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Autore: ___Page    10/02/2019    2 recensioni
Sarebbe stata la giornata perfetta. Il suo YonYon avrebbe fatto faville in campo e lei sarebbe stata lì a fare il tifo per lui, gli avrebbe dato i cioccolatini e lui l’avrebbe stretta tra le sue forti braccia e l’avrebbe baciata fino a toglierle il fiato.
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*Questa storia partecipa alla Challenge delle Parole Quasi Intraducibili (FairyPiece version) organizzata dal forum FairyPiece – Fanfiction & Images*
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Pudding, Yonji Vinsmoke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Drachenfutter: 
letteralmente “il cibo del drago”, ovvero il regalo che si fa a qualcuno quando si sa di aver fatto qualcosa di sbagliato, nel tentativo di addolcirlo e placare la sua rabbia. (Tedesco)



VENERE E CIOCCOLATA


 
A Zomi, per il suo compleanno...


 
Charlotte Pudding non chiedeva scusa, non più.
Nella sua personale esperienza, chiedere scusa non le aveva mai portato nulla di buono. A ventitré anni compiuti, cinque li aveva spesi tra storie d’amore che andavano dal triste al travagliato, tutte accomunate da una stessa inevitabile evoluzione.
Un fidanzato che, del suo patologico bisogno di scusarsi, aveva fatto un’arma con cui, alla fine, si feriva solo lei. Tutto a causa dei suoi sbalzi di umore a dir poco ingestibili. Tutto perché lei ne era consapevole e a ogni lite, pure quando era lei ad avere ragione, a lui bastava fare appena leva sul suo senso di colpa per azzerbinarla.
E ce ne avevano messo di tempo, Ishley e Perona, a farle capire che l’azzerbinimento non andava bene neppure quando era lei in torto, figuriamoci se aveva ragione.
C’era voluta tanta pazienza, tante lacrime e tante delusioni, un introspettivo lavoro su se stessa, affrontato fortunatamente a un’età ancora abbastanza flessibile da riuscire a modificare almeno quei lati di sé che le facevano male, e per finire il fermo proposito di imparare a stare bene da sola.
C’era riuscita. I primi mesi con fatica e sotto stretta sorveglianza delle sue due migliori amiche, ma ci era riuscita. Dalla fine del liceo alla data odierna, Pudding non si era più accontentata.
Gli appuntamenti non le erano mai mancati, ma i secondi, terzi ed eventualmente quarti e quinti, erano venuti solo dopo primi appuntamenti degni di replica. Non molti in verità ma Pudding era scesa a patti con la realtà che uomini che valessero la pena ce n’erano pochi. E anche se questo faceva di lei una donna single, lo era felicemente. O almeno, lo era stata felicemente per un bel po’.
Lo era stata anche dopo aver messo un punto fermo alla sua frequentazione con Robb, causa incompatibilità e il fondato sospetto che il ragazzo battesse la sponda sbagliata e lo era tutt’ora, non in quel preciso momento forse, ma in generale, nella vita, quando si svegliava la mattina, Pudding era felice.
Ma non di essere single.
Almeno non da quando era arrivato lui. Lui, a cui non faceva che pensare a ogni ora del giorno, lui, con cui parlare era facile come bere un bicchier d’acqua. Lui, per cui valeva assolutamente la pena.
Non avrebbe nemmeno saputo della sua esistenza non fosse stato per il corso di cucina che aveva scelto di seguire come attività extracurricolare, così da integrare il suo naturale talento per i dolci. Era stato lì, mentre pendeva dalle labbra di Sanji-kun, avanti a lei di un anno e capace di rendere gustosi anche gli scarti, che lo aveva visto per la prima volta. Era entrato scardinando quasi la porta, delicato come un carrarmato, chiedendo a gran voce perché Sanji non rispondesse al suo fottuto cellulare.
Era uguale a lui, a Sanji-kun, eppure in qualche modo diverso. Stesse sopracciglia arricciate, anche se nella direzione opposta, stesso taglio degli occhi, stesso modo di aggrottare la fronte. Ma la mascella era più squadrata, la figura più massiccia, il sorriso più sghembo. Non che lo avesse visto in quell’occasione, proprio no.
