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Autore: Freelion7    14/01/2019    0 recensioni
Come al solito, quella mattina il cielo londinese era totalmente plumbeo. L’aria era umida e qualunque cosa era avvolta in un sottile strato di brina. Era inverno e, logicamente, faceva freddo. Quel tipo di freddo che faceva solo desiderare una coperta calda, ma soprattutto asciutta, del the e poco altro. Tutto ciò che serviva a rendere la giornata straordinariamente ordinaria, monotona ed irritantemente noiosa. Era terribile. Non c’era un’altra parola per descriverlo. Non un caso, non una distrazione. Odiava il natale, si… col fatto che a Natale siamo tutti più buoni nessuno uccideva nessun altro. Noia. Noia. Noia.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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buongiorno gentili lettori, due righe di introduzione, ahimè, vi toccano, vi toccano proprio. di questa storia, prima di iniziarla dovete sapere che:
1 è scritta a quattro mani e non sapevamo nemmeno noi dove saremmo arrivate
2 ogni volta che cambiate paragrafo dovete cambiare punto di vista. il personaggio che ne è titolare, è specificato o intuibile
3 il titolo è una citazione da due libri del 1800 circa, mentre i capitoli sono dei satelliti artificiali realmente esistenti
4 le esperienze di vita di sherlock e john sono state compresse, ma non alterate
5 si tratta di un esperimento, quindi per noi un feedback è molto importante
grazie per l'ascolto (la lettura, va beh) e buona lettura

Freelion




20 dicembre 2027, Londra
 

Come al solito, quella mattina il cielo londinese era totalmente plumbeo. L’aria era umida e qualunque cosa era avvolta in un sottile strato di brina. Era inverno e, logicamente, faceva freddo. Quel tipo di freddo che faceva solo desiderare una coperta calda, ma soprattutto asciutta, del the e poco altro. Tutto ciò che serviva a rendere la giornata straordinariamente ordinaria, monotona ed irritantemente noiosa. Era terribile. Non c’era un’altra parola per descriverlo. Non un caso, non una distrazione. Sherlock odiava il Natale, si… col fatto che a Natale siamo tutti più buoni nessuno uccideva nessun altro. Noia. Noia. Noia.

 

Anche Matilde odiava il Natale: perché mai la gente si doveva costringere in piccoli negozi per comprare l’ennesimo regalo inutile e poco gradito, come quegli stupidi maglioni natalizi o i pigiami? Montagne di pigiami, come se per tutto l’anno uno dormisse nudo o in smoking. Pur di non alzarsi per constatare l’ennesimo ed inesorabile avanzamento verso il giorno di Natale, avrebbe fatto di tutto, infatti si trovava ancora sotto al piumone, al caldo.

 

《Mi annoio -SH》 si decise infine a scrivere a qualcuno che sapeva lo avrebbe capito.

 

L’odio che provò in quel momento verso la tecnologia era inverosimile. Prese il telefono; sapeva perfettamente chi era. 《Sto dormendo -MB》

 

《No, mi stai rispondendo -SH》

《Hai un caso? -SH》

《Ce lo creiamo? -SH》

《Anderson? -SH》

 

Il telefono volò lontano da lei, sul materasso. Al diavolo il suo amico, al diavolo il mondo, al diavolo l’umanità, ecco. C’era solo un modo per placare la sua noia e sopravvivere: andare da lui. Una doccia bollente ed era pronta.

 

《Aspetto -SH》 quella era una delle cose che amava -non che lo sapesse nessuno dei due- di quella sua strana amica. Era come lui. Poteva non dire nulla o quasi e, ne era sicuro, lei avrebbe capito comunque.

 

Non dovette nemmeno leggere il messaggio, sapeva cosa c’era scritto. Prese un taxi e arrivò da lui.

 

Sherlock era seduto -accoccolato- sulla sua poltrona, intento a guardare programmi stupidi ed a commentarli acidamente. Matilde sarebbe arrivata entro pochi minuti, ne era certo, ma Dio se quei minuti erano lunghi. Erano quanto di più interminabile esistesse.

 

Un semplice toc toc ruppe la monotonia dell'appartamento.

 

“Jawn, apri la porta” fu la prima reazione del detective, salvo poi rendersi conto, alcuni minuti più tardi, che l’amico, evidentemente, non era in casa ed alzarsi egli stesso per aprire, così come era, avvolto in un semplice lenzuolo bianco.

 

“Ancora che parli a John quando non c'è?” entrò in casa senza un saluto. Si tolse la sciarpa e il cappotto e appese tutto all’appendiabiti. Cominciò a guardarsi intorno, non tanto perché non sapesse come fosse fatta la casa dell'amico, ma perché ogni volta c'era una sfumatura di lui che le sfuggiva e la casa era lo specchio della sua anima. Grazie a Dio non aveva indugiato troppo sul quel corpo avvolto nella stoffa candida, la casa la salvava ogni volta, le dava altro a cui pensare, su cui ragionare. Le toglieva dalla testa dettagli compromettenti e inutili del detective.

 

“Come va l’indagine di me tramite la mia casa, detective?” le sorrise furbo l’uomo. Aveva notato quella strana abitudine di controllare quella casa, ma in fondo, talmente in fondo che nemmeno lui lo sapeva, non gli dispiaceva affatto. Gli dava modo di osservarla con tutta calma e di farle memorizzare i posti delle cose, così avrebbe potuto passargliele, all’occorrenza.

 

“Sei più noioso di ieri, un punto in meno per te. E ti turba qualcosa… Anzi, correggo, qualcuno. “ ricambiò il sorriso, soddisfatta dell'analisi e certa dell’esattezza delle sue parole.

 

“Qualcuno tipo?” tu, ragazza, ma è una futile coincidenza puntualizzò mentalmente, sperando, almeno quella volta, di non essere previsto.

 

“Avanti Sher, guarda che mi offendo.” si sedette sulla poltrona dell'amico.”Lo sai che queste cose sono le prime che ci si dice tra amici e che tu devi dirmi se vuoi continuare a vivere.” sorrise divertita e rimase in silenzio, accavallando le gambe e guardandolo.

 

E ora? Cosa avrebbe dovuto dirle? Mentirle era escluso, se ne sarebbe accorta in pochi millesimi di secondo. “Una persona mi crea piccole alterazioni cardiache, rossori non preventivabili… conosci i sintomi” si decise infine a comunicarle.

 

“Chiunque li conosce, Sher, e non sono sintomi” sempre più divertita. “Dai, fammi un caffè e siediti che ne parliamo. Magari riesco a farti far colpo sulla bella in questione” un occhiolino ammiccante e una risata cristallina, fu questo a nascondere una vera e propria voragine interna di tristezza: non sarebbero mai stati insieme.

 

Si alzò a preparare il caffè solo per prendere tempo. Jawn glielo aveva detto un migliaio di volte diglielo e basta, non girarci intorno e lui, ovviamente, non sapeva come fare. Non erano il suo campo i vivi, non lo erano mai stati. Nemmeno quando era piccolo… Il caffè era pronto. Irritante macchinetta dai ritmi fuori luogo!

 

Matilde disegnava leggera con la punta delle dita la pelle dei braccioli della poltrona. Più era articolato il disegno più lo erano i suoi ragionamenti. Non che servisse dirlo, quella volta il disegno era intricatissimo e complesso. Voleva solo un caffè e andare via da lì senza la stilettata che ormai già da mesi riceveva puntualmente ogni volta che lo andava a trovare.

 

“Questa persona” iniziò servendole il caffè “È intelligente e sorprendentemente intuitiva. Mi capisce alla perfezione, anche quando sto zitto” non so perchè sto parlando, in effetti “odia l’umanità vivente, le va bene quella morta però, il che me la fa andare particolarmente a genio. Non riempie per forza il silenzio”

 

Ed eccola la sua compagna di giochi preferita, la fitta al ventre e il giramento di testa che la faceva impazzire dalla gioia. Poteva aggiungere un nuovo bollino alla tessera punti delle delusioni della vita terrena. Forse, una volta morta, le sarebbe stato regalato un gelato in omaggio, chi lo sa.

 

“Come te lo dico?” chiese semplicemente, senza rendersi minimamente conto del lapsus.

 

“A me?“ sul suo volto la perplessità era dilagante.

 

“Alla diretta interessata, si” confermò limpido ed, a suo modo, ingenuo.

 

“A me non devi dirlo in nessun modo in particolare. Ecco, se proprio ci tieni mi offri il caffè in qualche posto un po’ carino.”

