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Autore: Arpiria    01/02/2019    3 recensioni
"Non aver paura, Bellatrix, coraggiosa fanciulla. Avvicinati, qua dove posso vederti bene."
Non avrebbe saputo distinguere la sua voce dal sibilo di un ruscello, serpente d'acqua e fango che striscia tra i cespugli di more, e tra le sue spire soffoca foglie e tane di formica.
[Partecipante al contest “Tell me about... your OTP" indetto da Iamamorgenstern sul forum di EFP]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Lo strumento



La prima volta che lo vide pensò a qualcosa di molto antico e consumato, saggio - questo sì-, ma della saggezza dell'idra millenaria, fatta di segreti e carcasse d'insetti. Le sorrideva sotto al cappuccio, scuro come le fosse che era abituata a vedere al cimitero dei suoi antenati, quelle che sembravano avere fine in pancia al mondo - o in bocca ad un serpente-. Sorrideva ma non era un vero sorriso, perché con un volto tanto consunto forse non gli era più possibile; forse, semplicemente, non lo aveva mai saputo fare. Eppure, desiderava vedere più da vicino quel maestro che aveva scelto lei tra tutti, cagna purosangue che frantumava ossa tra le zanne immature, e negli occhi aveva certe fiamme che non parlavano di inverni e di camini, ma di incendi dolosi là dove il bosco cura i suoi rovi.
"Non aver paura, Bellatrix, coraggiosa fanciulla. Avvicinati, qua dove posso vederti bene."
Non avrebbe saputo distinguere la sua voce dal sibilo di un ruscello, serpente d'acqua e fango che striscia tra i cespugli di more, e tra le sue spire soffoca foglie e tane di formica. Bellatrix obbedì - non lo faceva spesso, ma quella volta sì-, e misurò i suoi passi finché non riuscì a fiutare il suo odore (cos'è, qualcosa a metà tra erba bagnata e malattia; oh, adesso so di cosa odora il fondo delle fosse.)
Tutt'intorno, il bosco intossicato di fabbriche e civiltà cullava tra i rami i pochi segreti che gli rimanevano, mentre le cavallette -brutte ninfe spione- omaggiavano la notte con odi stonate.
"Sai perché ho scelto te, Bellatrix?"
(Perché ho la rabbia che mi strazia il cuore, gambe veloci e la testa che pensa poco. Mi scegliete come si scelgono le bestie più robuste da attaccare all'aratro, quando la siccità secca il ventre alla terra, e si lasciano morire di sete le altre, nelle stalle arroventate dal sole, tra le mosche e i lamenti.)
Eppure decise di non rispondere, di scuotere la testa e tenere le labbra serrate nel silenzio dell'ignoranza. Il suo cuore tremava di paura, perché tutto quanto, nella figura che la sovrastava, era muffa e magia nera; e più si spaventava più si sentiva attratta, più agognava un sorso d'aria pura più sentiva il desiderio di stargli vicina. Era il mostro sacro che viveva attorcigliato tra i ventricoli del bosco, la pancia scavata dalla fame, femori di cervo tra le zanne velenifere. Conosceva i segreti custoditi nelle tane delle volpi gelose e conosceva lei, e per tutta la vita lei avrebbe dovuto omaggiarlo con inchini e carne fresca, perché il fatto che l'avesse scelta era infinitamente più importante del motivo che lo aveva portato a farlo.
"Perché sei esattamente ciò che cerco per la mia causa. Apprenderai le mie arti e sarai la mia arma. Sei giovane e potente, e puro è il sangue che scorre nelle tue vene..."
Lo osservò contrarre le narici scheletriche, le pupille annebbiate di sangue dilatate, il volto mortifero attento. Diverse volte lo aveva già ammirato da lontano, mentre parlava a rimasugli di purosangue con voce pacata, vestito di vesti consunte tra i loro abiti formali, antico e solenne come una vecchia divinità che rivendica un culto dimenticato. Suo padre le intimava di prestare attenzione, di stare su dritta con la schiena e assorbire tutto il veleno che il suo corpo poteva tollerare; poi ascoltava lui stesso e per un po' si dimenticava della sua figlia primogenita, e gli occhi dell'uomo cencioso ne accarezzavano la magia e lui neanche se ne accorgeva.
Cygnus Black era nato tra i salotti degli aristocratici, collezionava galeoni antichi nelle viscere spoglie della sua villa barocca e s'intendeva di feste e danze in maschera, anche se con sua moglie non aveva mai danzato. Poco capiva di politica, ma gli piaceva affermare il contrario, e aveva unito la sua voce a quella di chi lamentava l'avanzata dei sangue sporco, il diritto dei nati babbani di farsi strada in una società che fino allo stremo li avrebbe combattuti. Frequentava i Nott e i Lestrange, forte del suo buon nome, e dai loro racconti  odorosi di vino aveva scoperto che esisteva un certo uomo o una certa ombra, uno spirito di male carnificato e senza nome, che avrebbe restituito alle loro famiglie l'antico prestigio ed estirpato una volta per tutte la minaccia dei sangue sporco.
Gli aveva giurato fedeltà e non era apparso in sogno a Cygnus né a Nott né a Lestrange, ma a Bellatrix, ed era vestito di notte, la pelle aveva il colore delle stelle, emanava male e potere ma in modo infinitamente gentile.
"Vieni nel bosco," le aveva detto, e la sua voce era dolce e bella e invitante, dava ordini e assomigliavano a caramelle, "Vieni dove piovono le foglie dei salici, là dove il torrente diventa fango che soffoca i caprioli. Ti aspetterò."