A essere onesta, in quella prima occasione, l’impressione che le aveva fatto non era di certo stata delle più lusinghiere. Aveva interrotto una lezione del suo Sanji-kun, con modi di fare rozzi e linguaggio scurrile, e il motivo della tanto urgente telefonata era la necessità di un consiglio al brucio per riuscire ad agganciare Hiramera, la studentessa straniera appena arrivata al campus, che tutti conoscevano almeno per sentito dire e che aveva acceso facilmente i bollenti spiriti di tutta la popolazione universitaria maschile e non.
No, decisamente no. Con uno così, Pudding non avrebbe sprecato neppure le energie per un primo appuntamento, figuriamoci un secondo, terzo, quarto, quinto.
Fosse stato per lei, non lo avrebbe più visto e, se aveva ben memorizzato il suo volto, era stato per evitarlo casomai lo avesse incontrato di nuovo. Se non che, incontrarlo di nuovo, non era affatto dipeso da lei.
Tutt’al più, sembrava che l’universo volesse metterlo di traverso sulla sua strada a tutti i costi.
Era rimasta sinceramente stupita nello scoprire che Ishley non solo conoscesse un soggetto simile ma che avesse anche un rapporto di amicizia con lui. Ishley era dolce, educata, gentile, altruista e disponibile. Non il tipo di persona che si sarebbe aspettata potesse andare d’accordo con un soggetto del genere. Ma Ishley aveva ereditato la capacità di amare dal ramo shandia e matriarcale della propria famiglia e Yonji era capitato per caso sulla sua strada, nello specifico quella per la caffetteria, e, a quanto pareva, i consigli di seduzione di Sanji si erano rivelati così poco efficaci da obbligare il ragazzo a cercare il parere femminile di una delle poche che non aveva abbordato con obbiettivi poco casti. E alla fine, senza volerlo né chiederlo, aveva trovato quello di Pudding.
Ci aveva provato a trattenersi, ci aveva provato con tutta se stessa e ci aveva provato anche Blob, la voce della propria coscienza con cui era solita intrattenersi in brevi conversazioni amichevoli e lunghe accese discussioni, ma alla fine era esplosa e aveva comunicato al Vinsmoke che, forse, ma solo forse, i consigli di suo fratello non sarebbero stati così inutili se magari si fosse sforzato di applicarli senza quell’atteggiamento perennemente arrogante e scazzato e poi se n’era andata a passo di kamikaze, lasciandolo lì a metabolizzare, non senza un po’ di shock, le sue parole.
Ma lo shock di Yonji era stato niente in confronto a quello di Pudding quando se l’era ritrovato fuori dalla sua stanza del campus, non più in attesa di Ishley ma in attesa di lei. E sì, i consigli di Sanji facevano schifo comunque li si applicasse, ma lei, lei poteva aiutarlo con Hiramera. E lui l’avrebbe aiutata con Sanji.   
Così era iniziata. Così erano iniziati i messaggi durante le lezioni, le telefonate a orari assurdi, gli incontri alla caffetteria passati a ripetere lo stesso consiglio anche sette volte per sopperire alla praticamente inesistente soglia di attenzione di Yonji. E Pudding odiava ripetere le cose ma Yonji aveva questo particolare modo di non memorizzare le cose che risultava, in un qualche contorto modo, spaventosamente adorabile. 
Pudding non sapeva quando avessero smesso di parlare di Hiramera. Non avrebbe saputo indicare la mattina in cui si era svegliata e il suo primo pensiero non era stato per Sanji. Non avrebbe saputo dire quale delle tante volte in cui Yonji l’aveva chiamata “Pur” le avesse fatto fluttuare il cuore.
No, Pur non sapeva spiegare nemmeno a se stessa come e quando si era innamorata di Yonji ma sapeva perché. Era la sua pregnante e rassicurante presenza, il suo modo un po’ coglione ma spontaneo di confortarla, era il suo ghigno storto, la sua abitudine ad affibbiare nomi cretini a chiunque, era come abbracciava e come rideva e come la ascoltava attento, come parlavano di tutto, si confrontavano, discutevano sempre uno di fronte all’altro, alla stessa altezza, occhi negli occhi.
Pur si era innamorata, per la prima volta non per bisogno ma per sincero affetto, e il mondo era un luogo bellissimo in cui vivere, e tutto filava liscio come l’olio.
