Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: JustAMermaid    02/01/2019    1 recensioni
Yoshikage Kira e Diavolo hanno un appuntamento.
{ KiraBoss ♥ | AU senza Stand, ma Doppio e Diavolo sono comunque nello stesso corpo | Fluff, ma da Villain Ship + violenza semi-leggera la seconda metà | Scritta per il Secret Santa 2018 di JoJo per la mia giftee, guarda caso una mia cara amica, Lulie, che ama questi due quanto me }
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Yoshikage Kira
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Quando Kira scese dalla macchina, la coltre di neve che lo aveva accolto all’uscita da lavoro era molto più fitta di prima.

Si strinse un attimo nel lungo cappotto beige, non comunque riuscendo ad evitare che il gelo si facesse strada nelle sue ossa, labbra nascoste sotto la sciarpa lilla che aveva avvinghiato intorno al collo per cercare almeno di non prendersi la febbre e riuscire a presentarsi a lavoro l’indomani. Chiuse la portiera della macchina e si girò, le scarpe che quasi affondavano nella neve. I fiocchi di quel bianco mantello continuavano a cadere, lenti, uno ad uno, quasi risplendendo, per poi cadere a terra inesorabilmente.

Davanti a lui, il Museo d’Arte della Città di S brillava del bianco della neve e della luce dei lampioni, un enorme edificio dall’architettura moderna, con pareti in vetro che permettevano ai passanti di dare un’occhiata dentro, peccato che non ci fosse nessuno per farlo al momento.

Kira controllò il proprio orologio. Erano le diciotto e quarantacinque, le lancette non mentivano. Come sempre, era arrivato in perfetto orario. Con le mani ora in tasca, cominciò ad incamminarsi verso il museo.

Aveva ricevuto data e luogo precisamente una settimana prima sul proprio telefono, un messaggio da un numero sconosciuto. “Una sorpresa”, c’era scritto, “per la troppa attesa che ti ho fatto subire”. E Yoshikage si era appena trattenuto, indeciso se accettare o gettare quell’aggeggio fuori dalla finestra e finirla lì con questa storia. Alla fine aveva optato per la prima opzione, considerando il fatto che era la prima volta che un periodo così lungo di tempo fosse passato senza che lui si facesse sentire. Yoshikage Kira era un brav’uomo – o almeno si considerava tale –, meglio del resto della feccia che purtroppo lo circondava, e per questo era anche molto caritatevole. Quindi sì, gli avrebbe dato una seconda occasione. E poi, una mostra d’arte? Quel dannato, bellissimo bastardo lo aveva centrato in pieno. Sapeva che Kira non avrebbe rifiutato.

Ed ora, Kira si sentiva leggermente strano ogni passo che faceva verso l’edificio, come se le sue gambe stessero tremando. Pensò fosse il freddo, anche se nel fondo della sua mente sapeva fosse un altro il motivo di una reazione del genere da parte del suo corpo. Quello, più una sensazione di subbuglio allo stomaco e il cuore che gli martellava nel petto.

Si accorse di essersi sbagliato sulla presenza di estranei al di fuori del museo solo quando fu più vicino all’edificio. Seduto sui pochi scalini davanti all’entrata, un esile ragazzino di appena diciotto anni, dai capelli rosa legati in un codino ed un cappotto viola molto più grande di lui, si stava guardando intorno. Fu quando i suoi occhi color dell’ambra incontrarono quelli del giapponese che Kira si fermò all’improvviso. Il suo cuore non smise di battere, e le gambe non smisero di sentirsi deboli, ma tutto ciò che stava accadendo dentro di lui sembrò rallentare, come a smettere di godersi il momento finché lui non sarebbe saltato fuori.

Kira strinse la propria mano in un pugno, bene nascosto nella tasca della giacca. Ovviamente non aveva avuto la decenza di mostrarsi subito davanti a lui, ma si era dovuto portare quel ragazzino dietro. Ovvio, ovvio.

Vinegar Doppio saltò in piedi, sorridente, e si avvicinò all’altro. – Signor Kira, buonasera e buon Natale! – Una volta davanti a lui, gli porse una mano, sicuro come lo era sempre stato con l’altro dopo tutto ciò che era accaduto. Se il suo Boss si fidava di lui, allora era anche lo stesso per Doppio, o almeno Kira credeva di aver capito il meccanismo. – Come sta? Tutto apposto a lavoro?

Yoshikage considerò di non calcolare il ragazzino nemmeno di una virgola, ma certamente non poteva ignorare una tale peste davanti a lui così facilmente, quindi non fece altro che stringergli la mano di rimando e togliersi la sciarpa da davanti la bocca. – Tutto bene, grazie mille. – Era stanco di aspettare. – E il tuo Boss? Dov’è?
- Dritto al punto, eh? – cercò di ironizzare Doppio, ma il suo sorriso si spense quasi subito dopo aver incontrato lo sguardo gelido e affilato di Kira, che non aveva assolutamente voglia di restare lì. Ingoiò della saliva e si contorse le mani in un gesto affrettato, smettendo di guardare negli occhi violetti e seriosi dell’altro uomo, decisamente più alto di lui. – Il Boss mi ha detto che sta aspettando dentro. Mi ha anche detto che dovrei andare a fare un piccolo giro di ricognizione, giusto per vedere che sia tutto a regola.

Kira risentì tutte le sensazioni di prima rimettersi in marcia, e concesse a Doppio un’espressione più serena. – Perfetto.

- È solo che, uhm… Non lo sente anche lei?

Oh no, non ora.

Con le mani ancora infilate nelle tasche della giacca, Kira strinse ogni oggetto al loro interno con forza, soprattutto una certa ospite che si era voluto portare dietro per sicurezza. Cercò di sviare il discorso: - No, e non credo sia importante ora.

Doppio aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi all’altro, braccio teso: - Ma lo sento! Lei sa che devo rispondere! La prego, mi presti…

Kira bloccò con forza il polso dell’altro. Era stanco di quella inutile scenetta. – Ho detto: non ora.

Peccato che si fosse dimenticato del fatto che Doppio, quando voleva, era incredibilmente forte per qualcuno della sua statura. Con un veloce movimento del polso riuscì a sgusciare via dalla presa di Kira e ad infilare l’altra sua mano nella tasca sinistra del cappotto. Yoshikage provò a fermarlo, ma ormai Doppio aveva estratto il suo “telefono”. Ecco, magari il ragazzo gli sarebbe anche andato a genio se non fosse stato per quello.

Doppio si portò la mano mozzata all’orecchio, fortunatamente non c’era davvero nessuno in giro tranne loro. – Pronto, Boss?

Se Kira avesse potuto se ne sarebbe già andato, ma questo era solo l’inizio. Cercò di pensare in positivo, più che altro al fatto che Doppio non si sarebbe più fatto vedere per il resto della serata, o avrebbe preteso che la sua “fidanzata” fosse un telefono.

- Sì, Boss, è qui di fronte a me! – continuò Doppio, ignorando completamente la presenza di Kira. – È impaziente di vederla, di questo sono sicuro… Uh uh… Uhm… Com’è? Intende, come sta?... Come fa a saperlo, lo ha già visto?... Va bene, glielo dirò. – Questa volta si girò verso Yoshikage con un sorriso sulle labbra, e abbassò la voce, come ad essere sicuro che chiunque fosse dall’altra parte del “telefono” non lo avrebbe potuto sentire. – Il Boss mi ha detto di dirle che state benissimo questa sera.

Le gambe deboli tornarono immediatamente a prendersi gioco di Kira, e benedì il fatto che il suo viso fosse già rosso per il freddo. Guardò alla sua destra, evitando lo sguardo di Doppio su di sé. - …Dì al tuo Boss che lo ringrazio. – “Dannato.”

