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Autore: AranelInFantasy80    24/02/2019    2 recensioni
Seconda parte di "Beyond The Mask (Asgard).
Loki, dopo essere stato incarcerato nei sotterranei del Palazzo Reale per aver compiuto alto tradimento, è stato esiliato da Odino nuovamente sulla Terra, completamente privato dei suoi poteri. Thor, disubbidendo a ogni prescrizione impostagli dal padre ha lasciato Asgard alla ricerca del fratello.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incest
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E così dunque, cari miei lettori, siamo giunta alla seconda parte di questa storia. Come sempre va a finire che le storie si scrivano da sé, per cui anche in questo caso, questi splendidi, meravigliosi personaggi *.* mi hanno preso la mano, conducendomi in una nuova dimensione, facendomi emozionare, piangere e anche ridere stavolta!^^
Non so come sia uscita questa follia, ma stiamo parlando di Dei e quindi... è davvero necessario mettere dei limiti a ciò che richiede il Fato? Così, mi rimetto nei panni della loro 'umile servitrice' (taaaaaanto sacrificio), mi ritiro nelle mie stanze private e vi auguro...una buona lettura! :-)

Con amore,

*Aranel*


MIDGARD
A.D. 2020

 

I riflessi del giorno morente s'infrangevano lenti e stanchi sul Golden Gate, il cui nome derivava proprio dall'effetto del sole che, ormai prossimo al tramonto, s'insinuava tra le sue fibre metalliche, puntellando l'acqua della Baia di piccole perle dorate.

Quell'istante al confine della notte sapeva come sempre di malinconia, una nostalgia diffusa legata a qualcosa di lontano.
Anche i rumori della città, al crepuscolo, iniziavano a cambiare forma. San Francisco si apprestava a mutare maschera, lasciandosi alle spalle il giorno e apprestandosi a gettarsi nella sua vita notturna.

Luke Hallstrøm restò impigliato ancora per qualche secondo nelle immagini e nei colori che riempivano i suoi occhi, al di là del grande vetro del suo ufficio, al 42esimo piano del grattacelo interamente proprietà della Hallstrøm & Associati, di cui lui, nel giro di pochi anni, grazie ad una fulminante carriera, ne era diventato il dirigente in carica.