 

“...Ma lo devo dire alla diretta interessata in modo carino, quindi a te, quindi come te lo dico?” insistette Sherlock, con naturalezza disarmante. Era lei, era inutile girarci intorno. L'umanità non era diventata il suo forte negli ultimi tre minuti.

 

Matilde aggrottò le sopracciglia sempre più confusa. Non stava più capendo. Prese un sorso di caffé sperando di trovare l'illuminazione, ma tutto quello che successe fu solo uno sputare frettoloso nella tazzina quel poco che aveva in bocca con aria disgustata. “Ma che cazzo hai messo nel caffè?!”. Il sale, ecco cosa.

 

“Quindi? Come te lo dico?” insistette, senza badare all’errore sale/zucchero. Si era mosso in automatico, perso fra i suoi pensieri, quello era un dettaglio irrilevante a confronto. Piantò gli occhi in quelli della ragazza, in attesa di una risposta.

 

“Dio che schifo, che caffè di merda” posò tazzina e cucchiaino sul tavolino. “Non lo so, Sher, ok? Non lo so” si arrese. Non poteva continuare quella stupida conversazione che le stava causando solo dolore.

 

Bene. Un respiro, due respiri. “Sei tu.” ammise infine. Era inutile per entrambi cercare un modo meno diretto. Totalmente inutile.

 

La tazzina volò per terra. Dire che i suoi neuroni stavano facendo la fila per le scialuppe di salvataggio sarebbe stato di sicuro un eufemismo; più che altro si stavano letteralmente suicidano pur di non essere i responsabili della reazione -sicuramente inadeguata e probabilmente senza senso- alle parole dell'amico. Matilde lo guardò per un paio di secondi prima di scoppiare a ridere.

 

Sherlock nel frattempo osservava la giovane di fronte a sé. Era curioso della reazione, ma al contempo, non sapeva che aspettarsi. Una risata non era certo quello che sperava di ottenere “Sono serio” puntualizzó fermo.

 

Ok, quell'affermazione proprio non ci voleva. La sua espressione cambiò completamente. Gli occhi, che non avevano mai abbandonato quelli dell'uomo, lasciavano trasparire la paura che la ragazza provava ogni volta che una storia abbozzava il suo inizio.

 

Il consulente investigativo si concesse un momento per guardarla con gli occhi socchiusi, ma senza smettere di studiarla. “Hai paura.” cosa temi?

Jawn si era premurato di dargli fior di lezioni di approccio col gentil sesso, che aveva seguito, ad essere ottimisti, per il 17%, forse meno, ma era ragionevolmente convinto che le voci risata e paura non rientrassero tra le reazioni giuste.

 

La domanda così diretta non fece altro che mandarla nel pallone. Doveva rimanere calma e lucida. Non era mai stata brava ad affidarsi, figuriamoci a buttarsi così nel mare di interrogativi che una relazione nascente aveva. “Non dovrei?”

 

“Non stai rispondendo alla domanda” la stai aggirando volutamente?  E non aveva avuto una risposta, una reazione, un'opinione verbale alla propria scarna dichiarazione. Era abbastanza frustrante. Matilde era una di quelle persone che non capiva del tutto e questo era intrigante ai suoi occhi. Tremendamente. Il mondo era un libro aperto, lei un libro aperto, si, ma di astronomia ittita ed in finlandese scritto da un africano esperto in lingue sud americane.

 

“Invece ti sto rispondendo.” Lui non rispondeva mai alle sue domande, era una cosa che la faceva impazzire e non sempre in senso buono. Voleva solo sapere qualcosa in più, tutto qui. Dopo una dichiarazione così scarna una domanda era più che lecita.

 

“Porre un'altra domanda non è rispondere e con me c’è sempre da avere paura, lo sai” umanamente perché non è il mio campo, e poi i guai mi amano ed il sentimento è reciproco. Più sincero di così non poteva essere, anche se doveva ammettere che con lei era più semplice esserlo, anche se a volte più complicato . Perché faceva parte di una specie emotivamente tanto complessa?! Perché?!

 

Aveva capito tutto quello che gli voleva dire? Sicuramente. Aveva travisato buona parte del messaggio? Sicuro anche questo. “Sherlock potresti evitare di parlare criptico come l'oracolo di Delfi?” rispose scorata Matilde.

 

Il giovane si decise ad esplicitare il discorso per intero, inserendo tutto ciò che aveva sottinteso. Inutile specificare che ci vollero non pochi secondi, siccome, per così dire, parlava come un iceberg. Sperò in una risposta diretta, stavolta. Aveva senso che ci investisse energia o no?

 

La ragazza rimase in silenzio, stava soppesando molto attentamente le parole dell'amico. “Lo so che non sei facile, ma non è a quello che mi riferivo. Tu sai cosa è successo prima. “ verso la fine della frase la voce aveva iniziato a tremarle. Si zittì di colpo, non voleva sembrare debole, non lo era mai stata e non lo sarebbe mai stata. Quel prima l'aveva cambiata molto: c'erano dentro delusioni di una vita, promesse infrante, pianti solitari e silenziosi, abbandoni… Troppe cose, troppi dolori che cercava sempre disperatamente di soffocare, di nascondere non solo agli altri ma anche a se stessa.

 

“Lo so” Un po’ di quello che era successo lo aveva dedotto, un po’ gli era stato confermato dalla ragazza stessa e da altri. Anche se non era nelle sue corde, per lei avrebbe provato a stare attento. Non che garantisse sul risultato, ma sul tentativo si.

 

“E allora, dato che lo sai, che sai a cosa mi riferisco, rispondimi”. Era tanto chiedere di sapere chiaramente le sue intenzioni? Era troppo? Le proprie membra non le erano mai sembrate tanto rigide, tanto tese. Voleva una risposta, poi avrebbe deciso la sua.

 

“Mi alteri la pressione sanguigna, la temperatura, la percezione esterna della realtà ed hai una stanza nel mio castello mentale” ammise l'uomo, fermo, dopo essersi preso qualche secondo per formulare.

 

“Non hai di nuovo capito…” un lampo di cedimento le attraversò lo sguardo e fu di nuovo silenzio.

 

“Mi piaci. Credo si dica così.” rettificò dunque. Okay, lo aveva detto. Non rimaneva  che aspettare la reazione.

 

Si alzò in silenzio e raccolti i cocci della tazzina più grossi andò in cucina. Quel silenzio non era positivo, era un silenzio spossato. Aveva sempre la sensazione di star parlando un'altra lingua. Era rassegnata.

 

Il detective rimase perplesso. Era evidente che qualcosa non era andato per il verso giusto, ma cosa? Non era logica. Non era il suo campo. “Mi piaci parecchio”

 

Lo sentì solo di sfuggita. Ancora mancava un passo, il passo, ma non riusciva a farlo, troppo logico per riuscirci? Forse solo troppo…. Troppo in tutti i sensi: troppo intelligente, troppo cocciuto, troppo Sherlock, ecco, sì, troppo Sherlock. Non si possono sempre combattere i mulini a vento, Matilde le diceva la sua testa, era diventato come un mantra: non sprecare tempo.

 

Non poteva dire di amarla follemente. Non era vero. Non in quel momento. Era vero che ce l'aveva spesso in testa. Okay, sempre. Ma era amore quella cosa che gli faceva tremare le mani?

 

Matilde stava guardando il grigio paesaggio londinese dalla finestra della cucina. Adorava guardare da quella finestra, immaginava di essere una piccola goccia di pioggia e di scivolare lungo i profili delle case e delle persone fino a scontrarsi contro un vetro per poi iniziare l'inesorabile caduta verso la terra.

 

Pioveva.

Noia.

E Matilde non gli aveva ancora risposto chiaramente. Era frustrante come cosa, doveva ammetterlo. Era l'unica cosa che proprio non capiva e nessuno si degnava mai di esplicitare. Tutti a dichiarare cose totalmente ovvie e difetti genetici del genere, nessuno.

 

Erano passati solo un paio di minuti, ma alla ragazza erano sembrati vere e proprie ore. Voleva solo tornare sotto al piumone. Tornò in salotto e cominciò a vestirsi. Non si può sempre lottare contro i mulini a vento.

 

“Non mi puoi chiedere cose non vere. Non posso dire di amarti. Conosco i sintomi fisici dell'infatuazione, della cotta. Ma non ho idea di cosa sia, strettamente, amare cosa implichi. Però i sintomi ci sono tutti.” aveva detto tutto quello che riteneva vero.