Doppio annuì, e ritornò alla sua chiamata. – Yoshikage Kira la ringrazia, Boss!... Va bene, vado subito, arrivederci!

Fatto ciò, Doppio rimise la mano mozzata da dove l’aveva presa, sotto lo sguardo confuso di Kira. – Grazie mille per avermi prestato il suo telefono. Se mi vuole scusare… - Doppio girò i tacchi, per poi avvicinarsi all’entrata del museo, salendo gli scalini. Seppure le luci al suo interno fossero accese, non c’era anima viva dentro. Aprì la porta e prima di sparire all’interno delle quattro mura, guardò per un’ultima volta Kira. Sorrise, più timidamente di prima, con le guance rosse per il freddo, le lentiggini in bella mostra. – Si diverta. – Detto questo, sparì dietro il primo pannello della mostra.

Passò un minuto, poi il cellulare di Kira – quello vero – lo avvisò di un messaggio con un piccolo suono. Il modo nel quale lo tirò fuori fu molto più di fretta di quanto si sarebbe aspettato da se stesso, ma chi lo poteva biasimare dopo tutto questo tempo?

Sullo schermo un messaggio, da un nuovo numero sconosciuto: “Entra dalla porta di servizio nel retro del Museo, quella per i dipendenti. Ricordati di bussare. Ti sto aspettando.”

Ecco, se Kira non avesse davvero avuto autocontrollo a questo punto avrebbe già corso, e invece si accontentò di accelerare il passo di molto, non importandosene della neve sotto i suoi piedi che lo rallentava. In una manciata di secondi raggiunse la parte più buia e sporca dell’edificio, con solo una flebile luce ad illuminare sotto di sé una porta a spinta, anonima. Si fermò davanti ad essa, il pugno già alzato, il cuore in gola. Due battiti, una pausa, altri tre. Perché doveva sempre complicare le cose?

Si morse il labbro impercettibilmente, il braccio ancora alzato. Basta, era stanco, voleva entrare, dannazione, voleva vederlo.

Poi la porta si aprì.

Accadde tutto in un secondo. Il braccio che era sgusciato fuori da quel poco di spazio lo prese per il polso, strattonandolo dentro e chiudendo definitivamente la porta dietro entrambi con un rumore sordo. Prima che Kira potesse processare ciò che era accaduto o anche cercare di liberarsi o capire dov’era, sentì il suo viso poggiarsi su della morbida stoffa – seta – e delle forti braccia circondargli la vita per tenerlo stretto a sé.

Un sospiro, flebile e tremante, gli uscì dalle labbra. Chiuse gli occhi, circondando la sua schiena con le proprie braccia e affondando sempre di più il proprio viso nell’incavo del suo collo, respirando il suo profumo – acqua di colonia, fin troppo forte, ma pur sempre così stranamente familiare che Kira non poté che continuare a stringere l’altro a sé.

Non rimasero così per molto tempo, almeno finché Kira non decise di aprire bocca. Sì, era felice di vederlo, una felicità che non avrebbe mai ammesso a se stesso tempo prima, ma aveva comunque bisogno di parlargli, se non altro per sentire la sua voce.

- Tre mesi.

Quando pronunciò quelle parole, appiattite da come ancora stesse attaccato a lui, poté ben sentire le braccia di Diavolo smettere di stringerlo vicino come prima. – Lo so.

L’abbraccio si sciolse, e Kira poté finalmente vederlo. I suoi lunghi capelli rosa non erano sciolti, bensì messi apposto in una treccia che teneva appoggiata sulla spalla destra. Il suo viso, spigoloso e duro, d’altra parte era come sempre riempito di trucco, le labbra colorate di nero e i suoi occhi due pozze buie, le iridi scheggiate. Notò con piacere che la giacca – poggiata rigorosamente sulle spalle – con pantaloni e camicia che stava indossando era una delle tante che gli aveva regalato: nera, con decori oro e rossi che si facevano strada nel velluto. Istintivamente, Yoshikage spostò la propria mano alla guancia dell’altro, accarezzandogli lo zigomo con il pollice. Sentì Diavolo irrigidirsi sotto il proprio tocco, come se invece si fosse aspettato altro, e non fece altro che guardarlo come a volere una risposta, e Kira conosceva già anche la domanda.

Sospirò. – Non sono arrabbiato. O almeno, non lo sono più. Conoscendoti, avrei potuto aspettarmi di peggio.

Il killer decifrò un movimento strano sul viso dell’altro, un piccolo angolo della bocca che si curvava in un ghigno. – Che gentile, ora sto valutando l’idea di lasciarti a marcire fuori sotto la neve. Dovresti essere grato del fatto che sono persino riuscito a venire.

Kira non abbassò lo sguardo, ne smise di guardare il Boss negli occhi. Aveva imparato a conoscerlo abbastanza bene per capire quando volesse provocarlo solo per una reazione da parte sua, e se era questo ciò che voleva, allora gli avrebbe mostrato come rigirare la situazione a favore suo. Mosse ancora una volta la propria mano, questa volta andando a prendergli il mento, come ad evitare che quel contatto finisse. Il suo tono di voce si abbassò, ormai un sussurro, mentre i loro visi si avvicinavano sempre di più. Sorrise appena, quasi languido. – Non credi che dovresti usare questa bocca per qualcos’altro dopo tutto questo tempo, oltre che per lamentarti?

A Diavolo bastò prendere il viso di Kira tra le sue mani guantate in pelle nera per eliminare la distanza tra loro, spingendolo sempre di più contro le sue labbra, morbide e piene come le ricordava. Kira trattenne a stento un gemito quando sentì i denti dell’altro giocare appena con il suo labbro inferiore. Questo sì che gli era mancato per tre mesi, questo e…

Si separarono poco dopo che i baci cominciarono ad essere solamente a stampo, non a corto di fiato ma vicini come prima. Kira prese le mani di Diavolo nelle sue, guardandolo per cercare approvazione e rimuovere quei guanti, unica barriera, ma il Boss non annuì. Anzi, sembrò irrigidirsi come prima, e dovette intervenire parlando: - Dopo, altrimenti non ci muoviamo più da qui. – Cercò di essere più tranquillo possibile, ma era chiaro nel suo tono che fosse impaziente. Kira nascose un verso di dissenso quando lasciò la presa su Diavolo, dopotutto era sicuro si meritasse almeno una piccola occhiata a quelle bellissime mani dopo tutto quel tempo. Ah beh, avrebbe pazientato. La notte era ancora giovane, dopotutto.

- Quindi… - iniziò Kira, guardandosi intorno e finalmente spogliandosi di cappotto e sciarpa. – Quale sarebbe questa sorpresa? – La stanza era piccola, con una moltitudine di scatole vuote, sistemate maniacalmente. Sembrava un magazzino, anche se piuttosto spoglio, salve per una porta in legno dietro, alla quale Diavolo si era avvicinato, una mano sulla maniglia come pronto ad aprirla. Kira lo seguì, curioso.

- Lo vedrai – disse. – Altrimenti non sarebbe una sorpresa, no? Mi dovresti fare un ultimo favore, però… Chiudi gli occhi.

Kira non capì bene il perché della richiesta. Erano ad un museo d’arte, era chiaro di che tipo fosse la sorpresa, ma decise comunque di dare ascolto a Diavolo – più per accontentarlo che altro – e fece come dettogli.

Sentì il cigolio della porta che si apriva, e già prima di entrare sentì anche la mano di Diavolo sopra i suoi occhi, coprendoli. Sussultò un attimo. Ancora non si fidava riguardo certe cose oppure lo stava solamente stuzzicando?

- Quindi non posso vedere le tue mani ma puoi mettermele in faccia? – disse Kira. – Sei un bastardo tentatore.