Questo pensiero che, come di consueto, tornava in quegli istanti di crepuscolo unicamente suoi, lo fece sorridere. A soli trentatre anni era a capo di una delle più importanti aziende di brokeraggio di tutti gli Stati Uniti d'America, portando con orgoglio, nell'insegna del suo nome, un poco delle sue antiche radici scandinave.
Una laurea in economia e finanza ad Harvard, due Master conseguiti con il massimo dei voti a Berkley e una dose quasi miracolistica di ingegno e scaltrezza avevano fatto di lui uno dei rampolli più giovani, più in auge e più ricchi del 2020, tanto da finire sulla copertina di The Lancet, la rivista più prestigiosa del mondo finanziario, spazzando via qualunque tipo di concorrenza.
Luke si avvicinò al tavolino dei drink e si versò dello scotch nel bicchiere di cristallo, osservandone i riflessi ambrati ondeggiare in esso. Si riaccostò alla finestra, portandosi il bicchiere alle labbra e ne bevve un sorso, senza fretta, gustandone il sapore duro e pungente sulla punta della lingua.
Avvertì il liquido scivolargli caldo prima in gola, poi, lentamente, giù nel vano dello stomaco, riscaldandolo e bruciandolo dolcemente. Sospirò. Il sole si stava ormai spalmando oltre l'orizzonte dell'acqua per sorgere dall'altra parte della Terra.
Dall'altra parte... c'era sempre un'altra parte di qualcosa, un rovescio della medaglia, un'angolatura diversa, un lato di luce e uno di ombra. Così laddove un mondo si apprestava a iniziare la sua notte, un altro era in procinto di risvegliarsi e iniziare la sua giornata.
Infiniti mondi, innumerevoli dimensioni appartenenti soltanto ad un unico pianeta.
Sollevò lo sguardo al cielo, una lastra limpida, di quell'azzurro chiaro, senza nubi quella sera, senza incrinature. Quasi una barriera...
Bevve ancora un sorso del suo scotch, poi si voltò poggiando il bicchiere sulla scrivania e fece per iniziare a raccogliere le sue cose. Finalmente anche lui poteva iniziare a godersi la sua serata. Del resto era venerdì e, una volta chiusa quella porta alle sue spalle, avrebbe potuto gettare via la maschera del top manager e indossare quella che più gli aggradava per trasformarsi in chiunque volesse e divorare le notti a venire, almeno fino a lunedì.
Ripose dei fogli nella sua cartella, spense il computer e fece per muoversi, quando improvvisamente squillò il telefono fisso.
L'uomo lanciò all'arnese un'occhiata di disappunto e vide che si era acceso il tastino rosso della segreteria. Corrugò la fronte. Era strano, Myriam, una delle sue segretarie, sarebbe dovuto essersene andata già da una mezz'ora, in effetti.
“Sì?” Rispose, sbrigativo, sollevando la cornetta.
“Signor Hallstrøm, mi dispiace doverla disturbare, ma... c'è qui una persona che vorrebbe incontrarla.”
Strani rumori all'altro capo del telefono, la voce incerta della donna...
“Ma sono le sette, Myriam, sa bene che non ricevo più nessuno dopo le sedici. Inoltre, senza neppure un appunt...”
Un tonfo.
“Signore, quest'uomo insiste che è importante e non può rimandare.”
“Un uomo? Myriam, la sento allarmata. Cosa sta succedendo?”
“Signore, io...”
Luke si portò una mano al fianco e si guardò nervosamente attorno.
“Dica a quest'uomo o a chicchessia che io non ricevo nessuno, tanto meno senza appuntamento e tanto meno alle sette di venerdì sera.” Sentenziò risoluto.
Nessuna risposta.
“Myriam?”
“Signore...?”
“Ha sentito che cosa le ho detto?”
“Sì, ma non credo che...”
“Myriam, chiami immediatamente la sicurezza!”
Un secondo tonfo.
“E'... proprio questo il punto, signore... la... sicurezza è ko...!”
L'uomo sussultò e un'inquietudine sottile, paradossalmente accompagnata da una strana sensazione vibrante che non riconobbe subito l'invase, rendendogli difficoltoso il respirare. Si voltò a guardare il cielo fuori dalla finestra, ma questo continuava ad essere limpido, senza nubi né crepature.
“Che... che cosa significa che la sicurezza è ko?” Mormorò, quasi temesse di pronunciare quelle parole, per paura di una risposta che non aveva la minima voglia di ascoltare.
“Che... beh... questo... questo signore che ho qui davanti a me e che... in questo momento mi sta anche sorridendo di..divertito... beh ecco... li ha stesi.”
Luke si portò una mano al volto, aspergendosi l'improvvisa sudorazione.
“D'accordo, d'accordo, mi dica solo una cosa, Myriam...” fece una pausa, prendendosi tutto il tempo necessario per recuperare un controllo fattosi traballante “quest'uomo che aspetto ha?”
Serrò la mascella e poggiò la mano chiusa a pugno sul legno della scrivania, lasciando che le nocche gli diventassero bianche per la tensione.
“Oh, beh... ecco... è... è molto alto, capelli lunghi, biondi, occhi... insomma, begli occhi azzurri, un sorriso che...”
“Non le ho chiesto se è in preda a una tempesta ormonale, ma che aspetto ha questo... tizio!” Sbottò l'uomo con acredine, pressandosi le tempie con le dita, come a voler espellere l'immagine e dunque la consapevolezza che gli si stava formando in testa.
“Credo che sia appena uscito da... una festa in maschera o forse da qualche clinica psichiatrica, comunque...” Aggiunse la segretaria.
Luke si sentì mancare e crollò seduto sulla poltrona alle sue spalle.
“Una.. una festa in maschera dici? E...” deglutì a fatica “perché... secondo te?”
“Perché indossa una specie di armatura e...”
“Un mantello rosso.”
“Sì, esatto, signore. Ma come fa a...?”
“Quel costume è stato in.. in voga per il Carnevale passato, ecco... dunque...” balbettò l'uomo, ormai completamente in preda al panico.
“Signor Hallstrøm?”
“Sì, Myriam, cosa c'è? Cosa sta succedendo ancora?”
“A..Achille si sta dirigendo da lei!”
“Achille?” Pensò Luke “Imbecille di una segretaria! Confondere un dio norreno con uno greco, semi-dio, per giunta!” Sottolineò nella sua mente, ora del tutto inabile a formulare altri pensieri.
Ma non ebbe il tempo di completare quel pensiero che sentì un nuovo tonfo proprio all'esterno della sua porta e dei passi pesanti avanzare verso il suo ufficio. Si guardò attorno alla ricerca di una via di fuga, ma l'unica possibilità era infrangere il vetro e buttarsi di sotto. Tuttavia non fece neppure in tempo di darsi delle alternative che la porta si spalancò con un boato e nel momento in cui vide l'uomo in maschera presentarsi a lui, la cornetta del telefono gli cadde dalle mani.

Silenzio. Muto.

