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Autore: vale21    29/01/2019    1 recensioni
Kris e Susie spendono i loro pomeriggi insieme, condividendo pranzi e il loro mondo delle ombre. Chara mette zizzania, e la nostra povera Susie si ritrova sola...
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU, Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Niente – non una conversazione, non una stretta di mano e neppure un abbraccio – fonda un’amicizia con tanta forza come mangiare insieme.
(Jonathan Safran Foer)
 
 
 
“Kris?” domandò Susie. “Che cosa stai leggendo?”

Era un foglio stropicciato che Kris aveva trovato in cartella. Non era nulla di che. Un piccolo poema che gli aveva scritto Chara.

Susie sbadigliò ampiamente, i denti che sembravano stranamente innocui. “Allora, che si fa oggi?”

La stanza dei giochi era semibuia. C’erano carte da poker sparse a terra e almeno tre puzzle. Kris aveva perso del tempo a insegnare a Susie a giocare a scacchi, ma alla fine era diventato noioso anche per lui. Così avevano messo via gli scacchi e avevano giocato due buone ore a dama. Qualsiasi riferimento a “mangiare”, che fosse cibo o pedine, interessava Susie più di ogni altra cosa.

Ma adesso non sapevano che fare. Kris se ne stava seduto su un vecchio banco appoggiato al muro, le lunghe gambe che penzolavano dalla superficie verde. Susie intanto aprì una delle ante dell’armadio in fondo all’aula. Il suo stomaco brontolò rumorosamente.

“Neanche un gesso…” disse, sbattendo rumorosamente lo sportello di metallo.
Kris le chiese ironicamente se aveva fame. Susie si voltò con aria afflitta, la schiena ingobbita.
“No, non è nulla. Ho già mangiato tre volte oggi.”
Kris scese con un balzo dal banco. Poi andò al suo zainetto (gettato a terra in un angolo con quello di Susie, come se fosse la cosa più inutile al mondo) e tirò fuori un contenitore tupperware. Dentro c’era una porzione capace di sfamare una famiglia intera a base di insalata di riso. Poi estrasse un panino al tonno e maionese che aveva avvolto personalmente nell’alluminio e un mucchio di bustine di ketchup trafugate dalla mensa. Queste ultime caddero sul pavimento con un piacevole fruscio plastico.

Susie, alla vista del cibo, gli si avvicinò incuriosita. Kris, accucciato a terra con il panino incartato in bocca, le porse tutta la terrina di riso. Susie lo guardò stupefatta.

“L’ha fatta tua mamma?”

Kris annuì. Era per lei. Poi poteva avere un morso del suo panino, se voleva. E inoltre…
Kris aprì un’altra zip dello zainetto per estrarre un piccolo contenitore di alluminio con due fette di torta al caramello e cannella, con la panna sopra un po’ schiacciata dalla pellicola che le ricopriva. Kris disse che una era per lei.
“Kris!” esclamò Susie. “Ma tua mamma ha cucinato tutta questa roba anche per me? Che razza di persona è che cucina per una che non è sua figlia? Non esiste nessuno così…” Appoggiò la terrina accanto a Kris con estrema riluttanza. “Scusa, ma non posso accettarlo.”

Kris la guardò per qualche istante. Stranamente, lei stava ricambiando il suo sguardo come per ricevere il permesso di mangiare tutto lo stesso. Kris scosse la testa, dicendo che sua mamma non sapeva niente di Susie. Aveva cucinato il cibo solo per lui. Susie, dapprima sorpresa, scoppiò a ridere.
“Cosa?” chiese ironicamente. “E come mai non si è chiesta perché non hai preso un etto?” Susie si chinò a pizzicargli un fianco. “Sei pelle e ossa, bello. Si sarà chiesto che razza di metabolismo hai.”

Kris aveva detto a sua mamma che stava crescendo, il che era pure vero. Inoltre, era bastato aggiungere che aveva i crampi dalla fame durante le lezioni e che la vista gli diventava tutta sfocata. Il giorno dopo si era ritrovato talmente tanto cibo nello zaino che pensò ne sarebbe servito un’altro per i libri.

Kris si alzò e le porse nuovamente il contenitore straripante di insalata di riso.

“Beh,” disse Susie. “Suppongo che non abbia proprio scelta?” Così questa volta accettò, e i due cominciarono a mangiare. O meglio, Susie più che mangiare cominciò ad ingurgitare il cibo tipo aspirapolvere. Kris non l’aveva mai vista consumare un pasto normale insieme agli altri. Spesso non aveva neanche i soldi per pagarsi il buono per la mensa. Andava sempre in giro coi jeans strappati, ma più per l’usura che per moda. Il suo zaino era sporco e rattoppato. Anche quel giorno, notò Kris, portava una felpa grigia sotto un lungo cappotto scuro, che probabilmente non cambiava da settimane. Così alta e muscolosa e vestita in quel modo, era difficile definire se era un maschio o una femmina. Ma Kris sapeva che era il suo cioccolatino liquoroso all’interno, e non c’era cosa che lo consolava di più nelle lunghe giornate d’inverno a scaldare la sedia in classe.