A Yoshikage parve di sentire corta, bassa risata provenire dalla bocca di Diavolo, probabilmente intrattenuto dai suoi gusti, ma non riuscì a godersi un momento di rara felicità da parte dell’altro che cominciarono ad incamminarsi. Sentì Il Boss muoversi al suo fianco, trascinandolo un po’ in avanti, e Kira lo seguì. Con i suoi occhi coperti così, non notò nessun cambio di luce o altro, solo che faceva meno freddo. Quando si fermarono, pochi secondi dopo, sentì Diavolo spostarsi dietro di lui, la sua mano ancora a coprirgli gli occhi, quando la sua voce grave gli arrivò alle orecchie: - Puoi aprirli, ora. Ma solo quando toglierò la mia mano.

E così Kira fece. Smise di sentire l’altro coprirgli gli occhi, e quando li riaprì quasi non poté credere a ciò che stava vedendo.

Era nel mezzo di una grande stanza dalle pareti bianche – ma, a differenza di quella di prima, c’erano quadri ad adornarla. Di tutti i tipi, tutte le correnti immaginabili: davanti a lui vide un Caravaggio, e con la coda dell’occhio un Yumeji Takehisa ed un Alfons Mucha ed erano soltanto una piccola parte di molte più opere, tutti pezzi che da piccolo, a furia di cercare più stampe possibili delle bellissime mani della Mona Lisa sfogliando e risfogliando libri d’arte, aveva osservato con grande piacere e aveva imparato ad apprezzare. Kira aveva sempre avuto un interesse nell’arte in generale, ma il dover nascondere la sua vera natura al resto del mondo lo aveva limitato a doverne parlare solamente con le sue “fidanzate”, e più avanti con l’uomo dietro di lui, quello che a quanto pare aveva organizzato tutto questo. Sentì una pozza di calore nello stomaco solo a pensare al fatto che fosse riuscito a mettere in piedi una cosa del genere. Non riusciva a staccare gli occhi dalle opere in mostra, guardandosi attorno.

- Sono… Sono copie od originali?

- Purtroppo non sono riuscito a mettere mano su alcune, ma la maggiorparte sono originali, sì. Molte le avevano qui, altre le ho dovute far recuperare, diciamo. Siamo gli unici nel museo, solo noi senza guardie di sicurezza o telecamere, il mio Doppio ha fatto uno splendido lavoro a toglierle tutte.

“Solo noi”. A Kira non importava se Diavolo avesse persino fatto rubare alcuni quadri – incredibile cosa i soldi e il potere su un’intera organizzazione criminale potessero fare – o li avesse semplicemente comprati. Questo era ciò che Yoshikage Kira si meritava, dannazione. Questo, di essere finalmente trattato come l’uomo che era e non che pretendeva di essere. Sapeva benissimo di essere meglio di altri, meglio della poca gente che frequentava solamente per etichetta ed il fatto che Diavolo avesse messo da parte del tempo per fargli un regalo simile non faceva altro che confermarlo. Sì, se lo meritava, pienamente.

Diavolo si mise al suo fianco, probabilmente aspettandosi una reazione diversa dal semplice guardarsi intorno, seppur sapendo che Kira non era solito esternare le sue emozioni. Storse il naso. – Allora? Non ti ha soddisfatto?

- Al contrario. Io… Nessuno ha mai fatto una cosa del genere per me prima d’ora. – Kira lo guardò negli occhi. – Grazie.

Il Boss si rilassò, convinto della gratitudine dell’altro. – È stata una cosa da niente con l’influenza che ho. Sono grato ti piaccia. – Detto questo, gli porse un braccio. Kira capì l’invito e senza pensarci due volte intrecciò il proprio al suo. – Abbiamo un’ora e mezza, ho organizzato qualcosa di altrettanto privato per cena.

Un’ora e mezza, tutta per loro, e altro a venire subito dopo. Per la prima volta in quella giornata, Kira si rilassò completamente, sicuro del fatto che quella sera non avrebbe dovuto portare una maschera metaforica per convincere qualcuno. Strinse il braccio di Diavolo a sé.

- Sfruttiamola al meglio, allora.

 
***
 
Si fecero presto le venti e un quarto, più presto di quanto Kira avrebbe voluto se doveva essere sincero.

Appena lasciarono il museo si diressero verso la macchina di Yoshikage – al quale non sfuggì come Diavolo stava praticamente correndo verso la vettura, tirando la portiera a sé in fretta e furia, come se dovesse subito tornare sano e salvo a nascondersi – e partirono per la loro prossima destinazione.

Il “Dorsia”, Kira ne aveva sentito parlare. Era probabilmente il ristorante più di classe della Città di S, del tipo che i più abbienti avrebbero dovuto prenotare due mesi prima per riuscire a trovare un tavolo libero. Aveva sentito una volta dal suo cubicolo di come il capo del suo dipartimento fosse riuscito a portarci la moglie dopo anni e anni di lamentele – che donna orribile e superficiale – e a Kira era passata per la testa l’immagine di infilzare la matita appena temperata che teneva in mano giù per il collo di quel bastardo a sentirlo parlare di quanto avesse pagato, e che bel posto gli avessero riservato. Ma ora, a guidare di fianco a Diavolo, cercò di scacciare via il pensiero, non chiedendosi nemmeno come fosse riuscito a riservare un posto al “Dorsia”, per di più privato… O qualunque cosa volesse intendere con quello. Molto probabilmente, però, in quel discorso sarebbero c’entrate parole come “tortura” o “ricatto”, conoscendolo.

Diavolo gli indicò di parcheggiare di fronte ad un vicoletto, non molto lontano nell’aspetto da quello nella quale si nascondeva la porta di servizio del museo. Quando scesero, il Boss quasi corse dentro un’ennesima porta di servizio. L’aprì e, dopo che Kira entrò, la chiuse – non prima di aver sbirciato fuori come a controllare se qualcuno li stesse seguendo. Il killer, intanto, si guardò intorno, cominciando ad incamminarsi al centro della saletta. Era pulita e dal pavimento lucido, le pareti di un blu notte intenso. Al centro, un tavolo apparecchiato per due con di fianco un carello da ristorante, pieno di vassoi e bacinelle coperti, in un argento che scintillava sotto al lampadario elettrico che pendeva sopra il tutto. Ovviamente Diavolo si era fatto preparare tutto prima per evitare di dover persino far sentire ad uno dei camerieri il suono della sua voce.

Quando finalmente Diavolo fu convinto dell’assenza di altre persone, raggiunse Kira, già seduto ad aspettarlo, le mani poggiate sotto al mento. Il Boss si sedette di fronte all’altro, rimuovendo gli occhiali da sole che si ostinava a portare persino al buio in modo che nessuno lo guardasse negli occhi, poggiandoli sul tavolo. – Allora, ti piace? – chiese lui, subito dopo.

- Sì – rispose Kira, con una strana sincerità. – È molto di mio gradimento. Hai fatto sgomberare una sala?

- Sarebbe privata in realtà, una piccola cosa per chi paga un extra.

- Tu e “legalità” non andate esattamente a braccetto, non prendermi in giro.

A Kira sembrò di vedere l’ombra di un sorriso sulle labbra di Diavolo. – Non è questo l’importante, Yoshikage. Cosa davvero importa è il fatto che siamo qui, quindi non preoccupiamoci di altro.

