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Autore: Morella    19/02/2019    2 recensioni
Io, malinconico e solitario, dinnanzi a quella ragazza così stravagante e allegra sentii divampare una fiamma nel petto; un brillio di ritrovata e accennata speranza. Non ne capii il motivo, disorientato nel provare quelle sensazioni di cui avevo solo un lontano ricordo; ricordo che avevo relegato con minuzia in fondo al cuore, chiudendolo a più mandate e gettando la chiave nell'abisso che ormai costituiva la mia dimora.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La mia vita, apparentemente, iniziò in un tiepido giorno di marzo.
 
Remus John Lupin, questo il mio nome.
 
Nato agli albori di una nuova primavera, quando la beltà del risveglio delle meraviglie del mondo tutto si affacciava timida nel creato, passai i miei primi anni terreni nel grembo gentile e accogliente dell'amore.
Era una vita vera, generosa, ricolma di pace e gioia infinita. Guardavo il mondo con occhi di bambino; occhi, i miei, intrisi di speranza e sprovvisti della più totale malizia. Il nefasto non era contemplato, inesistente in quel mondo traboccante luce.
Vivevo con pienezza, inconsapevole della spada di Damocle che indugiava tiranna sul mio giovane capo.
 
Un giorno, incontrai lo sguardo beffardo e mefistofelico di colui che fagocitò la mia intera esistenza, smembrandola e ricucendola a parti invertite, rotte, malmesse, zoppicanti.
 
Fenrir Greyback.
 
Venni morso, impunemente, nonostante fossi solo un bambino. Il mio candore fu sporcato, insozzato con goduria estrema; e la lietezza della fanciullezza mi fu strappata via, con denti aguzzi e sudici, a schernire quella che era stata la mia esistenza fino a quel momento.
 
La mia vita, quella vita che avrei vissuto fino alla mia ultima ora, iniziò quel giorno.
 
Remus John Lupin: lupo mannaro.
 
Lo sfolgorio primaverile lasciò il passo al tetro riverbero del non ritorno, dell'abisso in cui ero sprofondato e in cui continuai a sprofondare ancora e ancora. Quel mondo pieno, traboccante speranza e gioia, mi voltò le spalle; a tenermi compagnia solo l'amara solitudine che, con il suo cappio mi lacerava le membra, rendendo il mio errare un turbinio di dolore e disgusto. Quello che provavo era un dolore sordo, stridente nel suo palesarsi senza indugio in ogni parte del mio essere. Anima e corpo, stracciati e aberranti in ogni loro frammento.
 
Logoro nelle vesti, nell'essenza, nel tutto.
Liso e dolente in quell'incubo chiamato divenire.
Vittima di un disperato senso di appartenenza e di una necessità soffocante di venire accettato.
 
Passai infiniti anni a scappare da quello che ero diventato, dalla mia codardia e dal mio disprezzo; e scappai inutilmente e infinitamente da lei, da quella luna piena che stanziava in cielo solenne e spocchiosa, unica e perentoria mietitrice dei miei affanni.
 
Dea Luna a cui non potevo fare altro che votarmi mio rammarico.
Ella mi teneva sotto scacco e io non ne ero che una mera pedina.
Una bestia assetata di sangue.
 
Un giorno, però, un nome.
 
Ninfadora Tonks.
 
Una giovane strega caparbia e intelligente, coraggiosa e splendida, con occhi fieri e buffi capelli di un estroso tono del rosa.
Io, malinconico e solitario, dinnanzi a quella ragazza così stravagante e allegra sentii divampare una fiamma nel petto; un brillio di ritrovata e accennata speranza. Non ne capii il motivo, disorientato nel provare quelle sensazioni di cui avevo solo un lontano ricordo; ricordo che avevo relegato con minuzia in fondo al cuore, chiudendolo a più mandate e gettando la chiave nell'abisso che ormai costituiva la mia dimora.
 
Non lo sapevo, ma l'amore, quello vero, aveva infine bussato alla mia porta.
 
Tonks, con quel suo viso a forma di cuore e quella sua squisita goffaggine, si era fatta largo tra le mie stanche e cenciose membra. Ero incuriosito, incantato, colpito e irrimediabilmente stregato da lei.
Ma io, in qualità di essere indegno e impuro, non potevo permettermi di saziarmi della sua luce, della sua bellezza, del suo splendore.
 
Mentii.
Mentii a me stesso e alla sola e unica donna che io abbia mai amato.
Cercai di allontanarla, di non cedere a quel sentimento che mi scalpitava nel petto; non avrebbe mai potuto accettare la mia natura, la bestialità insita nel mio essere maledetto.
 
Io, in fondo, non ero che uno sporco licantropo.
 
