La vita
a
volte riserva per te sorprese che non ti saresti mai aspettato.
Sono qui, seduta nel tavolo
di Grifondoro, in mezzo ai miei amici. Manca poco alla fine della
scuola,
questa è una delle ultime serate che passerò in
questo castello. Ho sempre
amato Hogwarts, ho sempre aspettato trepidante il giorno in cui salire
sull’espresso e raggiungere questo posto meraviglioso. Sapevo
fin dal principio
che la mia vita sarebbe cambiata, qui a Hogwarts. Come avrei potuto
immaginare
cosa più giusta? E dire che la professoressa Cooman mi trova
priva dell’Occhio
Interiore. A me sembra di averne avuto abbastanza, formulando questi
pensieri,
sette anni fa.
La mia vita è cambiata,
eccome se è cambiata. I miei amici, il mio modo di fare, il
mio carattere, i
miei sentimenti, sono tutti
cambiati.
Io, probabilmente, sono cambiata. E
parecchio.
Per esempio, sette anni fa
non avrei mai pensato che adesso, qualche giorno prima di lasciare per
sempre
questa scuola, sarei stata così immensamente felice di
trascorrere questi ultimi
momenti con i miei amici. È così bello vedere
Ron, Harry, Ginny, Neville e
tutti gli altri Grifondoro che tranquilli mangiano su questa tavolata
come una
vera famiglia. È così rilassante vedere che,
anche se presto non saremo più in
contatti così stretti, tutti riusciamo comunque ad essere
tranquilli e a scherzarci sopra.
Oh, be’, forse non
proprio
tutti. Vedo una persona, in questa lunga tavolata, che non si sta
affatto
divertendo come dovrebbe. Questa persona è alta, ha una
chioma di capelli bruni
arruffati, ha il viso triste come fosse appena morta una persona, gli
occhi
dorati spenti della solita luce che li anima, l’espressione
estremamente vuota.
Ma il punto è che
è davvero morta una
persona. Sì, è morta
l’Hermione Granger che tutti conoscono. È morta
quella ragazzina spensierata e
intelligente che si aggirava per le mura di questo imponente castello
sempre
con un libro sotto braccio, il sorriso con i denti davanti lievemente
più
grandi, pronto per esibirsi a chiunque avesse voglia di vederlo.
È morta quella
ragazza un po’ impacciata ma coraggiosa che ancora si
definiva una brava studentessa,
quando ha infranto
insieme ai suoi amici del cuore più regole dei gemelli
Weasley messi insieme
(oh, be’, meglio non essere troppo esagerati...).
È morta, Hermione
Granger, è
morta appena poche ore fa.
Ancora non ci riusciva a
credere, Hermione, quando sei spuntato dal nulla, appena poco prima
dell’ultima
ora della serata, l’hai afferrata per un braccio e
l’hai trascinata in una
stanza che sapevi fosse vuota. Quando hai chiuso la porta a chiave, ti
sei
voltato con una lentezza snervante e hai puntato i tuoi occhi grigio
cielo sui
suoi oro. Non ci credeva, quando hai incominciato a parlare con
lentezza,
ostentando una calma che sapevi perfettamente di non possedere,
mascherando il
tuo dolore con l’indifferenza, il tuo amore con
l’odio.
E alla fine, quando le hai
spiegato -ancora con la tua aria da finto tranquillo, a cui lei non ha
abboccato
neanche per un istante- che non la volevi più vedere, ha
sperato ardentemente
che questo fosse tutto un sogno. Che tu, addirittura,
fossi stato solo un brutto sogno. Voleva svegliarsi, voleva ritrovarsi
ancora
nella casa dei suoi genitori babbani che l’hanno condannata
ad anni interi di tuoi insulti, la
mattina del giorno in
cui sarebbe partita per la prima volta con l’espresso per
Hogwarts. Ma questo,
come potrai ben sapere, non è accaduto.
Perché tu, anche se
difficilmente
Hermione l’avrebbe ammesso, sei reale.
E realmente l’hai ferita, poche ore fa.
Quando te ne sei andato,
aprendo la porta con circospezione e assicurandoti che nessuno ti
vedesse, non
ti sei dato neanche la pena di lanciarle un ultimo sguardo, per vedere
in che
stato le tue parole tanto false l’hanno ridotta.
