Serie TV > Peaky Blinders
Ricorda la storia  |      
Autore: corvonero83    13/01/2019    0 recensioni
Dal testo:
-Solomons non farti strane idee!- Ollie lo mise in guardia.
-E perché?-
-Credo che quella ragazza sia sua nipote. La figlia di Fred- concluse il suo guardaspalle.
Solomons a quelle parole si raddrizzò sulla sedia tornando a fissarla con maggior interesse.
Era giovane, bella. Stava cantando per la bis nonna. Una voce pura, limpida, che gli stava graffiando il cuore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ed il primo spietato Amor mio siete per me.....

 


Si guardò allo specchio con fare compiaciuto.

Doveva essere perfetto. Tutto stava nel fare colpo sulla vecchia Signora Sabini, era lei a decidere chi poteva fare affari con i suoi adorati nipoti. Il fatto di aver condiviso un banco di scuola con il minore non era sufficiente, come non era sufficiente che Darby si fosse diplomato grazie “all’ebreo intelligente”.

Si sistemò i capelli e controllò un’ultima volta la barba curata, era un bel ragazzo. Questo lo sapeva. Sua madre era bella. Bellissima. Avevano gli stessi occhi indecisi se essere azzurri o verdi. Ma quelli della donna ora erano svaniti nelle orbite vuote di un viso mangiato dai vermi per colpa dei russi.

Alfie odiava i russi, odiava gli inglesi e anche gli italiani, ma doveva conviverci e doveva fare affari con loro per crescere, doveva sfruttarli per diventare qualcuno.

L’ufficio che aveva acquistato a Camden Town era grande ma ridotto male. Doveva trovare i soldi per sistemarlo e iniziare la sua produzione di rum.

Rum mascherato da pane.

L’incontro con Sabini sarebbe stato decisivo.

Prese i fiori, rose rigorosamente bianche, e il vino, uno dei migliori, ci aveva speso un mezzo capitale e due dita del venditore, e si avviò a casa dell’italiano con Olllie, il suo fidato guardaspalle. Non era stupido Alfie, sapeva benissimo di essere amato ed odiato dai Sabini, doveva giocarsela bene, carpire la loro fiducia e al momento giusto sbranarseli. Per tutte le volte che Darby lo aveva picchiato a scuola, per tutti gli insulti che aveva dovuto ingoiare a denti stretti.

La villa si trovava a Saffron Hill, poco lontano da Camden, in pieno territorio italiano ed era protetta dalla strada da un cancello in ferro battuto e scagnozzi armati pronti a tutto. Solomons grugnì pensando al buco che si era ricavato nell’ufficio, il suo buco, umido e freddo, ma ci stava lavorando.

Fu accolto dalla servitù con fredda gentilezza anche se il clima nel salone era tutt’altro che freddo: musica, tanta musica jazz che risuonava nell’aria, luci e scintillio di cristalli e calici pieni di champagne, donne meravigliose in abiti succinti che le fasciavano rendendole tutte desiderabili. Solomons però non si fece ingannare dalle apparenze, in particolare non si fece ingannare dalle donne. Lui ne aveva quante ne voleva. Quando entrava in un bordello le “signorine” facevano a gara per farsi scegliere da lui e non per i soldi che portava ma perché era bello, giovane e bello e se la cavava anche molto bene.

Ma aveva imparato a capire il gentil sesso, le donne che aveva avuto erano frivole, ingenue oppure furbe come volpi e arriviste, di certo tutte avevano una vena di fragilità. Solomons scopriva sempre quella fragilità e ci marciava sopra per ottenere quello che voleva. Bastava poco per spezzarle. Nessuna, nessuna donna con cui aveva condiviso un letto, sia per un’ora che per la notte intera, si era dimostrata forte, capace di tenergli testa.

Nessuna.

Per questo le scopava e basta. Le scopava anche bene ma poi non voleva più saperne. Cercava sempre di evitare di andare con la stessa prostituta. Mai ripetersi.

