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Autore: nattini1    26/01/2019    8 recensioni
"Anche se la loro vita era fatta di momenti di stanchezza, di sofferenza, di sconforto, di pericolo, Dean non mancava mai di fargli dono di ogni più piccola attenzione e di un amore incondizionato. Sam non avrebbe voluto essere un peso per lui, non avrebbe voluto essere uno sbadato compagno di caccia. Doveva fare qualcosa per ricambiare".
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

 

Mayville, Wisconsin

24 gennaio 1996

 

Quel pomeriggio al Beaver Dam Community Hospital prometteva di essere di tutto relax visto che la radio collegata alla centrale di polizia ronzava quieta in un angolo, come un gatto che sonnecchiava facendo le fusa, e non accennava a destarsi per dare notizia di pazienti in arrivo. Il dottor Diego Silva Hernandez aveva appena iniziato il suo turno in pronto soccorso, quando entrò un ragazzo che cingeva con dolcezza le spalle di un bambino. Entrambi sembravano reduci da un tuffo nel fango, ma era una cosa normale in quella stagione, caratterizzata da precipitazioni e notevoli escursioni termiche che favorivano il crearsi di pozzanghere ai lati delle strade che gli automobilisti puntualmente centravano, schizzando i pedoni. Il più grande indossava una giacca di pelle e l’altro una giacca dal taglio militare aperta su una camicia di flanella, che sembrava morbida e spessa, ma che era palesemente ancora troppo grande per lui. Sarebbe dovuto crescere ancora un po’ per riempirla tutta.

“Eravamo andati a pattinare e mio fratello è caduto per terra, credo abbia un polso rotto” disse il più grande con una nota di urgenza nella voce.

Il medico si fece avanti con solerzia per esaminare il paziente, rivolgendosi direttamente a lui: “Salve, sono il dottor Silva Hernandez. Adesso vedremo dove ti fa male, giovanotto. Come ti chiami e quanti anni hai?”.

“Sam Winchester. Ho quasi 13 anni. Non fa molto male, signore, e riesco anche a muoverlo un po’, ma Dean ha insistito per portarmi qui” affermò il bambino con un tono composto e tranquillo che il dottore aveva sentito raramente usare a quell’età e in quelle situazioni.

Dean sbuffò: “Lascia che il dottore ti visiti!”; poi sfilò la manica della giacca dal braccio sano del fratello e, con cura, quella dal braccio malandato. Slacciò il bottone sul polsino della camicia e arrotolò la manica scoprendo l’avambraccio, guadagnandosi un’occhiataccia da Sam che sembrava dire: “Guarda che ce la faccio anche da solo”.

Quando il medico gli prese il braccio, che era visibilmente gonfio, lo sentì sussultare; anche se Sam non si lasciò sfuggire nessun suono, subito il fratello gli mise una mano sulla spalla con fare protettivo. Doveva fare molto male, ma il bambino sembrava non voler dare preoccupazioni al fratello o ostentare un atteggiamento da adulto.

“Ha fatto molto bene a portarti: credo che abbia ragione e sia rotto. Faremo delle lastre” concluse il medico.

Calcolò a occhio che Dean doveva essere a cavallo della maggiore età, ma forse ancora non l’aveva raggiunta e aggiunse: “Forse dovreste avvertire i vostri genitori”.

Dean si irrigidì e contrasse la mascella: “Nostro padre è via per affari, bado io a lui! Lo chiamerò più tardi quando sapremo cos’ha Sam”.

Il medico assentì: il ragazzo sembrava molto sicuro di sé, avvezzo a prendere decisioni in fretta e comunque l’infermiera addetta alla segreteria avrebbe controllato la loro assicurazione sanitaria e l’età del ragazzo. Portò Sam nella stanza dove facevano le radiografie, gli posizionò il braccio sotto la macchina e invitò Dean a uscire, ma il ragazzo si rifiutò: “Resto qui, non credo che diventerò fosforescente!”.

Il medico non protestò, dopotutto la quantità di radiazioni era davvero esigua e magari al bambino, nonostante l’atteggiamento stoico, avrebbe fatto piacere un po’ di compagnia. Aveva anche la sensazione che il fratello più grande si sentisse in colpa per quello che era successo; il padre gli aveva affidato il fratello più giovane di cui probabilmente si sentiva responsabile e si stava di certo rimproverando per averlo portato a pattinare. Erano cose che potevano succedere, gli incidenti capitavano quando i ragazzi giocavano, nessun padre si sarebbe arrabbiato. Anzi, Silva era certo che avrebbe potuto dispiacersi per aver lasciato i figli da soli e avrebbe rimproverato solo se stesso.