Kira poté ben sentire il suo stomaco contorcersi quando Diavolo pronunciò il suo nome. Sapeva che era diverso in Italia dal Giappone, che i nomi venivano usati persino tra colleghi ed amici parlando normalmente, mentre dall’altra parte era tutto il contrario: solo qualcuno come un genitore o un amante aveva il privilegio di usare il nome e non il cognome con il dovuto onorifico. Diavolo aveva cominciato a chiamarlo “Yoshikage” e non a sputare come veleno dalla sua bocca sia nome che cognome quando erano diventati più… intimi, più vicini sentimentalmente, quando avevano deciso di smettere di fingere di non sapere cosa stesse davvero accadendo tra di loro. L’unico tipo di vicinanza che avessero mai condiviso prima di quello era stata prettamente carnale, perché non conoscevano altro al di fuori di quello, e rimaneva molto strano riuscire finalmente a fare dell’altro, che fosse uscire – a modo loro – o persino chiamarsi per nome. Strano, persino fastidioso a volte, ma bello, e soddisfacente.

Diavolo sembrò accorgersi della reazione di Kira, perché inclinò leggermente la testa come a chiedersi cosa stesse pensando. – C’è qualcosa che non va – disse. Non era una domanda, solamente una precisa constatazione.

Kira si strinse nelle spalle. – Non sono ancora abituato a sentirti chiamarmi così, niente di che.

- Differenze culturali, immagino.

- Anche. – In quel momento, Kira si ricordò di un dettaglio cruciale che si era dimenticato per via di quanto tutto ciò l’avesse preso, e frugò nella tasca interna della propria giacca. – A proposito…

Quando finì, Kira aveva una piccola scatola in mano, di velluto rosso. L’appoggiò sul tavolo sotto lo sguardo vigile dell’uomo di fronte a lui, per poi spostarla al centro. – Natale qui è un po’ diverso – iniziò il giapponese. – Non è una festa religiosa come da voi. Mettono in giro decorazioni solamente per emulare l’occidente, ma è rinomata come festa degli… amanti, ecco, e i regali rimangono parte di ciò. So che è piccolo rispetto a quello che hai fatto per me stasera, ma spero comunque sia di tuo gradimento.

In verità, Kira aveva deciso di prendere a Diavolo qualcosa solamente il giorno prima, quando l’arrabbiatura nei suoi confronti si era raffreddata facendo posto alla voglia di vederlo, ma questo lui non doveva per forza saperlo.

Vide Diavolo spostarsi leggermente per guardare ogni lato della scatolina, muoverla con un dito come un corpo morto e poi finalmente prenderla in mano, agitandola un pochino per capirne il contenuto, il tutto con un chiaro sospetto negli occhi – e forse anche ansia? Yoshikage non si stupì. Sarebbe stato stupido pensare che la paranoia di Diavolo sarebbe mai sparita anche dopo tutto quel tempo speso insieme.

- Dimmi cosa c’è dentro.

- È una sorpresa per un motivo. Non mi hai detto lo stesso prima?

Il Boss poggiò l’oggetto di nuovo sul tavolo. – …Va bene.

Con mani leggermente tremanti, Diavolo aprì la piccola scatola, svelandone il contenuto. Per un attimo Kira giurò che gli sarebbe cascato il coperchio dalle mani, e il suo viso… Era illeggibile, più del solito.

All’interno, brillanti e lucidi, c’erano tre anelli di varie misure e stili, incastonati di rosso e nero, uno in oro ed il resto in argento. Erano piuttosto grandi, ma non appariscenti, e tutti poggiati sopra un cuscinetto in spugna. E il Boss continuava a rimanere impassibile di fronte a ciò che stavano vedendo i suoi occhi, era una reazione che Kira conosceva già, ma non l’aveva mai vista protrarsi per così tanto tempo.

Kira tossì per richiamare l’attenzione dell’altro su di sé, le braccia poggiate sul tavolo. – Sono rubini ed onici veri quelli, comunque.
Diavolo alzò gli occhi verso di lui per poco, le labbra colorate di nero strette in un’espressione confusa. – Io… Non so cosa dire.

- Ti piacciono?

- Sì, assolutamente, è solo che… Mi sento strano. – Sembrò rilassarsi, la schiena non più così dritta e gli occhi in allerta. – Sono pietre vere, hai detto?

- Certo. I rubini… - Kira dovette staccare il proprio sguardo dall’altro, concentrandosi sul centro del tavolo. – Il colore rosso mi ricorda di te, in generale. E l’onice, invece, mi ricorda un po’ i tuoi occhi. Ho pensato fosse perfetto.

Yoshikage sgranò leggermente gli occhi quando sentì la mano di Diavolo a contatto con la sua, sopra, a stringerla. Ricambiò subito e volse lo sguardo di nuovo in su, verso l’altro. L’altra sua mano era a coprirgli la bocca e le guance appena, come a nascondere qualcosa. – E lo è – disse infine, a voce bassa, ma comunque udibile. – Grazie.

Kira non riuscì a reprimere il primo, piccolo ma sincero sorriso di quella serata. In quella stanza, a vedere quell’uomo più grande ed intimidatorio di lui avere quella reazione, si sentiva felice. Qualcosa in lui voleva persino rincarare la dose, forse come una sfida nei suoi confronti o forse perché sapeva che non avrebbe potuto aspettare più di così con quella mano ancora guantata sopra la sua, e semplicemente disse: - Posso metterteli?

Vide Diavolo, molto lentamente, togliersi i guanti in pelle dopo averlo osservato per un po’. Questa era sicuramente una risposta. Li appoggiò in grembo ed offrì le sue mani a Kira, le braccia poggiate sul tavolo, e l’altro le prese subito nelle sue.

Si prese il suo tempo per osservarne la pelle bianco guscio, le lunghe unghie smaltate di nero, le dita così affusolate che facevano contrasto con le nocche ruvide e segnate. Quando avvicinò le mani del Boss alla sua bocca, le baciò una ad una, toccandole appena con le sue labbra, quasi sfiorandole. Purtroppo non erano esattamente vicini in quel momento, non avrebbe potuto fare di più, ma non vedeva l’ora di poter baciarne anche i palmi, i polpastrelli, magari sentire quelle dita giù per la sua gola, o attorno al suo collo, o –

- Yoshikage – la voce di Diavolo risuonò nelle sue orecchie come un campanello d’allarme, uno “sbrigati” senza nemmeno pronunciarlo. E così fece, prendendo il primo anello, quello in argento, e infilandolo nell’indice destro. Toccò poi all’anulare della stessa mano e poi al medio sinistro, dove scintillava quello in oro, il più grande. Kira si permise un ultimo bacio, posato sul grosso onice incastonato di quell’anello, per poi alzare finalmente lo sguardo. Diavolo aveva la testa girata verso un punto imprecisato della stanza, la bocca stretta in una smorfia, il suo viso… non così pallido.

Kira trattenne a stento la sua reazione, una sensazione di orgoglio che si stava facendo strada nel suo petto: - Stai… arrossendo?

- No – rispose subito dopo il Boss, braccia ora conserte e strette contro il petto. – Non farmi mai più una domanda simile.

Fortunatamente, dopo un paio di secondi di silenzio, si accordarono sul fatto che sarebbe stato meglio iniziare a mangiare. Passarono la cena a discutere di ciò che avevano visto al museo, e di come stavano andando le loro vite in generale. Non condividevano mai molto, solo piccoli dettagli non cruciali di ciò che stava accadendo intorno a loro, o a lavoro – se quello che facesse Diavolo potesse definirsi tale. Finirono per parlarne sopra un bicchiere di vino rosso, quando ebbero finito tutto. In quei momenti era Kira quello che parlava di più, non era mai stato il migliore a reggere l’alcool visto che non beveva molto escludendo qualche bicchierino che era costretto a mandare giù durante le cene di lavoro per non sembrare fuori posto, e probabilmente era per quello. Continuava a parlare di quanto detestasse certe persone che era costretto a vedere ogni giorno, mentre con un movimento della mano vedeva il liquido rosso nel proprio calice muoversi in corti vortici. Diavolo, nel mentre, lo ascoltava e a volte commentava solamente per fargli dire di più. La prima volta che era successo, quando ancora non erano così vicini, a Kira non era servito essere sobrio per capire che il Boss lo stesse facendo per avere informazioni utili su di lui nel caso avesse fatto qualcosa che non gli sarebbe tanto andata a genio, ma ora non era più per quello. Si ricordava ancora quando, durante il loro ultimo incontro, si era lasciato sfuggire quanto odiasse uno dei suoi colleghi, un tizio orribilmente appariscente che gli chiedeva fin troppo di cosa facesse una volta uscito da lavoro. Si ricordava anche la sua faccia sul giornale, con il titolo: “Uomo trovato fatto a pezzi in un vicolo della Città di Morioh”, esattamente una settimana dopo averne parlato con il Boss. Quasi ghignò al pensiero, mandando giù un altro sorso di vino.

