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Autore: Caterina_98    08/01/2019    1 recensioni
Forse è iniziato tutto la notte della vigilia di Natale del 1916, per colpa di una tazza di cioccolata calda.
O Forse è iniziato prima, quando Louis è salpato dalla Francia con una benda attorno alla testa.
O magari è iniziato molto tempo dopo, in uno squallido Motel di periferia.
Oppure chissà, era già scritto nelle stelle.
Potrebbe anche non essere mai accaduto, sta a voi decidere se crederci o meno.
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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23 dicembre 1915 Londra

Ci sono due categorie di persone a cui può piacere la guerra: I matti, e quelli che non l’hanno vissuta.

Louis la guerra la odiava con tutto il cuore

Forse perché l’aveva vista attraverso i suoi occhi azzurro cielo, l’aveva sentita in ogni battito del suo cuore, l’aveva toccata con la sua pelle sporca da soldato.

E non c’era poesia nella guerra, non c’era pietà, non c’era umanità.

La odiava anche perché, se adesso aveva un buco in testa era colpa della sua divisa verde e un po’ consunta.

Certo, una parte di lui doveva ringraziarla quella granata nemica che per poco non lo aveva lasciato esangue sul selciato, perché ora stava tornando a casa, nel Cheshire, nella sua amata Disley e anche se faceva un freddo cane, era meglio quello che il rumore dei colpi di cannone.

Non era solo, accanto a lui camminavano due uomini, gli stessi due con i quali la sera prima aveva condiviso una sigaretta sulla balaustra della nave che li aveva riportati in patria, gli stessi due che poche settimane prima gli erano accanto in battaglia, i due che si erano adagiati al suo fianco quando quella maledetta granata era esplosa, i due soli che si erano rialzati.

Camminavano lasciando dietro di se le impronte degli scarponi nella terra umida, stavano per lo più in silenzio.

Era cambiata così tanto Londra dall’ultima volta che l’aveva vista, quella città elegante e piena di colori, di voci, di vita, ora appariva silenziosa e impaurita.

Passarono davanti una piccola locanda, aveva un insegna in legno ovale sopra lo stipite della porta

“Entriamo a mangiare qualcosa di caldo?” chiese uno degli uomini.

Louis spinse la pesante porta d’ingresso che ruotò sui cardini rivelando un piacevole calore da cui si fecero avvolgere una volta entrati.

I due uomini occuparono uno dei pochi tavoli rimasti liberi mentre Louis si avvicinava al bancone.

“Buonasera signore” seguì con lo sguardo la direzione da cui proveniva la voce e rimase qualche secondo a guardare il ragazzo, poco più giovane di lui che gli veniva incontro con uno strofinaccio tra le mani.

“Buonasera”

“Da dove venite?” chiese guardando la sua divisa e la fasciatura bianca che gli circondava la testa

“Dalla Francia, siamo stati mandati in congedo”

Il soldato infilò una mano nella profonda tasca del cappotto e ne estrasse delle monete, le uniche che era riuscito a recuperare prima della partenza “Cosa ci può portare?”

il giovane le guardò, ne prese qualcuna tra le mani e lasciò il resto al soldato difronte a se “Vi preparo la cena”

Louis sorrise, era da tanto che non vedeva qualcosa di bello.

La cena fu servita in scodelle di ceramica e il vino versato in lucidi boccali, fu consumata in fretta, perché la guerra li aveva obbligati a resistere ai morsi della fame troppo a lungo.

Quando ormai le loro mani e i loro piedi grazie al calore del locale avevano ripreso la sensibilità, il ragazzo che aveva servito loro la cena si sedette al tavolo, nel posto lasciato libero difronte a Louis

“Ormai si sta facendo buio, volete restare qui per la notte?”

“Non abbiamo abbastanza denaro”

“Non importa, sta scendendo la sera potrebbe essere pericoloso”

“Ragazzino” ringhiò lo stesso uomo che aveva parlato prima “Abbiamo fatto la guerra, credi potremmo avere paura di questo?”

Il ragazzo dischiuse le labbra

guardò l’uomo e notò che la manica sinistra della giacca era innaturalmente sottile, impiegò poco a capire che la guerra gli aveva portato via un braccio.

“Roger sta zitto” intervenne Louis “è gentile da parte tua ma non possiamo permettercelo”

“Prendetelo come un favore, per quello che avete fatto, mia mamma è la proprietaria di questo posto, vi ospiterà volentieri.”

