SECONDO GIORNO
Erik si svegliò di buonumore, rilassato,
malgrado quello che avesse appena fatto non potesse certo definirsi un bel
sogno; quella città immersa nel crepuscolo lo aveva inquietato, e molto, per
non parlare di quei due misteriosi individui in nero che si erano battuti
furiosamente l’uno contro l’altro, uno dei quali gli somigliava
incredibilmente.
“Devo
smetterla di leggere tutte quelle storie fantasy.” pensò alzandosi dal letto ed
infilandosi la maglietta lasciata la sera prima sulla sedia della scrivania.
Come
al solito quando scese in cucina trovò solo la madre, impegnata ai fornelli per
preparare, una volta ogni tanto, una colazione degna di questo nome, anche
perché con la giornata che li attendeva
non c’era garanzia che avrebbero potuto concedersi un pranzo decente.
Quel
giorno era in programma un’intensa maratona di shopping in giro per Manhattan,
il quartiere in cui Betty, figlia di illustri banchieri, era cresciuta, e che
conosceva come il palmo della sua mano.
Il
cosiddetto Shopping Day era un appuntamento imperdibile nella vita quotidiana
della famiglia Landry; capitava approssimativamente una volta al mese, delle
volte anche due, in uno di quei pochi giorni in cui la signora Hill poteva
usufruire di un giorno di totale libertà, pur riservandosi di rimanere comunque
disponibile tramite cercapersone.
Un
tempo ci andava da sola, ma da quando Erik era entrato nella loro vita il
ragazzo si era sempre offerto di accompagnarla, se non altro per evadere dalla
monotonia che ogni tanto attanagliava il loro quartiere.
«Mangia a sazietà.» disse Betty porgendo al figlio il piatto di bacon
«Oggi sarà una lunga giornata.»
«Non
fatico ad immaginarlo.»
«È una
fortuna che il doppio turno di ieri sia stato annullato, o non sarei riuscita
neanche ad alzarmi dal letto questa mattina.»
«Beh,
sei stata fortunata.»
«Puoi
ben dirlo. E poi, visto che tra poco comincerai l’università, questa potrebbe
essere l’ultima volta che facciamo insieme lo Shopping Day.»
«A tal
proposito, volevo ringraziarvi ancora per quello che avete fatto.»
«Non
serve che mi ringrazi. Io non ne sapevo niente. A tuo padre dispiace di aver
fatto tutto senza dirti nulla, ma voleva farti una sorpresa.
E poi,
come ha detto lui, te lo sei meritato.»
«In
ogni caso, grazie.»
«Mi
sembri molto più tranquillo di ieri sera. Ti sei calmato?»
«Sì,
abbastanza. Come mi hai suggerito tu, ho deciso di lasciar riaffiorare i
ricordi, se davvero di questo si tratta.»
«Mi fa
piacere. Vederti così depresso ci aveva preoccupati.»
«Comunque, stanotte ho fatto uno strano sogno.»
«Un
sogno?»
«Era
come vedere un film. C’era una città, una città grande ma decadente, e c’erano
due individui che lottavano. Uno dei due diceva qualcosa riguardo alla
creazione di un mondo nuovo, un mondo per quelli come loro.»
«Quelli come loro? Che intendi dire?»
«Non
lo so. Fisicamente sembravano persone normali, ma avevo come la sensazione che
ci fosse qualcosa di sbagliato, o quantomeno di anomalo in lui. Sembrava… senza
vita.»
«Come
un fantasma?»
«Sì,
qualcosa del genere. L’altro, invece, mi aveva colpito fin da subito, e quando
si è abbassato il cappuccio ho capito perché: quello ero io.»
«Tu?!»
«Almeno, così mi sembra di ricordare».
Betty
ascoltò attentamente, con un misto di interesse e curiosità.
«Se
pensi che sia una cosa strana sappi che lo penso anch’io.» disse Erik
terminando il suo racconto
«Molto
spesso i sogni non sono altro che specchi in cui si riflette, in forma di
favola, la nostra vita quotidiana.
Non è
raro vedere sé stessi in un sogno, e spesso questo sta ad indicare un aspetto
di noi che abbiamo dimenticato, e che stiamo cercando di riscoprire.»
«Quindi, poteva trattarsi di un ricordo!? Di qualcosa che mi è capitato
realmente!?»
«No,
non credo. I sogni vanno interpretati. Ogni elemento che hai visto poteva
essere la metafora di qualcosa, il sogno stesso probabilmente era una metafora.
Bisognerà districarlo, e credo che con il giusto tempo e il riaffiorare della
memoria ogni elemento comincerà a sembrarti di volta in volta un po’ più
chiaro.»
«Capisco. Comunque, sono felice di averne parlato con te. Ora mi sento
un po’ più tranquillo.»
«Ne
sono felice. Ora però finisci la colazione e vai a prepararti. Usciamo tra
mezz’ora».
La famiglia Landry possedeva tra macchine: una
vecchia Ford rossa, usata dal marito, una berlina due volumi nera, di proprietà
di Betty, e infine una fantastica Caddilac STS da 110mila dollari color
argento, frutto di una inattesa quanto strabiliante vincita ad una lotteria
cittadina.
Hank
la chiamava affettuosamente Sissy, e veniva usata solo per le grandi occasioni,
tra le quali vi era naturalmente lo Shopping Day; messa in premio dalla casa
automobilistica, era un vero e proprio gioiello a prova di furto, e proprio per
questo Betty non aveva paura a portarla anche in una zona non proprio
tranquilla come poteva essere Manhattan.
A
causa di uno snervante problema di traffico, un problema più che comune a New
York, arrivarono a destinazione quasi all’ora di pranzo.
