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Autore: Carlos Olivera    19/07/2009    2 recensioni
Erik è un ragazzo come tanti altri, ma non ha alcun ricordo del proprio passato, nulla che risalga a prima degli ultimi quattro mesi.
Vive a New York, coi suoi genitori adottivi, Hank e Betty, che lo hanno trovato e accolto, trattandolo come il figlio che non avevano mai potuto avere.
Lui è felice della sua vita, sente di poter ottenere qualsiasi cosa, ma alla vigila del compimento del suo più grande sogno una voce misteriosa lo chiama: è una voce sconosciuta, che porta con sè qualcosa, qualcosa di oscuro, e il miraggio di un'esistenza lontana, spesa al fianco di esseri senza patria e senza gloria, il cui solo destino è essere odiati da tutti l'universo.
I compagni di un tempo sono diventati nemici, e i vecchi rancori sono pronti ad esplodere nuovamente, distruggendo quella piccola parvenza di felicità.
Man mano che i ricordi riaffiorano, Erik si trova costretto a dover fare una scelta tra la vecchia e la nuova vita, tra l'accettazione di cio che possiede, ma soprattutto di ciò che è, il tutto legato ad una promessa fatta ad una persona cara, ma che comporterebbe l'addio, definitivo e inevitabile, di tutto ciò che lo ha reso felice.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Millennium War'
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SECONDO GIORNO

SECONDO GIORNO

 

 

Erik si svegliò di buonumore, rilassato, malgrado quello che avesse appena fatto non potesse certo definirsi un bel sogno; quella città immersa nel crepuscolo lo aveva inquietato, e molto, per non parlare di quei due misteriosi individui in nero che si erano battuti furiosamente l’uno contro l’altro, uno dei quali gli somigliava incredibilmente.

  “Devo smetterla di leggere tutte quelle storie fantasy.” pensò alzandosi dal letto ed infilandosi la maglietta lasciata la sera prima sulla sedia della scrivania.

  Come al solito quando scese in cucina trovò solo la madre, impegnata ai fornelli per preparare, una volta ogni tanto, una colazione degna di questo nome, anche perché con la giornata che li attendeva  non c’era garanzia che avrebbero potuto concedersi un pranzo decente.

  Quel giorno era in programma un’intensa maratona di shopping in giro per Manhattan, il quartiere in cui Betty, figlia di illustri banchieri, era cresciuta, e che conosceva come il palmo della sua mano.

  Il cosiddetto Shopping Day era un appuntamento imperdibile nella vita quotidiana della famiglia Landry; capitava approssimativamente una volta al mese, delle volte anche due, in uno di quei pochi giorni in cui la signora Hill poteva usufruire di un giorno di totale libertà, pur riservandosi di rimanere comunque disponibile tramite cercapersone.

  Un tempo ci andava da sola, ma da quando Erik era entrato nella loro vita il ragazzo si era sempre offerto di accompagnarla, se non altro per evadere dalla monotonia che ogni tanto attanagliava il loro quartiere.

  «Mangia a sazietà.» disse Betty porgendo al figlio il piatto di bacon «Oggi sarà una lunga giornata.»

  «Non fatico ad immaginarlo.»

  «È una fortuna che il doppio turno di ieri sia stato annullato, o non sarei riuscita neanche ad alzarmi dal letto questa mattina.»

  «Beh, sei stata fortunata.»

  «Puoi ben dirlo. E poi, visto che tra poco comincerai l’università, questa potrebbe essere l’ultima volta che facciamo insieme lo Shopping Day.»

  «A tal proposito, volevo ringraziarvi ancora per quello che avete fatto.»

  «Non serve che mi ringrazi. Io non ne sapevo niente. A tuo padre dispiace di aver fatto tutto senza dirti nulla, ma voleva farti una sorpresa.

  E poi, come ha detto lui, te lo sei meritato.»

  «In ogni caso, grazie.»

  «Mi sembri molto più tranquillo di ieri sera. Ti sei calmato?»

  «Sì, abbastanza. Come mi hai suggerito tu, ho deciso di lasciar riaffiorare i ricordi, se davvero di questo si tratta.»

  «Mi fa piacere. Vederti così depresso ci aveva preoccupati.»

  «Comunque, stanotte ho fatto uno strano sogno.»

  «Un sogno?»

  «Era come vedere un film. C’era una città, una città grande ma decadente, e c’erano due individui che lottavano. Uno dei due diceva qualcosa riguardo alla creazione di un mondo nuovo, un mondo per quelli come loro.»

  «Quelli come loro? Che intendi dire?»

  «Non lo so. Fisicamente sembravano persone normali, ma avevo come la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, o quantomeno di anomalo in lui. Sembrava… senza vita.»

  «Come un fantasma?»

  «Sì, qualcosa del genere. L’altro, invece, mi aveva colpito fin da subito, e quando si è abbassato il cappuccio ho capito perché: quello ero io.»

  «Tu?!»

  «Almeno, così mi sembra di ricordare».

  Betty ascoltò attentamente, con un misto di interesse e curiosità.

  «Se pensi che sia una cosa strana sappi che lo penso anch’io.» disse Erik terminando il suo racconto

  «Molto spesso i sogni non sono altro che specchi in cui si riflette, in forma di favola, la nostra vita quotidiana.

  Non è raro vedere sé stessi in un sogno, e spesso questo sta ad indicare un aspetto di noi che abbiamo dimenticato, e che stiamo cercando di riscoprire.»

  «Quindi, poteva trattarsi di un ricordo!? Di qualcosa che mi è capitato realmente!?»

