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Autore: linguadigatto    16/02/2019    1 recensioni
Si voltò nuovamente, ma stavolta dalla parte opposta, per allungare una mano sul comodino e afferrare il cellulare. Strizzò gli occhi, accecato per un attimo dal bagliore dello schermo retroilluminato. Erano le sei e dieci del mattino e Giulia non si sarebbe svegliata prima delle otto. Marco si distese sulla schiena e fissò il soffitto, respirando lentamente.
Gli sembrò di realizzarlo davvero con chiarezza soltanto in quel momento: non l’amava più.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inerzia

 

Marco aprì gli occhi lentamente, allungando le braccia sopra la testa. Le pareti bianche, rese grigie dalla penombra creata dalle tapparelle abbassate, lo intristirono con la loro impersonalità. Dormiva in quella stanza d’albergo da ormai due settimane, gli era in un certo senso familiare, ma non si era affezionato ad essa. Nonostante all’esterno l’estate fosse al culmine, e il blu intenso del mare perfettamente visibile dal balcone, gli pareva che tra quelle mura sopravvivesse un freddo quasi invernale, non percepito sulla pelle, ma al di sotto, negli strati più profondi del corpo.

Abbassò le braccia, riavvicinandole al corpo, e si passò una mano sul volto e tra i capelli. Si voltò alla sua sinistra; il fianco di Giulia era una curva sinuosa che si stagliava attraverso il lenzuolo. I lunghi capelli bruni, sparsi sul cuscino, quasi gli sfioravano il naso. La spalla abbronzata si sollevava e si abbassava lentamente; era ancora profondamente addormentata. Si voltò nuovamente, ma stavolta dalla parte opposta, per allungare una mano sul comodino e afferrare il cellulare. Strizzò gli occhi, accecato per un attimo dal bagliore dello schermo retroilluminato. Erano le sei e dieci del mattino e Giulia non si sarebbe svegliata prima delle otto. Marco si distese sulla schiena e fissò il soffitto, respirando lentamente.

Gli sembrò di realizzarlo davvero con chiarezza soltanto in quel momento: non l’amava più. La bellezza di Giulia era tale e quale a com’era sempre stata; la piega delle sue labbra non aveva perso fascino, ed ogni volta che i loro occhi si incontravano le sue lunghe ciglia lucide catturavano la sua attenzione. La sua pelle era ancora un misterioso materiale che non si stancava di accarezzare. La sua intelligenza non si era affievolita durante gli anni che avevano passato insieme, si era semmai accresciuta. Eppure l’immagine interiore che aveva di tutti questi particolari non brillava più di luce propria. Un disorientante senso di vuoto aveva preso il posto del sentimento caldo ed avvolgente al quale aveva ormai fatto l’abitudine. Avrebbe desiderato che quel momento avesse per lui più enfasi e magari che qualche lacrima lo accompagnasse; invece continuò a respirare tranquillamente, sentendosi un po’ meschino.

Cercò di ripercorrere le varie tappe della loro relazione; dalle prime erano ormai passati quasi dieci anni. Si erano scambiati il primo bacio durante la gita della quarta liceo, nel corridoio traballante del treno che li stava riportando a casa, dopo aver cercato il coraggio in un sorso di vodka contrabbandata dai compagni più temerari. Da quel momento in poi tutto era venuto naturale, quasi intuitivo, ma forse, rifletté, non c’era di che stupirsi: si conoscevano fin da quando erano bambini, erano cresciuti nello stesso quartiere, avevano corso negli stessi prati e lanciato lo stesso pallone, prima ancora di finire nella stessa classe, ormai quattordicenni. Le loro memorie coincidevano in più punti, e l’elenco dei pregi e difetti dell’uno e dell’altra non poteva essere più completo. Non si erano mai nascosti nulla. Né lui né Giulia erano mai stati molto aggressivi, e la rabbia che le rare discussioni potevano generare sbiadiva dopo qualche ora. Erano stati dalla stessa parte troppe volte durante innumerevoli faide adolescenziali tra gruppi per riuscire a rimanere troppo a lungo l’una contro l’altro. Neppure mondo universitario, tanto più vasto e popoloso di quello liceale, era riuscito a separarli: le loro facoltà non erano troppo distanti, e tutti i giorni dopo le lezioni si incontravano per studiare, parlare, passare il tempo insieme. Era del tutto convinto che, senza la calma determinazione di lei, non sarebbe mai riuscito a portare a termine la facoltà di Economia, che si era fatto piacere nella speranza – poi avveratasi – di trovare velocemente un buon lavoro. Le loro lauree triennali e poi magistrali si erano tenute nello stesso periodo, organizzare insieme la festa era stata una decisione spontanea.