Le camere erano piccole ma accoglienti, molto più di quello che i soldati speravano, poterono permettersi anche di lavarsi come si deve, avevano perso il conto dei giorni dall’ultima volta in cui lo avevano fatto.

Louis non ricordava quanto potessero essere comodi un letto vero e una coperta morbida, ma la ferita alla testa continuava a pulsare e l’idea di star calpestando nuovamente il suolo inglese dopo più di due anni gli impediva di addormentarsi.

Scivolò fuori dal letto e percorse all’inverso le scale che lo avevano condotto alle camere, seduto sull’ultimo scalino c’era il giovane figlio della proprietaria.

“Ehi” lo salutò con un sussurro sedendoglisi accanto

Sollevò lo sguardo e per qualche attimo di secondo, nel tenue bagliore creato dall’unica lanterna accesa nella stanza, il verde brillante dei suoi occhi si rifletté in quelli cristallini del soldato, gli stessi che avevano visto orrori ma che conservavano ancora la scintilla di vita di un giovane uomo.

“Come ti chiami?”

“Louis”

“Louis? In francese?”

“oui oui”

il soldato rise, piano, per non fare troppo rumore mentre agli angoli degli occhi si formavano piccole rughe

“Sai parlare francese?” chiese stupito il giovane

“No, per niente, nonostante ci abbia trascorso gli ultimi due anni, la lingua non è mai stato il principale dei problemi. Tu, come ti chiami?”

“Harry”

“Harry” ripeté scandendo le lettere e riempiendosi le labbra “giovane dolce Harry, cosa ti porta su queste scale a quest’ora della notte?”

passò qualche secondo, in cui l’unico rumore percepibile era lo scricchiolio di un asse del pavimento al piano superiore.

“Com’è la guerra?”

“Perché me lo chiedi?”

Louis capì dal suo silenzio

“No Harry, no. Tu sei qui, hai un lavoro, puoi aiutare tua mamma, puoi continuare a vivere la tua vita a Londra”

“Tu ci sei andato”

il soldato si rabbuiò e abbassò gli occhi sui suoi piedi scalzi

“Louis scusa, non è quello che intendevo”

Un respiro profondo

“Mia mamma era morta di polmonite da poche settimane, io avevo finito la scuola e avevo iniziato ad aiutare mio padre nella sua edicola, passavo lì la maggior parte delle mie giornate, una mattina mentre riordinavo i giornali mi chiese se mi sarebbe piaciuto entrare nell’esercito.

Mi disse che la situazione era sempre più tesa e l’Inghilterra si stava preparando per qualcosa di grande, disse che essere un soldato dell’esercito britannico avrebbe reso la nazione fiera di me, entrammo in guerra quattordici giorni dopo.

Sono passati due anni e mezzo dal quel momento e non c’è stato giorno in cui non abbia desiderato tornare a casa.”

Non aveva alzato gli occhi dal pavimento mentre parlava, ma percepì il calore della mano di Harry posarsi sulla sua spalla destra come gesto di conforto.

“Perché vorresti andare in guerra Harry?”

“Credo per lo stesso motivo per cui tuo padre lo ha proposto a te, rendere qualcuno fiero di ciò che faccio”

“Impugnare un fucile non è motivo di cui essere fieri”

Non tolse la mano dalla sua spalla e lui non gli chiese di farlo

“Come ti sei fatto quella?” indicò con tono timoroso alla testa di Louis, come se il solo parlarne potesse ferirlo.

“Una granata, un pomeriggio di poche settimane fa.

Eravamo stanchi, ci siamo fermati dietro il muro di una chiesa ormai in rovina

ne ho viste esplodere migliaia in questi anni, il rumore copre qualsiasi altro suono e per qualche secondo, dopo, puoi sentire il sangue scorrerti nelle vene.

Questa era troppo vicina

le schegge hanno ucciso la maggior parte degli uomini che erano con me, Roger ha perso un braccio a causa del crollo di una parte del muro, Dan” fece un gesto con la mano, indicando il piano superiore “Ha diverse ferite alla schiena, ma siamo stati molto fortunati”

Harry rimase in silenzio, non c’erano parole che potessero spiegare come si sentisse in quel momento.