Susie indicò la fetta di torta con un artiglio e Kris annuì, piegando la testa leggermente di lato. Appena diede un morso alla crosta dura della pasta frolla, parve quasi commossa. “E’ così buona,” mormorò con la bocca piena straripando briciole. La fetta sparì nel giro di secondi. Susie fece un sonoro rutto.

Si pulì la bocca con la manica. “Kris,” disse, “ma tua mamma davvero non ti ha chiesto nulla?”

Nulla, rispose Kris prendendo un pacco di patatine alla paprika. Tanto fino a quel giorno aveva sempre finito tutto da solo.
“Eh,” disse Susie grattandosi la nuca. “Gli umani sono strani.”

Kris alzò il viso verso di lei e fece spallucce. Lui era strano, giusto. Anche se degli altri umani non sapeva nulla. Susie lo scrutò con le sopracciglia aggrottate.

“Ehi, non ho mai detto che TU sei strano. Tu sei…” Susie cominciò a riflettere, masticando una patatina. “…tu sei…beh…” arrossì “…interessante.” Concluse. Kris si voltò sorpreso ma Susie era troppo impegnata a ficcare il muso nel sacchetto di plastica alla ricerca di briciole, per notarlo.
Kris sorrise tra sé. Interessante? Quella era una novità. Di solito era sempre stato oggetto delle occhiate lacrimose e preoccupate dalla sua famiglia, oppure quelle di scherno e disprezzo dei suoi compagni di classe e quelle stupefatte e divertite degli estranei. Ma quella sensazione era diversa. Kris rilassò la schiena contro la parete.

Anche tu sei…interessante, disse sottovoce, ridendo tra sé perché le piaceva il suono di quella parola.

“Heh, grazie, brutto strambo.”

Kris non si lamentava mai dei nomignoli offensivi della sua compagna. Se era Susie a dargli dello strambo o dello stupido, a lui andava bene. Era come se quelle parole gli calzassero addosso come i vestiti di lei, troppo larghi e logori, eppure avevano il suo odore e a lui piaceva.
Spesero il resto del tempo a giocare a vari passatempi di società che Kris aveva imparato da Asriel quando la mamma li metteva in punizione. Comunque, alla fine la campanella suonò. I due sentirono le grida degli studenti svanire sempre più verso l’uscita. Susie grugnì, stiracchiandosi.

“Ugh, al diavolo. Dobbiamo andare in classe.”

Kris raccolse le vaschette con i rimasugli del cibo che avevano mangiato. Era rimasto persino qualche pacchetto di crackers. Stupefacente, visto il mirabile appetito della sua amica.

“Ah,” mormorò Susie sorpresa. “E’ passato in fretta il tempo…credevo avessimo finito tutto. Va beh, vuol dire che avremo qualcosa da sgranocchiare dopo.”

Kris annuì e andò ad aprirle la porta. “Che cavaliere,” disse Susie sorpassandolo sorniona. Poi gli tirò un lieve calcio sullo stinco e filò via ridendo. “Ci vediamo in classe, nerd!” Kris raccolse la sua cartella da terra, con parte del cibo rimasto. Non era sicuro se era stata la sua compagnia o il fatto che sua madre aveva infilato troppa roba nel suo zaino, ma sorrise ugualmente.

***

Kris entrò nel bagno dei maschi. Si guardò allo specchio. Era mattina presto e fuori pioveva, i capelli scuri gli erano rimasti appiccati alla fronte e al collo in ciocche scomposte. Meno male che non aveva i capelli ricci.

Mentre si appiattiva la frangia sugli occhi, sentì tirare l’acqua in uno degli stalli. Con sua sorpresa uscì Chara, tutto impettito nella sua uniforme rossa e con la frangia perfetta, rosso mogano sugli occhi nocciola.

“Buongiorno, Dreemur.” Disse lui. Notando la faccia inespressiva di Kris e i capelli zuppi, sorrise malignamente. “Giornataccia, eh?”
Kris fece finta di non notarlo. La sua altezza era notevole in confronto a Chara, così poteva sbirciarlo da sotto i capelli mentre si risistemava il colletto inamidato della camicia allo specchio. Per quanto fosse brillante, non gli interessava più di una vetrina addobbata per Natale. Per lui poteva ancora continuare a passare in sordina quanto Berdly e tutti gli altri.

Kris aprì l’acqua del lavello e si insaponò le mani, le spalle tese e strette sotto il maglione mentre le risciacquava.

Chara gli lanciò un’occhiata mettendo le labbra a cuore. “Sai, Kris…mi sono assicurato di una cosa.”

