravedere Kaori. «Che ci fai qui?»
proseguì lei, squadrandolo smarrita. Il
pianista si accorse solo allora che era in pigiama; avvampò,
imbarazzato, e si
costrinse a fissarla negli occhi – che erano arrossati,
notò solo allora. «Non
hai letto il messag– che significa quel rosso, a che hai
pensato?!
Pervertito!». Il moto di rabbia le fece alzare la voce,
portandola a tossire
subito dopo.
«Niente!»
si difese subito lui,
continuando a guardare in alto. «Come sarebbe che ci faccio
qui??» aggiunse immediatamente,
sia per sviare il discorso, sia perché era genuinamente
confuso.
Kaori
sospirò. «Se controllassi il
cellulare ogni tanto! Ho annullato tutto, ho un po’ di
febbre» spiegò con voce
roca. Scosse la testa. «Non mi dai tregua neanche quando sto
male, sei
tremendo» lo rimproverò, senza tuttavia nascondere
un sorriso.
Kousei era
gelato sul posto. Tutta la
fatica – non ben ripagata, in effetti – di quel
pomeriggio per… nulla? Kaori
stava male. Istintivamente, portò la mano sulla tasca dove
aveva riposto il
cellulare. Se solo l’avesse controllato, prima di uscire...
poteva biasimare
solo sé stesso. Emise uno sbuffo rassegnato, pronto ad
andarsene.
«Mi
dispiace» mormorò, notando solo
allora che Kaori aveva spalancato del tutto la porta. Lo guardava, come
in
attesa – di cosa?
«Dai,
entra» lo esortò, le braccia
incrociate al petto. «Sei qui, no? Ti toccherà
assistermi!» affermò, con un
ghigno che gli diede i brividi. Poi si voltò e lo precedette
all’interno,
fermandosi tuttavia dopo solo tre passi. «Non hai fatto tutta
questa strada per
nulla, no?».
Non rispose
– non ce n’era bisogno – e
la seguì, richiudendosi la porta alle spalle.
«Aspetta
lì!». Intimandoglielo a voce –
ci avrebbe giurato – più bassa di quanto avesse
inteso, Kaori si infilò in camera.
Quando ne riuscì, era avvolta in una coperta di pile blu.
«Be’?
Che hai da guardare?» indagò, fissandolo
torva e stringendosi nel plaid. «Vieni in salotto, non stare
là impalato – e non fare
pensieri strani, che me ne accorgo!».
Ubbidì,
preso alla sprovvista. Aveva
creduto che si sarebbe messa a letto, sfruttandolo per farsi preparare
la cena
o cose del genere. «Non dovresti riposare?»
tentò.
Kaori
sbuffò, accomodandosi sul divano.
«Non dormirò con te qui»
affermò, irremovibile. «E poi l’altro
giorno hai detto
di non averlo visto, vero?».
«Cosa?»
domandò distratto; aveva notato,
dall’altra parte della stanza, la porta-finestra socchiusa.
Si avviò a
chiuderla.
«Dove
vai? C’è posto qui, sai» lo
riprese subito la ragazza.
«Prenderai
freddo» replicò lui,
indicando lo spiffero da cui l’aria gelida della sera poteva
accedere alla
stanza.
Per tutta
risposta, si vide lanciare
contro un cuscino. Fu centrato in pieno volto.
«Ehi!!»
urlò, scaldandosi. «Cos’ho fatto
per meritarlo??».
«Vuoi
farmi soffocare!».
«Eh?».
Quella replica gli fece abbassare
il cuscino che aveva raccolto e, nonostante le condizioni della sua
attaccante,
era stato tentato di rilanciare.
«Mi
scalderà la coperta. Un po’ d’aria
mi fa bene» spiegò lei con espressione convinta.
«Lascia aperto!» ordinò
perentoria.
«Ma–»
L’espressione
torva di Kaori lo zittì.
Sospirò, tornando verso il divano.
“È
vero. Sei infantile, capricciosa. Hai un pessimo carattere. Riversi
tutta te
stessa nella tua musica… e nel farlo sei bellissima.”
Notò
allora, sedendosi a debita
distanza, che la televisione era accesa.
«Cosa
vuoi vedere?» chiese, curioso. “Hai
detto di non averlo visto”, aveva detto prima? Fu folgorato
da un ricordo. «Non
sarà!» esclamò, la mente invasa da
immagini del mercoledì precedente.
«Are
you shining just for me?» aveva sussurrato Kaori, dopo aver
borbottato un ritmo
sconosciuto tra sé e sé per diversi minuti.
«Cos’è?»
aveva chiesto lui distrattamente, estraendo il proprio pranzo
– un tramezzino
alle uova. Era una melodia orecchiabile, facile da ricordare.
«Non
la conosci??» era sbottata subito lei, fissandolo con tanto
d’occhi.
«…no?»
aveva risposto, dando il primo morso.
Lei
aveva estratto il cellulare e gliel’aveva piazzato davanti,
mostrandogli un
attore seduto al pianoforte. «Un film?» aveva
domandato. “Perché si scalda
tanto?”.
«Non
è semplicemente un film!» aveva
ribattuto lei, riprendendosi il cellulare. «È
molto di più! Il finale… aah!
Pianista insensibile che non sei altro! Ma perché perdo
tempo a parlare con
te?».
Dopodiché
l’aveva inseguito per mezz’ora, usando la custodia
del violino come arma, per
farsi promettere che l’avrebbe recuperato.