Erano nel mezzo di una discussione simile quando il rumore di un telefono che squillava risuonò nella stanza. Diavolo infilò la mano nella tasca dei pantaloni e lo estrasse, guardandolo con odio sprezzante. – Idioti… - mormorò, per poi alzarsi. Guardò Kira, intento ad osservare ancora il suo calice di vino, e lo richiamò. – Perdonami Yoshikage, ma credo che Doppio dovrà rispondere a questa chiamata.

Il killer ricambiò lo sguardo, ed annuì, guardando Diavolo uscire dalla porta che dava sul vicolo, sbattendola con tutta l’energia che aveva in corpo. Avrebbe preferito che rimanesse, davvero, ma il lavoro è lavoro e sapeva quanto l’altro ci tenesse a mantenere il controllo sulla propria gang.

Non seppe bene quanto rimase lì, probabilmente perché era più concentrato sul controllare la quantità d’alcool che ora scorreva nelle sue vene, ma notò con dispiacere che la bottiglia di merlot era ormai vuota. Di già? Eppure era sicuro che nessuno dei due ci fosse andato pesante – o almeno Kira la pensava così.
Si girò verso l’altra porta, non quella che dava sull’uscita, bensì una in legno, sicuramente collegata al resto del ristorante, forse alle cucine, anche se non sentiva niente dall’altra parte.

Sapeva benissimo che non era la cosa migliore da fare, soprattutto nei confronti di Diavolo, ma… lui non era qui al momento, nessuno avrebbe potuto vederlo. Yoshikage cercò di convincersi che niente di brutto sarebbe accaduto, dopotutto voleva solamente chiedere un’altra bottiglia. Cosa c’era di così rischioso in quello? Niente, e poi, la fortuna gli sorrideva sempre.

Con una lucidità che non si sarebbe aspettato da un se stesso con la mente annebbiata, si alzò lentamente e andò a bussare alla porta, in attesa di una risposta.
Ora poteva sentire un piccolo brusio, subito dopo dei secondi morti. Ad aprirgli, seppure fosse solo uno spigolo di luce ad entrare dall’altra stanza, fu quello che dalla voce presumesse fosse un giovane uomo.

- Uhm… Sì, signore?

- Non c’è bisogno di nascondersi così, non sono quel cliente.

La porta si aprì di più e l’uomo di fronte a lui sporse la testa dentro. Aveva la classica faccia del bravo ragazzo giapponese, probabilmente a lavorare in quel posto per un paio di spiccioli e a fare la gavetta a vita. “Patetico”.

Sembrò rilassarsi, e si schiarì la gola prima di aprire bocca. – Ah, va bene! Avete bisogno di qualcosa? – I suoi occhi squadrarono Kira dall’alto al basso, impassibile.
“Non ti avrei chiamato se non avessi voluto niente, cretino.” – Il merlot è finito, se ne potrebbe portare un’altra bottiglia?

- Uh, certamente!

- Molto bene – “Ora sparisci.” – Grazie mille.

Fu appena Kira tornò al proprio posto e si sedette che il ragazzino aprì di nuovo la porta, questa volta entrando come se stesse sul punto di camminare so un campo minato. Si avvicinò a Kira, bottiglia in mano, chiaramente tremante, completo da cameriere di tutto punto, e si fermò in piedi di fianco a lui. Lo poteva vedere nelle sue mani – fin troppo poco curate, tra l’altro – che il tremolio non si era nemmeno fermato mentre cercava di aprire la bottiglia. Ci riuscì in fretta però, e Kira, gambe incrociate e sguardo puntato sull’altro come a cercare ogni minima pecca, sperò vivamente che si muovesse. Era fortunato del fatto che Diavolo avesse dei sottoposti che facevano discorsi così lunghi da tenerlo per più di dieci minuti fuori. Istintivamente, Kira guardò la porta per il vicolo. Era curioso di cosa stesse accadendo, e…
Lo sentì subito, ma mosse la testa in modo lento per convincersi che se lo fosse solo immaginato.

Guardò prima il tavolo. Sul bordo, rovesciato, c’era il suo bicchiere, la tovaglia bianca come la neve di quella sera ora sporca di un rosso vinaccio che non sembrava smettesse di spargersi a macchia d’olio, le gocce dal calice che cadevano verso terra. Abbassò lo sguardo su se stesso.

La sua giacca, parte dei suoi pantaloni e della sua camicia erano macchiate di vino. Non staccò lo sguardo da esse.

- Per l’amor del cielo! – sentì il ragazzo esclamare, ma senza guardarlo. – Mi dispiace così tanto signore, è la mia prima notte qua come cameriere ma non mi è mai successo, lo giuro! Posso andare a chiedere, le ripagheremo sicuramente la…

- No. – La voce di Kira era fredda, senza emozione.

Ma dentro era tutt’altro.

Dentro, si stava immaginando di strozzare quel piccolo ingrato finché non gli fossero esplosi gli occhi fuori dalle orbite, si stava immaginando di calciarlo ripetutamente nel petto e fargli sputare i polmoni e schiacciarli lui stesso.

Come aveva osato umiliarlo in quel modo? Durante un appuntamento estremamente importante, pure?

Ma doveva mantenere la calma.

Prese il proprio tovagliolo ed iniziò a tamponare le macchie ancora fresche, come se fosse servito a qualcosa. Sfoderò il suo migliore sorriso falso. – Non preoccuparti, non è niente. Dovevo lo stesso portarla a lavare, direi che ora mi hai dato un motivo in più – “Brutto pezzo di merda bastardo figlio di una—” – Più che altro ti direi di svignartela da qui, il vostro cliente speciale di stasera dovrebbe tornare tra poco.

Il ragazzo rimase a bocca aperta, occhi spalancati e bottiglia stretta contro il petto, prima di finalmente pronunciare le sue ultime parole: - Grazie mille, signore, è così gentile! Mi scusi ancora! Me ne vado subito! – e detto questo se ne ritornò in cucina.

Fu quando finalmente il cameriere se ne andò che Kira lasciò spazio a ciò che davvero stava provando. Il suo sorriso si trasformò in uno sguardo di puro disprezzo, appallottolando il tovagliolo e buttandolo a terra. Se l’era fatta lavare ieri, in realtà, la giacca! Ieri! E guarda qua se non doveva arrivare uno stupido del genere a rovinargli la serata, un momento di svago nella sua tanto amata vita tranquilla!

Quando finalmente Diavolo tornò – non molto dopo l’accaduto – sembrava più calmo, ma quella era un’esagerazione. Meno incazzato, forse, era un termine migliore.
- Spero che l’attesa non ti abbia logorato – disse, risedendosi al proprio posto, occhi ancora sul proprio telefono. – Questi bastardi ingrati hanno quasi fatto perdere la voce al mio Doppio, menomale che ho richiesto di insonorizzare le pareti, altrimenti avresti dovuto sentire tutto e… - Diavolo si fermò a metà frase, notando lo sguardo arrabbiato di Kira, puntato sul calice ancora rovesciato sul tavolo.

