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Autore: Pimpi95    07/01/2019    2 recensioni
Dietro un vetro freddo e appannato piccole e soffici palline bianche cadevano silenziose, sotto lo sguardo indifferente e calcolatore di Ai. La neve aveva già cominciato a posarsi.
Erano proprio quei giorni di fredda e compatta neve che la facevano sentire sola. Per quell’atmosfera da bianco Natale, quella solitudine prendeva possesso della sua mente. I bambini sarebbero corsi fuori a formare qualche pupazzo di neve o giocare a palle di neve per tutto il giorno, invece Ai non sentiva quel brivido di felicità. L’assaliva solo tanta tristezza.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NEVE

Dietro un vetro freddo e appannato piccole e soffici palline bianche cadevano silenziose, sotto lo sguardo indifferente e calcolatore di Ai. La neve aveva già cominciato a posarsi.

Erano proprio quei giorni di fredda e compatta neve che la facevano sentire sola. Per quell’atmosfera da bianco Natale, quella solitudine prendeva possesso della sua mente. I bambini sarebbero corsi fuori a formare qualche pupazzo di neve o giocare a palle di neve per tutto il giorno, invece Ai non sentiva quel brivido di felicità. L’assaliva solo tanta tristezza.

Gin per poco l’aveva trovata e, come un assassino crudele sapeva essere, le aveva preparato diversi colpi di pistola pronti per lei. Aveva sofferto, provato un dolore immenso, ma non si era lamentata neanche una volta. Voleva apparire forte, come faceva di solito. Aveva tradito un’organizzazione che per anni l’aveva sfruttata e controllata, perciò, non poteva che aspettarsi una reazione simile da quegli uomini, ma si domandava più volte se davvero se lo fosse meritato.

Si era fatta coraggio, aveva deciso di ribellarsi, di fuggire dopo quello che avevano fatto a sua sorella. Gin stesso non aveva battuto ciglio prima di spararle e l’aveva uccisa, senza aver potuto salutare Akemi per l’ultima volta. Shiho poteva sopportare il dolore di un’arma da fuoco, gli insulti e il disprezzo dei criminali con cui una volta collaborava, ma il tormento che provava ogni volta che pensava ad Akemi o a come fino ad allora lei stessa fosse stata usata come un oggetto fondamentale di un progetto criminale, non riusciva proprio a tollerarlo. Il cuore si frantumava in pezzi ad ogni battito e l’immobilità l’assaliva prepotentemente.

Nonostante il calore che emanava la casa del professor Agasa, Ai sentiva lo stesso freddo di quel giorno. E il freddo mischiato al dolore dei proiettili che entravano nella sua pelle le davano quella sensazione di smarrimento e di orrore, ma la sua mente razionale poteva sostenere ogni colpo che riceveva. Riusciva lo stesso a rimanere lucida e, anche percependo il suo corpo che soffriva, lottava per restare viva. Anche quel giorno nevicava. Anche quel giorno aveva paura. E come ogni giorno stava male nel ricordare di non avere più una famiglia che la amasse e la paura di veder perdere altre persone che le erano vicine e che cominciava ad amare.

Nel giro di poco tempo la vetrata, dalla quale Haibara guardava attraverso, mostrava un paesaggio bianco e immobile, bloccato da una compatta neve che le temperature basse avrebbero tenuto in vita ancora per un po’. In fondo, rifletteva la scienziata, era ancora viva e avrebbe fatto di tutto per realizzare il progetto scientifico che aveva in mente prima della sua dipartita. Voleva lasciare una traccia vivida della sua esistenza prima di lasciare per sempre quel mondo che sapeva essere naturalmente bellissimo, ma allo stesso tempo crudele. Avrebbe lottato fino alla fine, lo doveva a Shinichi che più di una volta le aveva salvato la vita e lo doveva a se stessa perché in fondo, ma molto in fondo si meritava una seconda possibilità. Si meritava un po’ di felicità, ma soprattutto aveva ancora molto da dimostrare al mondo; quanto in effetti fosse brillante e piena di risorse. Forse tali, addirittura, da poter cambiare il mondo.

Il camice bianco che indossava apparteneva a lei, solo con esso si sentiva davvero se stessa. Era perfetto per quel tempo bianco e immutabile, quasi come una foto, che vi era all’esterno.

Gettò una rapida occhiata alla casa di Shinichi, ma non le interessava l’architettura o il biancore che si era depositato su di essa, bensì chi ci abitava in quel momento. Conosceva la persona che si celava dietro quella maschera.

Sapeva che Subaru era solo una delle false identità di quell’uomo. Non era a conoscenza della vera identità che segretamente le nascondeva, ma avrebbe potuto giurare che avesse a che fare con l’FBI. D’altronde lo stesso Conan le stava mentendo su qualcosa che aveva a che fare con i federali.

Era naturale che Subaru avesse del risentimento nei suoi confronti, altrimenti non le avrebbe mentito, oppure, la ragione era un’altra: non voleva rivelarle la sua identità perché le stava nascondendo una qualche verità, di proposito e aveva paura della reazione che lei avrebbe potuto avere in seguito. O più semplicemente, stava cercando un’occasione per farle del male.

Nessuno protegge qualcun altro senza volere qualcosa in cambio, soprattutto se era stato un membro degli uomini in nero che li aveva traditi e che probabilmente ora li dava la caccia. Forse lei era una delle sue prede.

Forse era stata una richiesta fatta da Akemi, ma lei sarebbe stata davvero così egoista da chiedere al suo ex fidanzato, Moroboshi, di proteggere la sua sorellina, a tempo pieno, costringendo il ragazzo a non vivere più?

No, la ragione era di sicuro legata a…

Interruppe quel pensiero.

Detestava ammetterlo, ma la sua presenza era nello stesso tempo opprimente e terrificante, ma soprattutto confortante.

Quel muro di Berlino che si frapponeva tra loro due non poteva essere distrutto con facilità e probabilmente lei stessa non avrebbe avuto il coraggio di abbatterlo.

Con la stessa freddezza di quando si era affacciata alla finestra, si allontanò da questa e si accomodò sul divano con in braccio il suo portatile. Avrebbe continuato a lavorare sui suoi progetti scientifici.

La scienza era l’unica cosa che, forse, la salvava da tutto; l’unica che con certezza conosceva davvero. Ma la scienza non è perfetta, proprio come gli uomini che si affannano a cercare la verità del mondo e del proprio Sé, senza mai trovarla.

Quell’imperfezione la faceva sentire meno sola.
   
 
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