«Ci
sei arrivato, finalmente? Certo che
sì, è La La Land» confermò
lei allegra. «Se alla fine ti verrà da piangere,
farò finta di non vedere» aggiunse, facendo
partire il film.
~
Kousei fissava
la partner a metà tra l’esasperato
e il divertito. Il film era finito, ma le lacrime che solcavano il
volto della
ragazza non accennavano a fermarsi. I primi singhiozzi si erano fatti
sentire
già a dieci minuti dal finale.
Alzandosi, si
astenne dal fare commenti.
Sapeva come sarebbe finita.
«È
tutta colpa tua» mormorò Kaori tra un
singhiozzo e l’altro, «hai lasciato la finestra
aperta ed è entrato qualche
polline, per questo mi pizzicano gli occhi!».
«Ma se
l’hai voluto tu!!» insorse
automaticamente.
«Mi
stai addossando la colpa??». Kaori
espirò. «Avrei dovuto aspettarmelo… Se
la prende con una malata che non può
difendersi… Così
insensibile…» attaccò a lamentarsi poi.
«Non mi hai neanche
portato un regalo! Questa era la mia festa, sai».
«Non
è così!» protestò. Gli venne
da
sentirsi in colpa… ma per cosa, poi? Quella ragazza lo
faceva impazzire.
Sbuffò. «Va bene, va bene! Aspetta qui».
Recuperò
la borsa che aveva lasciato all’ingresso
e ne estrasse i canelè. Deglutì; non era affatto
certo del risultato.
«Cosa
sono, cosa sono?» Kaori gli venne
incontro, sempre avvolta nel pile. Aveva cancellato ogni traccia di
pianto, e
sorrideva eccitata. Proprio come una
bambina.
«Canelè!!»
nel riconoscerli le si
illuminarono gli occhi. «Sembrano un po’ strani,
però» rettificò, fissandoli
più da vicino.
«Prima
assaggiali, almeno!» si schermì,
impacciato. Posò il vassoio sul tavolino accanto al piano,
dove tanto spesso
avevano provato insieme. Sorrise, dimenticando per un attimo
l’ansia per il
sapore dei dolcetti. Osservò Kaori sceglierne uno e portarlo
alla bocca e
sorrise.
Ne avevano
passate tante, da quando era
entrata nella sua vita. Gli aveva dato senz’altro la peggior prima impressione di sempre,
eppure… ora si trovavano
lì, solo loro due.
E non stavano
provando.
Si
sentì quasi in colpa verso Watari,
come se gli stesse facendo un torto.
Ne
valeva la pena, però.
«Kousei?»
lo richiamò lei, sorridendo
raggiante.
«Sì?»
rispose, ingenuamente.
«Sono
pessimi».
“Non
dirlo ghignando in quel modo!”.
«Non
ci siamo proprio, non sai cucinare»
infierì ancora, scuotendo la testa. «Come potresti
farti perdonare? Ah, lo
so!», accompagnò l’ultima esclamazione
battendosi il pugno nel palmo. Aveva un
luccichio nello sguardo che conosceva fin troppo bene.
Sentì
un brivido attraversargli la
schiena; cosa l’avrebbe costretto a fare?
«Suona».
Uh?
«Suona.
Il. Piano. Ora!» incalzò,
spingendolo verso lo strumento. «Suonami qualcosa di bello, o
non ti
perdonerò».
Titubante ma al
contempo sollevato,
Kousei si lasciò guidare verso il piano e si sedette allo
sgabello. Sfiorò i
tasti, indeciso.
«Cosa
vuoi che suoni?» si informò, ma
partì senza aspettare risposta.
«Sol
La Si Re», solfeggiò. «Mi Fa Re Mi
Do Re La».
Kaori
scoppiò a ridere, indicandolo.
«Imiti Sebastian?» mormorò, tra una
risata e l’altra. «Non farlo! Lui è
molto
più forte. E romantico».
Lui
gonfiò le guance, indispettito da quel rimarco. Kaori si
raddrizzò, un’espressione addolcita in viso.
«Non devi essere lui – sii solo te
stesso, va bene?» disse, fissandolo.
«Pensavo
ti piacesse».
«Non
ho chiesto a lui di suonare».
Kousei
annuì, comprendendo. Sorrise: quella ragazza era una
sorpresa
continua, ma riusciva sempre a guidarlo nella direzione giusta.
Chiuse gli
occhi e suonò un’altra melodia.
Kaori sorrise,
stavolta di gioia. Non aveva bisogno di guardarla: ne
era certo.
Lui seduto al
piano, lei in piedi accanto a lui con una mano sulla
sua spalla.
Schiusero le
labbra nello stesso momento.
«Twinkle, twinkle, little star
How I wonder what you are».
NdA
Spero si sia capito, ma in ogni caso: la storia parte dal presupposto che l'operazione di Kaori vada a buon fine, e i due continuino a suonare insieme, come si erano promessi.
La storia è stata scritta per il contest "Una sana risata!" indetto da Amahy, e devo dire che scrivere una commedia su questo fandom davvero non è stato facile, ma bello sì. Avrei voluto inserire la mia best girl Emi, ma per stavolta è andata così.
Un sentitissimo ringraziamento va a Harriet Strimell, che mi ha fornito il prompt "X si becca la febbre il giorno del suo compleanno e deve rimandare tutti i festeggiamenti. Y però non legge il messaggio e si presenta lo stesso.", facendomi nascere l'idea per questa storia!
Se avete letto, grazie; spero la storia vi sia piaciuta, nella sua semplicità. ^___^
Alla prossima!
Mari