 

“Ho capito” rispose tranquilla “non ti ho chiesto di dirmi cose non vere”. Sorrise come sorrideva solo a lui. “buona giornata Sher”. Un sorriso fu tutto ciò che rimase della ragazza nella stanza.

 

“Quindi si, no, indifferente?” non è un mondo che mi è noto. Cosa succede adesso? La voce non era poi così ferma, ma se qualcuno glielo avesse fatto notare, avrebbe negato fino alla morte.

 

“Qual è la tua domanda?” si fermò sulla porta.

 

Uno “Cosa implica stare insieme?” non aveva esperienze precedenti a cui riferirsi. Come poteva chiedere qualcosa che non sapeva?

Due “Quindi ci frequentiamo?” soggiunse con l’aria di chi stava scegliendo le parole dal catalogo di quelle poco usate.

 

“Ok, allora uno dipende da coppia a coppia, non c'è un modus operandi. Due non mi hai nemmeno chiesto se mi piaci” era la quintessenza dell’ovvietà.

 

“Mi sembrava abbastanza implicito. Bene. Ti piaccio?” domandò quindi.

 

Lo guardò dritto negli occhi e cominciò a scavare in lui. “Sì”

 

“Quindi ci frequentiamo?” domandò limpido.

 

“No” è con queste lettere ancora sulle labbra uscì dalla casa.

 

Sherlock tornò a sedersi sulla poltrona. Non gli interessava più commentare serie stupide. Per nulla.

 

Era ferma sulle scale, indecisa. Voleva un invito formale, non si voleva accontentare di un paio di sillabe stentate, voleva una vera storia, una vera relazione. Se gli interessava aveva solo da muoversi. La mano stringeva il mancorrente e il respiro si faceva più lento, più leggero. Cercava di non farsi sentire, quasi come se volesse diventare parte della scala, invisibile, un camaleonte.

 

“Vuoi uscire con me, Matilde?” domandò a voce alta, in modo da essere sentito. Non era ancora uscita, ne era sicuro. Le aveva sentito percorrere tre gradini, non di più.

 

Un lieve sorriso le incrinò le labbra. Gli arti tornarono leggeri e la portarono rapidamente davanti alla porta quasi come se avesse volato.

 

A valutare dai suoi passi, era un si. “Scendi. Caffè” commentò tranquillo, uscendo come era.

 

Non si mosse da lì. Sapeva che sarebbe uscito così com'era. Letteralmente lo bloccò col proprio corpo.

 

“Quindi? Non usciamo?” domandò incredulo e perplesso. Si era totalmente dimenticato del lenzuolo.

 

“Certo, ma non così e non per un caffè”. Gli mise una mano sulla schiena e lo riaccompagnò dentro. La sua mano si adattava perfettamente alla forma del suo corpo, era una sensazione bellissima. Dopo aver chiuso la porta tornò seduta sulla poltrona nera.

 

In quel momento l’uomo abbassò gli occhi e si rese conto del perchè fosse stato fermato dall’amica… ragazza… frequentante? Come avrebbe potuto chiamarla? “Vieni” cosa ti piacerebbe che io mettessi? sottese tirandola di fronte all’armadio.

 

“Mi porti fuori a pranzo e al cinema” sorrise sfacciata lanciandogli un chiaro messaggio “quanto mi merito?”

 

“Ho una decenza alla quale sottostare?” da infrangere? sorrise deliziosamente malandrino. Sperava ci fosse qualcosa da infrangere, rendeva tutto molto più divertente.

 

“Cosa vorresti infrangere?” erano a un soffio l'una dall'altro, Matilde lo guardava dal basso verso l'alto con un lampo trasgressivo negli occhi. Amava questa parte di lui, la faceva sentire viva.

 

“Tutto” le sorrise facendole un occhiolino che era solo suo. “Tutto” ribadì percorrendo piano la schiena della ragazza.

 

“Sorprendimi”. Voleva vederlo al massimo del suo potenziale. Si appoggiò alla sua mano e socchiuse gli occhi respirando piano.

 

Gli brillarono gli occhi. Sfida. Un’altra delle cose che amava di lei. Voleva metterlo alla prova? L’avrebbe accontentata. Si vestì di tutto punto e la prese per mano, istintivo. “Chiama un taxi, Til”

 

“Til? Da quando? ” la mano già componeva il numero.

 

Scese veloce le scale. Sapeva come mettere insieme il brivido del proibito ed il raffinato. Sì.

 

Matilde quasi volò giù per i gradini. Rideva, lui la faceva sentire libera. “Rallenta stambecco o ci rimango secca!”.

 

Si fermò solo davanti alla porta, aprendole. Fortunatamente il taxi li aspettava giù. Non era proprio celebre per la pazienza e la sua… iniziava a detestare questa cosa del non sapere come chiamarla! ...Matilde neanche. Con un piccolo sforzo, le aprì  anche la portiera.

 

Entrò sorpresa da tanta gentilezza e chiuse la porta. Gli regalò un sorriso luminoso e un occhiolino che non prometteva nulla di buono. Il taxi partì prima che anche lui potesse salire.

 

Sherlock la guardò allontanarsi perplesso. Okay, probabilmente aveva intuito la sua meta, ma il viaggio insieme sarebbe stato più divertente. Decisamente. Prese il successivo, con un mezzo sorriso. Lo aveva sorpreso.

 

Le dita della ragazza viaggiavano veloci sulla tastiera del telefono a comporre un semplice messaggio. Il mezzo sorriso beffardo che aveva sulle labbra non la abbandonò neanche una volta riposto il cellulare nella tasca.

 

Sherlock salì sul taxi seguente. Fortunatamente la giovane aveva buon gusto in molte cose, tra cui l’abbigliamento. “Buckingham palace”

 

Il taxi si fermò dove richiesto. Matilde Scese elegantemente e si sistemò con un gesto automatico della mano i capelli.

 

Sherlock scese poco dopo la compagna e la sorprese alle spalle “Piccola carogna” al suo orecchio, divertito. “Andiamo a prendere il the a spese di mio fratello”

 

“Solo se ci sono anche i biscotti” angelicamente si girò per guardarlo. “E lo sai che sono carogna, Sher” con la voce zuccherina.

 

“Lo so” sorrise solo. “Andiamo” ripetè avviandosi col fare deciso di chi si trovava esattamente dove doveva stare a fare qualcosa di assolutamente lecito.

 

Benché avesse le gambe lunghe la metà delle sue in due passi lo precedette “Guarda e impara, novellino” sorrise beffarda prima di entrare.

 

Buckingham palace era maestoso ed immenso ed, in qualche inspiegabile modo, riusciva a risplendere anche nella pioggia. Le guardie erano sempre impettite e vigili ai loro posti. Per un fugace istante, il consulente investigativo si chiese se avessero mai sparato un colpo negli ultimi 50 anni. Probabilmente no.

Entriamo “Insieme?”

 

“Io prima e tu dopo, ovviamente”. Buckingham Palace le piaceva sempre. Era tirata a lucido ogni volta, i lampadari di cristallo creavano splendidi giochi di luce sul pavimento in marmo pregiato. Una vera reggia e lei stava esattamente per fare un'entrata da regina. Aprì le porte della sala principale come se fossero quelle di casa sua. “Il gioco è cominciato” sussurro a Sherlock prima di calarsi nella parte.

 

Non sapeva dove voleva andare e lei gli stava davanti e lui non poteva certo urlare. Sorrise divertito e la seguì spigliato. Per una volta non doveva nemmeno badare a tenersi il lenzuolo intorno. Ci rifletté un attimo. Riflettere! Specchi! Si spostò leggermente a destra, verso il corridoio che le avrebbe fatto imboccare, se l’avesse avuta fi fianco.

 

Matilde lo seguì senza esitazione, si fidava ciecamente di lui. “Dove mi vuoi portare mio re?” sorrise prendendolo a braccetto.

 

“Nelle sale reali” sorrise ovvio e divertito. “Non punto ai gioielli della corona, solo al servizio da the”

 

La ragazza iniziò a correre per il palazzo verso le sale reali. “Prendimi, Sherlock!”  sembrava una bambina, felice e spensierata. Quando ancora andava all'asilo le bambine cercavano di attirare le attenzioni dei loro “fidanzatini” in ogni modo possibile, ebbene, lei, che da sempre era considerata più un maschiaccio che una femmina, si faceva rincorrere. Aveva inventato un gioco apposta: si era divisi in due squadre, una scappava e l'altra prendeva e per prendere una persona bisognava darle un bacio sulla guancia. La ragazza sorrise a quel ricordo e continuò a correre.