  «No, non credo. I sogni vanno interpretati. Ogni elemento che hai visto poteva essere la metafora di qualcosa, il sogno stesso probabilmente era una metafora. Bisognerà districarlo, e credo che con il giusto tempo e il riaffiorare della memoria ogni elemento comincerà a sembrarti di volta in volta un po’ più chiaro.»

  «Capisco. Comunque, sono felice di averne parlato con te. Ora mi sento un po’ più tranquillo.»

  «Ne sono felice. Ora però finisci la colazione e vai a prepararti. Usciamo tra mezz’ora».

 

La famiglia Landry possedeva tra macchine: una vecchia Ford rossa, usata dal marito, una berlina due volumi nera, di proprietà di Betty, e infine una fantastica Caddilac STS da 110mila dollari color argento, frutto di una inattesa quanto strabiliante vincita ad una lotteria cittadina.

  Hank la chiamava affettuosamente Sissy, e veniva usata solo per le grandi occasioni, tra le quali vi era naturalmente lo Shopping Day; messa in premio dalla casa automobilistica, era un vero e proprio gioiello a prova di furto, e proprio per questo Betty non aveva paura a portarla anche in una zona non proprio tranquilla come poteva essere Manhattan.

  A causa di uno snervante problema di traffico, un problema più che comune a New York, arrivarono a destinazione quasi all’ora di pranzo.

  Erik era stato molte altre volte nella zona centrale di New York, ma ogni volta che si ritrovava tra i grattacieli di Manhattan rimaneva sempre con il naso all’insù e la bocca spalancata per lo stupore; in quella particolare occasione, per un attimo gli tornarono in mentre i palazzi ben più miseri visti nel suo sogno, ma poi la solita incredulità prese nuovamente il sopravvento.

  Betty parcheggiò in un garage multipiano del centro, ed ebbe così inizio un nuovo, sfrenato Shopping Day, una passione che la signora Hill aveva ereditato da sua madre e che avrebbe voluto un giorno trasmettere ad una figlia che purtroppo non era mai arrivata.

  Era una fortuna che Erik l’accompagnasse; prima che il ragazzo capitasse nella loro vita era sempre necessario trovare un giorno in cui sia Betty che Hank fossero liberi, altrimenti sarebbe stato impossibile gestire le tonnellate di pacchi, pacchetti e borse che neppure un campione di wrestling sarebbe stato capace di portare da solo.

  Il Rockefeller Center era ovviamente la meta favorita, vi si trovava di tutto e i vari edifici erano stati collegati tra di loro da un nuovo sistema di gallerie sopraelevate di recente inaugurazione grazie al quale si poteva passare da una zona commerciale all’altra senza dover mai uscire.

  Erik era felice di essere d’aiuto, e non gli dispiaceva accompagnare sua madre in quelle uscite, durante le quali veniva fuori il lato più spensierato e allegro della sua personalità, ma era costretto ad ammettere che il più delle volte finiva per annoiarsi.

  Betty ne era consapevole, e cercava per quanto possibile di lasciargli il suo spazio, quindi, appena transitarono davanti alla libreria, gli disse che se voleva poteva fermarsi, a condizione però che la raggiungesse quando il peso degli acquisti fosse divenuto troppo imponente per una persona di corporatura tutto sommato piuttosto esile come lei.

  Il ragazzo fu ben felice di accettare, visto che per lui i libri erano il migliore degli intrattenimenti, ed entrato prese a camminare senza meta su e giù per i corridoi che si dipanavano tra scaffali e scaffali ricolmi di libri provenienti da tutto il mondo.

  Nel corso degli anni suo padre Hank aveva accumulato una piccola biblioteca, ed era costantemente alla ricerca di volumi rari e bizzarri con cui arricchirla; Erik comprò un libro della letteratura spagnola per lui e una nuova edizione critica dei Promessi Sposi, con testo in italiano e commento di uno dei maggiori esperti in circolazione, per sé, ma avviandosi alla cassa per pagare gli parve, come già accaduto nel fastfood, che qualcuno lo stesse chiamando, e immobilizzatosi guardò alla sua sinistra.

  Nel suo girovagare era capitato nel reparto degli scrittori esordienti, una zona che fino a quel momento non aveva mai preso granché in considerazione; negli ultimi tempi il numero di aspiranti scrittori era aumentato notevolmente, e la concorrenza, da serrata, si era fatta spietata.

  Molti di loro dovevano aver pubblicato i loro libri con grandi sacrifici e spese non indifferenti, sacrificando quel poco che avevano nella speranza, come in una nuova corsa all’oro, di trovare l’Eldorado, accumulando soldi e fortuna, ma questa era un’impresa che riusciva ad un numero ben misero di persone, e faceva tristezza pensare che per quasi tutti sarebbe stata una cocente delusione.

  Più per curiosità che per vero interesse Erik si avventurò tra quegli scaffali, dimenticando i motivi che lo avevano spinto a fermarsi proprio lì, ma bastarono pochi minuti perché si domandasse chi gliel’avesse fatto fare: senza voler usare mezzi termini era davvero tutta spazzatura. Belli i tempi in cui la gente cominciava a pensare ad un libro dopo aver studiato tutto lo studiabile in materia di narrativa, scrittura creativa e quant’altro, ed essersi fatto una cultura grande così.

  Suo padre ripeteva spesso che era più facile trovare un uomo onesto al Congresso che uno scrittore degno di questo nome, perché anche coloro che riuscivano a raggiungere il successo non lo ottenevano certo per la loro bravura, ma solo per aver fatto urlare e singhiozzare milioni di ragazzine con storie d’amore più che pietose, bacetti e sveltine.

  Erik però non era così pessimista: secondo lui qualcosa di veramente bello doveva pure esserci, e a furia di cercare la classica gemma nel fango ci si stava quasi divertendo.