L’amore. Questa parola così usata ed abusata. Lui non voleva amore, l’unico amore della sua vita, la madre, gliela avevano portata via in modo feroce e lui aveva pianto, lacrime di bambino, aveva sofferto. Non avrebbe mai più pianto in vita sua. Per nessun motivo al mondo.

Per questo fissava quelle donne come carne da macello. Soppesava i loro corpi, le gambe lunghe e toniche, i seni pesanti o appena accennati, i capelli raccolti o lasciati liberi, le bocche languide. Le studiava e stava cercando di valutare quale tra tutte quelle ragazze sarebbe potuta essere la miglior scopata.

-Alfie!- la voce di Sabini lo riportò alla realtà.

-Charles!- si strinsero la mano con finto entusiasmo. Lo chiamava per nome, da sempre. Mai il diminutivo.

-Sono contento che tu sia riuscito a venire. Gli affari sono affari- Sabini lo accompagnò in una stanza tenendogli la mano sulla spalla. L’italiano indossava un completo gessato di pura sartoria. Elegante come sempre ma pur sempre una carogna.

- Vieni, mia nonna vuole vederti. Ha sempre avuto un debole per te-

Alfie sogghignò. In effetti era vero, la Signora Sabini lo aveva sempre trattato bene, più di una volta lo aveva accolto in casa, quella vecchia di gioventù, e lo aveva trattato come un nipote rimpinzandolo di prelibatezze italiane. Per questo contava su di lei per iniziare le trattative con i nipoti.

La trovò seduta su una poltrona al centro del salotto, come una regina, lontano dal chiasso della festa e contornata dalla famiglia. Quella donna dall’occhio vispo lo accolse con dolcezza.

Parlarono. Parlarono molto del passato, non si toccò mai l’argomento affari; Alfie era sinceramente affezionato a quella vecchia e sapeva che doveva usare tatto. Era preso da lei, dai suoi ricordi, voleva la possibilità di fare affari con il nipote e l’avrebbe ottenuta.

Ma poi nel brusio della stanza si sentì aprire la porta a vetri ed entrò lei.

Fu un attimo. Un attimo di eterna pazzia, perché per lui, Alfie Solomons, quello che sarebbe venuto in seguito sarebbe stata pura pazzia.

Occhi verdi, pelle di porcellana.

Voce angelica.

-Solomons non farti strane idee!- Ollie lo mise in guardia.

-E perché?- si stava strofinando il mento. Lo faceva sempre quando stava soppesando il da farsi.

-Sabini ti sta tenendo gli occhi addosso- Solomons lo guardò spazientito, non capiva il nesso -Credo che quella ragazza sia sua nipote. La figlia di Fred- concluse il suo guardaspalle.

Solomons a quelle parole si raddrizzò sulla sedia tornando a fissarla con maggior interesse.

Era giovane, bella. Stava cantando per la bis nonna. Una voce pura, limpida, che gli stava graffiando il cuore. Perché?

Il suo Dio lo stava mettendo alla prova? Lui era li per affari. Ma quella ragazza che inizialmente stava cantando per festeggiare la matriarca della famiglia, ad un certo momento, nascondendo le sue intenzioni, stava cantando per lui. Quel verde si era incatenato ai suoi occhi. Senza pudore. Sfrontatamente.

Lui non si fece intimidire, resistette finché il rosso imporporò le guance della ragazza. Alfie non poté che godere di quella sua piccola conquista.

Poi il silenzio e un applauso.

Il canto era finito e lei era svanita nel nulla.

 

La scelta dei cocktail e degli alcolici era infinita ma niente poteva superare il sapore del rum. Il calore che ti infondeva lungo la gola e poi giù, nello stomaco. Un calore che nessuna donna aveva mai dato al suo cuore.

-Mr. Solomons?- una voce lo destò dal suo bicchiere. Una voce calda. E tremò

-Si?- se la ritrovò davanti agli occhi. Lo superava in altezza, il tacco degli stivaletti non centrava, se se li fosse tolti lo avrebbe comunque superato di qualche centimetro.