Si sentì il suono di una campana in lontananza, Harry si sporse oltre il muro e guardò l’orologio appeso sulla parete dietro il bancone della locanda

“Domani è Natale”

“È il 24?” Al soldato si illuminarono gli occhi

“Si, è mezzanotte”

“È il mio compleanno”

Harry si lasciò andare ad un verso di stupore mentre sul suo viso si apriva un sorriso tutto denti bianchi e fossette, saltò al collo di Louis, stringendo le lunghe braccia attorno al suo busto e infilando il viso nella piega del suo collo che profumava appena di sapone.

“Buon compleanno Lou”

il soldato lo strinse in risposta mentre rideva

“Vieni con me” Harry lo tirò per un braccio e lo condusse sul retro della locanda, dove c’erano un paio di fornelli per la cottura dei cibi e un grande armadio adibito a dispensa.

Afferrò un piccolo pentolino e dopo averlo riempito di latte lo mise a scaldare sul fuoco, prese una tavoletta di cioccolato e rompendola con le mani in piccoli pezzi la fece cadere al suo interno

La mescolò per diversi minuti, poi aggiunse un paio di cucchiai di zucchero.

Louis lo guardava, posato contro lo stipite della porta, mentre nell’aria si spandeva il profumo dolciastro del cioccolato.

“Ricordi, due anni fa, quando alla vigilia di Natale ci fu quella tregua tra noi e i tedeschi?”

Harry annuì in segno di approvazione “I giornali ne parlarono per giorni”

“Era la notte del mio compleanno, il primo compleanno trascorso lontano da casa e il primo in cui non ricevetti gli auguri di mia madre,

faceva tremendamente freddo, pioveva da ore e noi eravamo ricoperti di fango,

stavo cercando di dormire, quando il canto natalizio dei tedeschi mi giunse alle orecchie,

pensai di averlo immaginato ma lo stupore sul viso dei miei compagni mi disse il contrario, ci unimmo a loro e in pochi secondi diventammo un coro di uomini diversi che cantavano in lingue diverse, dimenticando di essere nemici e tornando ad essere umani.

Quella notte conobbi un soldato tedesco, aveva la mia età, quando gli dissi che era il giorno del mio compleanno andò a cercare una fiaschetta di grappa e me la offrì, immaginai fosse il suo regalo di Natale, eppure me la porse senza esitazioni, è il più bel ricordo che ho degli ultimi due anni”

Harry lo guardò senza dire nulla, gli occhi lucidi.

Due grosse tazze furono riempite fino all’orlo di cioccolata calda

Louis quasi si emozionò difronte a quel piccolo gesto

“Non hai nemmeno idea di quanto sia passato dall’ultima volta che ho bevuto della cioccolata”

“In città corrono voci che questo sia il posto migliore di tutta Londra per farlo”

Louis affondò il cucchiaio nella tazza e lo infilò in bocca

“Confermo” rise

Si presero il tempo necessario per godersi quella cioccolata, lasciarono che i loro sguardi si rincorressero e si incontrassero, giustificarono i loro sorrisi con il dolce sapore che avevano sulla lingua e il rossore delle loro guance con la bevanda troppo calda.

 

“Harry ti ringrazio davvero per quello che hai fatto per noi oggi, te ne sarò grato per sempre”

fu solo un sussurro, mentre involontariamente la mano destra del soldato coprì quella sinistra del giovane, posata sul tavolo in mezzo a loro.

“Louis”

“Harry”

“Non voglio dimenticarmi di te”

Il soldato si sollevò dalla panca e si sporse verso l’altro lato del tavolo.

Tutto quello che fu in grado di percepire per i secondi successivi furono le labbra morbide di Harry al gusto di cioccolata che si muovevano contro le sue.

Chiuse fuori dalla sua mente tutto il resto del mondo, dimenticò di avere un corpo, si lasciò andare ad uno dei momenti più puri di tutta la sua vita.

Durò troppo poco

“Scusa” disse in fretta ritornando al suo posto e pulendo con il cucchiaio ciò che era rimasto nella sua tazza

Fu Harry a posare la sua mano grande su quella del soldato

“Buon compleanno Lou” sussurrò baciandogli la tempia per poi alzarsi e riportare in cucina le due tazze.
 

24 dicembre 1915 Londra

 

Quando la luce del mattino filtrò tra le tende, Louis si lasciò cullare nel calore insolito del suo giaciglio, nessun grido attorno a lui, nessun colpo, nessun lamento, solo silenzio.

Pensò di essere in un sogno

Poi sentì dei colpi leggeri che lo fecero svegliare, e ricordò.