O meglio, tutto aveva filato liscio come l’olio fino a quel maledetto dieci febbraio.
Le premesse del disastro, paradossalmente, erano state una serie di fortunati eventi, in realtà. Yonji era stato scelto per giocare titolare nella squadra di rugby della North Sea University alla prima partita di campionato, che cadeva l’unico weekend di febbraio in cui nessuno dei fratelli di Pudding faceva gli anni e abbastanza vicina a San Valentino da farle racimolare sufficiente coraggio per preparargli dei cioccolatini e regalarglieli a fine incontro, prendendo due piccioni con una fava.
Sarebbe stata la giornata perfetta. Il suo YonYon avrebbe fatto faville in campo e lei sarebbe stata lì a fare il tifo per lui, gli avrebbe dato i cioccolatini e lui l’avrebbe stretta tra le sue forti braccia e l’avrebbe baciata fino a toglierle il fiato.
“Occhio che ti sanguina il naso”
Non mi sanguina il naso!
“Sì, che ti sanguina”
Non è vero! Non… oh merda secca!
“Pur, le parole!”
Si portò rapida un fazzoletto alla narice, riflettendo sulla pellicola rosa che continuava a proiettarsi nel suo cranio. Kata le diceva sempre di tenere i piedi per terra e, okay sì, non sapeva nemmeno se alla fine avrebbe avuto il coraggio di dargli davvero i cioccolatini, figuriamoci il bacio da cardiopalma e l’abbraccio da “non ti lascerò mai andare”. Ma che Yonji avrebbe dato tutto se stesso in quella partita, di quello era certa come anche che sarebbe stata lì a tifare per lui.
Sì, sarebbe stata lì. Eccome se sarebbe stata lì.
Sarebbe stata lì, assolutamente ci sarebbe stata se solo quell’insopportabile, viziato, ruminante concentrato di risatine acute e gonne a palloncino a pois, conosciuta anche come “sua sorella Flambé”, non avesse avuto la brillante idea di proporre a quella ginormica scassapalle della loro madre di organizzare un tea party di famiglia, in vista di San Valentino e all’ultimo minuto per giunta. Un tea party a cui sua madre mai avrebbe detto di no. Un tea party a cui era costretta a partecipare se non voleva che quell’essere che l’aveva messa al mondo le facesse terra bruciata intorno con tutti i suoi fratelli e trasformasse la sua vita in un incubo. Un tea party che, con tutto il weekend a disposizione, era stato fissato proprio per la stessa mattina in cui si giocava la prima partita di campionato.
Che. Sfiga.
“Te l’ho già detto, Pur. Tua sorella si chiama Flambé, non Sfiga”
Va a farti fottere, Blob.
“Linguaggio, signorina! E poi credevo fossimo qui perché tu potessi farti fot…”
«Blob!»
Pudding sgranò gli occhi e sigillò le labbra quando si rese conto di aver parlato ad alta voce, guardandosi attorno furtiva. Per fortuna non sembrava esserci nessuno nel corridoio in cui si trovava, con in mano una scatola di cartone da pasticceria ricolma di cioccolatini homemade e la ferma intenzione di chiedere scusa a Yonji.
Mosse una mano a controllare nervosamente i codini e prese un profondo respiro prima di bussare piano alla porta della stanza. Era da disperata presentarsi lì, era stato ancor più da disperata contattare di nascosto Sabo per assicurarsi di trovare Yonji in stanza, barattando l’informazione con l’attuale ubicazione di Ishley, ma non aveva avuto alternative. Yonji non rispondeva ai suoi messaggi da ore, compresi quelli di scuse per non poterci essere e senza praticamente nessun preavviso, e Pur non sapeva nemmeno esprimere a parole quanto dolorosa fosse la delusione ogni volta che il suo telefonino non presentava alcuna notifica da parte di YonYon. Sperava solo che la delusione di Yonji non fosse stata tanto grande perché, per quanto avrebbe voluto dire che teneva a lei quanto lei sperava che ci tenesse, non sopportava l’idea di aver fatto stare così il ragazzo che amava.
La porta si aprì con violenza, quasi scardinata, e un’ondata di aura nera si riversò nel corridoio, mentre Yonji si stagliava sulla soglia così furente da non mettere nemmeno a fuoco chi aveva di fronte.