La cosa strana era che non si infastidì. Di solito le puttane, ma tutte le donne in generale, le voleva piccole, piccole di statura ed esili, facili da domare.

Questa ragazza alta più del dovuto non lo infastidiva.

-Mi chiamo Mary-Ann- gli tese la mano curata, unghie perfette laccate con un colore tenue. Nessun orpello ad abbellirla. Non ce n’era bisogno.

-Molto piacere signorina- non la strinse quella mano ma la prese nella sua e la baciò. Anzi la sfiorò con le labbra e lei sembrò gradire quell’attenzione.

-Le è piaciuta la canzone?-

-Ho apprezzato molto la vostra voce- non si sbilanciò cercando di capire fin dove poteva spingersi. Si trovava comunque in territorio nemico.

-Grazie. Mio zio mi obbliga sempre a cantare in certe occasioni. Io mi sento in imbarazzo ma poi faccio finta di essere sola e mi lascio andare- lo guardava. Fisso negli occhi come se volesse spogliarlo di tutto. Forse voleva davvero spogliarlo di tutto.

-Oggi però non sono riuscita ad isolarmi- si fece seria -Per colpa sua!-

-Mi dispiace- lui sorrise sornione -E’ che oltre alla voce sono stato catturato dalla presenza scenica- la squadrò dalla testa ai piedi. Senza malizia ma con molto interesse per farle capire quello che voleva dire.

La ragazza ebbe un brivido. Non fece in tempo a replicare, il padre la chiamò con fare autoritario. Mary si alzò dallo sgabello su cui si era seduta e con cenno del capo e un mezzo sorriso salutò quell’uomo che l’aveva ammaliata. Alfie ricambiò il gesto e con il bicchiere in mano guardò gli occhi feroci di Darby Sabini che lo fissavano.

-Alla salute!- disse sogghignando dentro di se.

 

Erano passate tre settimane da quella serata a casa di Sabini.

Solomons aspettava un contatto da parte dell’italiano. Dovevano firmare il contratto che stabiliva le quote: lui voleva un 40/60 ma sapeva che Darby non glielo avrebbe mai concesso, per questo aveva proposto un impossibile 50/50 in modo tale da far scendere la proposta dell’italiano a quella che voleva lui, fregandolo con classe.

Ma non era il contratto a tormentarlo, di quella serata gli era rimasto un solo ricordo fisso: Mary-Ann. La sua voce, le labbra, gli occhi.

Doveva rivederla, ne sentiva un bisogno fisico. E come se gli avessero letto nel pensiero, lo avvertirono che Mary-Ann Sabini era alla porta del magazzino e chiedeva di lui.

-Sono qui a nome di mio padre e soprattutto di mio zio. Naturalmente è stata mia nonna a volere mandare me-

Colpo basso. Molto basso da parte della vecchia Cate. Doveva riconoscerlo.

-Avete il contratto con la proposta?- cercò di dimostrarsi indifferente.

Era bella quella ragazza, più di quanto si ricordasse.

Gli occhi erano verdi, di un verde intenso, simili ad un bosco di abeti, la pelle diafana, di porcellana, lievemente truccata da un velo di cipria rosa tenue.

Vestito elegante, una gonna nera lunga fino alle caviglie e una camicetta sempre nera ma decorata a fiori, sbottonata fino a poco sopra il seno. Il collo nudo.

-Non avete freddo?-

-Il capotto è in auto-

-Non siete sola dunque?-

-C’è uno degli scagnozzi di mio zio, piuttosto di sapermi sola con lei, qui nel suo ufficio, mi ucciderebbe- e lo guardò con quello sguardo ribelle che voleva metterlo a nudo.

Solomons si passò una mano sulla barba incolta e si leccò le labbra quasi pregustando il sapore che avrebbe sentito baciandola.