“Louis”

“Si?”

“Dobbiamo ripartire, ci metteremo due ore per raggiungere la stazione più vicina”

Sbuffò in risposta, ma scese dal letto e si preparò per rimettersi in marcia, se i suoi piani si rivelavano giusti estro sera sarebbe stato a casa.

Prese dalla tasca una vecchia busta ingiallita dal tempo e ci scarabocchiò sul retro il suo indirizzo

“Martlet Avenue, Disley

scrivimi

Louis.”

Sperò raggiungesse il suo destinatario.

Non si sarebbe dimenticato di Harry, lo aveva giurato a se stesso la notte prima.

Al piano inferiore trovò i suoi compagni seduti allo stesso tavolo della sera precedente intenti a sgranocchiare qualcosa, osservò Harry dietro il bancone mentre sistemava i boccali in una pila ordinata, ma fermò immediatamente il suo lavoro quando vide Louis e con un gesto della mano lo chiamò in cucina.

Gli mise tra le mani un pezzo di pane

“Harry”

“Stai attento lungo la strada”

andò ad aprire la dispensa e ne tirò fuori una tavoletta di cioccolato identica a quella che aveva utilizzato quella notte, ne staccò un pezzo e lo offrì a Louis.

“Harry”

“Siete sicuri di non voler aspettare il pranzo qui? Potrei preparavi qualcosa da mangiare e poi partite nel pomeriggio”

“Harry”

“Dimmi Louis?” per la prima volta quella mattina lo guardò negli occhi

“Sono onorato di averti conosciuto” glielo sussurrò sulle labbra, mentre indietreggiava fino ad appoggiarsi alla porta d’ingresso, una mano sul fianco del minore, l’altra affondata nei suoi capelli ricci, mentre le loro labbra si scontravano e si accarezzavano e le loro lingue esploravano quel territorio che ancora non conoscevano ma che li aveva attirati.

“Giuramelo Louis, giurami che anche se non ci rivedremo mai più non mi dimenticherai”

“Non potrei mai dimenticarti Harry, resterei qui se potessi”

Ancora un bacio, a fior di labbra

Grazie di esserci stato questa notte

Scusa se non ci sarò domani.

 

Ringraziarono la signora Styles, la proprietaria di quella graziosa osteria, poi, uno ad uno lasciarono il locale, diretti alla stazione ferroviaria di Liverpool Street, la più grande di Londra.

Non disse niente, Louis, prima di uscire dalla porta, guardò Harry negli occhi, sperando di riuscire a trasmettergli tutto ciò che pensava, poi spinse la pesante porta in legno e si lasciò avvolgere dal freddo Londinese della vigilia di Natale.

Quando i tre soldati arrivarono in stazione, avevano il viso arrossato per il freddo e le mani completamente insensibili, ma il sollievo che provarono in quel momento non fu paragonabile a nulla.

Roger prese un treno diretto a Cambridge che distava solo un paio d’ore di viaggio, i tre uomini si salutarono con un sorriso e una pacca sulla spalla, promettendosi di scriversi in futuro, cosa che nessuno dei tre avrebbe fatto, non perché non fossero sinceri tra loro, ma perché impugnare una penna e scrivere per loro avrebbe significato riesumare i ricordi che tanto assiduamente avrebbero cercato di cancellare.

Dan e Louis salirono sullo stesso treno, il primo diretto nella periferia di Leeds e il secondo a Disley, nel Cheshire. Avrebbero impiegato circa quattro ore di viaggio e per la notte di Natale sarebbero stati a casa.

“Conoscevi già i proprietari di quella locanda?”

“No, perché lo pensi?”
“Sembravi amico del figlio della signora Styles quando l’hai salutato questa mattina”

“No...noi, ieri notte abbiamo avuto una piccola chiacchierata”

“Oh, una chiacchierata, che tipo è?”

“Perché ti interessa saperlo?”

“Volevo solo fare conversazione” rise il soldato facendo imbarazzare Louis

“Scusa, sono un po’ agitato. È un tipo okay, è stato molto gentile con noi, credo possa essere un buon amico”

“Sicuramente” acconsentì “spero tu possa rivederlo in futuro”

Se Dan sapeva qualcosa di quello che era successo tra Harry e Louis, non lo disse, e il soldato seduto difronte a lui, non lo chiese.

