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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    09/01/2019    3 recensioni
[AllRufy platonico]
Rufy è rimasto ferito in un attacco della Marina e i Mugiwara possono finalmente stargli vicino in un momento difficile e lenire il dolore che ancora provano per non essere stati con lui dopo la morte di Ace.
Perchè è questo che fa una famiglia.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AUTORE: SHUN DI ANDROMEDA

TITOLO: He ain’t heavy

FANDOM: One Piece

GENERE: Sentimentale, Hurt/Comfort, Famiglia

PERSONAGGI: Ciurma di Cappello di Paglia

PAIRING: AllRufy platonico

RATING: Giallo

HE AIN’T HEAVY 

PROLOGO 

Nami tirava Rufy per il braccio attraverso le strette viuzze semibuie, al tramonto di quella calda giornata estiva, afosa e umida, di quell’umido che attacca i vestiti alla pelle e lascia esausti e frustrati.

Lo guidava col passo svelto dei gatti e l’attenzione quasi maniacale che ella riservava normalmente alla rotta da seguire e alle mappe; con l’atteggiamento seccato di una sorella maggiore costretta a badare al fratellino, e allo stesso tempo l’istinto protettivo che ribolliva sotto la pelle come lava sotto la roccia vulcanica, si fermò un momento per sistemare la spessa benda che gli copriva gli occhi e il cappuccio di spessa lana che nascondeva alla vista il suo viso e i capelli: “Ah, Rufy! Chopper ti ha detto di tenerla e di non esporre le pupille alla luce!” lo rimproverò lei.

Il Capitano girò la testa nella sua direzione generale, seguendone la voce, e sbuffò: “Mi dà fastidio!” si lamentò.

Nami gli diede un pizzicotto prima di ricominciare a camminare trascinandoselo dietro: “Chopper si è raccomandato perché tu la tenessi, le ustioni hanno ancora bisogno di tempo per guarire. E ora sbrigati, gli altri ci aspettano per cena.”.

A sentir menzionare la cena, l’espressione corrucciata di Rufy si illuminò, lasciandosi guidare di buon grado verso la baia a nord della cittadina dove avevano attraccato quella mattina, la prima in cui a Rufy era stato permesso lasciare l’infermeria dopo l’ultimo scontro con la Marina.

Scontro che lo aveva visto precipitare in mare, col viso ustionato, dopo che una bomba incendiaria si era avvicinata troppo alla Sunny, in particolare a Brook che – in quel momento – si trovava in piedi sulla testa della polena intento a dare supporto a Zoro nello scontro.

Nel fragore della battaglia, Rufy aveva mancato un proiettile che, fischiando, aveva attraversato lo sbarramento di fuoco di Usopp e Franky, aveva superato lo stesso Capitano e si era diretto minaccioso verso la Sunny.

Un errore, solo un errore, ma Zoro sarebbe stato perfettamente in grado di respingerla al mittente.

Rufy lo sapeva.

Eppure il suo corpo era scattato in avanti lo stesso; atterrando sulla polena davanti al violinista, il Capitano aveva preso in faccia l’ordigno e, prima di precipitare in mare con un tonfo sordo, aveva spinto lo stesso Brook all’indietro, facendolo ruzzolare sul prato di coperta.

Stordito, questi non realizzò subito l’accaduto.

Fu la voce di Zoro che gridò a gran voce il nome di Rufy prima di buttarsi in acqua a fargli capire, con la violenza dello schiaffo gelido della Morte, cosa veramente fosse successo.

In una cacofonia di suoni, il resto dell’equipaggio prese a parlarsi addosso, Nami ordinò a Sanji e Usopp di mantenere il fuoco difensivo, le esplosioni si fecero più pressanti e frequenti, gridò a Franky di aprire i Dock per far rifugiare Zoro e Rufy, Robin era già impegnata a usare ogni stilla di energia per aiutare Zoro a tenere Rufy a galla.