Ma ora ne devi fare i conti,
perché davanti a te, a tre tavolate di distanza, un suo
patetico sosia più
reale del normale ha preso il suo posto. E non c’è
nessuno che ti impedisce di
guardarla, perché il suo sguardo ti perseguiterà,
anche se cerchi di
nasconderti dietro qualche tuo amichetto. Perché quando
l’hai guardata, per
qualche misero istante, hai sentito il rimorso
stritolarti le budella e renderti per un attimo vulnerabile. Perché anche tu
hai provato qualcosa, mentre i suoi
occhi ormai spenti del loro solito fuoco incrociavano i tuoi, freddi e
imperforabili
come il ghiaccio. E io lo so.
Io, la patetica imitazione
della Grenger d’allora, ho visto il tuo viso. Io sono
riuscita a leggerti.
Perché io, ormai, dopo tutto
questo tempo, ti conosco. E il tuo
sguardo era inconfondibile, mentre con falsa compostezza, mi guardavi
per quel
piccolo istante, mentre il sorriso forzato che ormai sei abituato a
fare ti
spariva da quelle labbra meravigliose che ormai non potrò
più assaporare. Io ho
capito quello che provavi. E non era quello che si può
definire indifferenza allo stato puro.
Sono qui, seduta al tavolo
di Grifondoro a cui ormai sento di non appartenere più, a
mangiare cose di cui
nemmeno mi accorgo, a seguire discorsi di amici che non riconosco, a
pronunciare parole che non mi toccano, a guardarti come fossi
l’unica cosa al
mondo che ha bisogno del mio interesse. E tu svincoli il mio sguardo,
tu fissi
ostinatamente dappertutto tranne che verso di me, verso i miei occhi
spenti,
verso il mio viso ancora segnato dalle lacrime che tu
hai causato, verso di me
come sosia di quella che ero allora.
Sono felice. Felice che tu
non mi guardi. Perché un tuo guardo, adorante o sprezzante
che fosse, mi
distruggerebbe per sempre. Perché hai già fatto
troppo, mi hai già arrecato
abbastanza dolore per una vita intera, e non mi serve
un’altra prova per capire
che è tutto finito. È
tutto finito.
Che amarezza, sentir dentro la mia testa queste tre parole. Che dolore,
guardare ancora una volta il tuo viso e non poterlo sfiorare. Che
delusione,
non poter più scontrare il mio sguardo con quello tuo,
acceso da un sentimento
che mai più rivedrò.
Quasi mi aggrappo
all’ancora
che Ginny mi getta, parlandomi e catturando per la prima volta la mia
vera
attenzione, distogliendomi dalla mia contemplazione.
«Per tutti i gargoyle, Hermione. Dimmi cosa ti
succede!» il suo tono sa di
suppliche.
Suppliche.
Basta davvero solo una
parola per ritornare a pensare a te? Ancora mi riaffiora
l’immagine della me di
poche ore fa, quella che ha cercato di capire ciò che tu,
freddo e impeccabile
come tuo solito, cercavi con disprezzo di farle assimilare.
Ricordo le sue suppliche,
mentre tu voltavi il capo e non permettevi al suo sguardo di incontrare
i tuoi
occhi di ghiaccio...
«Sto benissimo Ginny. Non
capisco di cosa ti preoccupi» il mio sguardo è
ancora vago, ma assumo
un’espressione un po’ più controllata
per ingannare la mia amica. Con uno
sguardo assai poco contento, Ginny ritorna a mangiare. Per fortuna, non
avrei
retto a un terzo grado da parte sua.
Di nuovo il mio sguardo
corre senza indugi verso il tuo posto, dove tu hai ripreso ad affettare
con
disprezzo le patate del tuo piatto. Come puoi disprezzare anche un
semplice
piatto di patate? Come puoi non sopportare quello che mangi? Eppure il
tuo
sguardo è chiaro, quello che provi è disprezzo.
Forse lo provi per qualcun
altro? Per me, forse? O per te, per quello che mi hai fatto e ancora
adesso
continui a farmi?
Sicuramente per me. O,
semplicemente, forse mi sbaglio. Forse quello che colgo nel tuo sguardo
non è
disprezzo. È solo la mia immaginazione, che galoppa veloce
per non concentrarsi
troppo su di te. Sì,
è solo la mia
mente malata. Malata di te...
Mi alzo. Ho sopportato
troppo a lungo questo supplizio, è giunto ora il tempo di
porre fine a tutto
questo. Ginny alza lo sguardo verso di me, come fanno anche Ron e Harry.
«Dofe fai?» mi
chiede Ron,
la bocca piena di patate. Le patate che tu stai sminuzzando con tanta
cura e
odio...