Continua a ignorarlo e andrà via, pensò Kris. Fai finta di niente.

“Pensavo ti facesse piacere saperlo.” Continuò l’altro.

Ancora un altro po’ e la campanella suona.

Chara si voltò tutto tronfio, le mani ai fianchi come un danzatrice di gesso. “Ho fatto chiudere la porta del ripostiglio, così tu e Susie non potete più andare a divertirvi dopo la scuola. Sai, a rubare i gessi e mettere tutto il materiale in disordine.”

Kris si voltò lentamente verso di lui. Le mani gli formicolavano. Non era stupido, gli occhi di Chara brillavano di gioia una volta che avevano ricevuto la sua attenzione.

“Inoltre ho trovato i vostri sporchi giornalini.” Proseguì. “E siete in punizione tutti e due, per quindici giorni. Anzi, solo Susie è in punizione. Tu verrai con me. Passeremo del tempo insieme, ho detto che ti avrei aiutato a studiare. Solo con me. Solo io e te.”

Fece una risatina volpina, e Kris allargò le narici in segno di disprezzo, inalando sufficiente ossigeno da dargli alla testa. Evitò di parlare. Tossì. Incespicò sul suo stesso fiato. Per poco non si strozzò. Ma non uscì voce, se non un rantolo indeciso.

Susie…

Probabilmente stava soffocando nel suo stesso reflusso biliare.

Kris si asciugò le mani strofinandole sui pantaloni neri aderenti. Poi si voltò e si diresse verso la porta. Doveva ricordarsi di pisciare contro l’armadietto di Chara, prima di tornare a casa.

“Mi odi, Kris?”
Chara era già davanti alla porta, gli occhi languidi come un gattino e un sorriso sadico stirato tra le sue belle labbra color pesca come quelle di una bambola.
 
Kris uscì senza dire nulla. Non gli avrebbe permesso di avere la soddisfazione di sentire la sua voce.

***
 
Kris sentiva la superficie fresca del banco sotto il mento. Aveva i capelli talmente lunghi che solo il naso, piccolo e sottile, spuntava come fiutando l’aria, per ora pessima.

Aveva deciso che quel giorno sarebbe rimasto inerte ad aspettare il suono della campanella, ovvero la fine del supplizio. Ogni trillo lo separava dall’agognata libertà. Sua madre le aveva detto che il ritorno di Asriel per il weekend era saltato. C’era stato qualche problema all’università e lui preferiva sistemarlo subito, piuttosto che aspettare la settimana successiva. Quindi non aspirava molto a tornare a casa, ma comunque era sempre meglio di niente. Poteva chiudersi in camera e mettersi a giocare o distendersi e dormire tutto il pomeriggio…

Esatto, perché il suo pomeriggio era diventato inesistente.

Grazie a Chara, niente giochi con Susie. Quale altra afflizione poteva aspettarsi? Sentiva le ossa spesse e pesanti sotto la pelle, come un peso insostenibile, la lana del maglione era tesa mentre se la stringeva col dita a coprire le mani.

Qualche altro giorno extra e Asriel sarebbe tornato a casa, no?

La penultima campanella suonò come una tromba celeste. Scienze era particolarmente noiosa nonostante Alphys fosse abbastanza competente in quel campo. Fortunatamente la lezione si era tenuta in aula magna grazie a un professore assente in un’altra classe, così fu facile per Kris scivolare nel torpore sulla sua sedia, almeno finché non sarebbe suonata ancora. E per l’ultima volta. Non c’era granché da aspettare, comunque. Quello era il giorno in cui suo fratello avrebbe dovuto attenderlo a casa, davanti a un piatto fumante di lasagne e cannelloni alla panna e bibite gassate e zuccherate che la mamma comprava solo alle visite di Asriel. Kris sbuffò in alto, un filo di capelli gli si alzò dagli occhi.

Forse è meglio così, penso tristemente. Susie era miserabile quanto lui quel giorno. Se fosse stato felice, l’avrebbe fatta sentire ancora peggio.

Era riuscita a beccarsi una doppia punizione oltre a quella di Chara già dalle prime ore, così non la vedeva dalla mattina. La sua cartella rigonfia gli ricordava che probabilmente Susie non aveva ancora visto cibo, quel giorno. Poteva solo immaginare in che razza di sindrome premestruale si trovasse in quel momento. Un muso lungo spalmato di lentiggini squamose e una furia che aveva ammaccato più di un armadietto e qualche compagno di classe, per non parlare della sua fornte. Kris sorrise tra sé, perché quelle erano le sue lentiggini grottesche preferite, e lui non poteva fare altro che amarne perdutamente ogni centimetro. Ma se Berdly avesse fatto un altro commento su di lei quel giorno, era sicuro che Susie avrebbe spiaccicato Berdly su per il muro.