“Sa quanto mi verrà a costare quella porta che mi ha appena distrutto?”
Nessuna risposta.
L'uomo biondo ed effettivamente vestito di tutto punto con gli abiti singolari di un ballo in maschera si avvicinò, ora con una certa titubanza, alla scrivania, dietro la quale era seduto, o forse sarebbe meglio dire sprofondato, Luke Hallstrøm.
Gli ultimi raggi di quel sole prossimo al tramonto invasero la stanza, come un fendente esatto che raggiunse il corpo statuario dell'avventore, illuminando parte del suo volto.
Quegli occhi blu, gonfi di un bolo indistinto di strane emozioni, evidentemente trattenute per chissà quanto tempo.
Luke, con la poca forza che gli era rimasta in corpo, tanto aveva smesso del tutto di respirare e l'unico rumore che riusciva a sentire era il battito forsennato del suo cuore, si tirò su a sedere e con le dita leggermente tremanti, ma non abbastanza che l'altro lo potesse notare, prese un sigaro dalla scatola di ottone e se l'accese, fingendo una forzatissima, quasi insostenibile nonchalance.
“Posso fare qualcosa per lei?” Disse, accavallando le gambe in una chiara posizione difensiva e camuffando al meglio l'ansia che permeava la sua voce.
Il visitatore non rispose ancora nulla. Si limitò a raggiungere la scrivania e, senza troppa grazia, si poggiò su essa con le mani chiuse a pugno, fissandolo in modo quasi rapace.
Luke non poté fare a meno di osservare la possenza di quelle braccia scoperte, le venature esposte e i muscoli gonfi, ma su tutto fu quello sguardo carico di caparbietà e di dolore a farlo tremare fin nel profondo.
S'irrigidì sulla poltrona e conficcò le unghie di una mano nel bracciolo di pelle nera. Si portò il sigaro alle labbra e, pur sostenendo quello sguardo, inspirò una boccata profonda di fumo che quasi lo portò a strozzarsi.
Poi, lentamente, lo sguardo rapace dell'altro e i lineamenti del suo volto, induriti forse da una paura simile alla propria, oltre che scheggiati da alcune cicatrici, si ammorbidirono, finché non si trasformarono in una travolgente dolcezza. L'uomo in maschera si rilassò e si accovacciò dall'altro lato della scrivania, ignorando completamente le due poltroncine al suo fianco.
“Finalmente ti rivedo, fratello...” mormorò, mentre quei suoi occhi blu si inumidivano di un'emozione profonda.
Luke s'irrigidì ancor di più sul posto e tentò d'inghiottire un accenno invisibile di saliva. Aveva completamente smesso di respirare. Il sole, ormai quasi scomparso, inondava il volto dell'altro, rendendolo luminoso e accentuando il colore dei suoi capelli d'oro e la sfumatura carica di pienezza del suo sguardo.
Era senza dubbio un uomo bellissimo, selvaggio, indefinibile. Chiaramente appartenente a un altro mondo.
“Ci ho impiegato talmente tanto tempo a tentare di trovarti. Ho cercato in quasi tutti i Nove Mondi e Midgard mi è sempre stata preclusa. Mi dicevano perché non avrei dovuto più rivedere lei, ma sapevo che non era così. Io stesso avevo tagliato il ponte che ci consentiva di venire fin qui, ricordi? Così ho dovuto fare diversamente per raggiungere la Terra... puoi immaginare a cosa mi riferisco.”
Luke non rispose nulla.