Si guardarono, e Diavolo scandì perfettamente le parole a denti stretti. – Cosa è successo?

Kira, di risposta, si alzò in piedi. Indicò le macchie di vino con un dito, rigido. – Uno stupido piccolo bastardo – cominciò – di questi camerieri mi ha versato del vino addosso. Avevo richiesto un’altra bottiglia per noi e guarda che è successo!

Diavolo non batté ciglio inizialmente, ma poi Kira lo vide chiudere gli occhi e poggiare due dita alle tempie, sospirando. - … Solo per questa volta sorvolerò il fatto che tu abbia lasciato entrare qualcuno—

- Sapevo che non saresti entrato presto, non accusarmi.

- Sì, , fammi finire. È chiaro anche che io abbia richiesto un certo servizio da parte di questo posto, servizio che non è stato eseguito correttamente, soprattutto riguardante te – e lo indicò, prima di alzarsi e avvicinarsi a Kira, ancora in piedi. L’altro alzò un sopracciglio come a chiedere una spiegazione: cosa intendeva Diavolo con quello?

Ne ebbe un po’ la conferma quando il Boss poggiò le mani – ancora ingioiellate – sulle sue spalle, un tocco raramente gentile. Il loro visi erano vicinissimi. Diavolo aprì di nuovo bocca: - Con questo voglio dire che sei mio, Yoshikage, e non mi piace quando la gente porta poco rispetto, a me o a ciò che mi appartiene. – Il Boss incurvò le labbra in un ghigno, avvicinandosi all’orecchio dell’altro – Che ne dici se chiediamo a chiunque sia il capo di questa bettola quando quel disgraziato finirà il turno, mhm?

Kira si sentì tremare un po', del calore propagarsi nel suo corpo e nel suo petto. Se fosse per la prospettiva di ammazzare quel cretino o perché la voce così profonda di Diavolo era strisciata nelle sue orecchie come il velluto questo non lo seppe nemmeno lui. O forse era persino per quel “mio”, possessività che entrambi mostravano l’uno nei confronti dell’altro, seppure in contesti ancora più privati.

Prese il viso di Diavolo tra le proprie mani. Kira non poteva vedersi al momento, ma sapeva, dal modo nel quale lo sguardo buio dell’altro lo stava penetrando, che dietro i suoi occhi violetti l’oscurità che preferiva tenere nascosta era, ormai, viva e pronta a manifestarsi.

Ghignò. – Certamente.

 
***

L’ultimo calcio nelle costole fu quello di grazia. Quando arrivò a colpirlo, ormai la faccia e i vestiti del ragazzo che fino a pochi minuti fa era stato il cameriere di un lussuoso ristorante della Città di S – una persona che aveva avuto come unica colpa quella di sporcare di vino la giacca dell’uomo sbagliato – erano imbrattati di sangue. Il suo labbro e il suo naso erano rotti da pugni, colanti di rosso, come la sua fronte, lividi che costellavano il petto e le braccia e le guance e le gambe. Accasciato sulla neve, l’unico segno vitale che continuava a dare erano i sospiri rotti da polmoni che non funzionavano più e il tremolio di un corpo poggiato sul ghiaccio. Ci fu un ultimo respiro dopo il calcio, quello e uno sputo di sangue, prima che il corpo davanti ai due criminali smettesse finalmente di muoversi, occhi spalancati e viso irriconoscibile per quanto martoriato.

L’unico suono nel retro sperduto e sporco del ristorante “Dorsia” diventò solo quello di due respiri pesanti, e poi cessò. Il buio dominava tutto.

Kira, chiazze di sangue sugli affilati zigomi e in mezzo al viso, si chinò sul corpo. Non gli servì controllare la pulsazione per capire che quello di fronte a loro era un cadavere. Guardò Diavolo, in piedi di fianco a lui, anch’esso con il viso costellato di chiazze rosse, soprattutto i suoi occhiali da sole. Il killer parlò con un tono non esattamente adatto a ciò che avevano fatto, come se la colpa fosse stata aggiungere troppo zucchero nel caffè: – Secondo te abbiamo esagerato?

Diavolo scrollò le spalle. – No, direi di no.

- Dove lo portiamo?

- Lo carichiamo in macchina tua.

- Ah, ovviamente, la mia di macchina.

- Parli come se non lo avessi mai fatto.

Yoshikage diede un’ultima occhiata al corpo, prima di alzarsi. – E va bene, macchina mia sia, ma lo scarichiamo subito.

Ci volle più del previsto per infilare il corpo nel bagagliaio della macchina di Kira, corpo che aveva deciso di avvolgere con sacchi di plastica e fascette, gli stessi che usava per disfarsi degli inutili corpi delle sue “fidanzate”, meticolosamente nascosti sotto il proprio sedile. Diavolo non aiutò molto con il suo continuo ripetere che “stiamo solamente perdendo tempo!”, ma Kira conosceva bene i pericoli di una vittima abbandonata a sé stessa, e quindi si era velocemente infilato dei guanti in lattice e non aveva lasciato l’altro fiatare. Lasciò che fosse il Boss a sistemare il morto nel retro della macchina e dopo un paio di parole che Kira identificò come bestemmie e il “crack” delle gambe che non riuscivano ad entrare, Diavolo chiuse il bagagliaio e si infilò nel posto di fianco a Kira, che fece partire subito la macchina.

Decisero di lasciarlo marcire giù in fondo al mare adiacente alla spiaggia di Morioh, alla fine. Non entrarono nemmeno nella cittadina che Kira svoltò per la spiaggia. Una volta arrivati, bastarono un paio di sassi legati ai piedi del corpo per farlo affondare giù, evitando così che la plastica lo facesse gialleggiare. Kira lo prese le gambe, Diavolo per le spalle e bastò uno slancio per vederlo affondare nelle acque nere di quella spiaggia di notte. Anche questa era finita, senza nessun intoppo, esattamente come sarebbe dovuta andare.

Kira si appoggiò alla propria macchina con la schiena, chiudendo gli occhi ed inalando l’aria fredda del mare d’inverno. Aveva smesso di nevicare, eppure la spiaggia rimaneva bianca, un raro ma bellissimo spettacolo. Il sangue sul suo viso era ancora caldo, ma lo sentiva lentamente asciugarsi ed attaccarsi alla sua pelle come se la volesse strappare via. Era abituato a quella sensazione. Quando riaprì gli occhi non si meravigliò a vedere Diavolo di fianco a lui, mentre con la propria giacca cercava di pulire il sangue via dalle lenti scure dei propri occhiali. Yoshikage non fiatò quando glieli prese di mano, estraendo un fazzoletto bianco dalla tasca interna della propria giacca e pulendoli meticolosamente per lui. Diavolo, d’altra parte, alzò gli occhi al cielo. – Sapevo come fare, grazie.

L’altro non rispose a quel borbottio, semplicemente si girò verso il Boss e gli sistemò gli occhiali sulla camicia, appendendoli al colletto. Se non fosse stato per il fatto che Kira sentiva una grande stanchezza pesare su di lui, la smorfia infastidita di Diavolo al gesto lo avrebbe divertito.

Non c’era luce lì, tranne la luna, ma Kira riuscì lo stesso ad osservare ogni singola chiazza di sangue sul viso del Boss, persino qualcuna sul suo collo o la spalla, dove la treccia continuava a posare. Era in momenti come quelli che si rendeva conto quanto pericolosamente bello l’altro fosse, come un coltello lucido ma estremamente affilato.

- Sai, quando ho detto che il rosso è il tuo colore – iniziò Yoshikage, mani in grembo, sguardo sul mare calmo all’orizzonte – dicevo sul serio. Ti sta bene.