Per il restante tempo parlarono della guerra, dell’Inghilterra, di cosa avrebbero trovato di diverso una volta arrivati a casa e cosa invece sarebbe stato nello stesso identico modo in cui lo avevano lasciato due anni e mezzo prima, sapevano solo che loro erano cambiati e non sarebbero stati mai più gli stessi.

Louis scese dal treno per primo, a Middlewood, strinse il compagno in un veloce abbraccio e gli augurò il meglio, poi si incamminò lungo la strada che tante volte prima di quella sera aveva percorso e si concesse di pensare.

Pensò a com’era partito, giovane, spensierato e un po’ superficiale.

Pensò a come tornava, ferito, adulto e stanco.

Pensò a quanti colpi aveva sparato il suo fucile e quante persone aveva ucciso.

Pensò a quante volte era stato a tanto così da finire vittima di un fucile nemico.

Si concesse anche qualche lacrima, lungo il cammino, le lasciò scorrere sul viso, desiderando che oltre la polvere pulissero il senso di colpa dell’anima.

Iniziò ad avere un sentore di problema quando sull’uscio di casa, dopo oltre due anni che non vi rimetteva piede, pensò ad Harry e al fatto che una parte del suo cuore desiderava essere da lui adesso.

Harry, che aveva trovato il suo regalo di Natale posato sulle coperte tra cui aveva dormito il soldato quella notte, e che ora conservava gelosamente nel cassetto della sua scrivania, insieme alla carta azzurra e spiegazzata che fino a qualche ora prima conteneva una tavoletta di cioccolato.

Casa sua non era cambiata molto rispetto come la ricordava: L’appendiabiti all’ingresso, il quadretto con la foto di sua mamma sul mobile del salotto, lo scrittoio in legno scuro con alcune buste sparpagliate sopra, il giornale piegato e posato sulla poltrona che utilizzava suo padre.

Ma nello stesso tempo era cambiato tutto: Non aveva mai visto il cappotto nero appeso accanto alla porta, la foto di mamma aveva un sottile strato di polvere sopra, le lettere che c’erano sullo scrittoio il giorno della partenza erano state spedite e sostituite da altre e poi altre ancora e così tutti i giornali che suo padre aveva venduto in quegli anni.

Il mondo era andato avanti

e lui aveva scandito il tempo in pallottole.

 

8 Gennaio 1916 Disley

 

Louis aveva ritrovato la sua quotidianità, che un tempo gli era sembrata così banale e solo ora aveva imparato ad apprezzare.

Aveva ricominciato a fare tre pasti al giorno, a lavorare nell’edicola del padre che aveva moltiplicato il numero di quotidiani distribuiti ogni giorno e si era riabituato a svegliarsi nel suo letto, anche se a volte dormire risultava ancora difficile.

l’unica novità della sua vita era Harry.

In realtà non era esattamente nella sua vita, però si ritrovava troppo spesso a pensare a lui, al suo sorriso, alla sensazione che gli avevano dato le sue labbra quando le aveva intrappolate tra le proprie.

Sapeva che tutto quello era contro ogni logica, eppure gli sembrava così giusto.

Louis non aveva mai creduto nell’amore a prima vista, pensava servissero mesi per conoscersi, per capirsi, per innamorarsi, negli ultimi anni però aveva imparato che non sempre c’è a disposizione tutto questo tempo, e a volte è meglio buttarsi a capofitto nelle cose, prima che queste ci scemino davanti agli occhi, senza che possiamo fare qualcosa per tenerle ancora un po’ con noi.

Era questo che aveva pensato nel momento in cui si era piegato sulle labbra di Harry la prima volta.

E quel pomeriggio, quando nella cassetta delle lettere aveva trovato una busta color panna firmata a nome suo, capì che nella vita non aveva mai preso una decisione migliore.

 

Caro Louis,

ho trovato subito il tuo indirizzo, ma ho passato interi giorni pensando a cosa avrei potuto scriverti.

Avrei volto restassi qui ancora per un po’, per conoscerti, per capirti, per ascoltarti.

Era da tanto che non conoscevo qualcuno come te, così spontaneo, genuino e innamorato della vita, ma allo stesso tempo così profondo e ragionevole.

Non so nulla di te, ma ti avrei aspettato seduto sull’ultimo scalino fino a quando non saresti sceso a chiacchierare con me come in quella notte,

e se non lo avessi fatto, forse sarei salito io.

Come è stato il ritorno a casa? La tua ferita sta guarendo? Sono preoccupato per te.