  Ad un certo punto arrivò davanti alla zona fantasy, e al centro, come a volersi rendere più visibile, vide un grosso volume la cui sola copertina, una figura di luce ad ali spiegate sovrapposta ad uno stupendo tramonto, balzava subito all’occhio, e incuriosito lo prese.

  Il titolo era L’Angelo del Deserto, di una certa Amamiya Nadeshiko, che a giudicare dal risvolto di copertina era una giovane e promettente stella della musica classica di evidente origine giapponese che studiava al prestigioso conservatorio di Parigi e che si cimentava qui con il suo primo romanzo.

  Le sue credenziali erano di tutto rispetto, visto che per uno straniero essere ammesso in uno dei maggiori conservatori d’Europa non doveva essere cosa da poco; forse, pensò Erik, questa ragazza aveva un qualche futuro davanti a sé, sempre ammesso che qualcuno riuscisse a cogliere e valorizzare il suo talento.

  Perché non darle una mano allora? Sfortunatamente il volume, date le sue dimensioni, non costava poco, e se Erik lo avesse comprato si sarebbe ritrovato quasi al verde, quindi doveva valutare bene se valesse o meno la pena di fare quell’acquisto, pertanto lesse dapprima il riassunto promozionale e poi qualche riga qui e là.

  La trama in sé si presentava piuttosto semplice: un gruppo eterogeneo di giovani avventurieri composto da un samurai, un combattente marziale, un contadino aspirante cavaliere, una maga e un mercenario dall’oscuro passato, quest’ultimo presentato come il vero protagonista, percorrevano in lungo e in largo un continente fantastico popolato delle più strane creature cimentandosi in infinite avventure con il fine ultimo di sconfiggere un tiranno usurpatore posseduto da un’entità oscura.

  Di storie simili ce n’erano da venirne a noia: cose come Harry Potter e Eragon avevano portato in auge la tematica fantasy come mai era successo negli ultimi anni, e ora quel tipo di temi andavano per la maggiore, ma gira che ti rigira era sempre la solita minestra cucinata in mille modi.

  Dapprincipio anche Erik pensò la stessa cosa, tanto che fu tentato di mollare tutto e andarsene, ma leggendo alcuni paragrafi qua e là per le pagine rimase indicibilmente colpito; c’era qualcosa di strano, qualcosa di magico in quelle parole. I personaggi sembravano così reali, così tangibili, come ben pochi scrittori sapevano fare, e la storia in sé era descritta in modo tanto appassionato e carico di emozione da far credere che lo scrittore l’avesse vissuta in prima persona.

  Ma ciò che maggiormente impressionò e inquietò fu quella sensazione di déjà vù, come se quella storia l’avesse vissuta lui stesso e quei personaggi fossero in qualche modo legati a lui, ma questo non era assolutamente possibile: dopotutto, era solo un racconto, una finzione.

  Ciò nonostante, di colpo, Erik sentì di stare nuovamente perdendo i contatti con la realtà, e prima che potesse fare qualcosa quella sensazione di freddo si impadronì di lui, strappandolo alla realtà per condurlo in un’altra dimensione, difficile da determinare.

 

Il nuovo arrivato sul campo di battaglia osservava il ragazzo con aria di sfida, e questi faceva altrettanto: non doveva piacergli molto venire colpito, ma doveva piacergli ancor meno che qualcuno si intromettesse nel suo scontro.

  «Chi sei?» domandò tenendo alta la sua spada.

  Fu Dusk a rispondere, e a giudicare sia dal tono che dal suo sguardo appariva chiaro che provava per il nuovo arrivato un misto di risentimento e paura.

  «Il Malevolo Esecutore. Gin.»

  «Mi deludi davvero, Dusk.» disse con tono di scherno «Basta un ragazzino scalmanato a metterti al tappeto. Come ha fatto uno come te a diventare un Superiore?»

  «Modera il tono, Esecutore. Sono un tuo parigrado.»

  «Nel titolo forse, ma nel potenziali direi che siamo decisamente su di un altro livello.»

  «Che cosa ci fai tu qui? Questo scontro è mio.»

  «Dovresti essermi grato. Dopotutto ti ho salvato la pelle.»

  «Io non l’avrei mai ucciso.» replicò il ragazzo intromettendosi nella conversazione «Non è mia abitudine infierire su chi è già sconfitto.»

  «E allora non hai motivo per restare qui.»

  «Che cosa!?»

  «Non c’è spazio per cose come l’onore e la compassione su questo mondo. Noi ci stiamo preparando a combattere una guerra conto l’universo intero, e non abbiamo alcun bisogno di idealisti buoni a nulla.»

  «Come hai detto?» ringhiò il ragazzo mentre il sangue gli saliva al cervello

  «Che c’è, fa male la verità?» replicò Gin ghignando ancor più malevolmente «Se credi di essere al nostro livello solo per aver battuto Dusk sappi che ne hai di strada da fare per poter anche solo sperare di competere con qualsiasi altro di noi.

  Dusk è indubbiamente un guerriero mediocre, ma ha combattuto ad un centesimo della sua forza.»

  «Un centesimo!?»

  «Esatto. Se gli fosse stato ordinato di fare sul serio, anche per uno come lui spedirti all’altro mondo sarebbe stato cosa da poco».

  Il ragazzo guardò Dusk, e lo sguardo colpevole dell’Eterno Custode lasciava intendere che Gin stava dicendo la verità.

  «Anche se, onestamente, mi aspettavo che un centesimo di tutto il suo potere fosse più che sufficiente a stenderti. È chiaro che in tutto questo tempo ti ho sempre sopravvalutato».