Chopper non aspettò gli ordini della navigatrice, si precipitò sotto coperta in un lampo, lasciando che il proprio punto venisse coperto da Usopp.

In un tempo talmente dilatato che pensava fossero passate ore, Brook sentì la voce distorta di Nami chiamarlo dopo aver gridato a Franky di portarli via dal campo di battaglia.

Un Coup de Burst dopo, il violinista si ritrovò sollevato dallo stesso carpentiere e da lui fatto sedere su una delle panche all’ombra degli alberi.

“Brook, ehi, mi senti?”

Lui annuì, non troppo convinto.

“Ehi, mucchietto d’ossa, Chopper è di sotto con Rufy, appena ha finito ti darà un’occhiata, d’accordo?”

Ma lo spadaccino scosse la testa, cercando di rimettersi in piedi: tuttavia, le sue gambe non volevano saperne di rispondergli.

“Non ti muovere, deve essere lo shock.”

“Robin, come sta Rufy?”

“Chopper lo ha fatto portare in infermeria ma le ferite non mi sembrano troppo gravi. Zoro è con loro e anche Nami è scesa.”

“Meno male… maledetti Marine!”

“Vado ad aiutare Sanji e Usopp con le vele, resti tu qui con Brook?”

“Non preoccuparti, sorella. È in buone mani.”

La conversazione, avvenuta senza che il musicista avesse la forza di alzare lo sguardo e reagire alle parole dei compagni, finì con la stessa rapidità con cui era iniziata.

Seduto immobile, Brook poteva sentire il vento freddo accarezzare le sue ossa, erano in volo e chissà quanto ci sarebbero stati prima di trovare un porto tranquillo in cui attraccare.

“Ehi, non restiamo qui fuori, diamo fastidio alle manovre. Scendiamo sotto coperta.”

La proposta di Franky cadde nel vuoto.

“Se ti porto giù di peso non lamentarti, ok?”

Un attimo dopo, si ritrovò a testa in giù, poggiato come un sacco di patate sulla spalla di Franky: fu quel movimento improvviso a scuoterlo – seppur di poco – dal suo immobilismo.

“Franky-san, lasciami andare, per favore…”

“Ci siamo svegliati eh, mucchietto d’ossa? Comunque, non ci penso nemmeno. Finchè Chopper non ti darà un’occhiata tu non muoverai un passo.”

“Rufy-san ha più bisogno-“

“Ma una volta che la nostra renna avrà finito di rattopparlo, ci sarà tutto il tempo per punzecchiarti per bene, non preoccuparti.”

Brook cercò di divincolarsi ma la presa di Franky era forte, più di quanto riuscisse a contrastare.

Franky rise: “Ti avevo avvertito disse mentre scendevano le scale che portavano sotto coperta; si lasciarono alle spalle i compagni al lavoro e ben presto si ritrovarono nel cuore della nave, illuminato dalla luce del sole ormai al tramonto che entrava dagli oblò, Franky camminava in fretta e in pochi minuti si fermò davanti alla porta dell’infermeria.

Non ebbe tuttavia modo di poggiare la mano sulla maniglia perché la porta si aprì di scatto non appena arrivarono, lasciando uscire Chopper che sorrise sollevato nel vederli: “Stavo salendo a vedere come stesse Brook ma vedo che mi hai preceduto, entrate.”

“Visto, mucchietto d’ossa?” gli mormorò il carpentiere all’orecchio mentre facevano il loro ingresso nella stanza; Brook si guardò cautamente intorno ma non vide alcuna traccia di Rufy: subito, sentì la paura crescere dentro di lui.

“Rufy sta bene, Zoro lo ha accompagnato in camera per farlo riposare.” Le parole di Chopper strapparono un sospiro sollevato al musicista il quale, improvvisamente esausto, si lasciò depositare sul lettino delle visite, incurante di quello che lo circondava.

“Franky, cos’è successo? È stato colpito? Non vedo ferite.”

“No, Chopper. Penso sia lo shock.”

“Shock?”