Farnetica, farnetica, è solo uno che sta farneticando!” S'impose di dirsi nella sua mente. Ma in realtà si sentiva pietrificato, mentre quelle parole gl' invadevano il cervello per poi svanire via, del tutto sconquassato tra ciò che quello gli stava dicendo e le sensazioni travolgenti e imbarazzanti che stava provando nell'avere quell'uomo davanti a sé..
“Sono passati tanti anni, sai? Per i terrestri almeno dieci. Certo, per noi, dieci anni non sono molti, eppure...” s'interruppe, corrucciandosi “per me sono stati un'infinità. Ogni giorno senza di te, è stato una condanna.”
A quelle parole, Luke avvertì il proprio cuore stringersi in una morsa e i suoi occhi, malgrado l'algido autocontrollo, pizzicare umidi.
Mosse le labbra per dire qualcosa, quando l'altro si risollevò in piedi, facendo svolazzare quel suo mantello rosso per la stanza e, regalatogli il più bel sorriso di sempre, oltrepassò la scrivania e gli si fece vicino, afferrandogli un polso.
“Ma ora ti ho trovato e ti porto via con me.” Risolse Achille, strattonando il top manager verso di sé.
“Ehy, piano, calma amico, calma!” Disse Luke, ritraendosi bruscamente. “Forse è il caso di parlarne?”
L'altro corrugò la fronte.
“Parlare di cosa, fratello? Sono venuto qui a prenderti! Questo non è il tuo posto.”
“Eh? Cosa..? Come dice? Non è il mio posto, questo?” Esclamò Luke, approfittando di un momento di distrazione del suo avventore, per alzarsi in piedi e allontanarsi da lui, in direzione della porta. “Oh sì sì che è il mio posto invece. Anni di studi, una bella laurea ad Harvard, anni di fatiche, uno stipendio a sei zeri, un attico in piena S. Francisco con vista sull'intera baia, tutti i lussi del mondo, la celebrità... beh direi che questo è decisamente il mio posto.” Sottolineò, domandandosi un attimo dopo perché gli avesse appena dato tutte quelle informazioni.
“Ma di che... diavolo... stai parlando, Loki?”
Ancora un passo verso la porta.
“Lei di che cosa sta parlando?” Una pausa “Loki...?”
Vide lo sgomento e lo smarrimento dipingersi sul bel volto del suo visitatore, e cacciò nel profondo quell'emozione dolorosa che stava emergendo in lui.
L'uomo fece un passo nella sua direzione. La sua ombra ad allungarsi verso di lui. Ma non c'era minaccia in essa, soltanto bisogno di contatto. Un perché, una spiegazione, forse.
Lo vide scuotere la testa, mordersi le labbra, precipitare in confusione.
“E' un altro dei tuoi inganni, non è così?” Mormorò il biondo. Aveva gli occhi tristi. Improvvisamente il bel sorriso era scomparso.
Luke non rispose nulla e allungò una mano verso un tasto rosso alle sue spalle.
“Non.. non puoi non riconoscermi, non... sono tuo fratello, Thor. Ho lasciato Asgard non appena ho visto quella dannata navicella portarti via...”
Il rumore di passi frettolosi a scendere rapidi le scale.
“Ti ho cercato ovunque, ho disatteso ordini, ho infranto regole, ho vagato per i Nove Mondi alla ricerca di te, ho...”
Un gruppo di venti guardie addestrate piombò davanti alla stanza, ma il biondo non sembrò neppure vederle, mentre queste l'accerchiavano, puntandogli addosso le pistole e minacciandolo con i teaser.
“Ho spezzato ogni legame con la nostra casa, Loki, solo per poterti ritrovare,” proseguì, ora con le lacrime che gli ingrossavano gli occhi “ho rotto con nostro padre, compiendo io stesso alto tradimento solo per poter venire in esilio qui su Midgard anch'io!” Gridò, scaraventando via in un sol colpo almeno quattro delle guardie attorno a lui “Loki!!!” I bicchieri e i cristalli andarono in mille pezzi, le zampe della scrivania s'incrinarono, il mobilio si crepò, e parte della grande libreria in legno di noce crollò a terra. “Non puoi farmi questo!”
Luke lanciò un'ultima, algida occhiata a quell'uomo, poi si rivolse ai militari e fece un assenso con la testa.
Gli furono addosso in meno di un secondo, premendogli i teaser addosso. Achille venne colpito nella sua vulnerabilità e cadde a terra, inerme.
“Portatelo alla Langley Porter e ditegli che un loro paziente deve aver ben pensato di farsi un giretto fuori dalla clinica questa mattina.” Disse Hallstrøm, mentre guardava il corpo del suo visitatore che veniva sollevato e portato via.

Quando fu certo che non fosse rimasto nessuno nei paraggi, rientrò nel suo ufficio e, siccome la porta era ormai semidistrutta, si limitò ad aggirarla, andandosi ad appoggiare con la schiena alla parete dietro di essa.
Aveva bisogno di un rifugio, almeno per qualche istante, sicuro di non essere visto. Aveva bisogno di un momento.
Poggiò anche la nuca al muro e sollevò lo sguardo, in un punto indistinto del soffitto. La testa aveva preso a girargli, il cuore sembrava non voler rallentare i suoi battiti, aveva caldo, un caldo improvviso che non smetteva di farlo sudare, rendendo le sue labbra aride e il respiro affannoso. Ebbe la sensazione di trovarsi sull'orlo di uno svenimento.
Per di più, suo malgrado, le lacrime emersero ai suoi occhi.
Colpì con un pugno la parete alle sue spalle e strozzò un grido in gola.
Fuori dai vetri era ormai tempo di tramonto e i colori rosso, oro, violaceo che schizzavano quel cielo d'estate, sembrarono essi stessi eccessivamente belli, eccessivamente accesi da poterli sostenere.
Un moto di profonda tristezza l'invase. La voglia di piangere si fece ancora più forte. E con essa crebbe la rabbia, lo sconcerto, il sentirsi, in qualche modo, nuovamente in trappola.