Non rispondo. Il mio sguardo
indugia un attimo su Harry, l’unico che sa. Ma non mi fermo
molto, non rifletto
più come prima, ultimamente. In realtà, il mio
cervello ha smesso di pensare
come si deve da qualche ora... cosa ti ricorda? Sì,
c’entri sempre tu.
Incomincio a camminare. Non
mi interessa dove sto andando, l’unica cosa che mi importa
è mettere quanti più
metri posso tra te e
me. Il resto può aspettare. Non mi
accorgo di dove sto andando finché non sono giunta a
destinazione. E qui il mio
cuore (se ancora quella pietra pesante ricucita con lo scotch che mi
ritrovo
nel petto si può chiamare tale) fa un bizzarro salto della
morte. Anche le mie
budella, ancora strette nella morsa di ghiaccio che mi ha coperto il
corpo,
sembrano fremere per quello che mi si para davanti. Come se, in
conseguenza a
quello che sarebbe dovuto essere un gesto umano,
volessero attorcigliarsi per l’agitazione.
La torre di Astronomia. Qui
il luogo dove per la prima volta ci siamo incontrati. O, per meglio
dire, ci
siamo conosciuti. Qui dove abbiamo
passato gran parte del nostro tempo libero, dove abbiamo imparato ad
apprezzarci, a convivere, ad ama...
Non ho il coraggio di finire
questa frase, neanche dentro alla mia mente malata. Le lacrime stanno
già
lottando contro quel poco di dignità che mi resta in corpo
per uscire e far
capire ai muri che mi rinchiudono qui quanto mi senta male.
Il dolore è forte, pulsa
ogni istante più prepotente, mi preme sul cuore come se non
avesse altro
obbiettivo che distruggerlo per sempre. Forse era questo il tuo
obbiettivo,
distruggermi. Forse il tuo è stato tutto un tranello per
farmi cascare nella
tua trappola. Forse non mi hai mai sul serio amat... considerata, forse
è stata
tutta una messinscena per far morire un’altra sporca
Mezzosangue.
Spero che non sia così,
perché allora le tue doti d’attore sono davvero
una meraviglia. Come si
potrebbe simulare con tanta naturalezza il dolore che tu mi hai fatto
capire di
provare, mentre in quella vecchia stanza in disuso mi dicevi quanto mi
disprezzavi?
La prima cosa che la mia
mente agogna fare è urlare. Urlare fino a farmi sentire
nella Sala Grande, dove
tu ed i tuoi amichetti Serpeverde consumate un piacevole pasto prima di
ritirarvi nei vostri caldi letti e programmare chi distruggere domani
con le
vostre notevoli capacità di odiare.
Ma non lo faccio. Non mi
sono ancora ridotta così in basso, anche se forse non dovrei
parlare, io...
I miei occhi saettano
dubbiosi per tutto il perimetro della stanza, cercando
chissà che cosa, poi lo
trovano. Un posticino pulito vicino al muro, un posto per accogliere il
mio
dolore silenzioso e le mie lacrime. Mi avvicino silenziosa, mi
accovaccio per
terra ed esalo un lungo, frammentato sospiro. Ecco, i singhiozzi
giungono
puntuali nel mio petto e mi fan fremere il corpo. Qualche attimo e
anche le
lacrime sommergeranno il mio fragile corpo martoriato. Spero che tu mi
veda,
prima o poi, ridotta in questo stato pietoso solo per qualche tuo
stupido
capriccio di cui non sono e mai vorrò venire a conoscenza.
Spero che tu veda
come le lacrime inondano il mio viso, come i singhiozzi mi scuotono il
corpo
con violenza, e mentre gli occhi assumono una sfumatura vermiglia e si
gonfiano
stringo convulsamente le mani sulle mie braccia, conficcandomi le
unghie nella
carne e facendo così scorrere lento il mio sangue che tanto
tu ti dai da fare
per classificare impuro. Spero proprio che tu veda, una volta ogni
tanto, come
il tuo essere bambino mi ha ridotta. Perché, ti assicuro,
non ci si sente molto
bene così e se tu -per puro caso, ovviamente- volessi
alleviare un po’ le pene
di questa sporca Mezzosangue con il tuo nobile animo da Purosangue di
prim’ordine, sappi che la mia porta (oh, me che porta, il mio
cuore!) sarà
sempre aperta.
Lente come gocce di pioggia
in una serata di primavera, le lacrime salate del mio dolore scorrono
sul mio
viso, tracciando percorsi invisibili che bruciano come fossero fuoco.