La professoressa Alphys cominciò l’appello.

“Berdly?”

“Presente.”

Kris non riuscì a non ridacchiare.

“Catti?”

clik, clik. “Qui.”

Se lo sarebbe meritato, quel papero.

“Jockington?”

“Si!”

Se lo ricordava ancora, dopo quel giorno nell’armadio, quando  tutti l’avevano bombardato di domande se Susie l’avesse ammazzato oppure no.
Monster Kid aveva dato il via alle danze.

“Ehi, bello, volevamo chiederti…Susie ti ha fatto secco oppure no? Cioè, vedo che non è così perché sei ancora qua, ma non sembri nemmeno, beh, invertito? Non hai niente di rotto, spero. La prof ha sentito sbattere l’armadietto da qua dentro. C’è stato persino un momento di suspense!”

Dopodiché Berdly aveva dovuto commentare.

“Qui giace Kris. Nessuno riuscì a udirlo, chiuso com’era nell’armadietto. Ma che dico, nessuno riusciva a sentirlo comunque!”

“Kris?” lo appellò impaziente la prof Alphys.

“Non si preoccupi, prof. E’ qui che dorme in piedi, come sempre.” Disse Berdly in tono canzonatorio. Kris avrebbe voluto dirgli che non era in piedi e che la sua voce infame l’aveva risvegliato da un bellissimo sogno in cui lui moriva assassinato da Susie. Alphys tornò al suo computer.

“Monster Kid?”

“Eccomi!”

Anzi, pensò Kris, se Susie non l’avesse sepolto sotto tre strati di calcestruzzo avrebbe compiuto l’opera personalmente.

“Noelle?”

“Presente.”

Non poteva già essere tutto finito?

“Snowy?”

“Come butta!”

Oddio, ancora quel modo di salutare.

“Susie?”

“…”

“S-susie?”

Kris sbattè le palpebre un paio di volte prima di girarsi. Oh, giusto. Il suo mostruoso e tossico marshmallow viola non aveva gli occhi che gli scavavano la pelle e al solito. Susie era assente. Anche se aveva la punizione nel pomeriggio, e ne avrebbe sentite di tutti i colori dalla prof. Kris si raddrizzò sulla sedia, cominciando ad armeggiare con il telefono estratto dalla tasca dei pantaloni. Era la chat più frequentata che aveva, non faceva mai fatica a trovare Susie in rubrica. Dove sei, digitò nel giro di pochi secondi. Attese qualche istante…niente campo, invio fallito. Quella giornata non faceva che peggiorare. Aveva già pensato di pranzare con lei più tardi, magari fuori, magari anche alla cioccolateria. Avrebbe pagato lui, cavolo, era disposto a finire tutti gli spiccioli pur di offrirgliene anche due, di cioccolate.

“B-beh, speriamo ci sia domani. Dovrò chiederle dov’era oggi.” Precisò la professoressa Alphys, anche se era abituata alle giustificazioni false di Susie. La firma di sua madre la imitava bene, ma poteva inventarsi qualcosa di meglio che ‘mia figlia aveva lo scorbuto’ oppure ‘mia figlia doveva zappare l’orto e raccogliere le patate’. Una volta aveva persino scritto che non era venuta a scuola perché l’oroscopo gliel’aveva sconsigliato o perché ‘volevo finire il sogno della notte scorsa che era troppo bello’. Spesso le giustificazioni di Susie erano seguite da una potente ola della classe. Era considerata un’eroina per questo. Il registro era pieno di note in condotta in cui Susie era coinvolta. A volte i prof non sapevano neanche cosa risponderle. All’ennesima richiesta di spiegazioni sul perché non avevano fatto i compiti, Susie aveva risposto, esasperata ‘io c’ho una vita da vivere”, seguita da applausi.

“Temmie?”

“Hoi!!”

Come un grido di gioia, la campanella suonò stirando gli ultimi nervi di Kris. I suoi compagni si accalcarono alla porta senza ascoltare più una parola che la professoressa aveva da dire. Kris, dal canto suo, se la prese talmente comoda che quest’ultima uscì prima di lui per dirigersi all’aula dei professori.

Kris si diresse verso l’intersezione dei corridoi come uno studente bislacco, risparmiando un’occhiata al ripostiglio chiuso a chiave.

Era ormai chiaro che provava dei sentimenti contrastanti per quelle porte. Da un lato avevano portato lui e Susie in una bellissima avventura, forgiando la loro amicizia che il tempo avrebbe temprato come metallo. Ma dall’altra parte non faceva che stuzzicarli a ripetere l’esperienza, e ogni volta che ci passavano davanti, come l’invito a una breve fuga dalle loro vite monotone. Ovviamente, c’era stata tanta carne al fuoco per entrambi. Mani che si raffreddavano, talmente tante lacrime che Kris avrebbe potuto riempire bottiglie di acqua minerale e berle in classe. Il cuore di Kris che si spezzava almeno due volte al giorno, Susie che avrebbe voluto spaccare tutti gli specchi. Ma c’erano stati anche i loro amici immaginari Ralsei e Lancer tra quelle mura, e tutte le cose che aspettavano di dirsi da tutto il giorno e le cose che potevano ancora sognare quando nessun’altro li udiva. Infranto. Tutto infranto in un giro di chiave.