Ci aveva impiegato dieci anni per ricostruirsi una vita, per confezionare una nuova identità, ore e giorni di intenso lavoro su se stesso per accettare la condizione in cui era stato gettato non per suo volere e lasciarsi il passato alle spalle. Ce l'aveva messa tutta, giorno dopo giorno, per dimenticare, collezionando maschere di ogni tipo nel suo armadio immaginario, aveva ricoperto ogni eco lontana e ogni frammento di ricordo con il potere dei soldi, con il delirio dei lussi, con una vita sregolata, priva di limiti e, spesso, anche di morale. Nel giro di un paio d'anni si era sposato e poi divorziato, aveva obnubliato la sua mente e le sue pulsioni in innumerevoli corpi di donna e non ne era mai uscito pago. Aveva avuto uomini, anch'essi numerosi, anch'essi bellissimi, in una estenuante ricerca dell'ideale perfetto. Tra mille volti, alla ricerca di uno, uno soltanto, occhi color del mare, il lontano e ormai inafferrabile ricordo di un altro mondo, un sorriso ineguagliabile.
Era arrivato dove era arrivato grazie alle sue doti fuori dal comune che spesso i colleghi e i nemici chiamavano 'magia', e ora, un po' a quel nuovo tipo di vita ci si era abituato e, se a questo si era dovuto adattare, non essendoci altra scelta, alla fine se l'era fatto andare bene.
Colpì nuovamente il muro con un pugno e ora avvertì il bruciore della pelle ferita.
Guardò il suo ufficio, praticamente devastato da quella furia inumana. La rabbia gli montò violenta, a sua volta.
Non poteva essere che nel giro di pochi istanti, la sua vita fosse stata messa a soqquadro, Luke Hallstrøm fosse stato messo a soqquadro. Non poteva essere che dopo giorni e giorni di paziente ricostruzione, fosse bastato un attimo, e tutto ciò che egli era diventato, tutto ciò che era riuscito a far suo, svanito nuovamente via.
Il tempo di uno schiocco di dita. Il tempo del sole che lascia spazio alla luna, del giorno che si sacrifica alla notte.
“Che sei venuto a fare?” Sibilò ad un interlocutore immaginario, assaporando il gusto salato delle sue stesse lacrime “Io... ti odio.” Aggiunse con un'implosione di rabbia.
La stanza si caricò di elettricità, la luce se ne andò per un istante e alcuni mobili, rimasti fino a quel momento indenni, scricchiolarono, crepandosi definitivamente.

 

***

 

Si chiese dove avesse sbagliato.
Forse piombare in quello che i Terrestri chiamavano posto di lavoro non era stata una delle idee migliori. O magari si trattava degli abiti che aveva ancora addosso, certo, gli Umani non sono soliti vedere qualcuno vestito con un'armatura e un mantello aggirarsi per le loro città, a meno che non si tratti di qualche occasione particolare. Dopo essere stato su Midgard già una volta, avrebbe dovuto immaginarselo. Peccato che lui non riuscisse mai ad imparare velocemente dai suoi errori. Suo fratello glielo diceva sempre quando gli tirava uno scherzo dei suoi.
Fortunatamente in quel caso non aveva con sé il suo martello, confiscatogli da Padre, nel momento in cui aveva infranto le prime regole, ovvero la decisione di partire alla ricerca di Loki.
Poteva ancora ricordare quel momento, di qualche tempo prima.
Aveva semplicemente deciso di comunicarglielo, sapendo perfettamente che il Re degli Dei non avrebbe battuto ciglio, come del resto non aveva battuto ciglio nel vedere l'altro suo figlio venire trascinato via in catene in una condanna a vita, o di fronte al suo dolore nel venire separato dal fratello. C'era d'aspettarselo, prima Odino avrebbe impedito in tutti i modi che Thor abbandonasse Asgard, a costo di ferirlo o imprigionare anche lui nei sotterranei e poi, se fosse riuscito a sfuggire alla cattura, avrebbe applicato la pena massima: l'esilio.
E l'esilio per un asgardiano non poteva essere altro che Midgard. L'anello più debole e vulnerabile fra tutti i Nove Mondi, il luogo in cui non ci sarebbe stato spazio né per la magia, né per i doni sovrannaturali e in cui le creature mortali dovevano compiere il cammino dell'esistenza sostenuti soltanto dalla forza delle loro risorse interiori.

Così era accaduto. Il dio del Tuono aveva smesso di essere tale, pur portando con sé delle capacità che sarebbero state niente di meno che straordinarie agli occhi degli uomini, ed era riuscito a fuggire da Asgard, corrompendo Heimdall, il guardiano del Bifrost e lasciandosi inghiottire dal vortice arcobaleno. Tuttavia Heimdall non aveva potuto garantirgli una meta precisa, anche perché Thor non sapeva dove si trovasse esattamente Loki, sebbene se lo fosse immaginato. Il suo sarebbe stato un lungo peregrinare, senza certezze, colmo di pericoli e di insidie. E mentre si lasciava la casa natale e il suo futuro di re alle spalle, abbandonando ogni cosa amata e conosciuta, comprese finalmente che cosa significasse la parola eroe. Un semplice dono del Fato, afferrabile con facilità, una sorta di diritto di nascita, un qualcosa a cui era stato educato a credere di esserlo fin da bambino, ma che in realtà non lo era mai stato. Non fino a quel momento.