So di essere solo un ragazzino londinese, con i capelli ricci e la testa sulle nuvole, e potrei aver confuso per affetto quella che era semplice cordialità, ma sono felice di averti incontrato.

Harry.

 

A Louis venne spontaneo ridere, perché in nessun mondo infilare la lingua nella bocca di qualcuno era sinonimo di cordialità, ma pensò che l’innocenza di Harry fosse tra le cose più carine che avesse mai visto.

Si posizionò allo scrittoio ed estrasse da uno dei cassetti una busta blu polvere, bagnò la punta della penna nel calamaio e lasciò che la sua mano tracciasse sul foglio candido i pensieri che per giorni gli erano frullati per la testa.

 

Harry,

mi ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera,

io sto bene, casa mi era mancata molto e da qui riesco a prendermi cura della mia ferita, è migliorata, con il tempo tornerà tutto come prima.

Vorrei tornare indietro nel tempo, alla notte del mio compleanno, e raccontarti altre cose di me, per creare altri ricordi e imparare a conoscerti.

Ho incontrato molti uomini negli ultimi anni della mia vita, qualcuno mi ha teso una mano per aiutarmi ad alzarmi, altri mi hanno puntato addosso un fucile, ma mai nessuno mi aveva fatto sentire nel mondo in cui hai fatto tu, è come se mi fossi risvegliato da un coma lungo due anni, e al mio ritorno nel mondo avessi trovato te con un sorriso e una tazza di cioccolata calda.

So che tutto questo può sembrare ridicolo, ma ti ringrazio di avermi scritto.

Spero di risentirti presto.

Louis.

P.S. Nessuna cordialità, per quella sono abituato ad una stretta di mano.

 

 

17 Gennaio 1916 Londra

 

Harry aveva la straordinaria capacità di non apparire mai malinconico, non importava se stesse spazzando il pavimento o lucidando i bicchieri, sul suo viso c’era sempre un accenno di sorriso.

Aveva sempre una parola gentile per tutti, un innata pazienza anche nelle situazioni più stressanti, una bontà profonda.

Ti faceva innamorare con un solo sguardo o con un ‘Buongiorno’ mormorato per educazione.

Quando era felice però il suo sorriso raggiungeva gli occhi e li illuminava di una luce calda, come se fosse incapace di contenere dentro di se la felicità e dovesse in qualche modo buttarla fuori.

Quel giorno a malapena riusciva a trattenersi dal canticchiare davanti a tutti, mentre si muoveva leggero tra volti noti e volti sconosciuti nella locanda.

“Amore che ti è preso questa mattina?” chiese una voce femminile alle sue spalle

“Di che parli mamma, sono solo felice”

“Mi stai nascondendo qualcosa?”

il riccio portò una mano alla tasca del grembiule che aveva legato in vita e sfiorò con i polpastrelli delle dita l’angolo arrotondato di una busta.

l’aveva trovata quella mattina difronte alla porta d’ingresso e il suo cuore aveva accelerato improvvisamente quando aveva letto il mittente

“No mamma, non preoccuparti”.

Moriva dalla voglia di sapere cosa gli avesse scritto Louis, ma non poteva rischiare di farsi scoprire da sua madre, avrebbe fatto troppe domande, così aspettò pazientemente di servire tutte le colazioni prima di salire al piano superiore per riordinare le camere.

Scelse la stanza che poche settimane prima era stata occupata dal soldato e si chiuse la porta alle spalle prima di estrarre la busta azzurra dal grembiule.

 

“Mai nessuno mi aveva fatto sentire nel mondo in cui hai fatto tu”

“Spero di risentirti presto”

“Louis”

 

La rilesse ancora e ancora fino quasi ad impararla, poi fu costretto a riprendere il suo lavoro, anche se la sua mente continuava a tornare sull’unico argomento a cui aveva pensato per tutta la mattina e i giorni precedenti: Louis.

Cosa provava per Louis?

Attrazione? Sicuramente si, raramente aveva visto un ragazzo di tale bellezza.

Simpatia? Senza dubbio, si era dimostrato gentile ed dolce.

Affetto? Anche, dopo pochi minuti dal loro incontro notturno aveva sentito di avere un legame con quel ragazzo.

Amore? No.

L’amore è un’ altra cosa.

L’amore è quando non puoi farne a meno.

Quando ‘vicino’ non basta.