Proprio come la promessa del ritorno di suo fratello.

Le nocche di Kris sbiancarono mentre stringeva i pugni nelle tasche. Il suono degli altri pareva distante, come un’eco, e il ticchettio delle sue scarpe era un suono invadente in quel luogo vuoto. Se Susie era in detenzione non ci sarebbe stato verso di vederla aggirarsi per i corridoi. Ma se per miracolo il ripostiglio era aperto, poteva sempre mandarle un messaggio di tornare. Kris si fermò davanti alle doppie porte. Fece un respiro profondo prima di girare la maniglia, e …

La porta si aprì.

A dir la verità aveva spinto dolcemente la porta senza sentire alcuna resistenza nella serratura. Kris irrigidì la bocca, ingollando un boccone amaro. Chara gli aveva mentito? Si era preso gioco di lui? Aveva forse pensato che così non si sarebbe più presentato al suo solito appuntamento con Susie? La sua presa sulla maniglia cedette, e la porta si richiuse con un deprimente clik. La sua mano si allungò sulla tasca per prendere il cellulare, ma si bloccò non appena toccò il dispositivo.

Voleva chiamarla, ma il suo cervello schifoso non era così d’accordo.

Chissà, magari poteva tornare a casa e giocare da solo. Chiudersi in camera, abbassare tutte le tapparelle e guardare il soffitto con gli auricolari alle orecchie, guardando la giornata spegnersi dietro il suo buio autoimposto. Oppure poteva andare in cucina e prendere il suo coltello preferito, affilarlo per bene e passarselo sulla pelle a rinnovare le sue promesse d’odio. Ma non poteva farlo. Non dopo che aveva promesso a Susie che non l’avrebbe più fatto. Non in quel modo. Sarebbe rimasto incastrato nel suo incubo per sempre, senza di lei. Senza volerlo, afferrò la maniglia con forza.

No.

Niente false speranze, gliel’aveva già detto. Per l’amor di Dio. Con sua mamma poteva anche rispondere a monosillabi e degnarla solamente di gesti stizzosi. Ad Asriel poteva non rispondere al cellulare e mandarlo a fare in culo almeno cento volte al giorno. Avrebbe potuto bere da solo il suo bicchiere di veleno mentre sanguinava e si sentiva vivo ed eccitato, lasciando tutti gli altri alla deriva nei suoi pensieri. Ma non Susie. Non ci riusciva.
Non se lo merita, pensò.

Kris rilasciò un sospiro che urtava come spine. Non si era accorto che stava trattenendo il fiato. Aprì la porta. Era semibuio. C’erano vetrate chiuse di prodotti per pulire alle pareti, un mocho allineato di fianco a un secchio vuoto. Prodotti per l’infermeria, contenitori di plastica colmi di materiale come penne, pennelli e colori. Colle viniliche. Poté intravedere persino un pacco di gesso sugli scaffali più bassi.

Ma, soprattutto, riuscì a vedere un paio di jeans strappate alle ginocchia sbucare fra due armadietti.

Si richiuse la porta alle spalle. Era così semplice, adesso. La vecchia moquette di quel pavimento attutiva i suoi passi, finché non raggiunse lo spazio al mondo dedicato a lui, fra le lunghe gambe della sua nuova amica. Susie non si era accorta della sua presenza. Non l’aveva mai vista così.

Aveva la testa affondata fra le mani, il corpo le tremava leggermente ogni manciata di secondi. I suoi capelli, una criniera pesantemente intricata nel migliore dei giorni, erano un disagio capace di causare un infarto a qualsiasi parrucchiere. Anche al buio, Kris riusciva a distinguerne i nodi, piccoli incroci duri che amava sfregare fra i polpastrelli. Susie aveva il singhiozzo, e solo all’ultimo riuscì ad accorgersi che Kris era di fronte a lei.

Non aveva la sua solita maschera aggressiva. Non aveva sbraitato nessun insulto, né aveva snudato i denti appuntiti. Per qualche strano motivo, forse la mancanza di cibo, pareva a pezzi, sconfitta. Incrociò lo sguardo di Kris per qualche istante, poi la testa le ricadde in avanti.