Sentì la mano nuda di Diavolo sul suo zigomo, mentre un dito affilato gli puliva via il sangue. Così freddo, ma così morbido. Quel calore che aveva sentito prima ritornò, e questa volta lo sentì fino al cavallo dei pantaloni. – In questo momento, potrei dire lo stesso per te.

Fu di difficile nascondere il gemito che gli minacciava di uscire dalle labbra, ma non impossibile. Si guardarono, la mano di Diavolo ormai scesa sul suo collo e un dito a fare leggera pressione sulla giugulare.

Fu persino più difficile resistere quando il Boss lo attirò in un bacio, facendo scontrare le loro labbra per la seconda volta in quella serata. Questa volta Kira poteva sentire il sangue sulle labbra dell’altro, mischiandosi insieme al rossetto nero, il freddo delle loro pelli che si sfregavano, le mani di Diavolo intorno al suo collo. Istintivamente, Kira affondò le dita nei capelli dell’altro, liberandoli dalla treccia e lasciandoli cadere sulla sua schiena, morbidi sotto il suo tocco mentre spingeva la testa dell’altro contro la sua. Sentì Diavolo picchiettare la sua lingua contro il suo labbro inferiore e Kira non fece altro che schiudere ancora di più la bocca, occhi chiusi, lasciandogli più accesso possibile. Il freddo intorno a loro e il rumore leggero delle onde era come sparito, non sentivano altro che i tocchi dell’altro e i sospiri che diventavano rivoli di vapore bianco, sperdendosi intorno a loro.

Diavolo fu il primo a staccarsi, i ciuffi rosa dei suoi capelli a coprirgli parzialmente gli occhi. Non gli servivano parole per quel momento, ma Kira sentì comunque il bisogno di sussurrare una semplice richiesta: - Andiamo a casa mia.

Il Boss annuì.

 
***

Quando Kira si svegliò, Diavolo non era lì.

Lo capì subito dall’assenza di calore contro la sua schiena, o attorno alla propria vita, nessun peso di fianco a lui dalla parte opposta del letto. Fu la prima cosa che capì quando aprì gli occhi, poi arrivò il rumore assordante della sveglia, che spense subito: erano le sette di mattina in punto.

Appena si sedette, poté sentire benissimo un dolore lancinante farsi strada lungo la sua schiena, dal collo in giù, e la testa girargli lievemente per via dell’alcool della sera prima. Strinse i denti e cercò di non concentrarsi su quello, voltandosi a destra. Il letto era intatto, come se nessuno lo avesse toccato, e l’unica cosa fuori posto erano i propri vestiti, gli stessi della sera prima, sparsi per terra.

Strinse la coperta.

“Ma certo”.

Seppure sapesse benissimo che era meglio alzarsi, Kira ritornò steso lo stesso nel letto, solamente il lenzuolo a coprire le gambe ed il bacino del suo corpo nudo. Con il petto rivolto verso su, le mani intrecciate insieme sulla pancia, rimase a contemplare il soffitto.

Non sapeva nemmeno lui il perché fosse sorpreso che Diavolo non fosse rimasto: non era la prima volta che accadeva, e non sarebbe stata neanche l’ultima. Non aveva mai detto il perché non volesse, anche se Kira aveva potuto benissimo capirlo. Oltre l’essere occupati a gestire l’organizzazione mafiosa più grande di Italia, con rapporti in altri paesi, c’era anche il fatto che il cervello di persone come Diavolo non era mai gentile. Una notte lo aveva trovato in un angolo, non più nel letto, a tremare, convinto del fatto che ci fosse qualcosa a guardarlo nelle ombre. “Allucinazioni”, aveva detto una volta calmo, un bicchiere d’acqua tra le mani, “le ho da sempre”. E quella era stata la prima volta che il loro parlarsi era andato oltre l’insulto, la battutina sarcastica o il chiedere del sesso dall’altro. Tra quelle ragioni per le sue sparizioni improvvise, Yoshikage non avrebbe mai saputo quale delle due fosse, e quindi la cosa più saggia per entrambi da fare era lasciare il beneficio del dubbio.

Dopo tutto questo tempo Kira cercava ancora di convincersi che non gli importasse del fatto che Diavolo rimanesse o no, e davvero, cercava di capirlo ma… Aveva fatto degli sforzi per mantenere quello che avevano, sforzi che includevano tenere la sua preziosa tranquillità pur sempre al sicuro, non cambiare niente di come stava vivendo tranne l’occasionale appuntamento o altro, possibile che lui non potesse nemmeno provarci? A volte si chiedeva come sarebbe stato svegliarsi con l’unica persona al mondo che poteva capirti, che condivideva con te lo stesso senso di privatezza e voler essere lasciati in pace, che ti rendeva felice – non la felicità artificiale che dovevi usare per nasconderti al mondo – e che aveva ucciso un uomo per te.

Più che rabbia, Kira sentiva malinconia per una cosa che non era mai esistita.

Si sedette ancora e si guardò e toccò il petto, le gambe, le braccia: sentì i lividi lasciati dai succhiotti di quella notte sotto il suo tocco, insieme alle scie rossastre fatte dalle unghie e i rimasugli di rossetto nero sulle proprie labbra, collo e corpo. Almeno aveva avuto la decenza di non lasciargli niente di permanente dove non lo avrebbe potuto nascondere.

Si passò una mano tra i capelli – non sistemati, ciocche libere che gli ricadevano in fronte – e decise che ci sarebbe stato tempo dopo per pensare a tutto ciò che era successo ieri, il lavoro ora era la priorità. Dopo aver raccolto i propri vestiti, si diresse verso il bagno.

Si pettinò, si lavò via le tracce di rossetto che Diavolo gli aveva lasciato – anche con un po’ di riluttanza, c’era qualcosa in quei segni che gli piaceva – e si vestì, per poi scendere al piano terra. Aveva solamente bisogno di fare colazione e poi sarebbe uscito per recarsi in ufficio.

Magari… E no, una stupida speranza che si era fatto si ruppe subito non appena fece capolino in cucina. “Non pensarci Kira, non ora”. Fortunatamente a distrarlo ci fu l’arrivo dal salotto adiacente di un gatto bianco, un micio non troppo grande che si avvicinò subito a Yoshikage quando lo vide. Strofinò il suo viso contro la sua gamba, miagolando per attenzione. Sembrò funzionare, perché l’uomo abbassò subito lo sguardo.

- Ah, Queen – disse sottovoce, osservando gli occhi stranamente rosa del proprio gatto. – Ho dovuto chiuderti fuori dalla stanza ieri, spero tu capisca.

La gatta strofinò di nuovo il proprio muso contro la gamba del padrone, come a dirgli che non importava, e anzi, era contenta che ci fosse di nuovo solo lui.

Diavolo e Killer Queen, la gatta di Kira, non avevano un buon rapporto. Una volta il Boss aveva cercato di prenderla in braccio per spostarla dal divano e si era ritrovato con un graffio sulla guancia e la paura di un piccolo animale peloso a vita. Come questa notte, appena erano rientrati a casa la prima cosa che aveva chiesto – non la migliore da dire mentre stai spogliando qualcuno, ma scelte – era se Killer Queen fosse presente, e se lo era di “far assolutamente sparire quel gatto infernale dalla mia vista”. Così Kira aveva dovuto chiuderla fuori dalla sua camera da letto.

Ora, con Queen comodamente rannicchiata vicino a lui e la radio sintonizzata sulla stazione prediletta di Morioh, era in procinto di prepararsi la colazione, quando con la coda dell’occhio Kira notò qualcosa.