Il dottor Silva ritornò nella sala e spiegò che, per confermare la diagnosi, sarebbe stato necessario fare una radiografia anche dell’arto non colpito dal trauma, poiché nei giovani in crescita le ossa presentano le cartilagini di accrescimento, che vanno valutate avendo come riferimento l’arto sano. Fu colpito dall’attenzione con cui Dean lo ascoltava, anche se non era certo che avesse capito del tutto: di solito i più grandi consideravano i piccoli e tutto il tempo che facevano perdere una seccatura, ma non era certo questo il caso. Ancora una volta, il fratello maggiore volle restare.

Fatte le lastre, li fece accomodare in attesa della valutazione. Quando tornò dopo poco, accompagnato da un’infermiera con lunghi capelli rossi e un bel sorriso, per dare loro il responso, Dean stava scompigliando i capelli al più piccolo (che lo guardava con occhi adoranti) e diceva: “No Sammy, non mi hai rovinato il compleanno! Non mi dispiace aspettare qui: non hai visto quante infermiere carine ci sono?”.

Il dottor Silva sorrise tra sé: era bello vedere due fratelli così uniti, poi tossicchiò per attirare la loro l’attenzione: “C’è una frattura meta-diafisaria distale del radio, cioè di quella parte dell’osso che sta a circa un cm dall’articolazione. Purtroppo, la frattura è scomposta e quindi è necessario riallineare i frammenti per ricostituire un’anatomia dell’osso normale e ridurre al minimo le complicanze legate a una guarigione scorretta. Quindi faremo una manovra che porti a riallineare i frammenti”.

“Non sembra una cosa divertente” disse Dean.

Il dottor Silva confermò: “Infatti non lo è”. Poi aggiunse con tutta la professionalità e autorevolezza di cui disponeva: “Gli farà male, quindi stavolta tu dovrai uscire: non voglio che ti senta male e non voglio che l’infermiera debba distogliere l’attenzione dal paziente per badare a te!”.

Dean fece una smorfia, a metà tra un sorriso divertito e uno di rassegnazione: “Ho visto di peggio. Se vuole che esca, mi dovrà trascinare fuori e non creda che sia una cosa semplice”.

Il medico provò una spiacevole sensazione, come se la frase non fosse la sbruffonata di un ragazzo, ma la minaccia di un uomo che sapeva il fatto suo; non si oppose e si accinse a fare la manovra di riduzione con l’infermiera. Dean si mise saggiamente fuori dai piedi per lasciare al medico campo libero, ma non staccò nemmeno un secondo gli occhi dal viso del fratello, facendogli coraggio: “Forza Sammy, vedrai che sarà questione di un attimo. Stringi i denti, io sono qui”.

Come era prevedibile, Sam urlò, ma, contrariamente alle nefaste previsioni del dottor Silva, Dean non diede il minimo segno di crollare. Terminata l’operazione, il dottore fece i complimenti a Sam per come si era comportato. Dean non disse nulla, ma fece una carezza al fratello, che andò incontro alla mano che si posava sulla sua guancia come se fosse un gesto abituale, cosa che probabilmente era.

Gli misero un gesso e poi il dottore gli spiegò: “Tra una decina di giorni tornate per un controllo radiografico per vedere che, una volta ridotto il gonfiore del polso, il gesso sia ancora in grado di mantenere le ossa in posizione. Tra quattro settimane toglieremo il gesso; potresti sentire il polso rigido e limitato nei movimenti e sarebbe utile fare della fisioterapia. Muovi spesso le dita per favorire la circolazione e non sforzare il braccio”.

“Tornerà a posto?” chiese Sam con apprensione.

Il medico spiegò: “Le fratture dei bambini hanno un rimodellamento nel tempo che le fratture degli adulti non hanno, soprattutto quelle para-articolari, ne consegue che alcune deviazioni minori residue verranno spontaneamente corrette durante il periodo della maturazione scheletrica”.

“In parole chiare?” domandò Dean spalancando gli occhi strappando un sorriso al fratello.

“Guarirà perfettamente” semplificò il dottore.

Dean sembrò rilassarsi.

“Grazie!” disse Sam.

Dean prese la giacca e aiutò il fratello a indossarla. C’era un’infinita tenerezza nel modo in cui il fratello maggiore si prendeva cura del piccolo: lo faceva in una misura in cui non era necessario, né dovuto. Era un continuo di più. Guardandoli uscire dal pronto soccorso il dottor Silva sorrise, soddisfatto del suo lavoro e certo che il piccolo paziente sarebbe stato accudito nel migliore dei modi. Pensò che sarebbe stato bello avere ancora quell’età, quando la cosa peggiore che poteva succedere era ricevere una sgridata dal padre o rompersi un braccio pattinando sul ghiaccio.

 

***

 

“Scusami Dean, è stata tutta colpa mia…” cominciò Sam appena furono in macchina lontano da orecchie indiscrete.