“Vattene via…”

Kris si sentiva come se avesse aspirato una striscia di cocaina. Era eccitato, ma in modo disturbante, come se avesse appena visto una cosa senza senso. Poi si rese conto che l’aveva lasciata sola per metà pomeriggio. Aveva tergiversato a lungo nell’aula magna, sicuro delle parole di Chara. Sicuro che il suo stupido demone avesse chiuso le porte del loro ritrovo per il resto dell’anno. Sicuro che lei fosse in detenzione. Mi ha aspettato per tutto questo tempo, pensò lui tristemente.

Kris si inginocchiò e le avvolse le braccia sotto quelle di lei e le strinse la schiena.

Scusa, mormorò.

Per quanto ne sapeva Kris, avrebbe anche potuto essere un orso di pezza. Sta di affatto che si ritrovò sepolto completamente nel suo abbraccio in un misto di braccia, ginocchia e capelli e, beh, lei e basta…il suo odore lo avvolse come qualcosa di duro e adulto, ma prima che Kris potesse inveire scherzosamente sulla sua puzza…

Susie boccheggiò, scoppiando a piangere rumorosamente.

Nella testa di Kris apparve una scena. Susie che provava ad aprire la porta del ripostiglio prima di tornare in classe, ritrovandola chiusa, gli sguardi dei loro compagni, Berdly che rideva. Un milione di metri cubi di dolore e lacrime gli si stava riversando sul maglione e sui capelli. Kris non poté far altro che strofinarle la schiena disegnando dei cerchi come faceva Toriel e ripetere scusa all’infinito. Era sicuro che sua mamma gli avrebbe chiesto dov’era andato a inzupparsi il maglione di mascara ma non riuscì proprio a fregargliene nulla.

Stare stretto a Susie in quel modo era piacevole, comunque. Anche se lei a un certo punto non sapeva come toccarlo, le sue mani parevano scambiarsi delle battute poco convincenti. Il tuo cuore, disse lei fra i singhiozzi, come fa a essere così grosso? Sembra che mi balli dentro. Fallo smettere!

Si distaccò da lui, garantendogli una vista pietosa dei suoi occhi rossi. Kris aveva la faccia inumidita dalle sue lacrime.
Tutto bene? Disse, togliendosi una ciocca zuppa appicciata al collo.

“Sì, io…beh,” Susie lo spiò da sotto la fragia, ferita. “FANCULO!” sbottò, dando un pugno ad uno dei contenitori nell’armadio. Per un momento Kris pensò che sarebbero rimasti sommersi dai pennarelli. “Kris?”

Sì?

“Era tutto…” mormorò prima di guardarlo, il dubbio inscritto pesantemente nelle sue iridi. “Era tutto finto?”

Kris stava per rispondere, ma lei tirò un altro pugno ai contenitori talmente forte che le nocche le sbiancarono.

“Mi ha mentito, quel fottuto…! Mi ha detto che non ti interessava più niente di me. Che era meglio ignorarmi, che se mi sarei ammazzata non sarebbe importato a nessuno…nemmeno a te. Allora mi sono detta che non me ne fregava niente, che eri come tutti gli altri, ma poi…” gli occhi le si riempirono di lacrime un’altra volta, come se avessero infranto di nuovo la diga del vajont. “Ma poi tu mi mancavi già un casino, Kris. Tra tutti, l’unico che non ha avuto paura di me dopo tutto quello che ho fatto…eri tu. Come potevo perderti?”

Kris le diede una pacca sulla spalla. Lei si asciugò gli occhi con la manica, respirando profondamente. I suoi polmoni emettevano un roboante rantolo che gli vibrava addosso. Susie si guardò le mani.

“Kris? Lancer e Ralsei…il re, quel cretino degli indovinelli, Seam, il castello, le fontane…ce lo siamo inventato tutto io e te. Era tutto un gioco. Non era reale.”

Per me sì.

Kris l’aveva detto con una tale importanza che lei non riuscì a guardarlo in faccia un’altra volta. Per un momento ricordò tutti i momenti in cui aveva detto a lei e Ralsei cosa fare, come uno stoico generale di una guerra in russia, e quella sua freddezza nel dare ordini.

Era reale perché tu eri con me, disse Kris giocherellando con uno dei buchi nel suo cappotto. Se fossi stato solo, non sarebbe stata la stessa cosa. Sarebbero stato come avere le allucinazioni o sognare ad occhi aperti, ma noi due eravamo insieme. Ci abbiamo messo ore, ricordi? A costruire quel castello di carte e metterci i pupazzetti dentro. Forse era tutto finto, ma quello che ho provato non lo era, Susie. Io non vado da nessuna parte senza di te.

SI fissarono per chissà quanto tempo, prima che Susie scoppiò a ridere. La sua risata echeggiò nella piccola stanza mentre i suoi denti brillavano al buio.

“Cazzo. Odio quando hai ragione tu…perché non riesco a prenderti in giro.”