 

Sherlock sperava in un’entrata più trionfale, ma in fondo al diavolo la decenza si disse, prima di rincorrerla. Complici le gambe più lunghe, la raggiunse in un corridoietto in penombra, la strinse a sé e le lasciò un bacio sulla guancia “Presa”

 

Le guance le si colorarono di un lieve rosa e il cuore cominciò a battere  più veloce. E adesso? L'avrebbe baciata? Si sarebbero rincorsi ancora? Si sarebbero abbracciati? Tante incognite, troppi dubbi. In tutta quella confusione l'unica cosa che le uscì dalle labbra fu un lievissimo “Presa…”.

 

Il detective strinse a sé la giovane. “basta correre” stabilì, aprendo una porticina di servizio che dava direttamente sulla sala da the, in quel momento oscura, di sua maestà la regina e, con tutta probabilità, di suo fratello. Prima di varcarla però si concesse un bacio molto, molto vicino ad un angolo della bocca.

 

“Mi hai già presa….” non capiva perché un secondo bacio, era stata presa, Sherlock aveva vinto.

 

“Lo so” fu l’ovvia risposta. Era palese, lei era fra le sue braccia… in effetti non sapeva perché l'avesse baciata di nuovo, forse solo per puro gusto, perché la sua pelle sapeva di buono.

 

Si dileguò nella camera oscura alla ricerca del servizio da the. “Devi ancora trovarmi… “ il sorriso candido  ancora rideva nell'oscurità.

 

Il detective si chiuse la porta alle spalle, si immobilizzó e cercò di individuare i movimenti della giovane. Non appena fu sicuro di dove si trovasse, vi si diresse silenzioso come un gatto.

 

Matilde si muoveva rapida nell'ombra. Adorava giocare, soprattutto con Sherlock. Lo sentiva che si muoveva, che le veniva incontro, percepiva i suoi spostamenti. Si sentiva una pantera in fuga dai predatori.

 

Sherlock analizzó brevemente la situazione. Matilde sapeva esattamente dove lui si trovasse, ne era sicuro. Sorrise felino e si lasciò cadere su uno dei divani.

 

“Che pigrone….” Gattonando arrivò fino al divano e balzò sopra al detective. “Preso!”

 

“Non ancora, detective” sorrise divertito. Giocare con lei era divertente, anche se la prova sarebbe stata un caso, senza dubbio. In effetti lo aspettava con impazienza.

 

“E perché?”

 

Il giovane protese solo una guancia, eloquente la regola del bacio valeva forse solo per lui? “Timida?” domandò ancora, con aria incredula.

 

Appoggiò le sue labbra contro la pelle bianca dell'uomo. Il cuore batteva forte nel petto tanto che sembrava che uscisse.

 

Sherlock percepì distintamente il battito cardiaco alterato della giovane sopra di lui. Le strinse appena i fianchi in un moto istintivo e del tutto non controllato.

 

“Quanto ti senti trasgressivo?” soffiò leggera a pochissimo dalle sue labbra. Sentiva il suo respiro caldo, il suo cuore che le batteva contro il petto.

 

“Abbiamo ancora da prendere il the, Til” sorrise furbo e sottile. Si stava divertendo più di quanto avrebbe ammesso con qualunque altro essere vivente.

 

“Credevo volessi subito il dolce… ”. Il buio ed il brivido della trasgressione creavano un'atmosfera magnetica.

 

“Sei dolce?” domandò sornione

 

“Vuoi assaggiare? “ Matilde si appoggiò al suo petto con le mani.

 

La stanza era buia quasi completamente, ma non era videosorvegliata, la regina aveva pur sempre diritto alla propria privacy. Un grande e lussuoso divano -quello sul quale erano- era appoggiato ad una delle pareti, l'unica finestrata. Su quella opposta una antica e fine vetrina raccoglieva vetreria storica e reale. Fra i due mobili, una poltrona imponente faceva mostra di sé ed il leggero e simbolico baldacchino che la sovrastava ne individuava la proprietà. Di fronte, lussuosa, anche se non altrettanto, una poltrona di velluto faceva da contrappunto. Centrato nella stanza, un tavolino basso in ebano sosteneva un pregevole candelabro dorato e lavorato con le storie della casata reale.

 

“Sono curioso” sorrise malandrino. Il gusto del proibito era qualcosa di allettante e, anche se in modo naturalmente diverso, la ragazza lo incuriosiva come un caso. Non riusciva a prevederla.

 

“E io qui”

 

“Cosa presumi che io faccia, detective?”

 

“Dimmelo tu”. Si distese su di lui: voleva aderirgli con tutto il corpo.

 

“La mia banhoff pie” tu, detective sorrise sghembo stringendola a sé, ad un soffio dalle sue labbra.

 

Stava così bene fra le sue braccia… Era tornata a casa. Socchiuse gli occhi e gli si avvicinò impercettibilmente. “La mia red velvet”

 

A quel punto le labbra del giovane erano sulla pelle della ragazza “Cosa vuoi che faccia?” mormorò. Non era da lui cedere le armi così in fretta… in generale, in realtà.

 

Lei non si mosse, voleva che fosse lui a fare il primo passo.

 

Con lentezza quasi disarmante azzerò la distanza e sovrappose le loro labbra. Non si aspettava qualcosa di tanto soffice al tatto.

 

Le  labbra di lui erano così delicate, come dei petali di rosa,  che aveva paura di romperlo.

 

Non mi rompo la rasserenò con uno sguardo complice nel buio. Era quello stare in pace senza annoiarsi? La soluzione era fare qualcosa di totalmente adrenalinico, ma al contempo tranquillo?

 

Quello sguardo funzionò da lasciapassare. Le mani gli accarezzavano il petto dolcemente e le labbra le imitavano su quelle del moro.

 

Brividi? Erano brividi quelli sulla sua pelle? Si osservò di sfuggita. Lo erano. Eppure non faceva freddo… che fosse la ragazza a procurarglieli? Probabilmente sì, dubitava fosse il divano reale… eppure stava così bene…

 

“Puoi anche ricambiare, sai?” Perché non si muoveva? Non che non fosse piacevole baciarlo anche così, ma sarebbe stato decisamente meglio se fosse stato più… Interattivo, ecco.

 

Invece che rispondere, l'accontentó impacciato, fingendo un'esperienza che non aveva. Le sue mani presero a vagare sulla schiena della giovane, con la delicatezza con la quale trattava il suo violino.

 

In quell'esatto momento  la detective si allontanò dalle sue labbra con un ghigno beffardo “Non dirmi che ti ho rubato il primo bacio…” aveva riconosciuto il tocco inesperto.

 

“No, ovvio” non lo hai rubato. Questo non voleva dire che fosse falso. Se ne era accorta, altrimenti non avrebbe chiesto con tanta precisione e per lei non era il primo. Magari sarebbe stato l'ultimo… meglio, sì.

 

“Rilassati, Sher…” sussurrò al suo orecchio per tranquillizzarlo. Le sue labbra erano come un magnete per lei e così, senza riuscire a resisterle si abbandonò a quelle due dolci ciliegie.

 

Con un piccolo sforzo di volontà, il giovane sciolse i muscoli e tentò -per una volta nella sua esistenza- di lasciar perdere la sua sempre fedele logica. Per semplice imitazione, prese parte a quel bacio per lui tanto nuovo.

 

Decisamente sì, ora si ragionava. Matilde diede uno sprint a quel timido contatto. Voleva di più, voleva sapere il suo sapore, voleva sentirsi girare la testa come solo con i migliori baci. Le mani non si accontentano più di quella piccola porzione di petto e volarono leggere sul suo corpo sfiorandolo e accarezzandolo.

 

Per Sherlock quello sprint significò una scarica di adrenalina piuttosto potente. Ovviamente conosceva le dinamiche generali, ma nulla di più. Tutti i sensi gli urlavano di focalizzarsi su di lei, solo e soltanto su di lei e, tranne in qualche rara occasione, i suoi sensi avevano ragione. Era una strana specie di palazzo mentale. Era lei ed esisteva solo lei. Riprese a baciarla impacciato, ma meno timido.

 

Sorrise. Era così semplice amarlo. Con discrezione cercò con la lingua l'entrata fra le sue labbra, non voleva spaventarlo.