«Che cazzo vuoi ancora Blondie?! Ti sei accorto di aver dimenticato le chiavi o hai battuto ogni record e Ish ti ha dato il ben servito in mezz… PurPur!» Yonji sgranò gli occhi e fece un salto così nel metterla infine a fuoco.
«Ciao YonYon»
Abbassò rapido le sue inseparabili cuffie verdi intorno al collo, per un attimo congelato, per poi scattare e rientrare in stanza lasciando la porta spalancata, lanciandosi a raccattare quanti più oggetti, riviste di dubbia provenienza, vestiti e indumenti intimi riuscisse in un’unica bracciata.
«Ehi ciao! C-che fai qui? Credevo fossi a Melice tutto il weekend!» la salutò nervoso, riordinando come poteva quel gran bordello che era la stanza sua e di Sabo.
«Sono scappata appena finito il tea party» spiegò Pur mentre scivolava dentro e richiudeva la porta. Provò a seguire i rapidi di movimenti di Yonji ma le veniva quasi da vomitare tanto scattava veloce da una parte all’altra. «YonYon non è necessario» provò a fermarlo, a disagio per il fatto che stava dando più attenzione all’igiene della camera che a lei.
Come se gliene importasse qualcosa! Che importanza aveva lo stato della sua camera?! Anche se era la prima volta che Pudding ci metteva piede a lei non fregava un accidente se anche sembrava ci fosse esplosa una bomb…
Pudding sobbalzò appena e divenne rossa come un pomodoro. Oddio, oddio! Era nella stanza di Yonji, fisicamente nella stanza di Yonji, una stanza con una porta e una serratura e un letto, solo loro due! Oddio, oddio, odd…
«Pur, stai bene?» si fermò, osservandola attento. Troppo attento. Pudding si sentiva morire ogni volta che la guardava così, con i suoi occhi limpidi concentrati, in grado di penetrarle l’anima e non solo.
«Io… I-io… Io, ecco io…»
“Soggetto, verbo, complemento oggetto”
«Io sono passata a portarti un piccolo regalo post-partita!» riuscì a buttare fuori, quasi un urlo tanta era la tensione, alzando la scatola di cartone.
“Che spettacolo”
Voglio morire. Voglio sotterrarmi ora.
“Ti dirò Pur, normalmente mi opporrei, ma stavolta credo di essere d’accordo”
«Oh» il sorriso sembrò congelarsi sulla faccia di Yonji la solo sentire nominare la partita. E forse il congelamento del sorriso era contagioso perché Pudding andò incontro allo stesso fenomeno mentre lasciava scivolare il piccolo contenitore sulla scrivania più vicina. «Sei gentile, grazie»
“Gentile? Gentile?! Ma l’hai guardata bene, razza di idiota con il cervello nei bicipiti?! Gentile è la prima cosa che ti viene in mente guardandola?! Non bellissima, sexy, materna, dolce e scop…”
Blob, per l’amor del cielo! Ma non lo vedi che è depresso?!
Pur lo squadrò un momento, fermo in mezzo alla stanza, con le braccia cariche di oggetti e indumenti e gli occhi puntati al suolo e di lato, intenti a evitarla quanto più riuscisse. «Come…» tentennò ma senza perdere il sorriso e azzardando un passo verso di lui. «Com’è andata?»
Yonji si sbloccò, e ancora senza guardarla si avvicinò all’armadio, aprendolo con un piede e lanciandoci dentro il bolo di ciarpame raccolto in fretta e furia, richiudendo poi le ante con un movimento stanco, prima di girarsi finalmente a puntare i suoi occhi quasi trasparenti in quelli bicromatici di lei, uno verde e uno marrone.
«Abbiamo perso» si strinse nelle spalle, quasi a tentare vanamente di mascherare la delusione che chiaramente provava, e il cuore di Pudding scivolò dal petto allo stomaco, fino ad atterrarvi con un tonfo sordo.
Non per il movimento di spalle di Yonji né per il tono fintamente noncurante che aveva usato né tanto meno per l’affermazione in sé. Sapeva che avevano perso, Ish e Perona l’avevano tenuta aggiornata e comunque non ci voleva un genio per intuirlo, visto l’umore del ragazzo.