-Procediamo?- la ragazza gli porse i fogli del contratto. Alfie li lesse attentamente e alla fine grugnì insoddisfatto.

-30/70?- non si aspettava un offerta così bassa.

-Mio zio ritiene impossibile un 50/50- ribatté lei.

-40/60?- propose lui.

-Forse 35/65?-

Alfie la guardò. Sapeva che stava recitando la parte voluta da quello stronzo di Darby. Poteva mettersi a giocare anche lui, e lo fece.

-Non avete paura di me?- volle provocarla.

-Dovrei averne motivo?- Mary restò impassibile.

-Accetto il 30/70 solo se voi accettate di venire a cena con me. Soli!-

Mary si raddrizzò sulla sedia ma non sembrò scomporsi.

-Mio zio la ucciderebbe- non smise per un attimo di guardarlo negli occhi.

-E la cosa vi eccita?- Alfie decise di giocarsi il tutto per tutto.

-Forse- stava perdendo il controllo Mary. Perciò raccolse in fretta la borsa e si alzò non accorgendosi che un bottone della camicetta era uscito dall’asola.

-Mary?- Alfie la seguì alla porta -Cenerete con me questa sera?-

-Alle 18, da Martini-

-Nella tana del lupo- sottolineò lui,

-Li sono libera di fare quello che voglio. Se entrassi con lei in qualsiasi altro locale mio zio la ucciderebbe all’istante. Anche se ci trovasse a fare una semplice conversazione. Da Martini loro non vengono mai-

-Be’, io vorrei conversare con lei, solo conversare...- nel dirlo Alfie le sistemò la camicetta mettendo al suo posto il bottone ribelle. Mary-Ann seguì quel gesto senza battere ciglio.

-E converseremo- permise a Solomons di sfiorarle il seno.

Alfie le baciò la mano.

-Mr. Solomons?- la ragazza ebbe un esitazione.

-Ditemi?-

Lei ci pensò su -Niente. Scusi. A stasera e mi porti il contratto firmato-

Alfie annuì osservandola uscire dall’ufficio, camminava eterea sui tacchi, ondeggiando con grazia e provocandogli un’improvvisa erezione che lo fece imprecare.

 

Il Martini era un locale di lusso gestito dai Sabini, da Fred nello specifico. Alfie avrebbe voluto gestire un locale simile, con gente di lusso, luci abbaglianti, cibi raffinati e musica jazz esportata dall’America.

Ma non aveva ancora i mezzi per arrivarci.

Entrò e dopo essere stato squadrato dall’usciere fu accompagnato in un salottino appartato, la ragazza aveva detto il vero.

Era sola. Sola in ambiente confortevole, la musica li raggiungeva senza infastidirli.

-Mr Solomons, benvenuto!-

La vide alzarsi dal tavolo, fasciata in un abito verde acqua con ricami che richiamavano le piume dei pavoni, le spalle scoperte, i capelli castani raccolti. Nessun gioiello se non un filo di perle posizionate in modo da ricadere sulla schiena. Un particolare che gli agitò il basso ventre. I tacchi, immancabili.

-Benvenuto-

Solomons sfiorò con le labbra la mano guantata di bianco.

-Siete bellissima-

Mary-Ann sorrise, con le gote un poco arrossate. Alfie si illuse che fosse la timidezza ma quando si sedette al tavolo notò due bicchieri vuoti.

-Vino?- le chiese.

-Qualsiasi cosa va bene. Basta che bruci in gola, Signor Solomons. Basta che bruci in gola– e non era una battuta.

-Le consiglio il pesce. Qui è ottimo!-

-Bene. Mi affido a voi- Alfie chiuse il menù che aveva appena iniziato a guardare. In realtà non gli importava niente del cibo che avrebbe mangiato, nel del bere e forse neanche dell’accordo che aveva firmato. Gli interessava solo di lei, di quella ragazza all’apparenza dolce e mansueta ma che aveva negli occhi una malinconia stabile e forse tanta rabbia da dover gettare fuori.