Era un sogno incantevole e Bellatrix aveva obbedito a piedi nudi, la pelle fredda devastata dai rovi, e le zanzare avevano benedetto con baci urticanti il suo cammino.
"Sono la vostra serva. Fate di me ciò che volete."
Così parlò Bellatrix Black, e un sibilo soddisfatto sgorgò dalle labbra sottili dell'ombra - labbra secche e consumate, dalla peste o da qualche carestia, ruvide come il quarzo e sfocate come il calcare. -
"Così si parla, Bella."
***
L'aveva modellata con mani freddi e secche, mani morte, scolpite da pietre sepolcrali. Prima aveva preso la sua testa e l'aveva esasperata - è facile con una bambina, ha il cuore pieno di sogni e non conosce il male del mondo-, l'aveva piegata alle sue parole e resa schiava dei suoi sguardi.
"Tu non hai bisogno di pensare, perché io sarò la tua mente."
Così aveva parlato, lui che conosceva ciò che era giusto e glielo aveva insegnato ("oh, infinitamente misericordioso! Volete inchini e carne, ma in cambio mi svelate i segreti delle ombre")
Poi era passato al suo corpo e lo aveva plasmato come docile argilla, con acqua e dita sottili.
"Si calcificano e si fanno più forti le ossa spezzate, e non c'è dolore che tu debba temere, perché non è per il tuo corpo che vivi, ma per me."
Così aveva parlato, lui che era più saggio e più sapiente di qualsiasi altra creatura ("fate di me ciò che volete! Macchiate la mia pelle di lividi, usate il bastone, come si fa coi cani. Scavate solchi tra le mie costole, strappate via la pelle per vedere quanta fedeltà c'è sotto. Sono un indegno sacco di sangue, ma è puro è bello, per compiacervi.")
Era il suo ottimo lavoro, un'arma quasi perfetta. Se solo non fosse stata così fastidiosamente invaghita, così folle di lui, trasudante di una passione che le gonfiava le vene e pulsava dietro quegli occhi torbidi.
"Mio Signore, sono una serva indegna, ma credo d'amarvi."
Lo aveva sussurrato un giorno, sul finire della vigilia della sua ascesa, e aveva fatto meno rumore d'una lepre, come se in fondo non volesse essere udita - ma lui, che sentiva anche i pensieri dei serpenti dalle lunghe lingue, sentiva  la loro fame eterna, i lamenti soffocati con la carne di cimice che è povera è putrida, non poteva non aver sentito Bellatrix.-
"Cosa ti ho sempre detto sull'amore, Bella?"
Eppure, nella sua disarmante stupidità, sperava che prestasse orecchio alle sue parole. Era potente, fin troppo per una strega tanto immatura, e aveva gambe veloci per saltare i fossi, era pura e la carne le grondava magia; ma era eccezionalmente ingenua e facile da aggirare, una mente semplice di donna, che non aveva il compito di pensare.
"So bene che non esiste, me lo avete detto voi che non cadete mai in errore. Ma allora, padrone, perché il mio cuore brucia quando vi vedo, e ancora di più quando non vi vedo? Credo d'amarvi come si ama la morte quando si è in agonia, tra le lacrime e il sangue, quando sembra così vicina eppure non si può avere. Così credo d'amarvi."
Il Signore Oscuro sollevò una lunga mano di granito - poca pelle ammantava le ossa, pelle bianca, di sudario- "Basta così."
Il suo tono era categorico come l'ascia che piove sul collo e frantuma le vertebre, lacera i tendini, spalanca le arterie -la metamorfosi della carne in un'insensata fanghiglia rossa, banchetto di mosche e ortiche. - Amore e morte, egli non sopportava l'uno più di quanto non tollerasse accenni all'altra. Il primo era una stolta illusione (certo una magia antica e oscena, elaborata da fattucchieri vagabondi) che mai lo avrebbe trascinato allo stadio di banale essere umano, lui che era molto, molto più di un uomo. La seconda, poi, egli l'aveva sconfitta e derisa in tante occasioni; l'aveva inferta con la stessa freddezza con cui l'aveva fuggita (in silenzio prima, col peso dei libri sulle gambe e un tomo oscuro aperto sul tavolo; con ferocia poi, falciava vite come grano maturo, e tutti perivano e tutti avevano gli stessi occhi vuoti e non erano che involucri, organi ingabbiati dalle ossa, tranne lui).
"Quello che senti, Bellatrix, è devozione. Sai che sono il tuo padrone e che a me devi qualsiasi cosa"
(Inchini e carne, pensò lei, e una scia di corpi freddi sotto ai piedi. S'inchineranno alle morte se non lo faranno a voi)
"Domani combatterai al mio fianco, e con questa devozione calerai la bacchetta sulle schiere dei nostri nemici. E che mai più ti senta parlare d'amore, Bella, o terribile sarà la mia punizione. Non necessito di servi tanto stupidi."
Lasciò vagare lo sguardo spietato sul corpo fremente ai suoi piedi. Azkaban le aveva seccato la pelle, e le vertebre premevano contro il collo come steli impazienti di bucare la terra. Somigliava più a una cagna secca che ad una donna; aveva occhi di baccante e labbra bianche, ed era invasata di culti di morte. Aveva fame come quei serpenti che deglutiscono le cimici e soffocano nelle loro mute saline, ma lui non avrebbe permesso che morisse di fame, non lei. L'avrebbe saziata col sangue e le grida, le avrebbe dato ciò che voleva, perché era il suo ottimo lavoro, ed era riuscita proprio come voleva lui.

