Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: ThisSilentMusic    05/02/2019    0 recensioni
Quando due vite si incrociano ci sono infinite direzioni che possono prendere: si può sfociare in un litigio, in una splendida amicizia, in un rapporto unicamente professionale, in una relazione fatta di sola passione, in una relazione d'amore... Spesso quest'ultima è considerata una trappola mortale, senza vie di fuga.
Così la pensa anche Jeon Jeongguk, studente delle superiori residente a Seoul, che dopo la morte dei suoi genitori non pensa di riuscire a provare ancora qualcosa di simile all'amore. Almeno, lo pensava prima di incontrare Kim Seokjin.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Threesome
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My mom always told me

Playing With Fire - Parte I

Prologo

My mom always told me
“Watch out for men
Love’s like playing with fire
You’ll get hurt”
 

«Non abbiamo molto tempo, quindi voglio che mi ascolti molto bene: non innamorarti mai, Jeongguk. Non innamorarti mai o potresti ritrovarti come me, amore mio, ed è l’ultima cosa che voglio per te».
Jeongguk guardò la madre con gli occhi pieni di lacrime e si impose di non piangere, di non crollare davanti a lei, che per lui era sempre stata così forte. Era il suo turno, ora. La strinse al suo petto e la sollevò con fatica – era piuttosto gracile persino per i suoi quindici anni. La appoggiò sul suo grembo e cercò di fermare il sangue per quanto possibile, premendo sulla ferita mentre le dita gli si inzuppavano svelte, la vana speranza di poterla salvare fissa in testa come un’idea folle, febbricitante.
«Mamma, ti prego, resisti» la pregò, il labbro inferiore tremante, la voce fragile.
Lei scosse la testa. «Voglio che tu ti faccia una vita da un’altra parte, Jeongguk, che perdoni sia me che tuo padre-».
«Non riuscirò mai a perdonarlo, mamma! Io non voglio perdonarlo, lui… lui ti ha uccisa – singhiozzò Jeongguk, lasciando andare con un gemito e una lacrima quella parola che gli era rimasta quasi bloccata in gola – Non merita il mio perdono. Non merita il mio perdono ed è per questo che è morto. È per questo che l'ho ucciso».
Sua madre tossì, e Jeongguk vide con orrore un rivolo di sangue scivolarle ad un angolo della bocca. «Devi andartene da qui – gli disse – se resti a Busan, ti arresteranno. È questione di tempo. Prendi le tue cose, e scappa a Seoul. Lì fatti una nuova vita e lasciati il passato alle spalle. Dovrai lasciarmi indietro, ma so che sei abbastanza forte da farlo. Ti amo, amore mio».
La donna fissò il volto del figlio con uno sguardo pieno di amore ed orgoglio, ma anche tristezza e sofferenza: era felice di andarsene da quel mondo che le aveva dato solo dolore, ma le bruciava in petto la consapevolezza di lasciare suo figlio da solo, di non poterlo più vedere crescere, ottenere buoni risultati, di non poterlo consolare alle sue prime delusioni d’amore. Era orgogliosa di lui, e lo sarebbe stata sempre: ed ora che era arrivato il momento di lasciarlo, nonostante tutto, non poteva fare a meno di sentirsi sollevata. Finalmente, era tutto finito.
Sorrise dolcemente al suo piccolo ragazzo, fissandolo negli occhi e portando una mano al suo viso, carezzandogli la guancia con gentilezza, prima che ricadesse, senza vita.
«Mamma, ti prego apri gli occhi! Torna da me – singhiozzò Jeongguk, la voce che gli andava in frantumi, i pezzi che gli sanguinavano nel petto – torna da me e dimmi che va tutto bene, che resteremo insieme per sempre- mamma… mamma, non lasciarmi solo...».
Il viso del giovane si contorse in una smorfia di dolore, mentre lentamente lo shock lasciava il posto ad una disperazione senza fondo, e poggiò sfinito la testa sul petto ancora caldo e bagnato di sangue di sua madre, piangendo tutte le sue lacrime su di lei.
Dopo un tempo che sembrava dilatarsi nel silenzio della casa, ormai casa di nessuno, si decise ad andare in camera dei suoi genitori. Ignorando le lenzuola sporche di sangue, andò a forzare la cassaforte e prese tutti i loro soldi, infilandoli in un borsone assieme al resto di ciò che aveva. “Non è che servano a nessuno, in ogni caso”, pensò con un’amarezza che pareva fuoco.
Sceso in soggiorno, guardò un’ultima volta la madre, depositandole un bacio sulla fronte ghiacciata. Poi uscì e, chiudendo la porta dietro di lui, si lasciò la casa ed il dolore alle spalle, dirigendosi alla stazione dei treni. Prese il primo treno per Seoul, il viso inespressivo, freddo, duro, lo sguardo di chi aveva perso tutto.
   
 
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