Sul tavolo da pranzo, nel centro, c’era una delle sue “fidanzate”, la stessa che aveva deciso di portarsi dietro ieri. Una mano lunga e dalla carnagione chiara, con unghie dipinte di un blu cielo e un bracciale azzurro acqua. Sotto di lei, quella che sembrava una busta.

Kira smise immediatamente ciò che stava facendo e si avvicinò alla mano. Hisako, l’aveva chiamata. Ovviamente non era il suo vero nome, ma poco importava, Hisako le si addiceva davvero di più.

Yoshikage guardò la mano a lungo, prima di prenderla delicatamente.

- Lo so -, iniziò, come se davanti a lui ci fosse stata una persona in carne ed ossa. – Ma devi capire: tra noi era già finita da tempo… E sì, preferisco di gran lunga le sue, di mani. Non che non credo che tu sia bellissima.

Una pausa. Lo sguardo di killer si fece pieno di astio.

- No, sai, ora che ci penso… Sì, non sei un granché… E non guardarmi così! So che avresti fatto lo stesso se ne avessi avuto la possibilità, ne sono sicuro. Voi donne, sempre uguali. Quindi sparisci.

Gli occhi di Kira caddero finalmente sulla busta sopra il tavolo, e la prese, cercando di aprirla. – Cos’è questa, Hisako? – chiese alla propria ormai “ex” – Perché se è un modo per farti perdonare non lo accetto e…

I suoi occhi si sgranarono.

Erano due biglietti arei di andata e ritorno, uno per l’aeroporto Capodichino a Napoli, l’altro per quello della Città di S. Comprendevano tutti i giorni dal ventinove di Dicembre al quattro di Gennaio. Un’intera settimana con a cavallo capodanno, uno dei pochi periodi di ferie che gli era concesso.

Ma c’era altro nella busta. Kira appoggiò definitivamente la mano sul tavolo, affrettandosi ad aprire il piccolo pezzo di carta infilato tra i due biglietti. Riconobbe subito la calligrafia.

 
“Volevo darteli ieri ma visto il nostro ‘imprevisto’ non ho potuto farlo.
Sarò felice di rivederti presto, questa volta per più di un giorno.
(Strappa questo foglio una volta che avrai letto tutto, e buttalo via.)”

 
Yoshikage sentì la delusione con la quale si era svegliato quella mattina scomparire via quasi completamente, il cuore che iniziava a martellargli contro il petto come la sera prima. Tre giorni, tra tre giorni si sarebbero rivisti e sarebbe stato per più di alcune misere ore che passavano fin troppo veloci. Quel bastardo si stava impegnando fin troppo per farsi odiare come una volta, non era giusto lo facesse sentire così, anche quando pensava che sarebbe stato meglio finire tutto.
Le sue labbra si incurvarono lievemente senza che ci pensasse, espressione che gli rimase anche quando finì di prepararsi per andare al lavoro, quando accarezzò Queen prima di uscire, quando buttò Hisako nella spazzatura, e quando le sue ultime parole alla propria “ex” furono un semplice “ho di meglio, al momento”.

Tre giorni dopo, quando ormai la piccola villa che era appartenuta alla famiglia Kira da generazioni sarebbe stata vuota per la prossima settimana, la stazione radio di Morioh-cho avrebbe annunciato che era stato ritrovato un corpo avvolto da sacchetti di plastica e fascette da elettricista sulla spiaggia.
 


 
N.A } MERMAID SPEAKS
Buonasera/giorno/quel che è e buon anno!
Vabbè prima che mi possiate martoriare visto che questo è il fandom che frequento di più farò direttamente un copia incolla delle notes che ho fatto sulla fic che ho pubblicato nella sezione di D&D:
“[…] dopo aver rivalutato un po' il mio lavoro, ho deciso di prendere una decisione drastica: non pubblicare più long prima di averle finite completamente. È dura, ma ho capito che il mio entusiasmo per la condivisione delle mie idee superava di gran lunga la mia voglia di voler, poi, mettere tutto su carta, il che è stato sempre un problema che ho cercato di affrontare, e ci sto riuscendo! Non ho smesso di scrivere in questi mesi e non smetterò mai, ma ora sto davvero mettendo impegno in tutti i miei progetti e sto cercando di concentrarmi sulle long che adorerei far leggere qui, e sono super fier* della cosa!”
… So yeah. Ho lavorato negli ultimi mesi a molte cose, principalmente la parte prima della mia JJBA Percy Jackson AU – VISTO NON L’HO DIMENTICATA EHEH CREDEVATE – e sto organizzando i capitoli della mia long KiraBoss Dead Man’s Question AU… e beh, madonna se a volte i tuoi progetti diventano qualcosa di completamente diverso da come li avevi pensati all’inizio, lmao. MA ORA, LA FIC,
Come detto nell’introduzione, questo è un regalo che ho dovuto scrivere per il JJBA Secret Santa 2018 su tumblrqui trovate la versione inglese su AO3 semmai qualcuno si senta caritatevole e voglia lasciare un kudos! – e guarda caso la giftee che mi è stata assegnata è la mia strettissima amica Lulie, la mia enabler quando si parla dei murder husbands e compagna di lacrime e troppe notti passate a chattare di AU perché that’s how it is on this bitch of an earth quando la tua OTP è crack puro. :”) Visto che EFP mi continua a tagliare l'intro fsr (???) sappiate che i prompt erano
 “scambio culturale”, “nascondere un corpo” e “interagire con un gatto”!
In teoria avrei dovuto pubblicare questa fic il 26 ma sono stat* in montagna per MOOOLTO tempo e, regà, vi prego fatevi il piacere di non dover mai editare una fic su telefono. È il male. Più male di sti due bastardi messi insieme.
Sulla fic non ho niente da dire, sinceramente, tranne che mi sono molto divertit* a scriverla! Ho cercato di ribaltare il mood completamente da una scena all’altra perché quando si parla di fluff e la KiraBoss bisogna arrampicarsi sugli specchi per far funzionare le cose, quindi sì, c’è il fluff, ma quello che ti fa dire “MAGARI avrebbero bisogno di un terapista”. Abbiamo entramb* l'headcanon, inoltre, che sia Kira che Dia siano art hoes di quelli estremi e quindi ho voluto aggiungere anche altre cose delle quali io e lei abbiamo parlato oltre ai prompt che avevo tra le mani. Sono inclusi, ma non solo: come è iniziata la loro relazione, l'iperprotettività, l'essere i sugar daddies l'uno dell'altro e il fatto che è la presenza di King Crimson che alimenta la paranoia di Diavolo a livelli estremi.
... Ok questa non c'era ma è implicata.
E poi cat!KQ, perché cat!KQ è la vita.
Ah, due ultime cose: il nome del ristorante è una reference velata ad uno dei miei libri diventati film diventati musical preferiti: American Psycho! Il personaggio di Patrick Bateman mi ricorda molto Kira su un livello superficiale e devo dire che a volte mi ha anche aiutato a scriverlo, quindi eccovi una citazione a casissimo. E il titolo della fic viene dalla ononima canzone dei Fall Out Boy!
E nada, sono molto più ossessionat* con Devil May Cry ultimamente visto che tra (non così) poco uscirà il quinto gioco! Ringrazio la mia bestie VaultEmblem per avermi fatto fissare con qualcosa al punto da avermi trascinato fuori dal JoJo Hell E per aver betato questa fic! :”D
Alla prossima! E VORREI GRIDARE DI QUANTO È BELLO L'ANIME DI VA ANCHE SE HO PARLATO GIA' TROPPO MA QUANTO CAZZO È
FIGO?! URLO?! FATEMI VEDERE IL BOSS PRESTO O SCLERO.

P.S: la mia amica Lulie ha scritto una BruAbba su AO3 per chiunque fosse il suo giftee, se capite l’inglese go give her some love e ditele che vi ho mandato io <3
  
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