Troppo vecchio, troppo povero, troppo pericoloso per lei.
 
Intanto, la paura per quella luna non faceva che accrescersi, stringendo sempre più il cappio invisibile intorno al mio collo.
Inaspettatamente, quella mia bramata ninfa che tanto odiava il suo nome, rimase al mio fianco, imperterrita, in attesa.
 
Non riuscii mai a ingannarla.
Ella era a conoscenza di quel mio incespicare nel tentare di celare l'amore che nutrivo per lei; nel celare quel desiderio che consideravo corrotto e malevolo.
 
 
Io sai, sono certa del tuo amore; come sono certa del tuo rifiutare di ammetterlo per un qualche nobile ma sbagliato motivo.
Accettami; accettati.
È tempo di lasciare da parte la codardia.
 
 
Mi incalzò, con quella sua lingua tagliente, spudorata. Mi sfidò: ad amarla, ad accettarla, ad accettarmi. Mi spronò a ribellarmi al mio infausto destino e a quella luna che tanto temevo. Con tono serafico lei, invero, me lo promise.
 
 
Io ci sarò, da ora e per sempre.
Diremo addio a quella luna.
 
 
Un tumulto nell'animo; e, infine, successe.
Mi persi nei suoi occhi, nei suoi sospiri, nei suoi silenzi; nella sua eterna forza che, prodigiosa, permeò quel mio triste e avvizzito cuore.
Intrecciai le dita nelle sue e mi arresi a colei che era diventata la mia dea, spodestando l’orrore e la paura per quella mia natura acquisita.
 
Per una manciata di attimi, non me ne importò più nulla.
 
Non scorderò mai la sensazione di ritrovata felicità e libertà che provai quando mi accolse in lei per la prima volta. La sua bocca carnosa si dischiuse sulla mia, prendendo a danzare, al ritmo di quel suo corpo voluttuoso che premeva contro il mio. E le mie mani, avide del suo piacere, si strinsero con veemenza tra le ciocche dei suoi capelli scarlatti. La solitudine, il dolore, l'imperfezione d'improvviso sparirono. E ululai; non di paura, né di raccapriccio. Ululai per dar sfogo al godimento più puro, all'incastro perfetto dei nostri corpi nudi, a quell'amore profondo che era divenuto il mio nutrimento, il mio nettare. Ululammo, insieme, contro quella luna maledetta.
 
Tonks, la mia splendida, meravigliosa sposa.
L'amatissima, il tutto, la salvezza.
 
La mia vita, da allora, non fu più un eterno incespicare in bilico tra follia e dolore; tra il me stesso che ero e quello in cui gli eventi mi avevano tramutato. Non ero più un unico individuo: eravamo un duo; un duo invincibile.
 
Remus John Lupin e Ninfadora Tonks, eternamente noi.
 
 
Prometto di esserti fedele sempre,
nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia,
e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.
 
 
 
Esattamente come ci eravamo promessi, insieme andammo incontro alla battaglia più dura, a quella battaglia fatta di Resistenza che aveva come unico obiettivo la salvezza dall'Oscuro Signore.
 
Ci battemmo per un bene universale, più alto.
Perimmo.
 
La mia vita travagliata, a cui diede la possibilità di sbocciare di nuovo, e la sua splendida e irraggiungibile esistenza, trovarono la fine la notte del 2 maggio 1998.
 
Ma quello, invero, non fu altro che un semplice viaggio terreno.
 
*
 
La luce è diversa ora, i fiori del mandorlo iniziano pigramente a sbocciare; fa ancora un po' freddo.
Ma posso ancora scorgerti al mio fianco, mentre mi tendi la mano e mi regali il tuo impagabile sorriso racchiusa nella tua infinita bellezza.
Camminiamo sulla terra, rimirando il nostro corpo e le ossa tutte brillare al chiaro di luna.
Intrecci le dita esili nelle mie, liberi da ogni vincolo, bruttura e paura.
Lo urliamo, non lo ululiamo; finalmente possiamo farlo:
ancora insieme, con sguardo fiero e pago sorriso, la guardiamo dritta in volto.
Lei, per noi, non è più nulla.
 
Sayonara, luna!”

~
Ebbene, mi sono infine fatta coraggio.
Non so quante volte io abbia scritto e riscritto queste parole, assolutamente non convinta del risultato. Però, alla millesima revisione, mi son detta che non aveva senso indugiare oltre; dovevo pubblicare, sennò non l'avrei mai fatto.
Questa è la mia prima pubblicazione effettiva in questo fandom, e davvero sono assai preoccupata.
Volevo iniziare in punta di piedi, spero di averlo fatto in maniera almeno un pochino decorosa. 
Un saluto
 
   
 
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