Così, mentre il Bifrost l'inghiottiva, scaraventandolo sulla roccia nuda e fredda di Jotunheim, il primo luogo in cui si era spinto a cercare il fratello, comprese che per essere eroi è necessario saper abbandonare ogni conoscenza, sacrificare ogni insegnamento e avere negli occhi uno scopo per cui combattere, anche a costo della propria vita, qualcosa di molto simile a ciò che i Mortali chiamano amore.


Tuttavia, Thor, continuava a chiedersi perché Loki avesse finto di non riconoscerlo. Certo non si aspettava un'accoglienza in pompa magna e, siccome si era ricostruito una vita laggiù, aveva anch'egli immaginato che il fratello avrebbe mantenuto un certo copione. Eppure era convinto che nel momento in cui fossero rimasti soli, Loki sarebbe stato felice di rivederlo. Invece niente. Nei suoi occhi non aveva letto altro che ghiaccio, un qualcosa di simile ad una memoria perduta. E questo gli aveva fatto male. Profondamente. Più delle scariche dei teaser sul suo corpo da parte dei militari, per ordine di suo fratello stesso.
E poi quei capelli orribili che portava... tagliati corti in quella maniera... stava per scoppiare a ridergli in faccia!
Per non parlare dei vestiti che si era messo addosso, quell'inguardabile grigio topo da ufficio che nulla aveva a che vedere con gli abiti regali che indossava ad Asgard... decisamente non gli donavano!
Dov'era finito il dio? Si chiese.
Dove aveva nascosto, suo fratello, tutto il suo potere e la sua ammaliante astuzia, che i suoi gesti, passo a passo trasudavano, incantando coloro che aveva accanto?
Bastava così poco per essere uomini su Midgard? Trovarsi all'ultimo piano di un grattacelo che sarebbe stato niente di più che una misera colonna del Palazzo Reale e credere di avere in pugno il mondo? Possedere uno stipendio... come l'aveva definito, Loki? A sei zeri e sentirsi per questo un dio? Guardare oltre i vetri la bellezza di un giorno morente, i riflessi del sole nell'acqua e le prime luci notturne di una città che si anima senza paragonarlo alla maestosità di Asgard?
Come aveva vissuto Loki per tutto quel tempo? Che cosa aveva fatto? Quali costumi umani aveva assunto? Chi... era stato accanto a lui, nei giorni e nelle notti?
A quella domanda un'aspra morsa accartocciò lo stomaco del dio del Tuono, facendolo avvampare.
Non poteva essere che suo fratello avesse dimenticato tutto, benché fosse stato costretto ad adattarsi ad una nuova vita per poter sopravvivere.
Ma se lui non fosse andato a cercarlo, non fosse andato a prenderlo, Loki avrebbe mai più pensato di voler tornare indietro?

Thor si alzò bruscamente dal letto dove era rimasto a lungo seduto per pensare e risolse che avrebbe dovuto cambiare strategia.
Del resto, ormai aveva tempo a sufficienza. Non appena era giunto in quel luogo strano in cui tutte le persone che incontrava erano vestite di bianco, trascinato lì dai guardiani di suo fratello, era stato spogliato dei suoi abiti e vestito con una specie di divisa anch'essa bianca, ci aveva messo meno di pochi minuti per evadere, dirigersi verso una banca e scardinare senza troppe difficoltà un bancomat, prendendo il denaro necessario.
Con quei soldi si era poi diretto in uno dei tanti centri commerciali di S. Francisco e aveva, per la gioia degli esercenti, acquistato due bustoni di abiti di ogni tipo, affittando infine la stanza di un motel, pagando in contanti per non dare troppo nell'occhio e poter così restare tranquillo per tutto il tempo necessario a lavorare sul suo obiettivo.

Qualcosa dalla sua prima permanenza midgardiana aveva imparato. Si disse con soddisfazione. Del resto con gli Umani è necessario essere discreti, perché ogni cosa che esula dai loro piccoli tracciati di certezze, li manda in panico. E si affrettano a voler capire. Ma a volte non è necessario capire nulla, quanto piuttosto fare, armarsi di coraggio e di onore e gettarsi nell'impresa.