Sento che
potrei morire, ora, in questa squallida torretta per le osservazioni
notturne
delle stelle, per questo dolore. Ma non lo faccio, perché
-non mi chiedere cosa
perché non lo so- c’è qualcosa che
ancora mi lega a questa terra. Forse (ed è
il forse più remoto che abbia mai sentito) è
perché ancora il mio cuore
frantumato spera che tu ti accorga dell’errore commesso e
venga da me a
chiedere perdono.
La mia idea è
così stupida
che ai singhiozzi e alle lacrime si aggiunge una risata senza allegria.
Tu, il Purosangue per eccellenza,
che
viene da me a chiedere perdono.
Sì,
devo proprio essere accecata dal dolore per formulare pensieri
così
maledettamente privi di ogni logica. Ma, come ho detto prima, la logica
ha
abbandonato questo corpo quando tu hai abbandonato quella stanza...
Qualcosa di diverso da un
singhiozzo attraversa il mio corpo. Ero così concentrata nel
mio dolore e nei
miei pensieri, che il rumore dei passi mi giunge solo ora alle
orecchie. Chi
sta arrivando in questa parte remota del castello per vedere cosa
succede? Che
qualcuno, passando accidentalmente, abbia sentito i miei singhiozzi?
Impossibile, dato che le scale per arrivare in cima alla torre sono
numerose e
la distanza non permette ai suoni di giungere fin nei corridoi del
castello.
Forse... qualcuno che mi cercava? Impossibile, chi cercherebbe mai
l’ombra di
una ragazza che sembra più un fantasma che una persona
normale? Sarebbe da
pazzi. Sarebbe da me.
Un altro rumore, notevolmente
più vicino, mi fa compiere un altro balzo. Ora sono in
piedi, e senza volerlo
ho tirato fuori la mia bacchetta magica. Quando la testa appare dalla
porta
della stanza, il mio cuore sembra riprendere vita.
Com’è possibile che tu sia
qui? Come sei potuto venire qui mentre... mentre sapevi che io me
n’ero andata?
Il mio sguardo, sorpreso,
addolorato e irato al contempo, scruta ogni particolare della tua
figura e non
ti lascia neanche un attimo di tregua. Ora che ti ho davanti,
affrontare il mio
dolore sembra molto più semplice. Difficile, invece,
è controllare la rabbia che
potente mi assale.
«Hermione...».
No, non posso
sopportare questo nome pronunciato da te con tanto dolore. A che gioco
giochi,
Purosangue? Prima mi odi, poi mi ami, poi mi disprezzi e poi mi cerchi?
Non è
da te, Malfoy.
I tuoi occhi, forse per la
prima volta da tempo, si soffermano sui miei con improvviso interesse.
Cerchi
forse di farmi capire tutto quello che non hai abbastanza fegato di
dire con un
semplice sguardo? Non basterà, non basterà per
nulla.
«Avrei... ehm...
io...»
com’è buffo assistere mentre le tue parole si
mostrano incoerenti come le tue
emozioni, Malfoy.
Il mio sguardo non
dev’essere dei più tranquilli, perché
quando di nuovo i nostri occhi si
scontrano ti vedo molto preoccupato. O è un’altra
finta, Purosangue? Stai
ancora facendo l’attore, o hai abbandonato la scena e ora
provi ad essere un
po’ una vera persona?
«Tu mi
disgusti» le parole
mi escono così, in fretta, con cattiveria. Il mio sguardo le
conferma, perché
ti vedo fremere. Hai paura di una Mezzosangue? Non l’avrei
mai creduto, Malfoy. Nel silenzio
che dopo la mia
semplice frase si è creato sento il tuo respiro affannato.
Cos’è, ora ti
preoccupi dei miei sentimenti, Purosangue? Ora mostri interesse per
quello che
il mio povero cuore da Mezzosangue prova per te, Malfoy?
Se non fossi così irrimediabilmente arrabbiata, forse mi
verrebbe in mente che se così fosse avrei almeno un mese di
prese in giro per
te, mio caro Serpeverde.
Il tuo sguardo si fa come
oscurato da un pesante velo. Che ti succede, Malfoy? Ti senti forse
offeso?
Be’, mi pare che fosse ora che qualcuna delle tue passate esperienze provasse un po’ a
ribellarsi. O tu credi che tutte
vogliano fare questa fine dopo essere state usate da te? Mi dispiace
solo per
essermi illusa così tanto, brutto Purosangue dei miei
stivali.
«Io non volevo»
sussurri.
