AUTORE: SHUN DI ANDROMEDA
TITOLO: He ain’t heavy
FANDOM: One Piece
GENERE: Sentimentale, Hurt/Comfort, Famiglia
PERSONAGGI:
Ciurma di
Cappello di Paglia
PAIRING: AllRufy platonico
RATING: Giallo
HE AIN’T HEAVY
PROLOGO
Nami
tirava Rufy per il braccio
attraverso le strette viuzze semibuie, al tramonto di quella calda
giornata
estiva, afosa e umida, di quell’umido che attacca i vestiti
alla pelle e lascia
esausti e frustrati.
Lo
guidava col passo svelto dei
gatti e l’attenzione quasi maniacale che ella riservava
normalmente alla rotta
da seguire e alle mappe; con l’atteggiamento seccato di una
sorella maggiore
costretta a badare al fratellino, e allo stesso tempo
l’istinto protettivo che
ribolliva sotto la pelle come lava sotto la roccia vulcanica, si
fermò un
momento per sistemare la spessa benda che gli copriva gli occhi e il
cappuccio
di spessa lana che nascondeva alla vista il suo viso e i capelli:
“Ah, Rufy!
Chopper ti ha detto di tenerla e di non esporre le pupille alla
luce!” lo
rimproverò lei.
Il
Capitano girò la testa nella
sua direzione generale, seguendone la voce, e sbuffò:
“Mi dà fastidio!” si
lamentò.
Nami
gli diede un pizzicotto
prima di ricominciare a camminare trascinandoselo dietro:
“Chopper si è
raccomandato perché tu la tenessi, le ustioni hanno ancora
bisogno di tempo per
guarire. E ora sbrigati, gli altri ci aspettano per cena.”.
A
sentir menzionare la cena,
l’espressione corrucciata di Rufy si illuminò,
lasciandosi guidare di buon
grado verso la baia a nord della cittadina dove avevano attraccato
quella
mattina, la prima in cui a Rufy era stato permesso lasciare
l’infermeria dopo
l’ultimo scontro con la Marina.
Scontro
che lo aveva visto
precipitare in mare, col viso ustionato, dopo che una bomba incendiaria
si era
avvicinata troppo alla Sunny, in particolare a Brook che – in
quel momento – si
trovava in piedi sulla testa della polena intento a dare supporto a
Zoro nello
scontro.
Nel
fragore della battaglia, Rufy aveva mancato un proiettile che,
fischiando,
aveva attraversato lo sbarramento di fuoco di Usopp e Franky, aveva
superato lo
stesso Capitano e si era diretto minaccioso verso la Sunny.
Un
errore, solo un errore, ma Zoro sarebbe stato perfettamente in grado di
respingerla al mittente.
Rufy
lo sapeva.
Eppure
il suo corpo era scattato in avanti lo stesso; atterrando sulla polena
davanti
al violinista, il Capitano aveva preso in faccia l’ordigno e,
prima di
precipitare in mare con un tonfo sordo, aveva spinto lo stesso Brook
all’indietro, facendolo ruzzolare sul prato di coperta.
Stordito,
questi non realizzò subito l’accaduto.
Fu
la voce di Zoro che gridò a gran voce il nome di Rufy prima
di buttarsi in
acqua a fargli capire, con la violenza dello schiaffo gelido della
Morte, cosa
veramente fosse successo.
In
una cacofonia di suoni, il resto dell’equipaggio prese a
parlarsi addosso, Nami
ordinò a Sanji e Usopp di mantenere il fuoco difensivo, le
esplosioni si fecero
più pressanti e frequenti, gridò a Franky di
aprire i Dock per far rifugiare
Zoro e Rufy, Robin era già impegnata a usare ogni stilla di
energia per aiutare
Zoro a tenere Rufy a galla.
Chopper
non aspettò gli ordini della navigatrice, si
precipitò sotto coperta in un
lampo, lasciando che il proprio punto venisse coperto da Usopp.
In
un tempo talmente dilatato che pensava fossero passate ore, Brook
sentì la voce
distorta di Nami chiamarlo dopo aver gridato a Franky di portarli via
dal campo
di battaglia.