Erik
era stato molte altre volte nella zona centrale di New York, ma ogni volta che
si ritrovava tra i grattacieli di Manhattan rimaneva sempre con il naso
all’insù e la bocca spalancata per lo stupore; in quella particolare occasione,
per un attimo gli tornarono in mentre i palazzi ben più miseri visti nel suo
sogno, ma poi la solita incredulità prese nuovamente il sopravvento.
Betty
parcheggiò in un garage multipiano del centro, ed ebbe così inizio un nuovo,
sfrenato Shopping Day, una passione che la signora Hill aveva ereditato da sua
madre e che avrebbe voluto un giorno trasmettere ad una figlia che purtroppo
non era mai arrivata.
Era
una fortuna che Erik l’accompagnasse; prima che il ragazzo capitasse nella loro
vita era sempre necessario trovare un giorno in cui sia Betty che Hank fossero
liberi, altrimenti sarebbe stato impossibile gestire le tonnellate di pacchi,
pacchetti e borse che neppure un campione di wrestling sarebbe stato capace di
portare da solo.
Il
Rockefeller Center era ovviamente la meta favorita, vi si trovava di tutto e i
vari edifici erano stati collegati tra di loro da un nuovo sistema di gallerie
sopraelevate di recente inaugurazione grazie al quale si poteva passare da una
zona commerciale all’altra senza dover mai uscire.
Erik era
felice di essere d’aiuto, e non gli dispiaceva accompagnare sua madre in quelle
uscite, durante le quali veniva fuori il lato più spensierato e allegro della
sua personalità, ma era costretto ad ammettere che il più delle volte finiva
per annoiarsi.
Betty
ne era consapevole, e cercava per quanto possibile di lasciargli il suo spazio,
quindi, appena transitarono davanti alla libreria, gli disse che se voleva
poteva fermarsi, a condizione però che la raggiungesse quando il peso degli
acquisti fosse divenuto troppo imponente per una persona di corporatura tutto
sommato piuttosto esile come lei.
Il
ragazzo fu ben felice di accettare, visto che per lui i libri erano il migliore
degli intrattenimenti, ed entrato prese a camminare senza meta su e giù per i corridoi
che si dipanavano tra scaffali e scaffali ricolmi di libri provenienti da tutto
il mondo.
Nel
corso degli anni suo padre Hank aveva accumulato una piccola biblioteca, ed era
costantemente alla ricerca di volumi rari e bizzarri con cui arricchirla; Erik
comprò un libro della letteratura spagnola per lui e una nuova edizione critica
dei Promessi Sposi, con testo in italiano e commento di uno dei maggiori
esperti in circolazione, per sé, ma avviandosi alla cassa per pagare gli parve,
come già accaduto nel fastfood, che qualcuno lo stesse chiamando, e
immobilizzatosi guardò alla sua sinistra.
Nel
suo girovagare era capitato nel reparto degli scrittori esordienti, una zona
che fino a quel momento non aveva mai preso granché in considerazione; negli ultimi
tempi il numero di aspiranti scrittori era aumentato notevolmente, e la
concorrenza, da serrata, si era fatta spietata.
Molti
di loro dovevano aver pubblicato i loro libri con grandi sacrifici e spese non
indifferenti, sacrificando quel poco che avevano nella speranza, come in una
nuova corsa all’oro, di trovare l’Eldorado, accumulando soldi e fortuna, ma
questa era un’impresa che riusciva ad un numero ben misero di persone, e faceva
tristezza pensare che per quasi tutti sarebbe stata una cocente delusione.
Più
per curiosità che per vero interesse Erik si avventurò tra quegli scaffali,
dimenticando i motivi che lo avevano spinto a fermarsi proprio lì, ma bastarono
pochi minuti perché si domandasse chi gliel’avesse fatto fare: senza voler
usare mezzi termini era davvero tutta spazzatura. Belli i tempi in cui la gente
cominciava a pensare ad un libro dopo aver studiato tutto lo studiabile in
materia di narrativa, scrittura creativa e quant’altro, ed essersi fatto una
cultura grande così.
Suo
padre ripeteva spesso che era più facile trovare un uomo onesto al Congresso
che uno scrittore degno di questo nome, perché anche coloro che riuscivano a
raggiungere il successo non lo ottenevano certo per la loro bravura, ma solo
per aver fatto urlare e singhiozzare milioni di ragazzine con storie d’amore
più che pietose, bacetti e sveltine.
Erik
però non era così pessimista: secondo lui qualcosa di veramente bello doveva
pure esserci, e a furia di cercare la classica gemma nel fango ci si stava
quasi divertendo.
Ad un
certo punto arrivò davanti alla zona fantasy, e al centro, come a volersi
rendere più visibile, vide un grosso volume la cui sola copertina, una figura
di luce ad ali spiegate sovrapposta ad uno stupendo tramonto, balzava subito
all’occhio, e incuriosito lo prese.
Il
titolo era L’Angelo del Deserto, di una certa Amamiya Nadeshiko, che a
giudicare dal risvolto di copertina era una giovane e promettente stella della
musica classica di evidente origine giapponese che studiava al prestigioso
conservatorio di Parigi e che si cimentava qui con il suo primo romanzo.
Le sue
credenziali erano di tutto rispetto, visto che per uno straniero essere ammesso
in uno dei maggiori conservatori d’Europa non doveva essere cosa da poco;
forse, pensò Erik, questa ragazza aveva un qualche futuro davanti a sé, sempre
ammesso che qualcuno riuscisse a cogliere e valorizzare il suo talento.