“Non ho visto bene, ero distante, ma Rufy si è lanciato davanti a lui per fargli da scudo e-“

“Ho capito. Brook? Ehi, Brook, mi senti?”

Il tocco gentile del medico di bordo riscosse Brook dai suoi pensieri turbinanti, obbligandolo a puntare lo sguardo sulla piccola renna; Chopper sorrise e gli diede una tazza fumante: “Bevi questo, senza fare storie. Dopodichè, Franky ti porterà in camera per farti riposare, dirò a Sanji di tenere da parte qualcosa da mangiare per te e Rufy, d’accordo?”

Brook annuì, incapace di articolare una frase di senso compiuto.

Senza proferire verbo, bevve una sorsata di tisana calda e, sorso dopo sorso, si sentì sempre più stanco e bisognoso di dormire.

La zampa di Chopper, l’avrebbe riconosciuta tra mille, gli tolse delicatamente la tazza dalle mani e sentì le braccia di Franky sollevarlo prima di crollare addormentato, in un sonno privo di sogni.

“-mi... -ami… Nami…”

La voce di Rufy fece sobbalzare la navigatrice, la quale si fermò di botto in mezzo alla strada, strattonando al contempo il braccio del Capitano.

“Ahia! Nami, che c’è? Sei strana!” esclamò lui, incerto sulla posizione effettiva della compagna.

Davanti a lui, la ragazza sospirò e scosse energicamente la testa per riprendere il controllo della propria mente: “V-Va tutto bene, Rufy. Stavo solo pensando, non è niente.”

“D’accordo, ma ti ho chiamata per dieci minuti e non mi hai risposto, hai continuato a camminare.”

“Stavo calcolando le miglia per la prossima isola, domani mattina ripartiremo e stasera vorrei andare a letto presto.”

“Oh, allora ok. Mi fido di te, Nami.”

Nel dirlo, il Capitano le sorrise con tutta l’innocenza e la fiducia di cui era capace, di tutto l’affetto e l’infinito rispetto che poteva provare per lei e per gli altri e Nami si sentì una volta di più nuda e senza difese di fronte a quell’aura di amore puro e totalizzante.

“Smettila e cammina, che siamo in ritardo!”, la sua reazione imbarazzata non era mancata, ma sapeva altresì che era difficile nascondere qualcosa del genere a Rufy: anche se incapace di vedere con gli occhi, Nami sapeva che il suo Capitano non ne aveva bisogno per vedere dentro ognuno di loro, attraverso le loro paure e i loro sentimenti.

Per lui, tutti loro erano un libro aperto.

Ed era certa che, se per loro era stato difficile vederlo in quelle condizioni - ferito e bisognoso di assistenza malgrado la forza di volontà indomita che gli era propria -, altrettanto difficile doveva essre stato, per Rufy, sentirli così preoccupati per lui.

Certo, non erano abituati a mostrarsi deboli, in pensiero - erano pirati e nella Grand Line un attimo di debolezza può portare alla distruzione – ma di nuovo: per Rufy, tutti loro erano un libro aperto e non potevano nascondersi.

Men che meno potevano nascondergli la loro vergogna: quella di aver permesso che venisse ferito sotto i loro occhi, impotenti e incapaci di fare alcunchè.

E mentre camminavano verso il luogo dell’appuntamento, Nami si ritrovò a pensare che, forse, qualcosa potevano fare, qualcosa di estremamente naturale e spontaneo.

Rufy si era sempre caricato sulle spalle tutti loro, senza mai lamentarsi: e ora che aveva bisogno di loro, si sarebbero dovuti tirare indietro?

Avevano finalmente la possibilità di rimediare almeno in piccola parte alla lancinante solitudine che il ragazzo doveva aver provato in quei lunghi anni lontano da loro, al dolore che doveva aver conservato nel suo cuore: potevano caricarselo sulle spalle e trasportarlo, leggero com’era non sarebbe stato difficile.

Toccava a loro, stavolta, e non si sarebbero tirati indietro.

 

   
 
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