Un
Coup de Burst dopo, il violinista si ritrovò sollevato dallo
stesso carpentiere
e da lui fatto sedere su una delle panche all’ombra degli
alberi.
“Brook,
ehi, mi senti?”
Lui
annuì, non troppo convinto.
“Ehi,
mucchietto d’ossa, Chopper è di sotto con Rufy,
appena ha finito ti darà
un’occhiata, d’accordo?”
Ma
lo spadaccino scosse la testa, cercando di rimettersi in piedi:
tuttavia, le
sue gambe non volevano saperne di rispondergli.
“Non
ti muovere, deve essere lo shock.”
“Robin,
come sta Rufy?”
“Chopper
lo ha fatto portare in infermeria ma le ferite non mi sembrano troppo
gravi.
Zoro è con loro e anche Nami è scesa.”
“Meno
male… maledetti Marine!”
“Vado
ad aiutare Sanji e Usopp con le vele, resti tu qui con Brook?”
“Non
preoccuparti, sorella. È in buone mani.”
La
conversazione, avvenuta senza che il musicista avesse la forza di
alzare lo
sguardo e reagire alle parole dei compagni, finì con la
stessa rapidità con cui
era iniziata.
Seduto
immobile, Brook poteva sentire il vento freddo accarezzare le sue ossa,
erano in
volo e chissà quanto ci sarebbero stati prima di trovare un
porto tranquillo in
cui attraccare.
“Ehi,
non restiamo qui fuori, diamo fastidio alle manovre. Scendiamo sotto
coperta.”
La
proposta di Franky cadde nel vuoto.
“Se
ti porto giù di peso non lamentarti, ok?”
Un
attimo dopo, si ritrovò a testa in giù, poggiato
come un sacco di patate sulla
spalla di Franky: fu quel movimento improvviso a scuoterlo –
seppur di poco –
dal suo immobilismo.
“Franky-san,
lasciami andare, per favore…”
“Ci
siamo svegliati eh, mucchietto d’ossa? Comunque, non ci penso
nemmeno. Finchè
Chopper non ti darà un’occhiata tu non muoverai un
passo.”
“Rufy-san
ha più bisogno-“
“Ma
una volta che la nostra renna avrà finito di rattopparlo, ci
sarà tutto il
tempo per punzecchiarti per bene, non preoccuparti.”
Brook
cercò di divincolarsi ma la presa di Franky era forte,
più di quanto riuscisse
a contrastare.
Franky
rise: “Ti avevo avvertito disse mentre scendevano le scale
che portavano sotto
coperta; si lasciarono alle spalle i compagni al lavoro e ben presto si
ritrovarono nel cuore della nave, illuminato dalla luce del sole ormai
al
tramonto che entrava dagli oblò, Franky camminava in fretta
e in pochi minuti
si fermò davanti alla porta dell’infermeria.
Non
ebbe tuttavia modo di poggiare la mano sulla maniglia perché
la porta si aprì
di scatto non appena arrivarono, lasciando uscire Chopper che sorrise
sollevato
nel vederli: “Stavo salendo a vedere come stesse Brook ma
vedo che mi hai
preceduto, entrate.”
“Visto,
mucchietto d’ossa?” gli mormorò il
carpentiere all’orecchio mentre facevano il
loro ingresso nella stanza; Brook si guardò cautamente
intorno ma non vide
alcuna traccia di Rufy: subito, sentì la paura crescere
dentro di lui.
“Rufy
sta bene, Zoro lo ha accompagnato in camera per farlo
riposare.” Le parole di
Chopper strapparono un sospiro sollevato al musicista il quale,
improvvisamente
esausto, si lasciò depositare sul lettino delle visite,
incurante di quello che
lo circondava.
“Franky,
cos’è successo? È stato colpito? Non
vedo ferite.”
“No,
Chopper. Penso sia lo shock.”
“Shock?”
“Non
ho visto bene, ero distante, ma Rufy si è lanciato davanti a
lui per fargli da
scudo e-“
“Ho
capito. Brook? Ehi, Brook, mi senti?”