Perché
non darle una mano allora? Sfortunatamente il volume, date le sue dimensioni,
non costava poco, e se Erik lo avesse comprato si sarebbe ritrovato quasi al
verde, quindi doveva valutare bene se valesse o meno la pena di fare
quell’acquisto, pertanto lesse dapprima il riassunto promozionale e poi qualche
riga qui e là.
La
trama in sé si presentava piuttosto semplice: un gruppo eterogeneo di giovani
avventurieri composto da un samurai, un combattente marziale, un contadino
aspirante cavaliere, una maga e un mercenario dall’oscuro passato, quest’ultimo
presentato come il vero protagonista, percorrevano in lungo e in largo un
continente fantastico popolato delle più strane creature cimentandosi in
infinite avventure con il fine ultimo di sconfiggere un tiranno usurpatore
posseduto da un’entità oscura.
Di storie
simili ce n’erano da venirne a noia: cose come Harry Potter e Eragon avevano
portato in auge la tematica fantasy come mai era successo negli ultimi anni, e
ora quel tipo di temi andavano per la maggiore, ma gira che ti rigira era
sempre la solita minestra cucinata in mille modi.
Dapprincipio anche Erik pensò la stessa cosa, tanto che fu tentato di
mollare tutto e andarsene, ma leggendo alcuni paragrafi qua e là per le pagine
rimase indicibilmente colpito; c’era qualcosa di strano, qualcosa di magico in
quelle parole. I personaggi sembravano così reali, così tangibili, come ben
pochi scrittori sapevano fare, e la storia in sé era descritta in modo tanto
appassionato e carico di emozione da far credere che lo scrittore l’avesse
vissuta in prima persona.
Ma ciò
che maggiormente impressionò e inquietò fu quella sensazione di déjà vù, come
se quella storia l’avesse vissuta lui stesso e quei personaggi fossero in
qualche modo legati a lui, ma questo non era assolutamente possibile:
dopotutto, era solo un racconto, una finzione.
Ciò
nonostante, di colpo, Erik sentì di stare nuovamente perdendo i contatti con la
realtà, e prima che potesse fare qualcosa quella sensazione di freddo si
impadronì di lui, strappandolo alla realtà per condurlo in un’altra dimensione,
difficile da determinare.
Il nuovo arrivato sul campo di battaglia
osservava il ragazzo con aria di sfida, e questi faceva altrettanto: non doveva
piacergli molto venire colpito, ma doveva piacergli ancor meno che qualcuno si
intromettesse nel suo scontro.
«Chi
sei?» domandò tenendo alta la sua spada.
Fu
Dusk a rispondere, e a giudicare sia dal tono che dal suo sguardo appariva
chiaro che provava per il nuovo arrivato un misto di risentimento e paura.
«Il
Malevolo Esecutore. Gin.»
«Mi
deludi davvero, Dusk.» disse con tono di scherno «Basta un ragazzino scalmanato
a metterti al tappeto. Come ha fatto uno come te a diventare un Superiore?»
«Modera il tono, Esecutore. Sono un tuo parigrado.»
«Nel
titolo forse, ma nel potenziali direi che siamo decisamente su di un altro
livello.»
«Che
cosa ci fai tu qui? Questo scontro è mio.»
«Dovresti essermi grato. Dopotutto ti ho salvato la pelle.»
«Io
non l’avrei mai ucciso.» replicò il ragazzo intromettendosi nella conversazione
«Non è mia abitudine infierire su chi è già sconfitto.»
«E
allora non hai motivo per restare qui.»
«Che
cosa!?»
«Non
c’è spazio per cose come l’onore e la compassione su questo mondo. Noi ci
stiamo preparando a combattere una guerra conto l’universo intero, e non abbiamo
alcun bisogno di idealisti buoni a nulla.»
«Come
hai detto?» ringhiò il ragazzo mentre il sangue gli saliva al cervello
«Che
c’è, fa male la verità?» replicò Gin ghignando ancor più malevolmente «Se credi
di essere al nostro livello solo per aver battuto Dusk sappi che ne hai di
strada da fare per poter anche solo sperare di competere con qualsiasi altro di
noi.
Dusk è
indubbiamente un guerriero mediocre, ma ha combattuto ad un centesimo della sua
forza.»
«Un
centesimo!?»
«Esatto. Se gli fosse stato ordinato di fare sul serio, anche per uno
come lui spedirti all’altro mondo sarebbe stato cosa da poco».
Il
ragazzo guardò Dusk, e lo sguardo colpevole dell’Eterno Custode lasciava
intendere che Gin stava dicendo la verità.
«Anche
se, onestamente, mi aspettavo che un centesimo di tutto il suo potere fosse più
che sufficiente a stenderti. È chiaro che in tutto questo tempo ti ho sempre
sopravvalutato».
Dusk
sembrava chiaramente intimorito da quell’uomo, e malgrado le continue stoccate
al suo orgoglio di guerriero subiva senza reagire; chi invece non era
intenzionato a rimanere indifferente era il ragazzo, che ansi appariva
piuttosto contrariato.
«Se
davvero credi che io sia così debole…» disse prima di corrergli contro «Allora
affrontami!».
Gin,
nuovamente, ghignò, i suoi occhi si accesero si malevolo sadismo e affondata
una mano nell’impermeabile ne prese fuori quello che sembrava un grosso fucile
con tre lunghe canne una accanto all’altra e un’impugnatura appena sufficiente
per poter essere stretta nella mano.
Lo
sparo produsse un rumore assordante, oltre che famigliare, e prima che il
ragazzo potesse fare qualcosa tre grossi pallettoni luminosi, simili a quelli
che aveva evitato poco prima, ma incredibilmente più potenti, lo centrarono in
pieno, lanciandolo in aria prima di farlo precipitare al suolo con una forza
tale da produrre un solco nell’asfalto.
