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Autore: direiellie    03/01/2019    0 recensioni
"È strana la vita quando ci si innamora.
È ancor più strana quando si attende di innamorarsi davvero."
Settembre tra gli angoli di una storia d'amore fuori dall'ordinario.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi svegliai di soprassalto nel buio della stanza. Dalla persiana chiusa s'infilavano sottili striscioline di luce che si accoppiavano sul muro e rimbalzavano sui miei piedi nudi. Stiracchiai braccia e dita per poi rannicchiarmi nuovamente. Da fuori si sentivano le automobili passare e le persone chiacchierare. L'angolo di paesaggio che mostrava la finestra accanto al nostro letto era sempre stato il mio preferito. Notte, giorno, sole o nuvole. Avrei potuto fermarmi a guardarlo cambiare con le stagioni senza mai stancarmi.
Mi scoprii col respiro affannoso e il battito accelerato. Voltandomi su di un fianco compresi l'angoscia appena vissuta. Mi alzai di scatto urtando col braccio destro un libro che cadde giù dal comodino con un tonfo.
La porta della camera si aprì di scatto, e la luce che per prima irruppe all'interno mi violentò gli occhi che stropicciai velocemente con una smorfia.
«Sei sveglia? Ho sentito un rumore...»
«Non... non è niente» mi stropicciai ancora una volta gli occhi con entrambe le mani che per mia sorpresa erano calde - le avevo sempre fredde – e che, poco dopo, furono nella sua presa.
«Hai fatto un brutto sogno?»
«Credo di sì, che ore sono?»
Mi voltai ancora una volta sulle persiane scure chiuse a riccio, le tirava sempre giù prima di andare a dormire. Anche quando, come in questo caso, mi capitava di addormentarmi in pieno pomeriggio.
«Sono appena le sei, raccontami cos'hai sognato»
Si distese al centro del letto con lo sguardo rivolto al soffitto completamente bianco. Non era una domanda, sapeva che avrei voluto sbrodolare tutto il racconto invece di alzarmi. Così, come sempre, lui anticipava i miei bisogni.
Accovacciata al suo fianco passai la mano tra i suoi capelli e lo baciai velocemente prima di tornare a stendermi. Mi affiancai alla sua sagoma stando attenta a non sfiorarlo, non volevo che mi tremasse la voce, non volevo nemmeno interrompermi per essermi persa nella sensazione dei suoi pori accanto ai miei, dei suoi avambracci lisci o le sue mani in carne ed ossa, che mi facevano ancora uno strano effetto. Un qualcosa a cui non ci si abitua mai, che sorprende sempre.
Fissai il soffitto insieme a lui, sospirai piano e cominciai a parlare.
«È durato un'eternità, pesante come una vita intera»
«Comincia dall'inizio»
Chiusi gli occhi per un momento.
«Ero sola, spaventata, angosciata, con un peso enorme sulle spalle. Non c'eri e non ci saresti stato. Lo accettavo e aspettavo, non so bene cosa ma aspettavo. Io mi ricordo, l'ho sentito. Poi... poi sei arrivato, ma non eri proprio tu, eri un fantasma. Non credevo ai miei occhi ma dicevi che eri lì per me, di non piangere, perché eri lì per me. È durato un'eternità...»
Chiusi nuovamente gli occhi per non far scappare, invano, quelle sensazioni che anche se brutte desideravo ancora provare. Non me ne accorsi ma avevo il fiatone e la mano destra nella sua sinistra. Respirai ancora affannosamente senza guardarlo. Lui, al contrario, respirava piano. Con la coda dell'occhio lo vidi voltarsi verso di me.
«Sei la solita» 
Aveva ragione, ero la solita. Ero sempre stata ossessionata dal pensiero della morte, non mi abbandonava mai.
Sciolsi la presa portando la mia mano sinistra in salvo, sotto quella destra. Spesso pensavo alla mia vita senza di lui, ma di rado ci pensavo a lungo, quando lo facevo entravo visibilmente in panico. Quel sogno me l'aveva mostrata nero su bianco, e non me ne sarei liberata tanto facilmente.
«Cosa vuoi per cena?»
Cambiai discorso girandomi sul fianco destro per guardarlo in viso.
«Quello che vuoi tu»
Anche lui si girò verso di me, allungò il braccio per accarezzarmi i capelli senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
«A me sembra mattino» sorrisi.
«Vorrà dire che faremo colazione»
Facemmo colazione. Per cena. Lo guardavo inzuppare il pane appena tostato e imburrato nel tè e pensavo alla fortuna del ritrovarsi in un istante che si vorrebbe durasse in eterno. Oltre al fatto che probabilmente fosse l'unica persona in tutto il mondo ad inzuppare il pane tostato.
«Quanti anni mi daresti se non mi conoscessi?» gli chiesi infilzando le mie uova strapazzate.
Senza guardarlo sapevo che aveva appena abbozzato un sorriso, mi avrebbe presa in giro.
«Uhm, quattordici?» rise.
«Sapevo che avresti fatto il buffone, e poi perché me lo domandi? Rispondi sinceramente» accavallai le gambe prendendomi una ciocca di capelli tra le mani.
«E tu perché parli sempre dell'età? Quattordici, te ne darei quattordici perché sei sciocca come una quattordicenne»
«E tu un idiota» gli lanciai un piccolo pezzo di pane e mi alzai dandogli le spalle.
La quantità di anni che ci divideva mi devastava ogni volta in cui osavo pensarci, ogni volta in cui me lo ricordava leggero, ogni volta in cui faceva una battuta a riguardo. A lui non faceva nessun effetto, anzi, con la maggior parte delle risposte sarcastiche che ricevevo desiderava rendermi immune a quel tassello per non pensare ai momenti in cui mi crogiolavo in dubbi enormi.
Sentii il rumore della sedia strisciare sul pavimento e, in meno di tre secondi, le sue braccia cingermi la vita e la sua testa sprofondare tra la mia spalla e il collo. Fece finta di mordermi mentre cercavo di divincolarmi, arrabbiata.
«Lasciami andare» dissi con tono fermo mettendo il muso, proprio come una quattordicenne «Lasciami andare!»
Non mi avrebbe lasciato andare, non lo faceva mai, a meno che non avessi smesso di tenere il – finto – muso. Ogni volta provavo a resistere più a lungo della precedente, ci riuscivo raramente.
Mi fermai di scatto baciandolo a tradimento in segno di arresa, facendolo cadere nella mia trappola. Sgattaiolai via correndo in direzione del divano del soggiorno, sul quale mi buttai facendo di tutti i cuscini la mia barriera difensiva. Un'ora dopo avevamo gridato e lottato come due bambini, fatto l'amore, discusso su chi dei due avesse una soglia del dolore più bassa, fatto un'altra colazione – a base di soli cereali – ed entrambi stavamo già pensando al prossimo identico round.

   
 
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