 

Il concedergliela non fu ragionato. Se ne accorse a stento, per essere precisi. Ad un certo punto sapeva solo che sapeva di buono e che la desiderava, anche se questo gli era noto già da tempo. Le percorse il viso con le dita. Non lo aveva mai fatto, realizzò. Non ce n’era mai stata ragione, giustificazione logica o scusa di sorta. Quella pelle aveva qualcosa di ipnotico, forse la consistenza, forse quel neo sulla guancia che prometteva tanto capricci quanto conoscenze variegate e che sottolineava ogni movimento delle labbra.

 

Il suo viso era di burro sotto quelle mani. Dio quanto sapeva di Sherlock, era certa di aver trovato il suo gusto preferito. Senza nemmeno badarci troppo infilò una mano nei suoi capelli. Ricci. Corvini. Morbidi. Meravigliosi. Aveva sempre voluto farlo, ma non aveva mai trovato una motivazione sensata, un perché logico. Ora aveva un motivo, lo amava. Non glielo avrebbe detto: gli uomini si spaventavano con le dichiarazioni dirette. Anche lei voleva sfiorargli la pelle. Gli accarezzò lo zigomo, affilato e affascinante, misterioso “Tu e i tuoi maledetti zigomi….” sorrise dolce dolce come solo con lui.

 

Il giovane Holmes si accorse che la giovane aveva detto qualcosa -qualcosa a proposito dei suoi zigomi?- ma si era concentrato su tutti i ventiquattro parametri della sua voce, piuttosto che sul senso della frase. Gli era sembrata più dolce del solito, anche se, aveva notato, con lui lo era di più che con chiunque altro.

 

“Non hai capito la frase, vero?” rise sulle sue labbra senza smettere di baciarlo. Non voleva perdersi nemmeno un secondo di lui.

 

“I miei zigomi qualcosa” non voleva ammettere che avesse ragione, eppure l'aveva. Si era concentrato su altro, ecco tutto. “Però la tua voce era diversa dal solito, anche se non tanto.”

 

“Spiegati”. Questo era assolutamente degno di attenzione.

 

“Con me la tua voce è diversa. Oggi anche di più. Dolce.” rettificò.

 

Le si disegnò un sorriso in volto estatico. “è vero”

 

“Lo so, detective” le sorrise contro le labbra. Con lei era molto più soddisfacente avere ragione, forse perché non era scontato. Non lo era per nulla.

 

“Siamo uno a uno, detective”

 

“Due a due” puntualizzó. Lui aveva preso lei e lei lui, anche se se lo era lasciato fare, ma non doveva dimenticarsi del taxi, che era quello che dava parità al risultato. Dopo di ciò, tornò sulle sue labbra, goloso.

 

Le piaceva vederlo così desideroso di lei. Perché non aumentare la sua voglia? Si allontanò quel tanto che bastava per essere fuori portata. “E ora?”

 

Lo aveva fatto apposta, ne era certo. Non era lontana era solo appena fuori dalla sua portata. Irritante ragazza affasci...irritante! Non sapeva quanto fosse pronto ad ammettere di più, almeno in quel momento. Si tirò su per poter avere ancora un po’ di quel mistero.

 

Era in piedi davanti a lui. In fondo avevano un tè da prendere. Accese la luce e lo guardò. Camminando seducente arrivò a sedersi sulla poltrona rossa accavallando più sensuale possibile le gambe.

 

Il detective, come legato ad un filo, si trovò in piedi. Senza perderla di vista, preparò il tè, ancheggiando appena, inconsapevole. Voleva -esigeva, quasi- i suoi occhi addosso. Non riempì il silenzio, non era necessario.

 

“Pensi davvero che potrei non guardarti?” era incredula e divertita allo stesso tempo. Era talmente bello e prezioso ai suoi occhi che non sarebbe stata in grado di rinunciare alla sua vista.

 

“Non lo so” liberò in un respiro. Gli bruciava ammetterlo, gli bruciava terribilmente. Quel che sapeva era che aveva sempre detestato i sentimenti umani i difetti di fabbrica della parte perdente, ma ne era in balia e stava bene. La logica gli diceva di no, il corpo e la mente dicevano di si.

 

In un unico gesto fluido lo tirò a sè fino a farlo sedere sulle proprie gambe.

 

Fu solo grazie ai riflessi allenati ed al naturale equilibrio che le tazzine e la teiera che il detective aveva in mano non caddero disastrosamente, nè lo fece il loro contenuto. Si sentiva troppo alto per quella concentrazione di energia. Avrebbe preferito stare sotto di lei, averla alla sua altezza. Poggió fluido il vassoio sul tavolino e la guardò negli occhi, perdendovicisi.

 

“Quanto sei alto, Sher” rise di gusto invertendo le posizioni. “Molto meglio. In fondo non sono forse la tua principessa?”

 

“La mia autorità?” non mi sembra saggio. Regole? “adoro infrangerle” lo sai perfettamente domandò sorridendo da felino. D'altro canto anche lei doveva adorare il brivido del proibito, altrimenti non sarebbe andata lì con lui.

 

“Davanti agli altri ok, ma tra di noi…” gli camminò con le dita sul petto. Il suo bimbo… Voleva essere la sua piccola. In realtà la sua qualsiasi cosa ma doveva essere la sua. Lo sguardo un po’ dispiaciuto si focalizza sulle sue clavicole appena sporgenti.

 

“La mia compagna, ma non la mia autorità” non sapeva perché avesse puntualizzato. Quelle parole gli erano vate via dalle labbra prima di poterle fermare. Trattenne appena il fiato, in attesa di una qualunque reazione.

 

“Non sono la tua compagna” rispose ferma “Non sono un cane.”. Lo guardò negli occhi. Voleva fosse più che chiaro questo concetto. “ci stiamo frequentando”.

 

“Come chiamarti?” domandò limpido quindi. Compagna non andava bene, ma amici non si potevano definire, fidanzati nemmeno, conoscenti non erano...

 

“Quella con cui ti senti, la ragazza con cui ti senti. Ma solo se siamo con altri. Se siamo solo noi….” si fermò. Stava per straparlare.

 

“Vai avanti" si era accorto -ovviamente- dell'interruzione brusca della frase e voleva sapere cosa stava per dire, era curioso, lo era sempre stato, con lei di più.

 

Arrossí di colpo. Non voleva esporsi così tanto, non voleva proprio. Però sapeva che per lui lo avrebbe fatto. Si fidava ciecamente, lo amava “Stavo dicendo che se siamo solo noi… ecco…” il rossore aumentò ”se siamo solo noi… puoi chiamarmi come vuoi… Come ti senti.”.

 

“Pipetta.” stabilì in fretta l'uomo, sicuro. Non perché lei fosse un esperimento, ma perché era una cosa che avevano in comune.

 

Non poté resistergli. Lo bacio di slancio, cotta e stracotta.

 

Quel bacio fu presto ricambiato, mentre Sherlock si incuneava sotto le gambe della ragazza, in un unico fluido movimento, ristabilendo l'equilibrio delle altezze.

 

“Preferisci?” dolce sulle sue labbra. Si accoccolò in braccio al suo ragazzo. Lo considerava già il suo ragazzo, ma glielo avrebbe detto solo a tempo debito.

 

Preferiva, si. Gli piaceva averla vicina, ma lo avrebbe ammesso solo quando sarebbe stato in grado di dirlo anche a se stesso. Un braccio di lui si strinse alla schiena e l'altro alla vita.

 

“Tua…” non se ne era nemmeno resa conto.

 

Il detective la guardò per un momento senza dire nulla, poi la strinse a sé. Non sapeva che parole usare, ma sperò che il vistoso brivido che gli increspava la pelle fosse sufficiente.

 

Ovviamente Matilde lo travisò. Nell'immagine che aveva di lui, Sherlock non rabbrividiva. “Hai freddo, Sher? “ intanto le accarezzava il viso per sentirne la temperatura.

 

“Allora a te tenermi caldo” sorrise sornione, stringendola maggiormente a sé.

 

Non voleva che il suo bimbo stesse al freddo. Si tolse il copri spalle e glielo sistemò come una coperta. In realtà gli copriva solo dalle spalle ad appena sotto i pettorali, ma questo non fermò la ragazza dal sistemarglielo con ogni cura e dall’assicurarsi che fosse il più al caldo possibile. “Meglio?” con un tono spaventosamente materno e protettivo. Era di sicuro la prima volta che lo usava.