Ah, non volevi?
«Peccato che
l’hai fatto,
allora» anche il mio è poco più di un
sussurro. Dubito che, comunque, con
questo silenzio tu non sia riuscito a coglierlo. Ammutolisci. Cosa
vorresti
dire, Serpeverde? Forza, qualunque cosa è assai gradita,
purché tu la smetta di
fissarmi con quegli occhi così
pieni del tuo falso dolore.
«Credevo... tu... io
non...»
«Non ha importanza quello
che credevi» sibilo. È strano, assomiglio molto
più io ad un serpente, che tu,
in quest’istante. Ma l’ira è folle,
e spesso quando se ne è accecati accadono strani fatti
inspiegabili. «L’importante
è quello che è accaduto. E non mi pare che sia
stata una delle storie migliori.
Per lo meno, io il lieto fine non l’ho ancora
scorto». Questo tutto quello che
ho da dire. Ora vorrei solo potermene andare da qui. Mi accorgo solo
adesso di
avere ancora la bacchetta puntata contro di te. Sono indecisa.
L’abbasso? O
magari ti colpisco con una bella fattura talmente potente da stordirti
per un
mese? Sono incerta su cosa fare...
«Ti devo
spiegare...». I
miei pensieri sono bruscamente interrotti da queste parole. Cosa mai
vorrai
spiegarmi tu, che sembravi già aver detto tutto, in quella
stanza abbandonata?
Sento la rabbia invadermi tutto il corpo, trasmettere una piacevole
sensazione
di calore. Quasi non odo le parole che la mia bocca sputa fuori come
bestemmie,
urlandole ai quattro venti, in modo che possano rimanergli per bene
incise nel
poco cervello da Serpeverde Purosangue che ti ritrovi.
«Non mi interessa un
accidente delle tue spiegazioni! A me sembra
che tu sia stato abbastanza chiaro oggi pomeriggio, non ho bisogno di
ulteriori
chiarmenti! Tieniti i tuoi pensieri per te, Malfoy, io non li voglio
più!»
e tremo. Tremo di rabbia repressa, tremo di voglia di vendetta. Tremo
di paura.
Paura che tu ora possa andartene, voltare i tacchi e allontanarti con
un ultimo
fruscio del lungo mantello. Allontanarti da me, non farti
più vedere. Perché io
non voglio che te ne vada, voglio che resti qui, perché
è l’unico modo che ho
per sfogarmi e sentirmi in qualche modo sempre appartenente a questo
strano,
oscuro mondo.
Deglutisci. Scorgo il tuo
pomo d’Adamo fare su e giù mentre la saliva ti
scorre in gola. I tuoi occhi
sono più espressivi di sempre, ma non oso guardarli per
paura di quello che
potrei scorgerci.
Ti avvicini. Il mio sguardo
si fa perplesso. Dove trovi il coraggio di farti avanti mentre io sfogo
tutta
la mia rabbia? Mentre ho la bacchetta puntata dritta sul tuo petto?
Devi essere
matto, non ci potrebbe essere altra soluzione plausibile.
«Lascia che ti spieghi,
io...». Ma non ho la forza per ascoltare ancora le tue
parole. Un altro passo
avanti, ed io un passo indietro.
«Non mi interessa,
qualunque
cosa tu voglia dirmi. Vattene, non ti voglio più
vedere» dico, la voce di nuovo
ridotta ad un sussurro. Non capisco cosa mi succede. Un attimo prima ti
voglio
qui, accanto a me, per urlarti dietro tutto il mio rancore e poterti al
contempo guardare ancora, parlarti, come non succede da questo
pomeriggio,
mentre l’attimo dopo ti voglio via, il più lontano
possibile da me.
«Dammi il tempo
di...».
«Sparisci dalla mia vita
Malfoy! Non ti voglio più vedere, non ti
voglio più neanche sentire! Sta’ lontano da me!».
Mi volto. Non voglio
più vederti. Non voglio più farmi vedere. Le
lacrime premono con forza
devastante per uscire, forza che io non riesco a contrastare. E
così incomincio
di nuovo a piangere, a singhiozzare, sempre conscia che dietro di me
una
persona mi osserva, mi ascolta. Ma non mi interessa più, ora
voglio solo sfogarmi
e magari così capirai finalmente come mi sento.
«Hermione...».
Ancora. Non
sopporto più il mio nome pronunciato da te.
«Vattene...»
sembra una
preghiera, quella che ora mi esce dalle labbra. Cosa mi succede?