-Vi ho portato il contratto, firmato- le porse i fogli.

Mary sorrise un po’ contrariata -Perché ha voluto cenare con me , Signor Solomons?-

-Perché siete molto interessante- Alfie sorseggiò il vino che il cameriere aveva prontamente versato nel suo calice. Era molto buono ma avrebbe preferito qualcosa di più forte.

-Vuole dell’altro?- lei se ne accorse.

-Un rum?-

-Subito!-

Cenarono silenziosamente, Alfie apprezzò molto il cibo e dovette ammettere che il rum era ottimo.

-Cuba. Mio padre ci tiene che sia tutto di ottima qualità nel locale-

Alfie grugnì, al solito. E da quel verso il giaccio si sciolse.

-Si comporta sempre da animaletto quando è contrariato da qualcosa?-

-Come?- non aveva capito a cosa lei si riferisse.

-Fa quel verso, quella specie di grugnito….- Mary tentò di riprodurlo ma l’effetto sperato fu abbastanza comico. Solomons rise, non voleva offenderla ma la trovò buffa. E lei non se la prese.

-Scusatemi Mary-Ann ma non vi conviene per niente tale comportamento-

-Mi lasci divertire un po’, Solomons. So che con lei posso farlo...-

-Chiamatemi Alfie-

-Solo se lei mi chiamerà Mary. Togliamo l’Ann, non l’ho mai sopportato- lo guardò negli occhi. Ancora quello sguardo indagatore che voleva spogliarlo di tutto. Dei vestiti, dell’anima, di se stesso.

E allora, solo allora Solomons capì che quella ragazza era rotta. Spezzata dentro. E che stava cercando qualcosa, forse proprio da lui.

Parlarono molto, di cose futili in realtà ma si divertirono entrambe. Ed era molto che non si divertivano così.

Alla fine della cena Mary lo invitò a ballare.

-Non sono adatto al ballo, credetemi-

-Neanche io. Ma qui non ci vedrà nessuno. Venga...-

Dopo un attimo di timore, forse catturato dal suo profumo di donna, Alfie si alzò e prese la mano che la ragazza gli tendeva. Un lento. Inizialmente ballato a distanza di sicurezza, poi sempre più vicini. A sentire l’uno il calore dell’altro. A respirare l’uno il respiro dell’altro. Solomons premeva la mano sul fianco della ragazza cercando di imprimersi in testa le forme di quel corpo esile ma ben fatto. Un corpo che stava desiderando più di ogni altra cosa.

Ma dopo quel ballo si salutarono.

Non si può portare a letto una dona così, al primo appuntamento, senza averla corteggiata, senza averle fatto capire che non era solo un capriccio ma un desiderio profondo, forse di averla vicino per tutta la vita.

E da quella sera ne seguirono molte altre, ben nascosti in quel ristorante dove veramente lei poteva fare quello che voleva. Era lei a comandare chi lavorava in quel locale, e probabilmente Mary aveva comprato il silenzio di tutti perché nessun Sabini si era mai presentato a chieder conto di quelle serate.

Solomons cominciò a capirla, a capire perché quella ragazza era così strana, provocatrice nei suoi confronti, arrabbiata con il padre e perennemente malinconica.

-Mia madre è morta di parto. Almeno così mi hanno fatto credere per anni. Poi un giorno, quando avevo 10 anni una donna mi ha avvicinata e mi ha detto che mia madre era stata ammazzata. Non ho mai più visto quella donna, sembrava una pazza, anzi una vecchia prostituta pazza. Gli scagnozzi di mio padre la allontanarono e la fecero sparire. Ma io, io iniziai a pensare ad alcune cose che avevo ascoltato per casa. Conversazioni a metà tra mio padre e mio zio, a volte anche con mia nonna…..-

-Mary?-

-Mio padre non l’amava, non avrebbe mai potuto. Mia madre era una prostituta di alto borgo, quello che un Sabini poteva volere per divertirsi non di certo per accasarsi-

-Ne siete sicura?-

-Si!- non c’era stata esitazione nella sua voce.