La
spada gli volò via di mano, cadendo a terra poco lontano, e lui si sentì come
se lo avesse investito una cometa; sentiva su di sé lo sguardo divertito di Gin
che osservava ora lui ora il rivolo di fumo che usciva dalle canne della sua
arma.
«Vedi
di abbassare la cresta, ragazzino.» disse appoggiandosi l’arma sulla spalla «O
durerai ben poco in questo posto».
Malgrado la stanchezza e il dolore il ragazzo riuscì, mugugnando e
stringendo i denti, a rialzarsi; Gin sembrò sul punto di ridere, e lo sguardo
indomabile del suo avversario serviva solo ad aumentare ancora di più il suo
piacere.
«Sei
più testardo di quanto immaginassi. Forse un’altra razione servirà a renderti
un po’ più ragionevole.»
«Adesso basta Gin!»
«Tu
restane fuori Dusk. I topi devono stare al loro posto. È la legge di natura».
Di
colpo, nel momento in cui il Malevolo Esecutore era sul punto di premere il
grilletto, molti altri portali si aprirono sui tetti degli edifici attigui, e
altri individui vestiti come Dusk, sette in tutto, arrivarono sul campo di
battaglia; uno di loro aveva una veste molto più nobiliare dei suoi compagni, e
al suo fianco c’era una giovane ragazza che invece del soprabito nero indossava
un kimono con gli hakama neri e il katagimu bianco senza maniche chiuso sul
davanti da una cintura.
Il
ragazzo ne rimase subito colpito: i capelli, neri, erano lunghi e armoniosi,
gli occhi trasmettevano gentilezza, e il suo aspetto, invece che timore e
minaccia, emanava un senso di sicurezza e protezione.
«Fermatevi!» disse l’individuo più appariscente «Tutti quanti!».
Dusk
lo guardò con stupore.
«Il
Principe Decaduto! T!».
Ben
diversa fu la reazione di Gin, che digrignò i denti contenendo a stento il
proprio disappunto.
«Erik
ha superato la prova che gli era stata imposta, pertanto entra a pieno titolo a
far parte dei Superiori. Da ora in poi sarà conosciuto come Sabaku no Tenshi,
l’Angelo del Deserto.»
«Con
il dovuto rispetto, Principe Decaduto, questo moccioso non ci sarebbe di alcuna
utilità.»
«Questo è il volere dell’Imperatore, Malevolo Esecutore. Non vorrai
sfidare la sua autorità, voglio sperare».
Gin
ringhiò in modo ancor più palese, mostrando tutto il proprio disappunto, ma poi
non ebbe altra scelta che ingoiare il boccone amaro, e uccisi uno per uno i
soldati con i quali il ragazzo si era battuto, ancora riversi a terra privi di
sensi, se ne andò come era arrivato.
«Non
credere che finisca così.» disse prima di scomparire
«Yumi,
occupati di lui.» disse il solito individuo.
La
ragazza al suo fianco fece un cenno di assenso, poi, planando lentamente, come
cullata dal vento, raggiunse il ragazzo, inginocchiandosi davanti a lui. Quello
inizialmente si ritrasse, come spaventato.
«Non
temere.» disse lei guardandolo con dolcezza «Voglio solo aiutarti».
Alla
fine il ragazzo la lasciò fare, anche perché era impossibile che una persona
con quegli occhi così gentili potesse nutrire cattive intenzioni, e lei,
concentratasi, lo avvolse in una calda luce verde prato che ebbe l’effetto di
lenire il dolore e curare le ferite.
«Chi
era quell’individuo?» domandò mentre veniva curato
«Era
Gin, uno dei Superiori.»
«Chi
sono i Superiori?»
«Sono
i capi della nostra società. L’unico al quale devono rispondere è l’Imperatore;
qui siamo tutti soggetti alla sua autorità.»
«E sei
anche tu una di loro?»
«Sì e
no. Malgrado lo sia, non ho soldati ai miei ordini, come Dusk e gli altri…»
«E
allora come mai…»
«Il
nostro imperatore è molto giovane. Sta crescendo, e impara gradualmente a
controllare i suoi vastissimi poteri magici. Diciamo che mi considera un po’
come una sorella maggiore, per non parlare del fatto che sono l’unica a
possedere abilità curative.»
«Capisco.»
«Sei
stato fortunato a rimanere vivo. Gin è un essere spietato, una vera macchina da
guerra che prova gusto ad uccidere.»
«Me ne
sono accorto. Non ho mai conosciuto nessuno dotato di un simile potere, eppure
ho viaggiato a lungo per l’universo.»
«Guardati da lui. Se ti ha preso di mira, non perderà occasione per
provocarti.»
«Posso
immaginarlo. Ma la prossima volta che vorrà attaccare briga mi troverà pronto».
Dopo
poco la medicazione ebbe fine, ed il ragazzo fu in grado di rialzarsi.
«Come
ti senti?»
«Molto
meglio.» rispose lui roteando il braccio per poi andare a recuperare la spada
«Il tuo nome. Non ti ho ancora chiesto come ti chiami.»
«Mi
chiamano Jundo no Shinkirou.»
«Il
Miraggio della Purezza.»
«Ma tu
chiamami pure Yumi. E tu invece?».
Il
ragazzo esitò, portando il proprio sguardo a terra.
«Erik.
Mi chiamo Erik».
Come era avvenuto per il sogno di quella notte
Erik venne riportato violentemente alla realtà, ritrovandosi di colpo nella
libreria di Rockefeller Center con il romanzo di Amamiya Nadeshiko ancora tra
le mani.