No. Era stato per come l’aveva guardata nel dirlo, il guizzo che gli aveva attraversato gli occhi. Un lampo duro, accusatorio, facile da leggere per Pudding, che lo conosceva così bene.
Tu non c’eri. Abbiamo perso e tu non c’eri.
Ecco cosa voleva dire Yonji. Lei non c’era. Avevano perso e lei non era stata lì a supportarlo, portargli fortuna, fare il tifo per lui e infine confortarlo. Lei non c’era stata e, se avesse potuto, si sarebbe scagliata su di lui, aggrappata a lui verosimilmente per sempre e implorato il suo perdono.
Ma le voci di Perona e Ishley erano lì pronte a ricordarle tutta la fatica fatta per ritrovare la propria dignità e un briciolo di sanità mentale, obbligandola a trattenersi. Dannata ragionevolezza!
«Oh. Sono sicura che hai dato comunque del tuo meglio. Perdere, insomma, è una cosa che può capitare, giusto?» provò a mantenere un tono il più leggero possibile, finché la pressione esercitata dai suoi muscoli facciali per mantenere le sue labbra piegate in un sorriso non rischiò di farla esplodere e Pur distolse lo sguardo, prima di sussurrare: «E mi dispiace di non esserci stata, YonYon. Io…»
Non ho fatto che pensare a te tutto il giorno. Non faccio che pensare a te ogni minuto di ogni giorno.
«Uh?! Che?! Ma no, Pur, no figurati, non farti problemi, insomma non è come se fosse necessaria  la tua presenza e poi c’era un sacco di gente, non è quello. Hiramera ha anche organizzato un gruppo di tifoseria. Credo sia una ex cheerleader o roba del genere» agitò la mano in aria, a minimizzare il problema e Pudding sentì una scarica attraversarla.
«Oh» riuscì a commentare.
Hiramera. C’era Hiramera. A fare il tifo e trascinare gli altri.
“Stai calma”
La uccido.
“Respira”
La smembro.
«Beh per fortuna che c’era Hiramera, allora» scrollò le spalle, improvvisamente seria e distaccata Pudding, facendo sobbalzare Yonji con il suo tono freddo.
«Pur è tutto a posto?»
«Sì, certo» asserì glaciale.
Yonji sgranò gli occhi e guardò furtivamente intorno a destra e a sinistra, quasi che potesse trovare risposta all’improvviso cambio di umore della ragazza. «O-kay» mormorò incerto, posando infine gli occhi sulla scatola di cartone abbandonata sulla scrivania. «Ah. Vediamo cosa mi hai portato» cambiò rapido e nervoso argomento, avvicinandosi al ripiano di legno.
Pudding rimase immobile e rigida dov’era, lasciandosi superare e restando di spalle a Yonji, ora tesa all’idea che potesse non apprezzare.  Lo ascoltò trafficare e imprecare mentre cercava di sbloccare l’incastro che formava il manico sulla cima della scatola e si girò pronta a intervenire proprio quando Yonji riuscì finalmente ad aprire l’involucro.
«E che cazzo!» esclamò furente, aprendo le ali di cartone per poi irrigidirsi e zittirsi di colpo, gli occhi fissi sul contenuto della scatola e le braccia puntellate alla scrivania.
Q-qualcosa non andava?
«YonYon» Pur mosse un passo incerto verso di lui. «YonYon tutto b…»
«Cosa sono?» domandò il ragazzo, la voce instabile e un lieve tremito in tutto il corpo.
«Eh?!»si allarmò Pudding, facendo vagare gli occhi sull’ampia schiena di Yonji che nascondeva alla sua vista i cioccolatini incriminati. «Ah, oh, s-sono praline» si bloccò nel vedere Yonji tremare ancora più violentemente. Cosa gli prendeva? Aveva… aveva sbagliato qualcosa?! «Con il cioccolato bianco e le mandorle, so che ti piacciono tanto, e nel ripieno c’è anche un po’ di rhum e scorz…»
«Vai via»
“Che ha detto?!”
«C-come?!»
Pudding barcollò quasi, non sapeva se per il tono usato da Yonji o per il boato che aveva fatto il suo cuore nel sentirsi rivolgere così da lui. Perché la stava cacciando?! E a quel modo poi! Che aveva fatto di così terribile?!