  Dusk sembrava chiaramente intimorito da quell’uomo, e malgrado le continue stoccate al suo orgoglio di guerriero subiva senza reagire; chi invece non era intenzionato a rimanere indifferente era il ragazzo, che ansi appariva piuttosto contrariato.

  «Se davvero credi che io sia così debole…» disse prima di corrergli contro «Allora affrontami!».

  Gin, nuovamente, ghignò, i suoi occhi si accesero si malevolo sadismo e affondata una mano nell’impermeabile ne prese fuori quello che sembrava un grosso fucile con tre lunghe canne una accanto all’altra e un’impugnatura appena sufficiente per poter essere stretta nella mano.

  Lo sparo produsse un rumore assordante, oltre che famigliare, e prima che il ragazzo potesse fare qualcosa tre grossi pallettoni luminosi, simili a quelli che aveva evitato poco prima, ma incredibilmente più potenti, lo centrarono in pieno, lanciandolo in aria prima di farlo precipitare al suolo con una forza tale da produrre un solco nell’asfalto.

  La spada gli volò via di mano, cadendo a terra poco lontano, e lui si sentì come se lo avesse investito una cometa; sentiva su di sé lo sguardo divertito di Gin che osservava ora lui ora il rivolo di fumo che usciva dalle canne della sua arma.

  «Vedi di abbassare la cresta, ragazzino.» disse appoggiandosi l’arma sulla spalla «O durerai ben poco in questo posto».

  Malgrado la stanchezza e il dolore il ragazzo riuscì, mugugnando e stringendo i denti, a rialzarsi; Gin sembrò sul punto di ridere, e lo sguardo indomabile del suo avversario serviva solo ad aumentare ancora di più il suo piacere.

  «Sei più testardo di quanto immaginassi. Forse un’altra razione servirà a renderti un po’ più ragionevole.»

  «Adesso basta Gin!»

  «Tu restane fuori Dusk. I topi devono stare al loro posto. È la legge di natura».

  Di colpo, nel momento in cui il Malevolo Esecutore era sul punto di premere il grilletto, molti altri portali si aprirono sui tetti degli edifici attigui, e altri individui vestiti come Dusk, sette in tutto, arrivarono sul campo di battaglia; uno di loro aveva una veste molto più nobiliare dei suoi compagni, e al suo fianco c’era una giovane ragazza che invece del soprabito nero indossava un kimono con gli hakama neri e il katagimu bianco senza maniche chiuso sul davanti da una cintura.

  Il ragazzo ne rimase subito colpito: i capelli, neri, erano lunghi e armoniosi, gli occhi trasmettevano gentilezza, e il suo aspetto, invece che timore e minaccia, emanava un senso di sicurezza e protezione.

  «Fermatevi!» disse l’individuo più appariscente «Tutti quanti!».

  Dusk lo guardò con stupore.

  «Il Principe Decaduto! T!».

  Ben diversa fu la reazione di Gin, che digrignò i denti contenendo a stento il proprio disappunto.

  «Erik ha superato la prova che gli era stata imposta, pertanto entra a pieno titolo a far parte dei Superiori. Da ora in poi sarà conosciuto come Sabaku no Tenshi, l’Angelo del Deserto.»

  «Con il dovuto rispetto, Principe Decaduto, questo moccioso non ci sarebbe di alcuna utilità.»

  «Questo è il volere dell’Imperatore, Malevolo Esecutore. Non vorrai sfidare la sua autorità, voglio sperare».

  Gin ringhiò in modo ancor più palese, mostrando tutto il proprio disappunto, ma poi non ebbe altra scelta che ingoiare il boccone amaro, e uccisi uno per uno i soldati con i quali il ragazzo si era battuto, ancora riversi a terra privi di sensi, se ne andò come era arrivato.

  «Non credere che finisca così.» disse prima di scomparire

  «Yumi, occupati di lui.» disse il solito individuo.

  La ragazza al suo fianco fece un cenno di assenso, poi, planando lentamente, come cullata dal vento, raggiunse il ragazzo, inginocchiandosi davanti a lui. Quello inizialmente si ritrasse, come spaventato.

  «Non temere.» disse lei guardandolo con dolcezza «Voglio solo aiutarti».

  Alla fine il ragazzo la lasciò fare, anche perché era impossibile che una persona con quegli occhi così gentili potesse nutrire cattive intenzioni, e lei, concentratasi, lo avvolse in una calda luce verde prato che ebbe l’effetto di lenire il dolore e curare le ferite.

  «Chi era quell’individuo?» domandò mentre veniva curato

  «Era Gin, uno dei Superiori.»

  «Chi sono i Superiori?»

  «Sono i capi della nostra società. L’unico al quale devono rispondere è l’Imperatore; qui siamo tutti soggetti alla sua autorità.»

  «E sei anche tu una di loro?»

  «Sì e no. Malgrado lo sia, non ho soldati ai miei ordini, come Dusk e gli altri…»

  «E allora come mai…»

  «Il nostro imperatore è molto giovane. Sta crescendo, e impara gradualmente a controllare i suoi vastissimi poteri magici. Diciamo che mi considera un po’ come una sorella maggiore, per non parlare del fatto che sono l’unica a possedere abilità curative.»

  «Capisco.»

  «Sei stato fortunato a rimanere vivo. Gin è un essere spietato, una vera macchina da guerra che prova gusto ad uccidere.»

  «Me ne sono accorto. Non ho mai conosciuto nessuno dotato di un simile potere, eppure ho viaggiato a lungo per l’universo.»

  «Guardati da lui. Se ti ha preso di mira, non perderà occasione per provocarti.»

  «Posso immaginarlo. Ma la prossima volta che vorrà attaccare briga mi troverà pronto».

  Dopo poco la medicazione ebbe fine, ed il ragazzo fu in grado di rialzarsi.