Questa
volta, però, la consapevolezza che non si era trattato solo di un sogno lo
lasciò interdetto: cosa gli stava succedendo?
Il
pensiero che potesse esserci una correlazione tra il suo passato e quel libro,
o forse con la sua ideatrice, cominciò a farsi strada dentro di lui; Angelo del
Deserto, l’epiteto che gli avevano affibbiato, era anche il titolo del romanzo,
e questa poteva essere qualcosa di più di una semplice coincidenza.
Forse
era solo la sua immaginazione; forse, come aveva detto sua madre, era solo un
fatto della vita reale che si rifletteva nel sogno, o nella visione, a voler
essere precisi, ma ora aveva un motivo per volerlo prendere ad ogni costo, e
richiusolo si avviò deciso verso la cassa, ricongiungendosi poco dopo con la
madre in una delle gallerie di collegamento.
A metà
pomeriggio, dopo quasi sei ore di acquisti intensivi, Erik e Betty fecero
ritorno alla loro macchina stracarichi di pacchi, pacchetti e borse da
riportare a casa.
«Hai
comprato mezzo Rockefeller anche oggi.» disse Erik mentre finiva di riempire il
bagagliaio
«Che
ci vuoi fare, sono fatta così.
Ma
immagino tu abbia ragione. Sarà meglio che mi dia una regolata».
Betty
aveva appena aperto la portiera e stava per salire in macchina quando di colpo,
come se qualcuno le avesse letteralmente succhiato via la vita, si accasciò al
suolo, e assieme a lei anche tutte le altre persone che si trovavano in quel
momento all’interno del parcheggio.
«Mamma!» disse Erik, unico superstite, correndole incontro.
Fortunatamente non era morta, ma semplicemente addormentata, eppure, per
quanto ci provasse, Erik non riusciva in alcun modo a svegliarla.
Poi il
ragazzo sentì uno strano rumore, come un vagito animalesco, unito ad un rumore
di camminata felpata, ed alzatosi si guardò attorno; dall’oscurità di un
angolo, dopo poco, uscì lentamente un essere mostruoso, che lo fece immobile
per lo sgomento.
Aveva
le dimensioni di una mucca, la corporatura, le zampe e gli artigli di un leone,
la coda seghettata di uno scorpione terminante in una punta di freccia e la
testa di un drago di forma triangolare, con un paio di occhi neri privi di luce
e due file di denti affilatissimi; la sua pelle era nera, e si sarebbe detta
quasi di metallo se non fosse stato per l’ondeggiare della muscolatura, inoltre
alcune parti brillavano di una luce blu che andava e veniva in continuazione.
Più
preoccupato per sua madre che per sé stesso Erik si allontanò dalla macchina,
spostandosi lentamente verso il centro del parcheggio, e la bestia avvicinatasi
si concentrò proprio su di lui, restando a lungo ferma a ringhiare prima di
partire all’assalto. Il ragazzo evitò la falcata della creatura rotolando di lato,
ma quella non pareva determinata a molla, poi, rialzatosi, Erik avvertì uno
strano formicolio al braccio destro.
«Ma
cosa…» disse stupito mentre nella mano gli compariva una bellissima kopesh
tutta d’oro e con l’impugnatura tempestata di pietre preziose.
La
bestia fece qualche passo all’indietro, come spaventata da quell’arma che pur
essendo di metallo era calda e sembrava brillare di luce propria.
«Beh.»
disse Erik mettendosi in una posizione di guardia «Visto che mi è capitata
questa spada, tanto vale usarla. Fatti sotto!».
Quel
mostro attaccò ancora, ma usando la stessa tecnica di prima Erik riuscì ad
evitarlo per poi colpirlo al fianco destro, facendolo ringhiare dal dolore;
dalla ferita non uscì sangue, ma una strana poltiglia nera simile al bitume che
corrodeva tutto ciò su cui cadeva, dall’asfalto alle macchine.
Inutile dire che l’essere stato ferito fece infuriare il mostro ancora
di più, spingendolo ad attaccare con sempre maggiore violenza e aggressività.
La
misteriosa forza che aveva permesso ad Erik di contrastare quei tre balordi
questa volta non sembrava decisa ad entrare in azione, lasciando il ragazzo in
balia di una creatura che dopo ogni falcata puntava gli artigli nel terreno,
provocando enormi solchi, per fermarsi e attaccare nuovamente.
Erik
si difese meglio che poteva, mettendo a segno anche qualche altro colpo, ma ad
un certo punto ricevette un tremendo colpo di coda che lo fece volare in aria e
poi cadere sull’asfalto con la milza che minacciava di uscirgli dal corpo, e
sollevati gli occhi vide il mostro compiere un salto più grande degli altri per
potergli balzare sopra ed infliggergli il colpo di grazia.
Ma,
all’ultimo secondo, qualcosa colpì lui, un proiettile forse, a giudicare dal
rumore, e quel mostro fu sbalzato violentemente a sinistra; guardando nella
direzione da cui il colpo era venuto Erik si accorse della presenza, vicino
all’ascensore di servizio, di un uomo con in mano una Heckler puntata in
direzione del mostro. Doveva avere tra i venticinque e i trent’anni, capelli
paglierini leggermente scuri pettinati come i suoi, occhi verdi e
un’espressione seria, risoluta, da militare scelto; indossava pantaloni neri da
sopravvivenza, scarpe da ginnastica, guanti da motociclista e una maglia
aderente di un grigio molto scuro sotto alla cintura ascellare per la pistola e
come ultimo una giacca in pelle; oltre alla pistola, assicurati alla cintura
dei calzoni aveva anche alcuni shuriken e un grosso coltello da combattimento,
e in un apposito fodero, come fosse una spada, un grosso Benelli M3 che
sporgeva fino all’impugnatura.