***

Bellatrix era già fredda quando s'infranse contro il pavimento nudo, corpo tra i corpi. Lui lottava ancora, ma l'aveva vista cadere, poco lontana, fin troppo vicina e fin troppo morta, confinata in un silenzio che tra le sue labbra sembrava sbagliato.
Aveva visto rompere il suo ottimo lavoro, quell'arma che con tanti anni e pazienza aveva affilato, quello stupido strumento di morte che osava parlargli d'amore come fosse stato un semplice uomo. Quanto era stupida, quella donna, eppure era il suo lavoro preferito, e le avevano fracassato il cuore come a una bestia.  Anni interi per scolpirla come una statua dalle brutte sembianze - costole sporgenti, perché la fame fa bene agli schiavi, e occhi pieni di lui, braccia pronte a eseguire i suoi ordini e pelle sporca, d'avorio malato-, e coi picconi le avevano aggredito il petto magro e come un idolo sbagliato l'avevano buttata giù.
Dalla folla si levò un boato e Voldemort urlò.
Ma i morti non s'intendono che di fosse e terra tra le ossa, e Bellatrix aveva troppo silenzio nelle orecchie per udirlo.


***


NdA: Partecipante al contest “Tell me about... your OTP" indetto da Iamamorgenstern sul forum di EFP
 
  
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