Dov’è tutta la
mia grinta, il mio spirito guerriero? Persi, come ho perso te. Quando ho perso te.
Non sento muoverti. Sei
ancora lì, dietro di me, a guardare la mia schiena scossa
dai singhiozzi? O te
ne sei andato, veloce e silenzioso come solo tu puoi essere? Spero tu
te ne sia
andato, non voglio ferirti fisicamente per farti capire quanto non sei
desiderato, in questo momento.
«Guardami»
semplice,
diretta, una parola che esce dalle tue labbra perfette quasi come una
supplica.
Tu, tu che supplichi me?
È davvero
uno scandalo.
Scuoto il capo. Non ti voglio
più guardare, mai più. Ma tu sei ottuso, non hai
capito che ormai non c’è più
niente che mi possa far cambiare idea. Mi prendi per una spalla, mi fai
girare
a forza. La tua presa è forte, troppo, forse, e mi fa male.
Cerco di divincolarmi. Non
mi arrendo, non in questo. Dovrai far molto più di supplicarmi per convincermi, Malfoy.
Cerco di girarmi di nuovo, di
fuggire alla tua stretta, ma sembra che tu abbia proprio intenzione di
farmi
male, perché oltre a rafforzare la stretta alla spalla, con
la mano libera mi
fai girare del tutto e, con davvero poca eleganza, te lo devo dire, mi
sbatti
contro il muro dietro di me. Fa male. Un dolore acuto mi attraversa la
schiena.
Perché sei diventato così violento, Malfoy?
Eppure una volta, anche se
probabilmente solo per finta, eri così dolce...
Non ci devo pensare, no!
Ti sei avvicinato. Sento il
tuo respiro solleticarmi il viso. E sento il tuo profumo. Il tuo
maledetto
profumo che sa di fresco, di pulito, di limpido...
Mi sento persa. Persa nel
tuo sguardo. Perché non ho fatto in tempo, presa alla
sprovvista, a distogliere
lo sguardo dai tuoi occhi glaciali. E ora sono incatenata, sono
immobilizzata
da queste due pozze argentate...
Leggo dentro ai tuoi occhi
angoscia, dolore, tristezza... stai ancora mentendo, Malfoy? Sei in
grado di
mentire anche guardandomi negli occhi? Riesci a mascherare le tue reali
emozioni anche con lo sguardo? Sei davvero un bastardo...
E, mentre il mio sguardo
è
inevitabilmente incatenato al tuo, mentre le tue braccia mi bloccano
tutte le possibili
vie d’uscita, appoggiate al muro ai lati della mia testa,
mentre il mio cuore
incomincia di nuovo a battere furioso, quel cuore che credevo aver
perso per
colpa tua... tu incominci a parlare.
«Devi perdonarmi,
Hermione»
la tua voce è così morbida, suadente... ma
probabilmente stai ancora recitando.
Apro la bocca, pronta a zittirti, ma riesci a precedermi. «E
non mi
interrompere. Lasciami finire, per la barba di Merlino» la
tua espressione
scocciata, per un secondo, fa riaffiorare nel mio volto
l’ombra di un sorriso
stiracchiato. Ma dura troppo poco perché tu te ne accorga
appieno. Continui.
«Non sai
com’è stato
difficile, per me, guardarti, poco fa, nella Sala Grande. Non riesci a
comprendere l’immenso dolore che mi ha sommerso... e non
pensare che non dica
il vero, perché è proprio quello che penso. Anche
se, per come mi sono
comportato, non si direbbe... ma non importa, perché ora ti
spiegherò tutto. Mi
arrendo, non ci riesco. Ho bisogno di te, non riesco a starti lontano.
E...»
una smorfia compare sul tuo bel viso, così vicino al mio che
potrei sfiorarti
con le labbra senza neanche accorgermene... «Non mi
interessa. Credevo che
lasciandoti avrei fatto la cosa migliore. Tu non potevi restare con me,
con i
tuoi amici che mi odiano e... e quel Weasley che ti fa la corte... io
credevo
che lui... in lui avresti trovato qualcuno meglio di me. Anche se,
be’, devo
ammettere che è difficile trovare qualcuno migliore di
me...» l’ombra del
ghigno che mi sono abituata a scorgere nel suo volto affiora sul tuo
viso
d’angelo. Non riesco a credere alle parole che sto sentendo.
Non riesco a
capirci più nulla. «Ma, insomma, io credevo che,
dopo un paio di giorni,
saresti riuscita a dimenticarmi,» (apro la bocca per
replicare che no, non
sarei riuscita a dimenticarlo, ma il suo sguardo supplicante mi fa
desistere) «ma
evidentemente non avevo calcolato quello che provo io.