 

Aspettò che calasse la sera prima di rintanarsi nella sua camera per scrivere una risposta al soldato.

 

Caro Louis,

sono felice tu stia meglio, tienimi aggiornato sulle condizioni della tua ferita.

Qui è sempre la solita vita monotona e ripetitiva, non fraintendermi, sono affezionato a questa locanda e a Londra, sono nato e cresciuto qui e amo questi luoghi, ma a volte vorrei abbandonare le mie consuetudini e cambiare vita.

Vedere altri posti, conoscere altre persone, magari imparare altre lingue.

Mi sono reso conto di non averti chiesto nemmeno quanti anni hai compiuto, sarò sembrato un vero idiota.

Parlami di te, vorrei conoscerti meglio, anche se siamo lontani.

Com’è la tua città? Cosa fai nella vita? Quali sono le cose che ti piacciono di più?

Sono curioso di sapere chi sei oltre la guerra.

Attendo una tua risposta.

Harry.

 

Estrasse dal fondo del cassetto l’ultima busta panna della confezione e vi infilò il pezzo di carta ripiegato, poi con la lingua tracciò il contorno angolato della linguetta per poi farla aderire alla busta, infine scelse un francobollo da un piccolo vaso in legno e passando nuovamente la punta ruvida della lingua sul rettangolino di carta, lo applicò sull’angolo in alto a sinistra.

 

Imbucò la lettera il pomeriggio successivo, poi si fermò nella piccola cartoleria all’angolo con Eldon Road, quando entrò la porta strisciò sul pavimento producendo un fruscio

“Buongiorno giovane Harry”

“Buongiorno Mr. Baker, come sta?”

“Bene mio caro, cosa ti porta qui?”

“Mi servirebbero delle nuove buste per lettere” mai come in quei giorni poteva permettersi di rimanere a corto di buste.

“Le solite color panna?”

Chiese il cartolaio, mentre già si abbassava per aprire un grande cassetto dietro il bancone. Harry ci pensò solo qualche secondo:

“Mi chiedevo se, ecco, ne ha alcune verdi”

Quando quella mattina aveva visto la busta azzurrina di Louis, la prima cosa che gli era venuta in mente erano stati gli occhi azzurri del ragazzo, pensò che una busta del colore dei suoi occhi avrebbe prodotto lo stesso effetto che aveva fatto a lui.

Il signor Baker fece una risatina prima di afferrare un piccolo plico di buste dalla tenue sfumatura verdastra

“Queste ti piacciono?”

“Sono perfette”

Harry pagò ed uscì dal negozio con le buste ben strette tra le dita e i profumo di carta e inchiostro sulla pelle.

 

 

26 Gennaio 1916 Londra

 

9 giorni, 216 ore, 12960 minuti trascorsi in attesa, prima che la risposta di Louis si facesse trovare incartata nella solita busta blu polvere nella cassetta delle lettere.

La scartò frettolosamente, poggiato contro il muro in mattoni rossi, troppo emozionato per aspettare ancora.

 

Harry,

la ferita è decisamente migliorata, la prossima volta che ci incontreremo potrai vedermi senza orrende bende a coprirmi la faccia.

Sei molto fortunato a vivere in una città come Londra, grande, colorata, eccentrica, non mi stancherei mai di camminare per le sue strade, Disley mi sembra sempre la stessa, come

se durante gli anni non fosse mai cambiata, come se fossi cresciuto in una città di plastica.

Non so cosa possa raccontarti di me, ci sono volte in cui mi sembra di non essere niente al di fuori della guerra, o meglio, di non essere più in grado di essere qualcosa dopo di essa.

La cosa certa è che ha segnato una linea, temporale e fisica, esiste il Louis prima della guerra e il Louis dopo la guerra.

E il ‘dopo’ non è ancora ben delineato nella mia mente.

Ciò che questa guerra mi ha insegnato è l’umanità, privandomene totalmente, mi ha mostrato l’importanza dei legami tra le persone, impedendomeli, mi ha rivelato la fragilità dell’uomo, rendendola il più grande difetto.

Ho compiuto 21 anni quando ci siamo incontrati, come hai capito vivo a Disley da quando sono nato, raramente ho lasciato questa città, a parte la parentesi della Francia.

Lavoro nell’edicola di mio padre, nel tempo libero gioco a calcio, ho sempre pensato di cavamela con il pallone, anche se mio padre non ha mai approvato la mia passione.