«Ma… non ne assaggi neanche uno?» fece un disperato tentativo, il sorriso che non riusciva più a stare su.
«Pur» sembrava quasi stesse ringhiando, Yonji. «Vai via»
«Ero curiosa di sapere come sono ven…»
«Vai via Pudding!!!»
Uno schiaffo avrebbe fatto meno male. Yonji non la chiamava mai con il nome completo, sapeva quanto poco le piacesse, mentre non aveva idea di come la facesse sciogliere quando la chiamava “Pur”, sembrava quasi un gatto che faceva le fusa.
Ma soprattutto, Yonji le aveva urlato contro, furibondo, risentito e scocciato e questo non era mai, mai, mai successo, neppure nelle giornate più nere del ragazzo, di cui Pudding era diventata una presenza costante da quando era arrivata nella sua vita.
E sapeva che era colpa sua, per aver insistito, per non esserci stata, però ci aveva provato, aveva tentato di balzare il tea party e, avendo fallito, era accorsa lì armata di ciò che meglio le riusciva, per fargli vedere che ci teneva davvero, che era importante.
Che lui era importante.
Mortificata, ferita nel profondo, Pur si gettò la sciarpa intorno al collo senza avvolgerla e si trascinò alla porta con passi lenti, non tanto perché non volesse andarsene, quanto perché le gambe non sembravano granché stabili in quel momento.
“Pur, ohi! Ma che fai?! Non te ne vorrai andare davvero!”
Blob smettila. Non mi vuole qui.
“Ma dagli una lezione, si sta comportando da stronzo!”
Ha suoi buoni motivi.
“No, non è vero!”
Sì che è vero.
“Pur per l’amor del cielo! Non vorrai fare un simile passo indietro per colpa di questo imbecille!”    
Non è un imbecille! E non è un passo indietro!
“Ma davvero?! Cosa pensi che direbbero Perona e Ishley?!”
Io…
“E Kata, se ti vedesse andartene così con la coda tra le gambe?”
«Io non me ne vado con la coda tra le gambe!» esclamò prima di riuscire a fermarsi, il tonfo della porta richiusa bruscamente a sottolineare il concetto.
«Come?!» sussultò Yonji alle sue spalle, il tono arrabbiato almeno in apparenza scomparso.
Oh bene! Magnifico!
Ora aveva solo due possibilità. Ammettere che parlava con la propria coscienza come una vera e propria persona e farsi etichettare come pazza dal ragazzo per cui aveva perso la testa e fingere che stesse parlando con lui.
Non c’era nemmeno da stare a pensarci.
«Ho detto che non me ne vado con la coda tra le gambe» ripeté, alzando ben dritto il capo, senza tuttavia girarsi. «Non mi merito di venire cacciata via così. Perché poi? Per dei cioccolatini?!»la voce tremò appena ma Pur mando giù, imponendosi contegno. «Perché non ci sono potuta essere?! Credi che fossi felice di andare a quello schifoso tea party anziché essere qui a fare il tifo per te?!»
Non era neanche così male tirare fuori tutto, era stata decisamente la scelta migliore.
«Morivo proprio dalla voglia…» strinse la maniglia nella mano, rischiando di accartocciarla tanto si sentiva frustrata, il volto deformato dalla rabbia. «…di starmene a sentire mia madre che parla di quanto sono deliziosi i croquembouche anziché venire allo stadio a fare il tifo per il ragazzo che amo!» si voltò in un turbine di capelli e si congelò sul posto.
Oh… no…
Lo aveva detto…. Lo… Lo aveva detto…
“Ad alta voce, mia cara!”
Oh merda secca!
«Io… Io…» boccheggiò Pur a occhi sgranati, ricambiando con lo stesso shock l’espressione di Yonji che, di fronte all’inattesa e prorompente confessione, non era tanto certo di aver capito bene e non si stava più preoccupando di mascherare il piccolo problema che era insorto tra le sue gambe nell’aprire la scatola di cioccolatini. Problema che, dopo qualche secondo, divenne ben chiaro anche a Pudding, quando la sua attenzione fu suo malgrado attratta dalla protuberanza nei pantaloni di Yonji. Se possibile, gli occhi le si spalancarono ancora di più. «YonYon…» esalo sconvolta.