-E cosa provate?- le teneva la mano, oramai poteva permettersi quel gesto di affetto.

-Odio! Vorrei vederlo morto!-

-E’ pur sempre vostro padre- Alfie la guardò cercando di capire cosa veramente provava quella ragazza nei confronti della sua famiglia e la vide sorridere, in modo sinistro e sarcastico.

-Infatti non è mio padre che voglio morto ma mio zio Darby. E’ stato lui, lui guida mio padre in tutto, lo trascina nei suoi casini e lo manipola come vuole. Io lo odio!- era dura, il volto tirato in contrasto con la delicatezza del suo viso da bambola.

-L’odio è prezioso Mary, bisogna saperlo dosare bene e in voi ne vedo troppo...a volte l’odio avvelena il sangue e la mente-

-A volte non si può fare ameno di odiare. A volte si incontrano persone che possono solo essere odiate-

Ad Alfie venne un dubbio subdolo e atroce che gli fece ribollire il sangue -Darby vi ha mai toccata? Ha mai messo le sue luride mani su di voi?- conosceva i gusti dell’italiano, più giovani erano migliore era il suo godimento. E i legami di sangue di certo non l’avrebbero fermato.

Mary lo guardò seria, gli occhi due pietre verdi dure -Non come avrebbe voluto. Ha tentato di mettermi una mano sotto la gonna quando avevo 9 anni ma io scappai urlando e da quel momento non mi sono mai più fatta trovare da sola con lui. Mi fa schifo, so che mi punta i suoi occhi addosso, li sento, mi sento spogliare da lui….-

-Posso ucciderlo se volete- era serio Alfie. Troppo perché lei si spaventò.

-Mio zio è un cane rognoso, difficile da ammazzare e io non posso valere la vostra vita, non valgo così tanto-

A quelle parole Alfie si adombrò, non le accettava. Seduto sul divano di quel salotto privato le si avvicinò ancora di più e senza chiedere permesso la baciò.

Rude. Con prepotenza, tenendole il volto tra le mani.

Mary era sua. Una sua proprietà da difendere e da possedere fino in fondo.

E quando la sentì ricambiare il desiderio, i baci si fecero feroci, dispettosi, le mani irrequiete sotto la stoffa del vestito: questa volta scuro, elegante, pizzo nero a fasciarle le spalle, guanti che avvolgevano quelle delicate mani ora affondate tra i suoi capelli arruffati.

-Alfie- un sussurro, lui grugnì e la fisso per un attimo negli occhi.

-Sai quanti anni ho?-

-Diciasette-

-E non ti interessa?-

-Tu lo vuoi? Mi vuoi?- ora le parlava a tu per tu. Il muro che li divideva era caduto.

-Si...- era però incerta , c’era qualcosa che lui doveva sapere -Però io non sono mai stata con un uomo...-

Solomons lo sapeva, aveva indagato sul suo breve passato, ma sentirselo dire in faccia, proprio da lei gli fece uno strano effetto. Si sentì responsabile, sentì che lei gli stava mettendo la sua vita tra le mani.

-Hai paura?-

-No, non di te….-

-Allora vuoi venire con me?-

Mary annuì mordendosi le labbra e Alfie non se lo fece ripetere due volte, la portò via. Non voleva condurla nel suo ufficio, nella sua squallida stanza, voleva un albergo di lusso, sete e fiori. Ma lei glielo impedì.

-Voglio stare con te, nel tuo letto. Voglio imprimermi chi sei sulla mia pelle-

Non le importava la stanza, il lusso, voleva solo il corpo di quel uomo. Da quando i suoi occhi si erano incatenati a quelli di lui, lo voleva dentro di se, voleva sentirlo suo ed essere sua. Sentirsi carne della stessa carne. Voleva sentirne il sapore, l’odore, la consistenza.