Il
tocco gentile del medico di bordo riscosse Brook dai suoi pensieri
turbinanti,
obbligandolo a puntare lo sguardo sulla piccola renna; Chopper sorrise
e gli
diede una tazza fumante: “Bevi questo, senza fare storie.
Dopodichè, Franky ti
porterà in camera per farti riposare, dirò a
Sanji di tenere da parte qualcosa
da mangiare per te e Rufy, d’accordo?”
Brook
annuì, incapace di articolare una frase di senso compiuto.
Senza
proferire verbo, bevve una sorsata di tisana calda e, sorso dopo sorso,
si
sentì sempre più stanco e bisognoso di dormire.
La
zampa di Chopper, l’avrebbe riconosciuta tra mille, gli tolse
delicatamente la
tazza dalle mani e sentì le braccia di Franky sollevarlo
prima di crollare
addormentato, in un sonno privo di sogni.
“-mi...
-ami… Nami…”
La
voce di Rufy fece sobbalzare
la navigatrice, la quale si fermò di botto in mezzo alla
strada, strattonando
al contempo il braccio del Capitano.
“Ahia!
Nami, che c’è? Sei strana!”
esclamò lui, incerto sulla posizione effettiva della
compagna.
Davanti
a lui, la ragazza sospirò
e scosse energicamente la testa per riprendere il controllo della
propria
mente: “V-Va tutto bene, Rufy. Stavo solo pensando, non
è niente.”
“D’accordo,
ma ti ho chiamata per
dieci minuti e non mi hai risposto, hai continuato a
camminare.”
“Stavo
calcolando le miglia per
la prossima isola, domani mattina ripartiremo e stasera vorrei andare a
letto
presto.”
“Oh,
allora ok. Mi fido di te, Nami.”
Nel
dirlo, il Capitano le sorrise
con tutta l’innocenza e la fiducia di cui era capace, di
tutto l’affetto e l’infinito
rispetto che poteva provare per lei e per gli altri e Nami si
sentì una volta
di più nuda e senza difese di fronte a quell’aura
di amore puro e totalizzante.
“Smettila
e cammina, che siamo in
ritardo!”, la sua reazione imbarazzata non era mancata, ma
sapeva altresì che
era difficile nascondere qualcosa del genere a Rufy: anche se incapace
di
vedere con gli occhi, Nami sapeva che il suo Capitano non ne aveva
bisogno per
vedere dentro ognuno di loro, attraverso le loro paure e i loro
sentimenti.
Per
lui, tutti loro erano un
libro aperto.
Ed
era certa che, se per loro era
stato difficile vederlo in quelle condizioni - ferito e bisognoso di
assistenza
malgrado la forza di volontà indomita che gli era propria -,
altrettanto
difficile doveva essre stato, per Rufy, sentirli così
preoccupati per lui.
Certo,
non erano abituati a
mostrarsi deboli, in pensiero - erano pirati e nella Grand Line un
attimo di
debolezza può portare alla distruzione – ma di
nuovo: per Rufy, tutti loro
erano un libro aperto e non potevano nascondersi.
Men
che meno potevano
nascondergli la loro vergogna: quella di aver permesso che venisse
ferito sotto
i loro occhi, impotenti e incapaci di fare alcunchè.
E
mentre camminavano verso il
luogo dell’appuntamento, Nami si ritrovò a pensare
che, forse, qualcosa
potevano fare, qualcosa di estremamente naturale e spontaneo.
Rufy
si era sempre caricato sulle
spalle tutti loro, senza mai lamentarsi: e ora che aveva bisogno di
loro, si
sarebbero dovuti tirare indietro?
Avevano
finalmente la possibilità
di rimediare almeno in piccola parte alla lancinante solitudine che il
ragazzo
doveva aver provato in quei lunghi anni lontano da loro, al dolore che
doveva
aver conservato nel suo cuore: potevano caricarselo sulle spalle e
trasportarlo,
leggero com’era non sarebbe stato difficile.
Toccava
a loro, stavolta, e non si
sarebbero tirati indietro.