Kris ridacchiò, scavalcando le sue gambe e saltandole in braccio. Kris aveva i capelli talmente lunghi che ricadendogli sul viso (solo il naso piccolo e sottile ne spuntava) lo facevano sembrare a una ragazza. Strinse la faccia di Susie fra le mani, facendole diventare le guance come due palloncini. Susie gli tirò via le mani ma lui le rimise di nuovo dov’erano. Susie ridacchiò tristemente. “Ah, Kris… chi altro vorrebbe essere mio amico? Te lo dico io, nessuno…almeno, non come lo fai tu.”

Kris le avvolse le braccia attorno alle spalle.

“Senti, Kris, non mi va più di farti del male.” Disse lei guardando in basso. “Mi dispiace per quello che ho fatto…tutte le cattiverie che ho detto sul tuo conto... E’ che volevo solamente che qualcuno si accorgesse di me.”

Kris ridacchiò. Come si fa a non accorgersi di te?

Susie inarcò un sopracciglio. “ah ah. Molto divertente. Ma non venirmi a contare frottole. Ti ho trattato male per, tipo, tre quarti del tempo. Per non parlare di com’ero prima.”

Vero, disse Kris annuendo.

Lei sgranò gli occhi, improvvisamente infastidita. “E?!”

Kris la guardò più serio del previsto. Ti ho perdonato, disse infine.

Susie gettò la testa indietro e scoppiò a ridere come se fosse la cosa più divertente del mondo.

“Hah! Non farmi ridere! Non è che puoi nasconderlo sotto il tappeto come fosse immondizia che ti sei dimenticato di pulire!”

Certo che posso, disse lui risoluto mentre la fissava. Perché non dovrei? A cosa gioverebbe?

Gli occhi di lei si restrinsero minacciosamente.

“Non propinarmi questa merda!” urlò lei scostandolo bruscamente. Kris rotolò sul pavimento, e rimase inerme dov’era. Voleva ascoltare la sua voce senza vederla, sentire le sue cattiverie come aveva sentito le sue lacrime in faccia. “Cazzo, sembri Asriel! Pensi che se sorridessi e facessi finta di essere amica di tutti, dimenticherebbero tutto quello che ho fatto? Non farmi ridere, Kris. Anzi, ho una brutta notizia per te. Nessuno ti perdona, Kris. Nessuno dimentica mai del tutto.”

Perché dovrebbero? Domandò Kris alzandosi pigramente la frangia dagli occhi, che importanza ha? Ti pare che forse qualcuno voglia dimenticare chi sono io, Susie? Ti pare che qualcuno si sia dimenticato che io sono un fottuto umano ? Quella specie che tutti voi considerate gli assassini naturali?
Susie si mise a braccia conserte, digrignando i denti.

“Merda, Kris. Potresti sembrare meno svampito di così? Che cazzo c’entra che tu sei umano…”

Kris le si avvicinò. Oh, non ne aveva idea di quanto c’entrasse, di come il sangue fosse diverso dal loro e pieno si sfaccettature, come un prisma. Non sarebbe mai riuscita ad immaginarsi i sogni orribili che faceva.  Non c’è bisogno di parlare di queste cose orribili adesso, le disse spostandole una ciocca di capelli, ma prima che potesse abbracciarla di nuovo lei lo zittì.

“PENSI CHE NON CI ABBIA PROVATO?” ruggì e Kris fu costretto a indietreggiare. Lei lo guardò pateticamente, gli occhi nascosti sotto i capelli e gli occhi incavati.

“Sei un debole, Kris. Solo i deboli parlano così.”

Lei voleva che lui la rassicurasse, glielo leggeva nel suo sguardo, nei movimenti, nelle leggere increspature della sua pelle. Kris le fece una carezza sulla testa, ma lei lo bloccò. Pareva essersi stufata di tutte quelle effusioni. Gli lanciò un’occhiata maliziosa, prima di prendergli la mano e infilarsela tra le fauci. Kris avvertì i suoi denti pungergli la pelle. Sentì uno strano pizzicore alla base dello stomaco, ma lei lo rilasciò come una roba vecchia prima che lui potesse addentrarsi in quel gioco.

“Sei un debole,” gli disse lei, “ e i deboli non hanno voce in capitolo su di me, chiaro?”

Allora è per questo, disse Kris quasi sorridendo. E’ perché non sono abbastanza forte per te. Ho capito. Kris si avventò su lei, facendola stendere a terra con un sonoro ahia, puntandole un ginocchio sull’inguine. Lei guardò da un’altra parte, mettendosi a braccia conserte chiaramente contrariata.

“Un piatto di spaghetti ha più forza di te, criceto.” Disse.

Oh, davvero? Kris le mise le mani ai lati della testa. Strusciò leggermente il ginocchio dove sapeva che le piaceva e lei aprì la bocca dalla sorpresa, guardandolo improvvisamente. “Ehi!”