Avevano vissuto, poco più di due anni prima, l’irrompere del lavoro nella loro sfera sociale; vedere gli amici di sempre era diventata un’occasione speciale e che richiedeva molta organizzazione. Nel fracasso di messaggi e di gruppi si era insinuato uno strano silenzio. Giulia non ne aveva sofferto più di tanto, dei due era sempre stata quella più indipendente, meno emotiva, mentre per Marco adattarsi era stato molto più difficile. Si era appoggiato a lei e al suo amore, forse più di quanto avrebbe dovuto, per restare a galla tra gli assilli continui del lavoro e il vuoto che lo assaliva ogni volta che usciva dalla porta dell’ufficio. Lei aveva inseguito i suoi sogni filosofici e, dopo aver attraversato con grazia e senza troppa paura una serie di lavori saltuari, era riuscita ad ottenere un dottorato, non troppo remunerativo ma in un’università prestigiosa. Avevano festeggiato smodatamente e il mattino dopo Giulia si era immediatamente messa alla ricerca di una casa da affittare, grande abbastanza per tutti e due. Per lui non sarebbe stato troppo difficile chiedere un trasferimento all’istituto bancario dove lavorava, che aveva filiali in tutta la nazione. Eppure, rammentò, qualcosa dentro di lui si era rivoltato selvaggiamente nel momento in cui aveva presentato la richiesta formale all’amministrazione. Era una sensazione che non aveva mai provato prima: in macchina, parcheggiato ai piedi del palazzo al cui interno si trovava il bilocale che aveva preso in affitto insieme a Giulia qualche mese prima, dovette reprimere l’istinto di riaccendere il motore e andarsene lontano, non sapeva neppure dove. In quella sera di primavera aveva iniziato a fare i conti con il senso di colpa che si era installato nelle pieghe del suo cervello. Si era reso conto di essere un fidanzato tanto più amorevole quanto più cercava di respingere tale sgradevole sentimento; Giulia non doveva mai essersi sentita tanto desiderata e presa in considerazione. Non riusciva a pensare ad altro che a lei, anche se in modo molto diverso rispetto a quello che si poteva presupporre dall’esterno. Era convinto che il problema non fosse l’imminente trasferimento, ne avevano già parlato in astratto in altre occasioni, ed era un’idea con cui spesso si era baloccato nei momenti di sconforto lavorativo o sociale. Immobile sul letto, fissava le sottili linee chiare che la luce del sole disegnava sul soffitto, riflettendo. Il silenzio assoluto che aveva regnato fino a quel momento stava cedendo il passo ad attutiti tintinnii di stoviglie e ronzii di elettrodomestici; la sala della colazione si stava lentamente riempiendo di assonnati vacanzieri. Il lievissimo respiro di Giulia scomparve sotto quei primi remoti rumori. Cambiare casa e città non era mai stato un problema; ciò che lo aveva turbato davvero, riteneva, è che pur cambiando tutto ciò che aveva intorno, avrebbe continuato a svegliarsi accanto a lei, a darle baci perché ci era abituato, ad amarla per inerzia. Il solo pensiero lo faceva sentire in trappola, come se si fosse incagliato in un vicolo cieco nel bel mezzo di tutte le possibili e più allettanti vie che il destino gli aveva steso davanti. La vita insieme a Giulia sarebbe stata semplice e prevedibile, nulla sarebbe davvero giunto come una sorpresa. Il loro meccanismo era così oliato che dubitava che sarebbe mai stato in grado di sollevare una scintilla. Il pensiero lo sconfortava.

Suppose che il viaggio di ritorno sarebbe stato il loro ultimo momento felice insieme; doveva parlargliene, non poteva andare avanti ancora per molto con una tale preoccupazione nel cuore. Solo una volta che si fosse separato da lei, dall’ultima cosa che lo legava ad una vita che aveva iniziato da tempo a stargli stretta, sarebbe stato in grado di rivoluzionare ciò che aveva intorno. Dovendosi preoccupare solo di se stesso avrebbe potuto lasciare il lavoro per cercarne uno che lo soddisfacesse di più, chissà, magari in borsa. Avrebbe potuto uscire ogni volta che voleva senza preoccuparsi di lasciarla sola o consultarsi con lei. Prima o poi si sarebbe innamorato di nuovo e sarebbe stato tutto diverso.

Chiuse gli occhi e la sua mente cercò di immaginare, senza riuscirci, l’espressione sul volto di Giulia mentre gliene avrebbe parlato. Per lei sarebbe stato senza dubbio terribile. Il senso di colpa che già provava si fece più intenso, quasi doloroso. I brevi litigi del passato si erano sempre svolti con la consapevolezza che la risoluzione del conflitto non sarebbe stata lontana; lo scenario che gli si presentava in quel momento era un territorio sconosciuto. Il se stesso che conosceva meglio, quello che era sempre stato, riprese possesso di lui, parlò con grande spirito pratico di rischi e pericoli, fece cadere mattone per mattone i mille castelli in aria che in quel breve lasso di tempo si era costruito. Lasciare un lavoro così sicuro e ben pagato per tentare una nuova, eccitante carriera ad alto tasso di fallimento nell’attuale congiuntura economica? Cercare di riottenere la vita sociale di un adolescente a quasi trent’anni? Era davvero convinto che fosse una buona idea? Si sentì rimpicciolire ed avvizzire come un fiore appassito. Il futuro che vedeva davanti a sé, quello già in parte scritto dal presente, gli sembrò noiosamente rassicurante.

Le linee tracciate dalla luce che filtrava attraverso la serranda abbassata erano ora nette ed estremamente luminose; si poteva quasi percepire il calore della giornata attraverso la parete dell’edificio. Giulia si mosse, stiracchiò le gambe sotto il lenzuolo. Si voltò verso di lui sbattendo le ciglia e gli rivolse un accenno di sorriso. Marco la guardò dolcemente quasi senza accorgersene, come per un riflesso inconscio. I pensieri che fino a qualche minuto prima si agitavano nella sua mente furono ricacciati indietro dall’abitudine, che riprese il controllo della situazione. Non ne era dispiaciuto, anzi, si sentiva molto tranquillo e rilassato. Le pareti bianche della stanza non erano più spoglie e soffocanti, ma rustiche ed essenziali.

«Buongiorno» sussurrò con voce roca Giulia, continuando a fissarlo. La sua mano destra si allungò per accarezzargli la guancia, poi scivolò sul mento.

«Buongiorno, amore» rispose lui, avvicinandosi per sfiorarle le labbra con un bacio, cosciente di sperare vanamente, come forse aveva già fatto in altre occasioni in passato, che il tocco delle sue labbra fosse sufficiente a far scomparire tutte le sue preoccupazioni e a renderlo una persona completamente, inequivocabilmente felice, almeno fino alla notte successiva.

 
   
 
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