“Eroe...!” Mormorò a se stesso con un sorriso compiaciuto.
Si avviò in bagno e, spogliatosi della divisa bianca, che sarebbe finita in un cassonetto lontano di lì, s'infilò nella doccia.
L'acqua calda sulla pelle e sulla nuca gl'impresse un immediato ristoro. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, mentre il getto scivolava lungo gli interstizi del suo corpo, cullandolo col suo calore. Prese in una mano un po' di quel liquido colorato dentro una confezione trasparente su cui c'era scritto docciaschiuma e se lo spalmò senza fretta addosso. Aveva un buon profumo, ma nulla a che vedere con gli effluvi speziati dei lunghi bagni che si concedeva nelle grandi piscine del Palazzo Reale, al ritorno da una battaglia o dopo una giornata intensa, a volte solo, a volte in compagnia di... Loki.
Al pensiero del fratello, un moto di cupezza lo colse. Corrugò la fronte e serrò la mascella. Inavvertitamente si carezzò i muscoli delle proprie braccia, là dove i militari l'avevano colpito coi teaser. Loki doveva avere davvero delle buone ragioni per essere arrivato a tanto. O forse, una grande paura.
Perché gli stava sfuggendo in quel modo? Sì, sperò davvero che si trattasse soltanto di paura o che nel rivederlo, qualcosa di doloroso si fosse risvegliato in lui. Non avrebbe retto a un reale rifiuto. Di questo ne era certo.
Con Loki era sempre stato così. Così vicino, così lontano. Nel momento in cui lo sentiva accanto era anche lo stesso momento in cui l'altro scivolava via, svanendo, come per magia, tra le sue stesse dita.
Loki era inafferrabile. Inarrestabile. Capace di riempire di calore e dolcezza ogni luogo con la sua presenza e di ferire irrimediabilmente, un attimo dopo, generando sempre nuovi vuoti, con la sua assenza.

Thor si voltò, andando ad appoggiare la fronte contro le piastrelle crepate della doccia. L'acqua scivolò lungo la sua schiena e poi giù ancora, tra le natiche e le sue cosce. Sentì il getto sciogliersi sul suo corpo, gocciolare giù fino ai piedi in una lenta ed estenuante carezza. Nuovamente l'immagine dei lontani tempi di Asgard e di quei momenti di quiete nei bagni del Palazzo gli si parò davanti agli occhi. Li chiuse e rimase semplicemente lì nel ricordo e nel ritmo lento del suo respiro.

Loki era lì dinanzi a lui, all'altro lato della grande vasca, le braccia e la schiena appoggiate al bordo, il volto e i capelli bagnati e, attraverso la nebbia e gli effluvi creati dal calore dell'acqua, lo guardava nello scintillio dei suoi occhi verdi, resi ancor più lucenti dal chiarore delle candele tutte attorno a loro. Forse si erano ritrovati lì dopo una battaglia, forse dopo un allenamento, forse dopo un gioco o una festa. Forse si erano parlati e punzecchiati per tutto il tempo del bagno, o lo avevano condiviso in silenzio, unicamente scrutandosi tra le forme invisibili create dalla nebbia. Chi avrebbe potuto dirlo? Ciò che contava, ogni volta, era ritrovarsi lì, insieme, in quei prolungati e incredibili istanti di quiete.
Il dio del Tuono riaprì gli occhi, come ridestatosi di colpo da una sorta di ammaliante ottundimento e si affrettò a chiudere l'acqua, uscendo dalla doccia. Si legò un asciugamano attorno ai fianchi e si strofinò alla meno peggio i capelli biondi che gli ricaddero come pioggia dorata sulle ampie spalle tornite.
Raggiunse lo specchio, guardandosi senza fratta e inaspettatamente si sorrise.
Non comprese il motivo di quel suo stesso sorriso, forse era stata quella doccia ad averlo rinvigorito, tuttavia avvertì di colpo il sangue scorrere veloce nelle sue vene, si sentì elettrizzato, similmente a quando si preparava per una nuova battaglia. E questa volta sarebbe stata la scommessa più grande, quella più difficile: raggiungere il suo scopo senza poteri, né doni, senza trucchi né magie, senza i tracciati confortanti predisposti dal Fato, imparando a vivere alla maniera degli uomini. Perché ormai aveva fatto la sua scelta, e Midgard sarebbe dovuto diventare il suo mondo.
Lasciò cadere gli asciugamani a terra, scoprendo il suo corpo statuario e si diresse nuovamente in camera. Lanciò un'occhiata fuori dalla piccola finestra, al fine di accertarsi da quanto tempo la notte fosse giunta. Prese a rovistare nelle buste, tirando fuori ogni sorta di abito e, in men che non si dica, il letto fu ingolfato di vestiti.
“Naa, troppo elegante!” Commentò, guardando un bel tweed gessato “Non adatto al venerdì sera!” Disse, riferendosi ad un altro completo, ricordando le abitudini umane del dress-code per il weekend. Ne scartabellò degli altri, sempre meno soddisfatto e sempre più frustrato, finché ne estrasse alcuni che parvero incontrare il suo gusto “Questo però... con questo, magari...” mormorò, sondando con dovizia il paio di jeans e la camicia bianca grinzata che aveva afferrato.

Si posizionò davanti allo specchio e s'infilò per prima cosa quelli che gli Umani chiamavano boxer.