  «Come ti senti?»

  «Molto meglio.» rispose lui roteando il braccio per poi andare a recuperare la spada «Il tuo nome. Non ti ho ancora chiesto come ti chiami.»

  «Mi chiamano Jundo no Shinkirou.»

  «Il Miraggio della Purezza.»

  «Ma tu chiamami pure Yumi. E tu invece?».

  Il ragazzo esitò, portando il proprio sguardo a terra.

  «Erik. Mi chiamo Erik».

 

Come era avvenuto per il sogno di quella notte Erik venne riportato violentemente alla realtà, ritrovandosi di colpo nella libreria di Rockefeller Center con il romanzo di Amamiya Nadeshiko ancora tra le mani.

  Questa volta, però, la consapevolezza che non si era trattato solo di un sogno lo lasciò interdetto: cosa gli stava succedendo?

  Il pensiero che potesse esserci una correlazione tra il suo passato e quel libro, o forse con la sua ideatrice, cominciò a farsi strada dentro di lui; Angelo del Deserto, l’epiteto che gli avevano affibbiato, era anche il titolo del romanzo, e questa poteva essere qualcosa di più di una semplice coincidenza.

  Forse era solo la sua immaginazione; forse, come aveva detto sua madre, era solo un fatto della vita reale che si rifletteva nel sogno, o nella visione, a voler essere precisi, ma ora aveva un motivo per volerlo prendere ad ogni costo, e richiusolo si avviò deciso verso la cassa, ricongiungendosi poco dopo con la madre in una delle gallerie di collegamento.

  A metà pomeriggio, dopo quasi sei ore di acquisti intensivi, Erik e Betty fecero ritorno alla loro macchina stracarichi di pacchi, pacchetti e borse da riportare a casa.

  «Hai comprato mezzo Rockefeller anche oggi.» disse Erik mentre finiva di riempire il bagagliaio

  «Che ci vuoi fare, sono fatta così.

  Ma immagino tu abbia ragione. Sarà meglio che mi dia una regolata».

  Betty aveva appena aperto la portiera e stava per salire in macchina quando di colpo, come se qualcuno le avesse letteralmente succhiato via la vita, si accasciò al suolo, e assieme a lei anche tutte le altre persone che si trovavano in quel momento all’interno del parcheggio.

  «Mamma!» disse Erik, unico superstite, correndole incontro.

  Fortunatamente non era morta, ma semplicemente addormentata, eppure, per quanto ci provasse, Erik non riusciva in alcun modo a svegliarla.

  Poi il ragazzo sentì uno strano rumore, come un vagito animalesco, unito ad un rumore di camminata felpata, ed alzatosi si guardò attorno; dall’oscurità di un angolo, dopo poco, uscì lentamente un essere mostruoso, che lo fece immobile per lo sgomento.

  Aveva le dimensioni di una mucca, la corporatura, le zampe e gli artigli di un leone, la coda seghettata di uno scorpione terminante in una punta di freccia e la testa di un drago di forma triangolare, con un paio di occhi neri privi di luce e due file di denti affilatissimi; la sua pelle era nera, e si sarebbe detta quasi di metallo se non fosse stato per l’ondeggiare della muscolatura, inoltre alcune parti brillavano di una luce blu che andava e veniva in continuazione.

  Più preoccupato per sua madre che per sé stesso Erik si allontanò dalla macchina, spostandosi lentamente verso il centro del parcheggio, e la bestia avvicinatasi si concentrò proprio su di lui, restando a lungo ferma a ringhiare prima di partire all’assalto. Il ragazzo evitò la falcata della creatura rotolando di lato, ma quella non pareva determinata a molla, poi, rialzatosi, Erik avvertì uno strano formicolio al braccio destro.

  «Ma cosa…» disse stupito mentre nella mano gli compariva una bellissima kopesh tutta d’oro e con l’impugnatura tempestata di pietre preziose.

  La bestia fece qualche passo all’indietro, come spaventata da quell’arma che pur essendo di metallo era calda e sembrava brillare di luce propria.

  «Beh.» disse Erik mettendosi in una posizione di guardia «Visto che mi è capitata questa spada, tanto vale usarla. Fatti sotto!».

  Quel mostro attaccò ancora, ma usando la stessa tecnica di prima Erik riuscì ad evitarlo per poi colpirlo al fianco destro, facendolo ringhiare dal dolore; dalla ferita non uscì sangue, ma una strana poltiglia nera simile al bitume che corrodeva tutto ciò su cui cadeva, dall’asfalto alle macchine.

  Inutile dire che l’essere stato ferito fece infuriare il mostro ancora di più, spingendolo ad attaccare con sempre maggiore violenza e aggressività.

  La misteriosa forza che aveva permesso ad Erik di contrastare quei tre balordi questa volta non sembrava decisa ad entrare in azione, lasciando il ragazzo in balia di una creatura che dopo ogni falcata puntava gli artigli nel terreno, provocando enormi solchi, per fermarsi e attaccare nuovamente.

  Erik si difese meglio che poteva, mettendo a segno anche qualche altro colpo, ma ad un certo punto ricevette un tremendo colpo di coda che lo fece volare in aria e poi cadere sull’asfalto con la milza che minacciava di uscirgli dal corpo, e sollevati gli occhi vide il mostro compiere un salto più grande degli altri per potergli balzare sopra ed infliggergli il colpo di grazia.