Il
mostro, che probabilmente variava il proprio obiettivo a seconda della forza di
quest’ultimo, si concentrò su di lui, lasciando perdere momentaneamente Erik,
che ebbe modo di rialzarsi. Il nuovo arrivato ricominciò a sparare subito dopo
che la creatura gli corse contro, evitando il suo balzo e piazzandogli due
proiettili nel ventre senza però riuscire
ad ucciderlo.
Seguirono un paio di minuti di aperto scontro, durante i quali l’uomo
alternò l’uso della postola a quello di shuriken e coltello, i primi lanciati
con grande abilità il secondo maneggiato con pronta destrezza, ma d’un tratto,
quando il mostro era ormai al limite, non si avvide se non all’ultimo momento
dell’arrivo, da un fianco, della coda a frustino; Erik però, accortosi per
primo di ciò che stava per accadere, gridando come un ossesso piombò dall’alto
e con un solo fendente recise di netto la coda del nemico che lanciò un ringhio
terrificante mentre la parte mozzata, dopo essersi contorta ed agitata per
qualche secondo, scomparve nel nulla trasformandosi in fumo.
L’uomo
approfittò immediatamente della distrazione del mostro e batté i pugni,
producendo una specie di scossa elettrica che li circondò e che fu riversata
tutta sul nemico nel momento in cui questi ricevette un gancio alla mascella
così potente da scaraventarlo prima sul soffitto e poi a terra.
Sconfitto, l’animale tentò inutilmente di rialzarsi, ma era tutto
inutile; l’uomo, sfoderato il fucile, camminò lentamente verso di lui, quindi,
tenendolo con una sola mano, gli fece saltare la testa, e così come la coda
anche il resto del corpo, una volta morto, divenne nulla più che un ammasso di
fumo nero e denso che si disperse rapidamente, lasciando però dietro di sé anche
una grande quantità di quella sostanza corrosiva.
Erik,
ansimante sia per la fatica sia per lo spavento che si era preso, si avvicinò
all’uomo per ottenere risposte, ma questi, voltatosi di scatto, gli puntò
contro il fucile.
«Ehi,
aspetta!» si affrettò a dire il ragazzo.
Quello
lo guardò, squadrandolo attentamente con una certa aria interrogativa e anche
un po’ sarcastica, ma alla fine abbassò l’arma.
«Mi
dispiace. Ma non potevo correre il rischio di dare confidenza ad un mostro.
Dovevo assicurarmi che fossi umano.»
«Perché, che cosa ti sembro?» ribatté Erik leggermente irritato «Sei
forse pazzo?»
«Di
nuovo scusa.» disse l’uomo riponendo il fucile nel fodero «Ma qui si gioca con
la vita. Meglio essere preso per pazzo che morire per troppa fiducia».
La
spada d’oro che Erik stringeva ancora in mano scomparve nel nulla e l’uomo,
presa da un taschino della giacca una fotocamera digitale, prese a scattare
foto alla pozza di acido.
«Chi
sei tu?»
«Agente speciale Leon S. Kennedy. Servizi Segreti Americani.»
«I
Servizi Segreti danno la caccia ai mostri?» domandò Erik con lo stesso tono
sarcastico usato poco prima dal suo interlocutore
«Non i
Servizi Segreti. Afterlife.»
«Afterlife? Che cos’è?»
«Un’organizzazione non governativa specializzata nella localizzazione ed
eliminazione delle entità nocive conosciute come demoni. È in rapporti con i
maggiori organi di governo e di polizia del mondo, NATO, G8, Interpol e così
via, e visto che i suoi agenti non possono essere dappertutto addestrano
persone come me, provenienti da vari corpi armati, a fare il loro lavoro.»
«Siete
dei cacciatori di demoni, dunque.»
«È un
lavoro come un altro.»
«Sei
stato tu ad addormentare tutte queste persone?»
«Il
protocollo prevede di non lasciare testimoni. Per l’opinione pubblica sarebbe
difficile accettare l’idea che creature potenzialmente letali potrebbero
apparire dovunque in qualsiasi momento, quindi prendiamo le nostre precauzioni
agendo nella più assoluta segretezza.»
«E adesso
cosa ne sarà di loro?»
«Si
sveglieranno tra un paio d’ore, non preoccuparti.»
«Meno
male. Avevo paura che fosse opera del demone.»
«A tal
proposito.» disse Leon tornando a guardare Erik «Questo essere poteva essere
tante cose, ma ho i miei dubbi che si trattasse di un demone.»
«Che
cosa!?»
«Caccio questi esseri da quasi dieci anni, e non ho mai visto niente del
genere. I demoni sono esseri viventi il cui circolo magico è stato spezzato,
questo invece non era altro che un ammasso di energia, con magia allo stato
liquido a fargli da sostentamento.»
«Ma
allora, se non era un demone, che cos’è?»
«Non
lo so, ma pare proprio che ce l’avesse con te.»
«Ho
avuto la stessa impressione. Ma per quale motivo avrebbe dovuto cercare proprio
me?»
«Beh,
hai resistito al mio incantesimo del sonno, quindi sei dotato di una magia
molto potente. Forse era questo che cercava».
In
quella la ricetrasmittente che Leon portava alla cintura si attivò.
«Leon,
mi ricevi?» domandò una voce femminile
«Forte
e chiaro, Trevor. L’obiettivo è stato eliminato, ma occorre una squadra di
epurazione.»