Non sono abbastanza forte, allora? Domandò Kris.

“Eh?”
Sono abbastanza forte per te?

Susie lo guardò frastornata. “Suppongo…di sì?” Kris tolse il ginocchio tra le sue gambe e le infilò una mano nei pantaloni, raggiungendo la sua intimità. Susie sgranò gli occhi, “Ok, ok, ok…” disse. “Come vuoi.”

Bene, disse lui, ritirando la mano verso lo stomaco altrimenti sarebbero stato troppo doloroso per entrambi. Vide Susie chiaramente a disagio ingollare un sussulto perché non potevano farsi sentire. Pareva come paralizzata. Gli occhi di Kris brillavano come se due diamanti gli si fossero conficcati dentro. Ritirò la mano con rammarico di Susie. La sentì umidiccia, rise, e si chinò per baciarla nonostante la sua faccia sgomenta. Sentì la sua lingua ritrarsi mentre imprecava poiché un passo di gesso cadde loro addosso proprio in quei momenti, poi la sentì assestarsi sotto il suo peso in una strana danza per assecondarlo. Era in quei momenti in cui i loro nomi non avevano più importanza. Per qualche oscuro motivo, non esisteva nessun altro per Kris, non perché Susie fosse bella, ma perché sentiva come lui, amava come lui e riusciva a vedere la sua vera anima impolverata sotto le macerie.  Il suo cuore deteriorato dopo aver ingoiato galloni di galloni solo per divertimento. Quando si staccarono, Susie si asciugò un rivolo di saliva dal mento con aria soddisfatta.

“Kris?”

Sì?

Susie gli avvolse le braccia attorno al petto e lo attirò a sé con un colpo, stritolandolo. “Forte, un cavolo!” Scoppiò in una risata sguaiata. Kris annaspò per prendere aria e appoggiò la fronte sul suo petto in segno di resa. Non poteva proprio fare a meno di spezzargli una costola una volta.

“Perché non ti alzi?” le chiese lei in tono di sfida, le braccia strette intorno alle sue spalle. “Mi stai facendo eccitare per niente.”

Quando lei mollò leggermente la presa, Kris appoggiò le braccia sotto al suo collo e ci adagiò il mento sopra. Oh, doveva starci attento. Proprio come una chitarra, bastava tirare un po’ troppo e si sarebbe spezzata una corda. Anche se lui non suonava la chitarra. Lui era un pianista, e detestava mettersi fretta. Gli piaceva sfiorare i suoi tasti con dolcezza, anche se spesso almeno dieci per volta, e con entrambe le mani. Sbatté le palpebre, come ad aspettare un altro invito, e Susie cominciò a farsi aria con la mano. “Senti che roba. Fuori è Gennaio e qua dentro mi sembra Luglio, e…Kris? E’ un sorriso stupido quello che vedo?”

in effetti, Kris stava sorridendo perché lo divertiva vederla accaldata. Susie socchiuse gli occhi fino a ridurle a due fessure minacciose.

“Non fare quella faccia. E poi smettila di startene sempre in silenzio. Potrò sentire la tua voce una buona volta?”

Kris le fece un cuoricino con le mani. Questo parve sedarla per qualche motivo.

“Lasciamo perdere” tagliò corto lei voltandosi da un’altra parte. “Tanto con te è una battaglia persa.”

Ci tenevo a vederti in imbarazzo, disse lui. Tra il fatto che in quel posto non potevano essere sentiti e il fatto che lei avesse appena pianto, si sentiva una specie di miracolato del giorno. Non avrebbe dormito affatto quel pomeriggio, né la notte successiva. Ne aveva da fare per tutto il weekend.

Susie lo guardò stranita. “Beh…suppongo che non sia male…a volte ai dominatori piace essere dominati.” Ridacchiò, poi guardò per aria come se avesse rivelato un segreto segretissimo. “Per scherzo ovviamente, solo per scherzo! Oh, ancora quel sorriso da beone! Come diavolo faccio a fare la seria…”

Sono sicuro che riuscirai in qualche modo, disse. Se lo sentiva nelle ossa intorpidite. Kris si rialzò dandosi una sbattuta al maglione umidiccio e pieno di pelucchi. Sono sicuro che a casa mi è rimasta della cioccolata, disse a Susie. Le prese la mano. Nonostante la differenza di stazza riuscì a tirarla fuori dal suo nascondiglio come se non avesse peso.

“Lo spero per te che ci sia,” disse lei socchiudendo gli occhi dubbiosa.

Susie non lasciò la sua mano quando lasciarono la scuola. Non lo guardò strano quando le loro dita si intrecciarono, anche se non sapeva per iniziativa di chi.

A Kris non importava nemmeno di rivedere Lancer o Ralsei, quel giorno. Non gli mancava Asriel.

Aveva Susie.

Ed era sufficiente.
   
 
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