Ci sono tante cose che mi piacciono: i biscotti al burro, il te caldo, la pioggia inglese, le poesie, bere birra dalla bottiglia, i baci al sapore di cioccolato.

Ci sono anche molte cose che odio, come il rumore dei cannoni, non riuscire a dormire di sera, il latte dentro il te caldo.

Da bambino mi piaceva quando pioveva per giorni e il giardino di casa si allagava, ed io potevo uscire a giocare nelle pozzanghere.

Un giorno mi piacerebbe sedermi in una caffetteria londinese a sorseggiare una cioccolata calda.

Mi piace scriverti e non mi piace non sapere ancora nulla di te.

A presto.

Louis.

 

Harry rimase attonito a guardare la lettera tra le sue mani, consapevole del fatto che non era molto, ma da quel momento aveva con se un frammento in più di Louis.

Completamente inconscio del fatto che l’ex soldato la notte il cui aveva scritto quella lettera si era dovuto trattenere dall’aggiungere il suo nome alla lista delle cose che gli piacevano.

Si era risvegliato dal suo stato di trance solo quando sua madre era uscita dalla locanda per controllare che il figlio stesse bene e per poco non lo scopriva in flagrante con gli occhi incollati al foglio di carta mentre osservava le ‘n’ spigolose e le ‘f’ allungate della grafia del maggiore.

Come la volta precedente aspettò la sera prima di sedersi alla scrivania in legno della sua camera per scrivere una risposta.

 

Caro Louis,

sono felice di aver scoperto qualcosa d’altro su di te, sono certo che con il tempo potrai trovare nuovamente la tua identità e costruire il ‘Louis dopo’ senza mai dimenticare ciò che sei stato ‘prima’ e ‘durante’.

Riguardo me, ho 17 anni, ma tra pochi giorni ne compierò 18, sono nato l’1 di febbraio ed ora che ho scoperto la tua età mi sento così piccolo in confronto.

Vivo a Londra da sempre e nella vita non ho mai fatto altro oltre ad alternare gli studi al lavoro nella locanda di mia madre.

L’ultima volta che ho visto mio padre ero troppo piccolo per potermene ricordare, ma Anne ha fatto per entrambi, dandomi tutto l’amore di cui avevo bisogno.

Il lavoro alla locanda mi piace, ma avrei preferito un locale più raffinato, dove ti saresti potuto sedere a sorseggiare la cioccolata che tanto ami e leggere un buon libro.

Piace molto anche a me, la cioccolata e leggere libri, mi piace anche cucinare, ma forse questo lo hai già capito, non sono molto pratico di sport invece, equilibrio e coordinazione non sono i miei principali talenti.

Mi piace passeggiare per Londra, mi piacciono la neve, i cappotti lunghi e le scarpe a stivaletto, anche se non frequento ambienti di lusso.

Mi piace parlarti, anche se mi piacerebbe poterlo fare uno accanto all’altro e non per lettera, però mi piace anche aspettare una tua risposta.

A presto.

Harry.

 

5 Febbraio 1916 Disley

 

La prima cosa a cui pensò Louis quando vide la busta verde nella cassetta delle lettere fu che fosse successo qualcosa, la seconda furono gli occhi di Harry che da giorni invadevano i suoi pensieri, fu felice di scoprire che quella lettera proveniva dal ricciolino e si intenerì a vedere, posate sullo scrittoio, le tonalità tenui del suo blu polvere e del verde a confronto, come a sostituire l’assenza del mittente stesso.

La lesse tutta d’un fiato e rise di se stesso quando si rese conto di essere stato così preso da quel pezzo di carta da essere rimasto imbambolato nel centro del soggiorno.

L’idea, però, gli venne mentre si dirigeva in camera sua

era folle

completamente folle

ma più il pensiero prendeva forma nella sua testa, più gli sembrava giusto.

Fece dietro front e tornato allo scrittoio prese il primo pezzo di carta che gli capitò sotto mano

 

Ho voglia di vederti, appena mio padre me lo permetterà verrò a Londra, trova un posto dove possiamo stare un po’ soli e non dire niente a nessuno.

Louis.

p.s. Anche se è già passato, buon compleanno Harry!

 

La busta blu polvere nella quale fu chiuso il messaggio contenente la più grande follia che aveva mai caratterizzato la vita di Harry Styles fino a quel punto, venne recapitata a Stanford road, a Londra domenica 13 febbraio 1916.

 

   
 
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