«D’accordo, informo subito il capitano. È andato tutto liscio?»
«Perfettamente.»
«Testimoni?».
Leon,
a quella domanda, guardò Erik, che era tornato da sua madre, esitando per
qualche secondo.
«Leon?»
«Sì,
scusami. No, nessun testimone. Ho usato l’incantesimo del sonno per mettere
tutti a nanna.»
«Molto
bene. Aspetta la squadra di epurazione e poi torna ai tuoi soliti incarichi.»
«Ricevuto, chiudo».
L’agente si avvicinò dunque ad Erik, il quale aveva appena finito di
adagiare Betty, ancora addormentata, sul sedile posteriore della macchina.
«Sai
guidare?»
«Sì,
certo.»
«Bene,
metti in moto e vattene di qui il prima possibile.»
«Per
quale motivo?»
«Presto
arriverà la squadra di epurazione per cancellare ogni traccia del passaggio del
demone, e se scoprono che hai visto tutto sarò costretto ad applicare il
protocollo.»
«Allora perché lo stai facendo?»
«Perché voglio che tu sia consapevole di quello che ti aspetta. Se
questa creatura stava veramente cercando te è probabile che ne verranno delle
altre, ed è bene che tu sia preparato nell’eventualità che ciò accada».
Erik
salì in macchina e mise in moto, ma prima che partisse Leon gli consegnò una ricetrasmittente
attraverso il finestrino.
«Aspetta. Prendi questa. È protetta contro qualunque incantesimo. Se
dovessi avere problemi chiamami e verrò il prima possibile.»
«Ti
ringrazio.»
«A
proposito, come ti chiami?»
«Erik.
Erik Landry».
Un’altra giornata volgeva al termine, e anche
gli ultimi studenti che ancora popolavano le aule del Conservatorie de Paris
stavano cominciando a lasciare l’edificio, chi diretto a casa chi invece al
dormitorio, frequentato soprattutto da ragazzi e ragazze provenienti da altri
Paesi, e fra questi c’era la giovane Nadeshiko Amamiya, una delle giovani
stelle della scuola che in un solo anno aveva già avuto modo di distinguersi
tanto nel canto quanto nel suono del violino e del pianoforte.
Di
recente Amamiya aveva fatto parlare ulteriormente di sé dopo aver pubblicato un
romanzo fantasy, le Ali del Deserto, che grazie sia alle molte amicizie che era
riuscita a farsi fra i professori e gli altri studenti sia al buon nome della
sua casa editrice, di proprietà delle facoltose Yoshida Industries, stava
riscuotendo un buon successo in Europa, ed era stato importato anche negli
Stati Uniti.
Appena
uscita dall’aula in cui aveva seguito l’ultimo corso della giornata Nadeshiko
incontrò Ciharu Mihara, la sua unica conterranea a frequentare il
conservatorio, con la quale oltretutto condivideva la sua stanza al dormitorio.
«Ehi, Nada-chan!»
«Ciharu-chan.»
«Hai finito adesso anche tu?»
«Sì,
questa era l’ultima lezione.»
«Io e
le altre avevamo in mente di andare al Reunion a bere qualcosa. Vorresti venire
anche tu?»
«Ma,
veramente… dovrei studiare…»
«E
dai, non staremo via molto. E poi sei già tra le migliori, una serata di studio
in meno non abbasserà di certo la tua media.»
«Beh…
e và bene».
Le due
ragazze, invece di prendere la strada che portava direttamente ai dormitori,
raggiunsero invece il portone d’ingresso del conservatorio, dove trovarono ad
attenderle altri tre coetanei, due ragazze, Samantha Taylor di Sidney e
Ayshwaly Oberoi, Aisha per gli amici, di Nuova Delhi, e un ragazzo, Manuel
Gonzalo di Barcellona.
«Ehi,
Amamiya.» disse Manuel «Vieni a tenerci compagnia?»
«Ti
dispiace?» domandò provocatoriamente lei
«Vuoi
scherzare, certo che no! Forza, andiamo a divertirci».
Il bar
Reunion si trovava a poche centinaia di metri dal conservatorio ed era
frequentato soprattutto dai ragazzi, e un tavolo attorno a cui erano sedute
quattro bellissime ragazze non poteva non attirare l’attenzione; Nadeshiko in
particolare, coi suoi capelli castani, i suoi occhi di smeraldo e quella sua
aria dolce, quasi di bambina, la faceva da padrona, ma in un anno nessun
ragazzo, per quanto bello, coraggioso, gentile e ricco potesse essere, era
riuscito a fare breccia; lei infatti ripeteva continuamente di aver già trovato
il ragazzo che le aveva portato via il cuore, anzi, che lo aveva sempre tenuto,
e ogni qualvolta veniva fuori l’argomento Nadeshiko, arrossendo, stringeva il
pendente che portava al collo, un ovale di forma circolare con otto ali rosa
spiegate, quattro per lato.
Dopo
poco la conversazione cadde inevitabilmente sul romanzo di Nadeshiko, che
tutti, anche molti professori, avevano già letto.
«Ho
finito ieri sera Le Ali del Deserto.» disse Samantha «Che storia romantica. Due
giovani destinati a stare insieme fin dalla loro vita precedente. Ho pianto
quando Toma se n’è andato.»
«Anche
io.» disse Aisha «E dire che di solito non mi commuovo facilmente.»
«I
personaggi sembravano così reali.» commentò Manuel «Sembrava quasi di averli davanti.
Sei davvero brava a scrivere.»
«Vi
ringrazio, ma così mi fate arrossire.»