  Ma, all’ultimo secondo, qualcosa colpì lui, un proiettile forse, a giudicare dal rumore, e quel mostro fu sbalzato violentemente a sinistra; guardando nella direzione da cui il colpo era venuto Erik si accorse della presenza, vicino all’ascensore di servizio, di un uomo con in mano una Heckler puntata in direzione del mostro. Doveva avere tra i venticinque e i trent’anni, capelli paglierini leggermente scuri pettinati come i suoi, occhi verdi e un’espressione seria, risoluta, da militare scelto; indossava pantaloni neri da sopravvivenza, scarpe da ginnastica, guanti da motociclista e una maglia aderente di un grigio molto scuro sotto alla cintura ascellare per la pistola e come ultimo una giacca in pelle; oltre alla pistola, assicurati alla cintura dei calzoni aveva anche alcuni shuriken e un grosso coltello da combattimento, e in un apposito fodero, come fosse una spada, un grosso Benelli M3 che sporgeva fino all’impugnatura.

  Il mostro, che probabilmente variava il proprio obiettivo a seconda della forza di quest’ultimo, si concentrò su di lui, lasciando perdere momentaneamente Erik, che ebbe modo di rialzarsi. Il nuovo arrivato ricominciò a sparare subito dopo che la creatura gli corse contro, evitando il suo balzo e piazzandogli due proiettili nel ventre senza però riuscire  ad ucciderlo.

  Seguirono un paio di minuti di aperto scontro, durante i quali l’uomo alternò l’uso della postola a quello di shuriken e coltello, i primi lanciati con grande abilità il secondo maneggiato con pronta destrezza, ma d’un tratto, quando il mostro era ormai al limite, non si avvide se non all’ultimo momento dell’arrivo, da un fianco, della coda a frustino; Erik però, accortosi per primo di ciò che stava per accadere, gridando come un ossesso piombò dall’alto e con un solo fendente recise di netto la coda del nemico che lanciò un ringhio terrificante mentre la parte mozzata, dopo essersi contorta ed agitata per qualche secondo, scomparve nel nulla trasformandosi in fumo.

  L’uomo approfittò immediatamente della distrazione del mostro e batté i pugni, producendo una specie di scossa elettrica che li circondò e che fu riversata tutta sul nemico nel momento in cui questi ricevette un gancio alla mascella così potente da scaraventarlo prima sul soffitto e poi a terra.

  Sconfitto, l’animale tentò inutilmente di rialzarsi, ma era tutto inutile; l’uomo, sfoderato il fucile, camminò lentamente verso di lui, quindi, tenendolo con una sola mano, gli fece saltare la testa, e così come la coda anche il resto del corpo, una volta morto, divenne nulla più che un ammasso di fumo nero e denso che si disperse rapidamente, lasciando però dietro di sé anche una grande quantità di quella sostanza corrosiva.

  Erik, ansimante sia per la fatica sia per lo spavento che si era preso, si avvicinò all’uomo per ottenere risposte, ma questi, voltatosi di scatto, gli puntò contro il fucile.

  «Ehi, aspetta!» si affrettò a dire il ragazzo.

  Quello lo guardò, squadrandolo attentamente con una certa aria interrogativa e anche un po’ sarcastica, ma alla fine abbassò l’arma.

  «Mi dispiace. Ma non potevo correre il rischio di dare confidenza ad un mostro. Dovevo assicurarmi che fossi umano.»

  «Perché, che cosa ti sembro?» ribatté Erik leggermente irritato «Sei forse pazzo?»

  «Di nuovo scusa.» disse l’uomo riponendo il fucile nel fodero «Ma qui si gioca con la vita. Meglio essere preso per pazzo che morire per troppa fiducia».

  La spada d’oro che Erik stringeva ancora in mano scomparve nel nulla e l’uomo, presa da un taschino della giacca una fotocamera digitale, prese a scattare foto alla pozza di acido.

  «Chi sei tu?»

  «Agente speciale Leon S. Kennedy. Servizi Segreti Americani.»

  «I Servizi Segreti danno la caccia ai mostri?» domandò Erik con lo stesso tono sarcastico usato poco prima dal suo interlocutore

  «Non i Servizi Segreti. Afterlife.»

  «Afterlife? Che cos’è?»

  «Un’organizzazione non governativa specializzata nella localizzazione ed eliminazione delle entità nocive conosciute come demoni. È in rapporti con i maggiori organi di governo e di polizia del mondo, NATO, G8, Interpol e così via, e visto che i suoi agenti non possono essere dappertutto addestrano persone come me, provenienti da vari corpi armati, a fare il loro lavoro.»

  «Siete dei cacciatori di demoni, dunque.»

  «È un lavoro come un altro.»

  «Sei stato tu ad addormentare tutte queste persone?»

  «Il protocollo prevede di non lasciare testimoni. Per l’opinione pubblica sarebbe difficile accettare l’idea che creature potenzialmente letali potrebbero apparire dovunque in qualsiasi momento, quindi prendiamo le nostre precauzioni agendo nella più assoluta segretezza.»

  «E adesso cosa ne sarà di loro?»

  «Si sveglieranno tra un paio d’ore, non preoccuparti.»

  «Meno male. Avevo paura che fosse opera del demone.»

  «A tal proposito.» disse Leon tornando a guardare Erik «Questo essere poteva essere tante cose, ma ho i miei dubbi che si trattasse di un demone.»

  «Che cosa!?»

  «Caccio questi esseri da quasi dieci anni, e non ho mai visto niente del genere. I demoni sono esseri viventi il cui circolo magico è stato spezzato, questo invece non era altro che un ammasso di energia, con magia allo stato liquido a fargli da sostentamento.»

  «Ma allora, se non era un demone, che cos’è?»

  «Non lo so, ma pare proprio che ce l’avesse con te.»

  «Ho avuto la stessa impressione. Ma per quale motivo avrebbe dovuto cercare proprio me?»