 

Sherlock non sapeva che fare. Strinse a sé la ragazza con un sorriso felino “Meglio”

Si bloccò un momento, guardandola negli occhi “Quel tono" non lo hai mai usato, neanche con me “che rappresenta?” la domanda non era per recriminare in alcun modo, era per sapere.

 

“Che tono?” candidamente chiese al detective. Non se ne era nemmeno accorta, le era venuto naturale.

 

“Materno?”  Matilde, quella Matilde che aveva un tono materno?! Assurdo. Fuori da ogni logica. Ma davvero Matilde poteva avere quel tipo di tendenza? Poteva essere una madre? Nella sua testa l'immagine di lei con un bambino presumeva che fosse zia o che il bambino fosse un morto su cui indagare. Eppure lo aveva usato con lui.

 

“Materno?” ancora più perplessa di lui. Lei non era materna. Non era una madre. Eppure qualcosa stava scattando. Erano mesi ormai che ci pensava. Una volta aveva sognato addirittura di essere incinta e ovviamente il padre in qualsiasi sogno che facesse era sempre e solo uno: Sherlock. Non poteva dirgli che aveva avuto quel tipo di pensieri su di loro. Era presto. Però in fondo si conoscevano da tanto tempo e da subito il loro rapporto aveva avuto quel non so che di particolare.

 

Era inutile continuare a ripetersi sempre solo quella parola senza dirsi nulla di più. Le porse una delle due tazze di the nero, archiviando quella come una delle cose a cui pensare. Prese l’altra per sé la zuccheró abbondantemente.

 

“Stai uccidendo questo te. Vergogna”

 

“Un morto nella sala da tè della regina. Interessante. Indaghiamo?” stava facendo il bambino, si. Però in fondo infantile era sempre stato, quindi...

 

“Prima che arrivi tuo fratello” sorrise beffarda e si alzò.

 

“è già qui” puntualizzó sherlock, storcendo il naso infastidito, mentre Mycroft Holmes, Mary Poppins in incognita, apriva la porta con aria irritata.

 

Gli baciò il naso velocemente prima di girarsi verso Mycroft. “Buongiorno Mycroft.”

 

“Buongiorno Matilde, fratellino…” perché non sono stupito di vedervi qui a prendere il the per un infantile senso del proibito? “perché?”

 

“Spero non ti dispiaccia la nostra piccola invasione, Myc.” sapeva di avere un certo ascendente sul governo inglese ed aveva intenzione di usarlo.

 

Mycroft avrebbe immensamente voluto dire che sì, gli dispiaceva la loro visita in quella stanza, ma, inutile a dirsi, non vi riuscì. La sua espressione si coloró di qualcosa di simile ad un caldo rimprovero, come di qualcuno che sapeva che qualcosa fosse sbagliato ed avrebbe dovuto davvero rimproverare la persona in errore, ma lo aveva fatto anche lui in passato e lo avrebbe rifatto, se ne avesse avuto l'occasione.

 

“Grazie Myc”. Matilde gli lasciò un leggero bacio sulla guancia.

 

Sherlock in quel momento ebbe non poche difficoltà a non staccare la ragazza, la sua ragazza, da suo fratello. Si limitò a guardar male quest'ultimo, che tornasse alle sue torte!

 

La giovane sorrise al più grande. “Ah, signor governo inglese” si rivolse totalmente a lui “Sarei estremamente lusingata se volesse farmi visita domani per assaggiare la mia nuova creazione dolciaria”.

 

“Signorina” si intromise sherlock, mentre il fratello annuiva piano “Avevo pensato, domani” e tutti i giorni necessari a venire “di invitarla a prendere un caffè”

 

“Ma usciamo già oggi, Sherlock” Matilde si girò verso di lui per guardarlo perplessa.

 

“Quindi?” domandò ancora.

 

“Possiamo anche non vederci tutti i giorni.” rispose ovvia. Ci teneva a Mycroft e non voleva che la relazione con Sherlock diventasse totalizzante.

 

Mycroft guardò attentamente prima la giovane e poi il fratello. Uscire insieme? Quei due uscivano insieme? Era contento per entrambi, ma temeva l'esplosione, non poco.

 

Sherlock batté piano le palpebre. Di tutte le persone, suo fratello. Non un'amica o qualcosa del genere. Suo fratello. Di peggio c'era solo che uscisse con Jawn.

 

“Non esco solo con te, ne sei cosciente, vero?”. Non intendeva per forza come due che si frequentano, ma anche solo come amici.

 

“Mi avevano sempre detto che si esce con una sola persona per volta” romanticamente puntualizzó il consulente investigativo. Speravo di essere unico ai tuoi occhi omise.

 

“Ma è stupido da pensare. Con tuo fratello ci vedevamo già da tempo. E così anche con Greg e John.” era chiaro che la ragazza non aveva capito l'accezione romantica che il detective dava alle sue parole.

 

Nell'espressione di Sherlock qualcosa si ruppe. “Esci con mio fratello come con me?” domandò in un fiato.

 

“Che?” era molto molto confusa. Ma che cavolo aveva capito Sherlock?!

 

Sherlock si alzò, appena rigido e si recò alla finestra. “Va bene”

 

Mycroft non voleva intervenire. Non era nella posizione per farlo.

 

“Sherlock?” Matilde gli corse vicino. Era un pezzo di ghiaccio, si vedeva lontano un miglio. Si accostò a lui “Mi dici che succede?”.

 

“Esci con mio fratello come con me” ripeté piano il consulente investigativo.

 

“Io non ho detto questo. Lo stai dicendo tu ora.” non sopportava quando le venivano messe le parole in bocca. Non usciva con Mycroft, almeno non in quel senso.

 

“Ho chiesto, hai confermato"disse solo.

 

“Non ho confermato un bel nulla.”. La ragazza incrociò le braccia seccata. Ma doveva mettere su una tale scena per di più davanti a un terzo?? E per di più non stavano nemmeno insieme. Già si iniziava male.

 

“Bene. Frainteso” dammi il tempo di farmela passare affermò dunque il giovane. Non poteva avere una discussione il primo giorno in cui uscivano...

 

“Io torno a casa.”. Diede un leggero bacio sulla guancia a Mycroft e se ne andò salutandolo con un gesto della mano appena accennato. Aveva fatto un errore a dir di sì quella mattina. Non sarebbe più capitato. Si strinse nelle spalle per non andare in pezzi  mentre apriva la porta per uscire dalla sala.

 

Sherlock rimase immobile a pensare per ore intere. Gli sembrava di non essere tarato per le relazioni. Gli sarebbe passata, ipotizzò. Era un difetto della parte perdente, un difetto sfortunatamente comune, constatò.

 

Matilde prese un taxi e tornò a casa. Voleva affondare nel piumone e dimenticare tutto. Aprì il portone e subito il suo gatto le diede un caloroso benvenuto, uno sguardo di sfuggita e un miagolio affamato. Non aveva la forza di litigare anche con Alan. Si butto sul divano.

 

Sherlock rimase immobile per svariate ore ad analizzare e rianalizzare la situazione. Un fraintendimento? Probabile. Ma dove? Da che parte? Di che cosa? Non voleva discutere, non con lei. Poteva persino prendere in considerazione l'idea che la responsabilità fosse condivisa.

 

Si era addormentata in fretta mentre guardava un programma di cucina. Niente pranzo, voleva solo riposarsi.

 

Il sole stava ormai calando quando Sherlock uscì dalla sala e dal maestoso palazzo. Non aveva capito. In che altro senso si poteva uscire con una persona? E poi lei aveva confermato… si recò a casa. Forse Jawn lo avrebbe potuto aiutare…

 

John era seduto sulla propria poltrona col computer sulle ginocchia. Stava scrivendo quando il suo coinquilino entrò in casa. “Ciao Sherlock”

 

“Jawn” rispose solo l’altro, ancora pensoso. Davvero non capiva dove stesse il problema.

 

Quel tono non gli piaceva per nulla, sapeva di guai. “Cosa hai combinato Sherlock?” chiese chiudendo il computer.

 

A Sherlock non rimase che riassumere brevemente i fatti delle ore precedenti. Problemi con l’emotività, doveva chiedere a Jawn. Logico.

 

Il medico fece un grande respiro. L'amico aveva l'incredibile capacità di essere un completo disastro in materia umana. Gli spiego con estrema pazienza che forse aveva frainteso e come funzionano i diversi piani di relazione fra due persone.