Insomma, lo sai che non sono proprio quello che si potrebbe
definire “altruista per eccellenza”... Lo sai come
sono fatto, non riesco a non
fare quello che voglio. E io voglio te, sempre e comunque»
-il mio cuore fa un
balzo inaspettato- «Quelle parole, quello che ti ho detto
prima, nella
stanza... io non le pensavo. Non pensavo neanche una delle cose che ti
ho
detto. Soprattutto l’ultima, sai, io ti amo sul
serio...» -un altro balzo del
mio cuore rianimato- «non potrei mai odiarti... e quella
scusa che era stato
tutto un gioco, che volevo solo divertirmi... be’, quella
è stata la cazzata
più grande che sia mai uscita dalle labbra. Sai, appena sono
uscito e mi sono
allontanato di qualche passo dalla porta avevo già voglia di
ritornare dentro e
dirti che non è vero, che io ti amo... ma volevo provare,
volevo vedere se
riuscivo a starti lontano, per un po’. Insomma, volevo
lasciarti un po’
vivere... perché sapevo che non avremmo mai potuto avere un
futuro, che noi
siamo gli opposti... Che non dovremmo neanche pensare di stare
insieme...
volevo lasciarti una vita normale, con un ragazzo normale, da amare
senza
problemi, non da nascondere in pubblico... e anch’io forse
volevo provare a
star lontano da te, non dovermi nascondere...» una smorfia
prende il posto del
mezzo sorriso di pochi attimi fa. Non ti riconosco, e non capisco. Cosa
stai
dicendo? Cosa vogliono dire tutte queste parole che stai accavallando
le une
sulle altre? Non riesco a concentrarmi come si deve, sono
così persa nel tuo
sguardo... «Ma ho capito che è tutto tempo
sprecato. Pensa, se non avessi avuto
quest’improvvisa idea di rendere la vita più
complicata ad entrambi, ora
saremmo fuori un qualche posto appartato a sbaciucchiarci... che
stupido. E se
lo dico io è vero, fidati! Vorrei non averlo mai fatto... me
ne pento così
tanto... Mi... mi potrai mai perdonare?» hai finito di
parlare? Oddio, non me
ne sono minimamente accorta...
Passano alcuni secondi.
Leggo dal tuo sguardo impaziente la voglia che hai di sentirti dire
“Sì, sei
perdonato” e baciarmi, finalmente. Ma io ancora non capisco.
«Quindi noi ora siamo
qui,
come due deficienti, a guardarci negli occhi, solo perché tu hai voluto provare a stare senza di me?» ecco quello che non
capisco. Il tuo viso si fa allarmato, e ne
hai pienamente il diritto. I tuoi occhi lampeggiano come segnali
d’allarme,
mentre nei miei scatta quel fuoco che da tanto non sentivo...
«Tu mi hai fatto penare per
tutto questo tempo solo per fare un
esperimento?» ti urlo in faccia. Tu ti ritrai.
Leggo il terrore nel tuo
sguardo.
«Io... io volevo solo...
insomma tu...»
«Sei uno stronzo Draco,
capito?» urlo ancora, mentre calde lacrime scorrono sul mio
viso. Un attimo
dopo, ti sono saltata addosso, ed ora cerco di baciare ogni parte del
tuo viso
che riesco a raggiungere. Non ti preoccupare, vedo dal tuo sguardo
allarmato e
al contempo confuso che non riesci a capire cos’è
successo, ma neanche io lo
afferro a pieno. Una cosa è certa, però, ed
è che io non ti voglio più perdere.
Dopo pochi attimi, cominci a
capire che ti ho perdonato. Mi stringi a te, mi baci con passione, come
da ieri
sera non facevi. Mi sei mancato, mi sei mancato terribilmente. E non ti
voglio
più vedere lontano da me...
«Oh» il rumore
di qualcosa
di morbido che sbatte contro qualcosa di altrettanto duro ci costringe
ad
interrompere il nostro momento di felicità. Guardo il punto
da cui proviene il
rumore con sguardo omicida allo stato puro. Certo, questo prima di
scorgere...
«Harry!»
«Potter». Al
contrario del
mio, il tuo tono fa trasparire tutto il disprezzo e l’odio
che provi nei
confronti del mio amico. Be’, come biasimarti, dato che ci ha
appena
interrotti...