  «Beh, hai resistito al mio incantesimo del sonno, quindi sei dotato di una magia molto potente. Forse era questo che cercava».

  In quella la ricetrasmittente che Leon portava alla cintura si attivò.

  «Leon, mi ricevi?» domandò una voce femminile

  «Forte e chiaro, Trevor. L’obiettivo è stato eliminato, ma occorre una squadra di epurazione.»

  «D’accordo, informo subito il capitano. È andato tutto liscio?»

  «Perfettamente.»

  «Testimoni?».

  Leon, a quella domanda, guardò Erik, che era tornato da sua madre, esitando per qualche secondo.

  «Leon?»

  «Sì, scusami. No, nessun testimone. Ho usato l’incantesimo del sonno per mettere tutti a nanna.»

  «Molto bene. Aspetta la squadra di epurazione e poi torna ai tuoi soliti incarichi.»

  «Ricevuto, chiudo».

  L’agente si avvicinò dunque ad Erik, il quale aveva appena finito di adagiare Betty, ancora addormentata, sul sedile posteriore della macchina.

  «Sai guidare?»

  «Sì, certo.»

  «Bene, metti in moto e vattene di qui il prima possibile.»

  «Per quale motivo?»

  «Presto arriverà la squadra di epurazione per cancellare ogni traccia del passaggio del demone, e se scoprono che hai visto tutto sarò costretto ad applicare il protocollo.»

  «Allora perché lo stai facendo?»

  «Perché voglio che tu sia consapevole di quello che ti aspetta. Se questa creatura stava veramente cercando te è probabile che ne verranno delle altre, ed è bene che tu sia preparato nell’eventualità che ciò accada».

  Erik salì in macchina e mise in moto, ma prima che partisse Leon gli consegnò una ricetrasmittente attraverso il finestrino.

  «Aspetta. Prendi questa. È protetta contro qualunque incantesimo. Se dovessi avere problemi chiamami e verrò il prima possibile.»

  «Ti ringrazio.»

  «A proposito, come ti chiami?»

  «Erik. Erik Landry».

 

Un’altra giornata volgeva al termine, e anche gli ultimi studenti che ancora popolavano le aule del Conservatorie de Paris stavano cominciando a lasciare l’edificio, chi diretto a casa chi invece al dormitorio, frequentato soprattutto da ragazzi e ragazze provenienti da altri Paesi, e fra questi c’era la giovane Nadeshiko Amamiya, una delle giovani stelle della scuola che in un solo anno aveva già avuto modo di distinguersi tanto nel canto quanto nel suono del violino e del pianoforte.

  Di recente Amamiya aveva fatto parlare ulteriormente di sé dopo aver pubblicato un romanzo fantasy, le Ali del Deserto, che grazie sia alle molte amicizie che era riuscita a farsi fra i professori e gli altri studenti sia al buon nome della sua casa editrice, di proprietà delle facoltose Yoshida Industries, stava riscuotendo un buon successo in Europa, ed era stato importato anche negli Stati Uniti.

  Appena uscita dall’aula in cui aveva seguito l’ultimo corso della giornata Nadeshiko incontrò Ciharu Mihara, la sua unica conterranea a frequentare il conservatorio, con la quale oltretutto condivideva la sua stanza al dormitorio.

  «Ehi, Nada-chan!»

  «Ciharu-chan.»

  «Hai finito adesso anche tu?»

  «Sì, questa era l’ultima lezione.»

  «Io e le altre avevamo in mente di andare al Reunion a bere qualcosa. Vorresti venire anche tu?»

  «Ma, veramente… dovrei studiare…»

  «E dai, non staremo via molto. E poi sei già tra le migliori, una serata di studio in meno non abbasserà di certo la tua media.»

  «Beh… e và bene».

  Le due ragazze, invece di prendere la strada che portava direttamente ai dormitori, raggiunsero invece il portone d’ingresso del conservatorio, dove trovarono ad attenderle altri tre coetanei, due ragazze, Samantha Taylor di Sidney e Ayshwaly Oberoi, Aisha per gli amici, di Nuova Delhi, e un ragazzo, Manuel Gonzalo di Barcellona.

  «Ehi, Amamiya.» disse Manuel «Vieni a tenerci compagnia?»

  «Ti dispiace?» domandò provocatoriamente lei

  «Vuoi scherzare, certo che no! Forza, andiamo a divertirci».

  Il bar Reunion si trovava a poche centinaia di metri dal conservatorio ed era frequentato soprattutto dai ragazzi, e un tavolo attorno a cui erano sedute quattro bellissime ragazze non poteva non attirare l’attenzione; Nadeshiko in particolare, coi suoi capelli castani, i suoi occhi di smeraldo e quella sua aria dolce, quasi di bambina, la faceva da padrona, ma in un anno nessun ragazzo, per quanto bello, coraggioso, gentile e ricco potesse essere, era riuscito a fare breccia; lei infatti ripeteva continuamente di aver già trovato il ragazzo che le aveva portato via il cuore, anzi, che lo aveva sempre tenuto, e ogni qualvolta veniva fuori l’argomento Nadeshiko, arrossendo, stringeva il pendente che portava al collo, un ovale di forma circolare con otto ali rosa spiegate, quattro per lato.

  Dopo poco la conversazione cadde inevitabilmente sul romanzo di Nadeshiko, che tutti, anche molti professori, avevano già letto.

  «Ho finito ieri sera Le Ali del Deserto.» disse Samantha «Che storia romantica. Due giovani destinati a stare insieme fin dalla loro vita precedente. Ho pianto quando Toma se n’è andato.»

  «Anche io.» disse Aisha «E dire che di solito non mi commuovo facilmente.»

  «I personaggi sembravano così reali.» commentò Manuel «Sembrava quasi di averli davanti. Sei davvero brava a scrivere.»