“Smettila!” lo interruppe Dean. “Il Kuo-Toa era ricoperto da quella specie di bava schifosa che lasciava ovunque, anche io ho fatto fatica a restare in piedi! Avrei dovuto farlo fuori più in fretta, prima che ti facessi male!”.

Sam resistette all’idea di alzare gli occhi al cielo: come sempre, se c’era una colpa, Dean pretendeva di assumersela tutta. Nei prossimi giorni sarebbe stato asfissiante: prima aveva persino cercato di aprirgli la portiera per farlo salire in macchina.

Sam non si sbagliava: quando, tornati al motel, cercò di prepararsi un sandwich, ogni suo movimento fu seguito dagli occhi carichi di apprensione di Dean, pronto a intervenire se non fosse stato in grado di impilare pane, lattuga e carne. Appena ebbe qualche difficoltà nello spalmare la maionese e il ketchup, il fratello si alzò, gli tolse il pane dalle mani e terminò l’operazione. Sam accantonò in un angolo della mente il pensiero di quello che sarebbe successo quando sarebbe arrivato il momento di lavarsi; suo fratello non avrebbe preteso di aiutarlo, vero?

Terminato di mangiare, Dean sottolineò, con la sua aria più disinvolta, come avessero bisogno di una doccia; Sam cercò di essere il più autonomo possibile, saltellando per la camera scalciando via pantaloni, mutande e calzini e sfilando la camicia con difficoltà, ma con successo; dovette però cedere e lasciarsi aiutare da Dean quando si trattò di togliere la maglietta in cui era rimasto incastrato. Accettò che il fratello gli infilasse il gesso in una busta di plastica e annunciò che poi avrebbe proseguito da solo; lavarsi con una mano sola non fu complicato, ignorando i commenti di Dean al di là della porta sui suoi capelli troppo lunghi e sul fatto che avrebbe dovuto mangiare più hamburger. Quando finì, trovò il fratello ad aspettarlo con un asciugamano che gli avvolse attorno. Sam cercò di ammantarsi di un po’ di dignità affermando che non ce n’era bisogno, ma Dean respinse le sue poteste con un sorriso e strofinandogli i capelli con forza. Alla fine Sam si lasciò aiutare a vestire, pensando che sarebbe stato meno umiliante lasciarsi vestire come un bambino piuttosto che cercare inutilmente di allacciare dei bottoni con una mano.

Dean non diceva mai nulla o chiacchierava solo di stupidaggini, ma in ogni suo gesto lasciava trasparire un’infinita tenerezza, l’unica che Sam aveva conosciuto. Anche se la loro vita era fatta di momenti di stanchezza, di sofferenza, di sconforto, di pericolo, Dean non mancava mai di fargli dono di ogni più piccola attenzione e di un amore incondizionato. Sam non avrebbe voluto essere un peso per lui, non avrebbe voluto essere uno sbadato compagno di caccia. Doveva fare qualcosa per ricambiare e approfittò dei dieci minuti in cui Dean era sotto la doccia per accendere la tv a tutto volume e sgusciare fuori dal motel fino al negozio all’angolo per comprare la fetta di torta più bella che avessero. Era tornato in fretta e l’aveva messa, con qualche difficoltà, vista l’impossibilità di usare entrambe le braccia, su un piatto. Poi si era ricordato delle candele e aveva messo sulla torta l’unica che aveva a disposizione, anche se era alta una spanna, grossa vari centimetri e di un viola inquietante, appena in tempo prima che Dean uscisse dal bagno.

“Buon compleanno!” disse speranzoso.

Dean vide la torta, la candela accesa e sorrise.

“Esprimi un desiderio!” esclamò entusiasta Sam. Bobby una volta gli aveva raccontato che l’usanza di festeggiare i compleanni con torte decorate con le candele risaliva agli antichi greci, che credevano che il fumo trasportasse in cielo fino agli dei i desideri.

“Una candela per le evocazioni, sul serio?” rise Dean.

“È l’unica che ho trovato!” si scusò Sam.

Dean guardò il fratello con un misto di divertimento e dolcezza e soffiò sulla candela.

Diversamente da Sam, ricordava anche l’altra parte della storia di Bobby sui compleanni: fare dei regali a qualcuno che si amava proteggeva chi li riceveva, ma chi soprattutto chi li donava.

 

 

NdA

 

Ciao a tutti! Il 24 Gennaio Dean Wincester ha compiuto 40 anni e in quello stesso giorno un'altra persona ne ha festeggiato qualcuno in meno. Questa storia è per lei, che organizza sempre tanti eventi e non mi fa mai sentire sola! Spero di aver regalato a lei e a chi legge un bel momento!

 

 

   
 
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