Ma veramente?! Okay, quelle praline erano… erano… però insomma!
«Credo di dover andare» si girò rapida e riafferrò la maniglia ma non riuscì che ad aprirne uno spiraglio prima che venisse per la seconda volta richiusa bruscamente, stavolta dalla mano di Yonji, apparsa accanto al viso di Pudding dal niente.
«Oggi alla partita ho fatto un casino. Ho giocato da schifo perché ero arrabbiato. Ero così arrabbiato di non avere la mia PurPur lì con me» Yonji appoggiò la fronte sul suo capo e un brivido violento attraversò Pudding nel sentire la profonda voce di Yonji sussurrata così vicina al suo orecchio. E poi cosa voleva dire con “la sua PurPur”? Il cuore le perse un paio di battiti prima di accelerare a mille. «E poi mi sono arrabbiato perché avevo fatto casino e giocato male. E perché Sabo è un coglione. Ma non potrei mai, mai avercela con te» negò con la testa, strusciando il naso sulla sua nuca. «Ti ho mandata via perché non volevo che ti accorgessi del risveglio della Forza. Ma, PurPur…» sospirò piano il suo nome «…cosa ti aspetti se la ragazza con cui voglio fare l’amore da settimane mi regala dei cioccolatini a forma di tette?»
Oh santo semolino…
“Fermi tutti! Che ha detto?!”
Blob lui… lui…
Lui voleva fare l’amore con lei. Yonji voleva fare l’amore con lei!
Chiuse gli occhi per godersi la sensazione di cui quelle parole l’avevano pervasa, un piccolo anticipo prima di farsi pervadere da ben altro.
«YonYon…» esalò e risollevò di scatto le palpebre quando il ragazzo la obbligò a voltarsi verso di sé, penetrandola con i suoi occhi chiari. In attesa di penetrarla con ben altro.
«Dicevi davvero Pur» prese un profondo respiro, di colpo disarmato, forse anche un po’ rosso sulle guance ma senza distogliere lo sguardo da lei. «Tu mi… Perché… Perché se è vero devi sapere che io… anche io, sì insomma… io credo di essermi innmmmmgh» mugugnò quando Pudding smise di trattenersi e gli morse decisa le labbra, affamata di amore e di lui.
Il tempo di realizzare cosa stava succedendo e afferrarla per i fianchi, spingerla contro la porta e schiacciarsi su di lei, e Yonji era già al limite, la stanza già bollente dei loro respiri. La mano del ragazzo salì scattante a cercare quasi con disperazione lo scollo del sottile maglioncino che Pudding indossava sotto al cappotto.
«Pur, io voglio assaggiare i cioccolatini che hai fatto per me ma prima…» esitò un istante, cercando di nuovo i suoi occhi. «…prima posso assaggiare te?»  
Se Pudding avesse dovuto descrivere la sensazione provata in quel momento, avrebbe detto che era come se un fuoco d’artificio le fosse esploso all’altezza dello stomaco, rilasciando una frizzante polverina nel suo petto e nelle sue vene. Ma, per fortuna, Pudding si trovava in una situazione in cui descrivere l’effetto che Yonji le faceva era l’ultimo dei suoi pensieri e godersi l’effetto che Yonji le faceva il primo.
Con un sorriso malizioso, Pur cercò a tentoni la chiave della porta e la girò decisa nella toppa, senza mai staccare lo sguardo da Yonji, che ghignò sadico. «Blondie ha dimenticato le chiavi» le fece presente e Pur si strinse nelle spalle.
«Beh allora sarà meglio che si giochi bene le sue carte con Ish così da avere un letto per stanotte»
Yonji la fissò solo un altro momento con devozione per poi riavventarsi sulle sue labbra e trascinarla verso il proprio letto, spogliandola, baciandola ovunque riuscisse ad arrivare, sciogliendo finalmente i codini che da settimane sognava di sciogliere, tutto condito dai gemiti di approvazione della ragazza, ben contenta di farsi travolgere da sensazioni che mai prima aveva provato.
Finalmente, per una volta, il suo bisogno di scusarsi aveva portato conseguenze positive.
Ma soprattutto c’era da dire che, tra tutti i cioccolatini possibili, optare per i capezzoli di Venere era stato un vero colpo di genio.
“Sgualdrinella”.
   

 
  
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