 

“E quindi? Adesso?” gli domandò ancora. Sapeva di non capire gli esseri umani ed i loro difetti di produzione. “Soluzione?” sei tu l'esperto in materia, Jawn, non io.

 

“Ripeti, com'è andata via?”

 

“Senza salutarmi, con le braccia strette qui e qui” rispose didascalico il detective, mimando il movimento, elegante.

 

“Questo è come un caso da otto almeno. Lo capisci?” rispose sconsolato.

 

“Da otto? Ma è viva! E poi usciamo solo da un giorno…” fu la perplessa risposta del detective.

 

John rise “E tu vuoi dirmi che in un unico giorno sei riuscito a farle girare così tanto le palle da farla diventare così?! Sei un talento!”

 

“Siamo amici da anni… credo… ma usciamo solo da un giorno, si” confermò il moro. Non si raccapezzava sulla reazione della ragazza. Per nulla. Era una pagina bianca e questo lo innervosiva e non poco.

 

“Sherlock, se mi avessi ascoltato durante una delle lezioni, sapresti che se una donna esce da una stanza con le braccia incrociate vuol dire che l'hai combinata grossa sul serio e che sei a rischio espulsione.”

 

“Non hai risposto alla domanda” riprese imperterrito il detective.

 

“E quindi adesso, amico mio, devi farti perdonare se non vuoi perderla non solo come fidanzata, ma anche come amica.” rispose serafico John. Si alzò dalla poltrona per preparare un the per entrambi: per sé per sopportare Sherlock e per lui per trovare il nodo della matassa.

 

“Pilato” commentò piccato Sherlock, affondando nella propria poltrona, accoccolato su se stesso. “The escluso.” L’aveva portata a Buckingham palace ed era stato un disastro, quindi era escluso. “Cioccolata dentro esclusa” non la sapeva fare e più probabilmente avrebbe fatto esplodere la cucina “Caso” esclamò infine illuminandosi. Non aveva minimamente badato al proprio the -non sapeva nemmeno se lo avesse bevuto distrattamente oppure se lo avesse lasciato dove stava, intonso. Gli sembrava la soluzione ideale. Un caso. Adrenalina. Cervello. Era importante per entrambi. Sì, l’idea gli piaceva.

 

John tornò col the in salotto. “Ecco, tieni” gli porse la tazza.

 

Come immaginabile, il giovane non lo considerò minimamente, perso nei propri pensieri e nelle proprie riflessioni. Il caso presentava un unico problema: sfortunatamente non poteva uccidere qualcuno a suo piacimento. Sarebbe stato il suo secondo passatempo preferito in assoluto, altrimenti.

 

Il telefono squillò. John rispose e dopo un paio di minuti concluse la telefonata. “Ehi, detective da strapazzo, c'è un caso per te”

 

“Caso?” Holmes si illuminò d'immenso. Era perfetto. semplicemente perfetto. Prese il telefono e scrisse all'amica. No, fidanzata. No, compagna. No, persona-con-cui-stava-uscendo. Matilde.

《Caso in》 inserì l’indirizzo preciso《Anderson non c’è -SH》

Ciò detto, scese le scale e salì sul primo taxi di gran fretta, dando per assunto che l’amico avesse intuito i suoi piani in autonomia.

 

Matilde era già sulla scena del delitto, stava facendo cena con Gregory: un hamburger e una birra, niente di speciale, ma sempre gradito. L’ispettore era uno dei suoi migliori amici, sempre pronto a tirarla su di morale.

 

Sherlock arrivò esattamente di fronte al locale. Naturalmente li notò all’istante e seppe che i suoi piani di perdono non erano così lontani dall’infrangersi. Avrebbe provato -provato!- a non risolvere il tutto in poco tempo, ma a lasciarla lavorare. Bussò piano al vetro e salutò i due, trattenendo il fastidio e ricordandosi molteplici volte che i due erano solo amici. Grandi amici, ma amici, appunto.

 

Quando la ragazza lo vide bevve un sorso di birra, sconsolata. “Greg, ti prego, dimmi che sono ubriaca e tu non lo vedi alla finestra”

 

“No cara, non vedo Sherlock alla finestra” sorrise Greg, amichevole. “si sta anche sforzando di salutare… credo di essere praticamente commosso” ammise scherzoso l’ispettore.

 

“Non fa ridere Greg, non fa ridere.”. Si alzò sconsolata. “Non ho voglia di lavorare con lui”

 

“Per oggi?” le domandò l’uomo di fronte a lei, comprensivo “Sherlock non è una persona facile, lo sappiamo, ma credo vedrai la sua voglia di farsi perdonare da questo caso”

 

“Non voglio vedere la sua voglia di perdonare. Mi illude e basta. Non posso combattere sempre contro i mulini a vento.”

 

“Provaci. Credo siate importanti uno per l’altra” consigliò, straordinariamente serio “non sarà facile, ma credo ne varrà la pena”

 

“Tanto non ho scelta.” disse alla cassa prima di pagare per entrambi.

 

“Mi permetti di offrirti la cena per favore? Almeno col cuore affranto” cercò di sdrammatizzare ancora una volta, prima di uscire sulla scena del crimine.

 

“No, sono una gentil donna”. Matilde lo seguì nel freddo londinese. Si strinse nella sciarpa calda e chiuse bene il cappotto. Si infilò i guanti cercando inutilmente di scaldarsi.

 

Sherlock era già sulla scena, intento ad osservare e dedurre le possibilità degli eventi. Quando notò i due nuovi arrivati, in un gesto che stupì anche se stesso, mise la propria sciarpa alla ragazza, notandola infreddolita. Senza una parola. Rimase così per alcuni minuti, come se non avesse fatto quel passaggio, poi si decise a scandire il gioco è “tuo”

 

La ragazza deglutì a vuoto nel sentire la sciarpa dell'amico sul collo. Se la tolse è gliela lasciò in mano “Non mi serve”. Si accovacciò a terra vicino al morto: analizzó tutto, dall'abbigliamento, ai documenti, alle ferite, tutto.

 

“Cosa ne pensi?” domandò riappoggiandole la sciarpa al collo, delicato. Sperò che apprezzasse quantomeno l’impegno.

 

Se la tolse di nuovo con un gesto stizzito “Ti ho detto che non la voglio.” si alzò di scatto in piedi.

 

“Hai freddo” sottolineò logico il moro. Non aveva mai sentito tanto…. spirito di protezione? Per qualcuno. Mai nella sua intera esistenza.

 

“Il mio freddo non è una cosa che ti deve riguardare.” caustica. Non c'era altro modo per descrivere il suo tono. “Ognuno lavora per sé, come all'inizio di tutto.”. Tirò fuori dalla tasca penna e agenda e incominciò a scrivere le sue osservazioni.

 

“Basta tanto poco?” domandò amaro. Per il giovane era un fallimento. Un grande fallimento. Aveva perso il un istante un’amica e la ragazza che gli piaceva per una cosa che non aveva capito? Era frustrante. Terribilmente. Adesso si ricordava perchè aveva lasciato perdere i contatti umani seri quando era solo un bambino. Perché faceva male, bastava pochissimo perchè tutto andasse in frantumi. Era morto due volte per Jawn e mrs Hudson. lo avrebbe fatto anche per lei, ma forse lo stava già facendo un po’.

 

La frustrazione era alle stelle. Lo stava odiando a dir poco. “Non è questo il luogo adatto dove parlarne, Sherlock.” asciutta, concisa e precisa.

 

“Bene, ti lascio lavorare allora, detective.” commentò solo, asciutto, facendo un passo indietro.

 

Lestrade rimase pietrificato dalla situazione. Sherlock Holmes stava rinunciando ad un caso vicino a Natale? Cosa stava succedendo? Il mondo sarebbe crollato l’indomani? In ogni caso la questione era più seria di quanto avesse preventivato da ambo le parti.

 

Matilde non si scompose. Terminò il suo lavoro e consegnò a Lestrade tutte le informazioni necessarie alla cattura del criminale dopo appena un paio di ore: lavorava meglio se arrabbiata. In realtà era rimasta sconvolta anche lei dal gesto del detective, non era mai capitata una cosa del genere. Rimase in silenzio, non doveva illudersi.