«Ehm... scusate io... io
ti
stavo cercando, Hermione, e... e so che spesso vieni qua e quindi
volevo...
ehm, sono venuto a controllare...». Gli occhi di Harry
incontrano quelli tuoi,
furenti.
«Ehm... io, io credo che
me
ne andrò via adesso... sì, ecco, meglio che me ne
vada...» e in un attimo è già
scomparso dietro alla porta e se l’è chiusa alle
spalle. Resto qualche secondo
a fissare imbambolata il legno dietro cui è appena scomparso
il mio migliore
amico, poi tu (ri)incominci a baciarmi e mi distraggo dalla mia
contemplazione.
I tuoi baci dolci mi sfiorano
il collo, le guance, il naso, la fronte, poi finalmente arrivano alle
labbra.
E, quando le nostre bocche si uniscono dopo un giorno di attesa, sento
che
potrei toccare il cielo con un dito. Come ho fatto ad arrabbiarmi con
te,
prima? Come ho potuto porre quella sciocca domanda, appena pochi attimi
fa,
quando avevo la tue labbra ad un palmo di naso? Come ho potuto fare a
meno di
questo contatto per ventiquattro ore intere senza impazzire?
Be’, non mi
interessa, ora non ne farò più a meno, a costo di
incollarti a me per tutta la
vita.
«Hmm... vieni... hmm...
con
me... giù?» ti chiedo, mentre prendiamo fiato tra
un bacio e l’altro. Le tue
sopracciglia si aggrottano in un modo meraviglioso, che ti rende
bellissimo.
«Giù?
Perché? Abbiamo tutto
il tempo e lo spazio che vogliamo, qui... e mi sei mancata troppo per
non
poterti stare continuamente accanto...» e mi baci ancora. Ma
non hai capito.
«Ma giù si sta
meglio...
all’aperto, al fresco... io qua ho caldo...» mi
fermo, ed un rossore istantaneo
m’imporpora il viso. Tu te ne accorgi, e la tua espressione
si fa ancora più
dubbiosa.
«Hai caldo? Ma... ma
fuori
non possiamo stare insieme...». Sorrido. Ecco il punto.
«Chi ti ha detto che non
possiamo stare insieme?» chiedo, una nota di malizia che non
sapevo di avere
nella voce. Ti blocchi, e mi guardi. Hai capito.
«Io... ma tu vuoi?». Predo un respiro.
«Sì,
voglio» un sussurro, il
mio. «Ma tu vuoi?».
Hai capito. E mi sorridi.
«Certo che
voglio». Il tuo
volto raggiante mi dà la forza necessaria per affrontare
quello che stiamo
facendo. Quello che abbiamo deciso di fare. Insieme.
«Allora voglio andare
fuori.
E far capire a tutti quanto ti amo...». Il respiro ti si
blocca in gola. Appena
mi accorgo di quello che ho detto, anche il mio fa lo stesso. E il
rossore al
viso è assicurato. Non te l’avevo mai detto...
Poi, dopo un istante di
esitazione, sorridi.
«Certo. Andiamo a dire a
tutto il mondo quanto ci amiamo».
Non mi sono mai sentita
così
leggera. Com’è bello sentire quelle poche
parole... sei troppo, troppo importante
per la mia vita.
«Non ti azzardare
più ad
andartene senza di me».
E ridi.
«Mai
più» è la tua conferma.
E io so che non è una bugia.
Hola...
ed eccomi qui, con una nuova storiella, questa volta su
Harry Potter. Questa storia, come avrete certamente capito,
è ambientata negli
ultimi giorni di scuola dei nostri protagonisti. Qui non
c’è Voldemort o, se
c’è (e io non c’ho ancora pensato per
ora, quindi non saprei dirvi con
certezza) è stato eliminato prima di quest’anno.
Vorrei
ringraziare le gentilissime persone che hanno aggiunto le
mie storie precedenti tra i preferiti o seguiti... e vb anche quelle
che hanno
recensito, ma in questo momento mio padre mi ha minacciato di staccarmi
il
computer se non chiudo, quindi non ho tempo... avverto quelli che
seguono la
mia ultima storia “Due vite, un unico sogno” che ho
perso completamente
l’ispirazione, perché ho passato un periodo dei
più neri totali, ma cercherò in
questi giorni di postare l’ultimo capitolo per non avere
più quella storia
sulla coscienza.
E
ora, che altro dire, se non “Recensite, pls *me fa la faccina
con gli occhi dolci*”.
Bene,
nient’altro da aggiungere, credo...
Baciotti
_ki_