«Ho
sentito che l’editore si è messo in contatto con te chiedendoti una nuova
storia.» disse Chiharu
«Beh,
in effetti…»
«Chi
l’avrebbe mai detto.» disse Manuel «Oltre che cantante e musicista potrai
sfondare anche come scrittrice. Magari l’avessi io una tale fortuna».
Nadeshiko si sentiva sempre un po’ a disagio quando le venivano fatti
tutti quei complimenti, ma se non altro la vicinanza di amici tanto leali e
affezionati la aiutava a dimenticare gli altri amici, quelli che aveva lasciato
a Uminari, la sua città natale, e che ormai poteva sentire solo tramite posta o
vedere con la webcam.
D’un
tratto la ragazza avvertì una fitta al cuore, una sensazione famigliare provata
molte volte in passato, e strinse il pugno attorno al pendente per evitare che
i suoi amici vedessero le ali rosa iniziare a brillare, poi, alzando lo
sguardo, intravide una figura circondata da una luce bianca che si infilava in
un vicolo poco lontano.
«Scusatemi.» disse correndo in quella direzione sotto gli sguardi
increduli di Chiharu e degli altri.
Il
vicolo, stretto e buio, sembrava deserto, ma fatti pochi passi Nadeshiko sentì
una presenza alle proprie spalle e si voltò di scatto, trovandosi a tu per tu
con un uomo di mezza età che la osservava con un misto di severità e rispetto.
Non lo
aveva mai visto, eppure sapeva chi fosse, malgrado indossasse una normale
camicia a righe bianche e azzurre e un paio di pantaloni da passeggio, abiti per
lui del tutto inusuali.
«Sei
tu!» esclamò
«Mi fa
piacere incontrarti. Aspettavo da tempo l’occasione per farlo.»
«Ma
come… Yuko mi ha detto che non potete farvi vedere nel nostro piano.
Non
starai correndo dei rischi?»
«Ho
avuto un permesso speciale. Quelli di lassù saranno pure dei conservatori
vecchi e retrogradi, ma rispettano colei che porta in sé quanto rimane della
loro compagna più illustre.»
«Per
quale motivo sei qui?»
«Riguarda Toshio».
Nel
sentire quel nome la ragazza sentì lo spirito accendersi di speranza, e la
fitta al cuore si ripresentò.
«Che
cosa gli è successo? È ancora vivo?»
«Sì, è
ancora vivo.»
«Davvero!?» esclamò lei sorridendo di gioia
«Aspetta. Purtroppo, qualcosa di nuovo si profila all’orizzonte,
qualcosa di ben più grande e pericoloso di Seth, e quella è la vera minaccia
che ha spinto Clow a mettere al mondo un figlio capace di contrastarla.»
«Che
cosa!?» disse Nadeshiko mentre quella sensazione di felicità veniva nuovamente
sostituita dal dolore
«Il ritorno
di Toshio è ormai prossimo. Mentre noi parliamo, il suo corpo provato dalla
battaglia contro Seth e dal confinamento di Anubis sta lentamente riacquistando
le forze. Quando ritornerà, però, dovrete entrambi essere pronti, perché la
vostra battaglia potrebbe essere solo all’inizio».
La
ragazza abbassò gli occhi, e fredde lacrime presero a bagnarle le guance.
«Perché? Perché non volete lasciarlo in pace?» mugugnò, per poi guardare
il suo interlocutore carica di rabbia «Che cosa ha fatto di male per meritare
questo!»
«Mi
dispiace. So anche io quanto quel ragazzo abbia sofferto, e voglio la sua
felicità quanto te. Ma questa volta, c’è in gioco qualcosa di molto più grande
del vostro mondo. La posta in palio potrebbe essere la salvezza dell’intero universo.»
«Dell’universo!?»
«Per
questo sono venuto qui. Io non lo potrò incontrare quando si sveglierà. È parte
dell’accordo che ho dovuto sottoscrivere per salvargli la vita. Dovrai essere tu
a dirgli quello che lo attende, e sarà lui a decidere se accettare o meno la
missione che Clow ha scelto di affidargli. Come hai detto tu, noi non abbiamo
il diritto di decidere della sua vita».
Nadeshiko non riusciva a smettere di piangere; il pensiero che presto
avrebbe visto l’amore della sua vita la rendeva felice, ma quella felicità era
inevitabilmente guastata dal pensiero di ciò che avrebbero potuto portare gli
anni successivi.
Eppure, nonostante tutto, cercò di mantenere quel contegno che Isis,
l’entità che a lungo aveva dimorato dentro di lei, le aveva insegnato.
«Non
mi sorprende.» disse ad un certo punto il suo interlocutore
«Che
cosa?»
«Che
vi siate scelti l’un l’altra».
La
ragazza si asciugò le ultime lacrime, e contemporaneamente il misterioso
individuo cominciò a scomparire come un fantasma.
«Abbi
fiducia. Sono certo che Toshio, alla fine, farà la scelta giusta».
Nota dell’Autore
Rieccomi!
Siamo arrivati alla
fine del secondo dei tredici capitoli. Avevo in mente questa storia da diverso
tempo, ma pur conoscendo a menadito la parte centrale non riuscivo a trovare un
inizio e una fine credibili, ma ora credo di aver ovviato a questo problema.
Lo so, avevo promesso
che contemporaneamente avrei ripreso la pubblicazione di Millennium War –
Rebirth, ma lavorare su due storie contemporaneamente non è mai facile, anche
se ci proverò; in compenso ho visto che con questa riesco ad andare piuttosto
spedito, quindi spero di concluderla il prima possibile.
Ringrazio Selly e Akita per le loro recensioni
A presto!^_^
Carlos Olivera