 

Per quelle due ore, Sherlock rimase in assoluto ed impegnato silenzio. Aveva deciso che non sarebbe entrato nel caso per lasciarlo a Matilde e così avrebbe fatto. Si limitò a guardarla all’opera. Aveva grazia. I suoi pensieri si cristallizzarono per un momento. Lei aveva cosa? Lo aveva pensato davvero? Doveva darsi malato? Probabilmente sì. Sì, sarebbe stata la cosa successiva che avrebbe fatto. Darsi malato. In fondo era così che si sentiva. Malato di quella giovane che aveva una stanza nel suo palazzo mentale.

 

Una volta salutato Greg, tornò davanti al detective con uno sguardo minaccioso tra il fuoco ed il ghiaccio. “Volevi parlare? Parliamo.” Dato che aveva una così gran voglia di mettere a posto le cose, ora gli stava concedendo un'opportunità per parlare. Le braccia erano incrociate e i piedi erano paralleli e ben fissi al suolo.

 

In un luogo tranquillo -non era intenzionato a dare alla Donovan mezzo minuto in più della sua vita- guardò Matilde negli occhi, fermo e deciso “Se riferirai a qualcuno di diverso da Jawn o Lestrade, negherò fino alla morte, sappilo.” ciò premesso, mile la giovane a parte delle sue precedenti riflessioni, senza pause, senza respiri e senza abbassare lo sguardo. quasi senza battere le ciglia, nel timore di essere interrotto

 

Arrivato nell’appartamento, il detective si prese qualche istante per osservarlo. Era sempre stata la giovane a raggiungerlo. Lui, dal canto suo, non era mai entrato nella sua dimora. Ci abitava un’altra persona, ne era certo. Tornando a concentrarsi, notò una miriade di dettagli che parlavano di Matilde. Era affascinante in qualche modo.

 

“Bene, parla” due parole che volevano dire  tutto.

 

“Ti amo, ho sbagliato. Scusa.” le parole uscirono a fatica, non naturali, ma sicuramente sentite, poi tacque.

 

Le mancò il fiato. Aveva gli occhi lucidi se li sentiva, i polmoni che non facevano più il loro lavoro come avrebbero dovuto. Doveva rimanere solida, non doveva crollare. Probabilmente Sherlock aveva calcolato tutto. Le avrebbe detto quelle parole, che erano così cariche di significato per le altre persone tranne che per lui e lei sarebbe crollata ai suoi piedi, scusandosi e pregandolo di tornare con lei. Non sarebbe caduta nella trappola. Tagliente lo guardò e gli disse solo “Sei uno stronzo… ”

 

“Lo so, ma è vero” ribadì convinto. Aveva cercato cosa fosse quel fantomatico amore, innamoramento ed analoghe come una malattia. Ne aveva analizzato i sintomi e vi si era riconosciuto, ne aveva parlato col medico -Jawn- ed aveva avuto conferma. Era rimasto con quelle parole cucite nelle labbra per tutto il caso.

 

“E pensi davvero che io mi beva questa cosa?” la credeva davvero così stupida? Se così era allora non era proprio quello giusto per lei.

 

“Non mi aspetto nulla in particolare. Fanne quello che vuoi.” Specificò Sherlock. Era sincero, ma non si aspettava nulla in particolare. O meglio: si aspettava che le scuse venissero prese in considerazione, ma null'altro. Ciò nonostante, fastidiosamente, gli dispiaceva.

 

“Sei uno stronzo” gli si avvicinò la giovane.

 

“È rilevante?”

 

“Arrogante”

 

Il giovane rimase in attesa. Se l'intenzione era di coprirlo di insulti, l’avrebbe lasciata finire.

 

“Sfacciato” la ragazza continuava ad avanzare verso di lui, imperterrita. “Presuntuoso, infantile, irrispettoso.” proseguiva nella sua invettiva, concitata.

 

Quando Sherlock se la trovò contro il petto, le sue braccia agirono in autonomia: la strinse a sé delicato, ma solido. Sarebbe bastata una piuma a spostarlo, ma un elefante avrebbe fallito a strappargliela.

 

“Ti odio” in un sussurro arrabbiato.

 

“Io no.” constatò ovvio il detective.

 

“Ti odio…” le loro labbra erano di nuovo vicine. Da quella lieve distanza le si potevano vedere gli occhi lucidi e feriti, ma carichi. Lo amava e al tempo stesso odiava il fatto di amarlo.

 

“Posso?” baciarti? La sentiva vibrare fra le sue braccia e quello non sembrava uno sguardo di odio. Per nulla. Era bello da guardare, si rese conto dopo un paio do istanti. Come un caso interessante.

 

“Non si chiede…” di nuovo una premura da novellino. “Certe cose non si chiedono e basta, o si fanno o non si fanno.”

 

Non si doveva chiedere? Bene, lo avrebbe fatto senza chiedere. Delicato come col suo violino, la  baciò, ardente, come se ne andasse -ne andava, realizzò- della sua vita.

 

Matilde gli si strinse al petto ricambiando il bacio. Voleva sentirlo con tutto il suo corpo, voleva essere una cosa sola con lui. Vibrava fra le sue braccia. Tutta la tensione la stava lasciando e la stanchezza della giornata si faceva sentire.

 

Impacciato, il giovane la guidò verso il letto, non perché avesse chissà quali intenzioni, ma perché la vedeva stanca. Al contempo però non riusciva a staccarsi dalle sue labbra. Era la sua banhoff pie. Non gliene bastava una fetta. Voleva tutta la torta.

 

La ragazza si lasciava guidare dalle braccia del fidanzato. Si fidava di lui e lo desiderava in ogni accezione possibile.

 

Quando si trovò al letto, il giovane accompagnò la ragazza a stendersi e le si sistemó di fianco. “Cosa vuoi fare?”

 

Non gli rispose. Si limitò a stringerlo a sé e a baciarlo.

 

Sherlock la strinse a sé “Ho caldo” constatò, ma senza malizia.

 

La detective lo guardò ovvia “E allora spogliati”

 

Il giovane rimase in camicia, sollevato. “Vuoi dormire?” domandò. La vedeva veramente esausta.

 

Le gambe lunghe e snelle del ragazzo le sfioravano il fianco. Era fuoco ovunque ci fosse contatto fra i due corpi. La luce dei lampioni sulla strada sfiorava delicatamente i ricci corvini che ricadevano morbidamente sulla fronte del giovane. Ogni movimento, anche il più lieve, era messo in risalto dalla camicia viola, la stessa che aveva fatto crollare molte all'insaputa di lui. Era così bello…

 

Sherlock strinse Matilde a sé. Stava bene. Non si annoiava e la osservava. Non aveva mai fatto caso a quanto quegli occhi verdi fossero attivi e vivi, di quanto quella pelle fosse liscia e reattiva agli stimoli.

 

“Non esco con tuo fratello, cretino” sussurrò rilassata.

 

Il detective rilassò le spalle, che non si era accorto di avere ancora tese e rinsaldò la presa. Aveva davvero temuto la rivalità del fratello. L’aveva temuta conoscendone -anche se non gliele avrebbe mai ammesse- le capacità.

 

“Mycroft è carino e intelligente., non c'è dubbio, ma non esco con due persone contemporaneamente. Non lo farei mai.”. Era sincera.

 

Il giovane la strinse piano, comunicandole tramite quello i propri timori ed il proprio sollievo. “Lo faresti?” usciresti con mi fratello, se non uscissi già con me, vero?

 

“Così su due piedi non saprei, è un uomo che mi ha sempre affascinata. Anche Greg è molto simpatico. Non so con chi sarei più affine”

 

“Sono parziale” non mi chiedere di dirti con chi di diverso da me starei meglio, non ci riuscirei fece notare il detective, percorrendo piano la schiena della giovane. Era una cosa alla quale non avrebbe voluto, oltre che saputo rispondere.

 

“Invece che chiedermi se uscirei con tuo fratello se tu non ci fossi, pensa a come non perdermi. Mi hai già, devi difendermi, ora”.

 

Mh. la domanda a quel punto era: come? Decise di esplicitare il proprio dubbio. Era decisamente un novellino in materia.

 

“E io che ne so?” rispose semplicemente.

 

“Dopo” adesso siamo insieme, penseremo dopo agli altri.

 

Con un grosso sbadiglio si strinse a lui. Era stanca morta.  “rimani con me?”

 

“si” fu la sola pacifica risposta. Non era una cosa che gli fosse mai successa. Si sistemò fra le lenzuola togliendosi la camicia -non avrebbe dormito con la sua camicia preferita!- e si avvolse contro la ragazza.

 

Matilde sorrise e si addormentò col suo profumo che la avvolgeva.

 
   
 
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