  «Vi ringrazio, ma così mi fate arrossire.»

  «Ho sentito che l’editore si è messo in contatto con te chiedendoti una nuova storia.» disse Chiharu

  «Beh, in effetti…»

  «Chi l’avrebbe mai detto.» disse Manuel «Oltre che cantante e musicista potrai sfondare anche come scrittrice. Magari l’avessi io una tale fortuna».

  Nadeshiko si sentiva sempre un po’ a disagio quando le venivano fatti tutti quei complimenti, ma se non altro la vicinanza di amici tanto leali e affezionati la aiutava a dimenticare gli altri amici, quelli che aveva lasciato a Uminari, la sua città natale, e che ormai poteva sentire solo tramite posta o vedere con la webcam.

  D’un tratto la ragazza avvertì una fitta al cuore, una sensazione famigliare provata molte volte in passato, e strinse il pugno attorno al pendente per evitare che i suoi amici vedessero le ali rosa iniziare a brillare, poi, alzando lo sguardo, intravide una figura circondata da una luce bianca che si infilava in un vicolo poco lontano.

  «Scusatemi.» disse correndo in quella direzione sotto gli sguardi increduli di Chiharu e degli altri.

  Il vicolo, stretto e buio, sembrava deserto, ma fatti pochi passi Nadeshiko sentì una presenza alle proprie spalle e si voltò di scatto, trovandosi a tu per tu con un uomo di mezza età che la osservava con un misto di severità e rispetto.

  Non lo aveva mai visto, eppure sapeva chi fosse, malgrado indossasse una normale camicia a righe bianche e azzurre e un paio di pantaloni da passeggio, abiti per lui del tutto inusuali.

  «Sei tu!» esclamò

  «Mi fa piacere incontrarti. Aspettavo da tempo l’occasione per farlo.»

  «Ma come… Yuko mi ha detto che non potete farvi vedere nel nostro piano.

  Non starai correndo dei rischi?»

  «Ho avuto un permesso speciale. Quelli di lassù saranno pure dei conservatori vecchi e retrogradi, ma rispettano colei che porta in sé quanto rimane della loro compagna più illustre.»

  «Per quale motivo sei qui?»

  «Riguarda Toshio».

  Nel sentire quel nome la ragazza sentì lo spirito accendersi di speranza, e la fitta al cuore si ripresentò.

  «Che cosa gli è successo? È ancora vivo?»

  «Sì, è ancora vivo.»

  «Davvero!?» esclamò lei sorridendo di gioia

  «Aspetta. Purtroppo, qualcosa di nuovo si profila all’orizzonte, qualcosa di ben più grande e pericoloso di Seth, e quella è la vera minaccia che ha spinto Clow a mettere al mondo un figlio capace di contrastarla.»

  «Che cosa!?» disse Nadeshiko mentre quella sensazione di felicità veniva nuovamente sostituita dal dolore

  «Il ritorno di Toshio è ormai prossimo. Mentre noi parliamo, il suo corpo provato dalla battaglia contro Seth e dal confinamento di Anubis sta lentamente riacquistando le forze. Quando ritornerà, però, dovrete entrambi essere pronti, perché la vostra battaglia potrebbe essere solo all’inizio».

  La ragazza abbassò gli occhi, e fredde lacrime presero a bagnarle le guance.

  «Perché? Perché non volete lasciarlo in pace?» mugugnò, per poi guardare il suo interlocutore carica di rabbia «Che cosa ha fatto di male per meritare questo!»

  «Mi dispiace. So anche io quanto quel ragazzo abbia sofferto, e voglio la sua felicità quanto te. Ma questa volta, c’è in gioco qualcosa di molto più grande del vostro mondo. La posta in palio potrebbe essere la salvezza dell’intero universo.»

  «Dell’universo!?»

  «Per questo sono venuto qui. Io non lo potrò incontrare quando si sveglierà. È parte dell’accordo che ho dovuto sottoscrivere per salvargli la vita. Dovrai essere tu a dirgli quello che lo attende, e sarà lui a decidere se accettare o meno la missione che Clow ha scelto di affidargli. Come hai detto tu, noi non abbiamo il diritto di decidere della sua vita».

  Nadeshiko non riusciva a smettere di piangere; il pensiero che presto avrebbe visto l’amore della sua vita la rendeva felice, ma quella felicità era inevitabilmente guastata dal pensiero di ciò che avrebbero potuto portare gli anni successivi.

  Eppure, nonostante tutto, cercò di mantenere quel contegno che Isis, l’entità che a lungo aveva dimorato dentro di lei, le aveva insegnato.

  «Non mi sorprende.» disse ad un certo punto il suo interlocutore

  «Che cosa?»

  «Che vi siate scelti l’un l’altra».

  La ragazza si asciugò le ultime lacrime, e contemporaneamente il misterioso individuo cominciò a scomparire come un fantasma.

  «Abbi fiducia. Sono certo che Toshio, alla fine, farà la scelta giusta».

 

 

Nota dell’Autore

Rieccomi!

Siamo arrivati alla fine del secondo dei tredici capitoli. Avevo in mente questa storia da diverso tempo, ma pur conoscendo a menadito la parte centrale non riuscivo a trovare un inizio e una fine credibili, ma ora credo di aver ovviato a questo problema.

Lo so, avevo promesso che contemporaneamente avrei ripreso la pubblicazione di Millennium War – Rebirth, ma lavorare su due storie contemporaneamente non è mai facile, anche se ci proverò; in compenso ho visto che con questa riesco ad andare piuttosto spedito, quindi spero di concluderla il prima possibile.

Ringrazio Selly e Akita per le loro recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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