La sola presenza fisica di Alfie la mandava in tilt, sentiva il corpo ribollire di desiderio e la pelle bruciare.

E così fu.

Alfie la spogliò piano. Pezzo per pezzo: i guanti neri, le scarpe con il tacco, l’abito di pizzo e seta, scivolato via come acqua sulla pelle.

La lasciò in sottoveste perché non si imbarazzasse troppo ma Mary era eccitata e curiosa, si mise a spogliarlo a sua volta e questo mandò Alfie fuori di testa.

La baciò, la ricoprì di carezze e attenzioni, lasciò scie di saliva lungo quella pelle diafana. Si prese tempo per toccarla, soppesarla, marchiarla con i suoi denti. Non aveva fretta questa volta, non aveva ferocia o rabbia da sfogare. Voleva sentirla gemere di piacere per causa sua, voleva farla godere, farla cadere nel peccato più affascinante e insegnarle a rendere il piacere ricevuto.

E la prese, su quel letto di legno scadente, su lenzuola scucite dal tempo, se la prese godendo come non aveva mai goduto con nessuna puttana perché quella ragazzina era affamata di sesso ed era affamata di lui. La scoprì generosa, ingorda, perversa. E godette ancora di più perché sapeva che stava togliendo la purezza ad una Sabini, godette perché sapeva che quella ragazza ben presto non sarebbe più stata una Sabini ma la sua più fidata alleata.

Una minorenne.

Il gioco valeva la candela. In tutti i sensi.

Fece attenzione, sapeva di avere una bambola preziosa tra le mani, non solo per quello che si stava rivelando Mary ma perché, e non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, finalmente aveva sentito il suo cuore tremare di paura. Paura di amare.

Mary era bella, intelligente, forte. I suoi occhi erano strumenti da guerra che lo avevano steso al primo sguardo. Mary era la donna che cercava da sempre.

-Solomons, credo tu sia il mio primo vero amore- le piaceva chiamarlo con il cognome. Le piaceva giocare con i ruoli.

-E come è questo primo amore?- voleva giocare anche lui con lei, solo un poco.

-Inaspettato, desiderato, spietato….-

Spietato.

Alfie capì il senso di quell’ultima parola -Non ti sto usando Mary. D’ora in poi tu sarai mia. Voglio sposarti, allontanarti dai Sabini e voglio distruggerli con te al mio fianco-

-Me lo giuri?- stava giocando con i braccialetti che Alfie portava per vezzo. Un vezzo che l’aveva ulteriormente interessata e avvicinata a lui.

-Su cosa?-

-Su di me- era seria.

-Su di te?- Alfie invece era contrariato. Odiava giurare, figurarsi se lo faceva su di lei.

-Fallo!- ma la parola uscì come un ordine da quella bocca appassionata che fino a poco prima gli aveva dato un piacere indefinito.

-Ti proteggerò sempre Mary, lo giuro su di te, mia futura sposa, sempre che tu lo voglia!-

-Mi fido di te!- Alfie ebbe un brivido a quelle parole. Un brivido di piacere misto ad inquietudine.

Quella ragazza era la sua arma per vincere contro Sabini. Ma sarebbe anche potuta diventare la sua rovina, da quella sera infatti Mary gli sarebbe entrata dentro ancora di più e forse in futuro il suo cuore avrebbe sofferto per lei. Ma lui era avvezzo al dolore e soprattutto non voleva rinunciare a quel piacere appena ricevuto e veramente mai provato.

-Ti amo Mary- osò , osò quelle due parole disgraziate per cui gli uomini si struggono, quelle due parole che mai aveva pronunciato in vita sua e che ora gli sembravano così semplici da dire.

Ti amo.

Mai, mai in tutta la sua misera vita si sarebbe pentito di averle dette, soprattutto a lei.

La sua bambola di porcellana.

 

...e i ricordi non passano mai, stanno con noi. Sono molto più forti di noi, più vivi….”

(A.Minghi)

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Peaky Blinders / Vai alla pagina dell'autore: corvonero83