“Per gli Dei, ma come diavolo fanno!” Esclamò, facendo una smorfia di fastidio nel momento in cui i suoi gioielli vennero imprigionati nella stoffa aderente.

Sbuffando e ricordando con nostalgia i suoi abiti asgardiani, si obbligò ad infilarsi i jeans e successivamente, senza perdere un singolo movimento delle mani sul proprio corpo, indossò la camicia bianca, sistemandosela al meglio addosso e lasciandola distrattamente aperta un poco all'altezza del petto.

Si guardò ancora con attenzione, senza peraltro comprendere perché lo facesse con tanta cura, e si accorse che c'era ancora qualcosa che non andava.

Ripercorse con la mente le persone che aveva incontrato quel giorno, gli sguardi della gente, l'espressione imbambolata della segretaria di suo fratello nel vederlo e comprese che il problema dovevano essere i capelli.

Rovistò ancora nella busta e, scovato un elastico di fortuna, se li pettinò alla meno peggio e li strinse in esso, benché due ciocche gli ricaddero ribelli ad incorniciargli il volto.

Si rimirò un'ultima volta e, indossato l'ultimo capo, un paio di stivali marroni alla cow-boy, non riuscì ad evitarsi un sorriso del tutto soddisfatto.

Allargò le braccia verso la sua immagine riflessa nello specchio.

“Ti do la mia benedizione, figlio di Midgard!” Esclamò.

Infine, afferrate le chiavi della macchina presa a noleggio, si avviò alla porta ed uscì, lasciandosi anche quel motel alle spalle.

***

“Un altro!”
“Lo desidera subito, signore, o attendo che finisca quello che sta bevendo?”
“Mi sembra di averti chiesto un altro drink e non di farmi domande! Fammelo subito, avanti!”
Con lo stuzzicadenti era ormai un quarto d'ora che tormentava la povera oliva affogata nel suo Martini Dry, senza decidersi a mangiarsela. Con lo sguardo fisso nel vuoto e l'aria annoiata, appollaiato al bancone lucente del Drake's, uno dei locali preferiti dalla S. Francisco dell'alta finanza miliardaria, totalmente indifferente allo scorrere delle ore, al rimbombare della musica nelle sue orecchie e al via vai di persone che circolavano come mosche impazzite attorno a lui, Luke Hallstrøm aveva dato inizio al suo meritato weekend.
Quella sera avrebbe bevuto fino a non ricordarsi neppure come si chiamava. Del resto, il suo nome, aveva nuovamente smesso di avere importanza. Magari sarebbe finito a letto con qualcuno e si sarebbe risvegliato nell'altro capo della città nell'appartamento di uno sconosciuto, oppure sarebbe stato semplicemente prelevato privo di sensi dal suo autista e accompagnato a casa.
Non era neppure riuscito a mangiare un boccone uscito dall'ufficio. Era rientrato nel suo appartamento all'unico scopo di cambiarsi e poi si era diretto in uno dei suoi locali preferiti. Aveva salutato distrattamente coloro che conosceva, ignorato le avances di alcune ragazze che gli si erano appiccicate addosso, senza neppure ascoltare cosa avessero da proporgli, e aveva lasciato che l'alcool, nello stomaco stretto e vuoto, avesse iniziato a fare il suo effetto.
Ottundimento. Per quello che poteva servire.
Era questo ciò che sentiva. Era questo ciò che cercava.
Non aveva molte altre pretese per quella sera.
Se l'ottundimento fosse bastato a cancellare ciò che era accaduto in quella giornata, già era sufficiente.
Estrasse una sigaretta dal pacchetto e se la portò alle labbra, accendendosela.

I ricordi di poche ore prima non smettevano di aggredirlo con una lucidità e una chiarezza cristalline. Per un istante odiò la sua stessa mente e ciò che questa era capace di fare, da un punto di vista di umanissime risorse cognitive, ovviamente. Ma quelle capacità erano già troppo e in quell'occasione non si stavano certo rivelando d'aiuto.

Si allentò un poco il nodo della cravatta e prese a guardarsi distrattamente intorno. La vista era lievemente offuscata dal fumo delle sigarette e da ciò che trasudavano le persone, una specie di aura invisibile, ma che lui riusciva a percepire perfettamente. Intravide volti, sconosciuti, imbronciati, sorridenti, pensierosi, distorti da doppi, tripli strati di trucco per negare a se stessi l'angosciante incedere del tempo. Ognuno con una sua particolarità, ognuno con una sua esistenza, ognuno preda dei cambiamenti che le emozioni dipingevano su di essi.

Le emozioni... quello straordinario sentire umano che scandisce la sua vita dalla culla alla tomba, quel sentire percepito fin da subito, che trasforma e si trasforma, mano a mano che l'esistenza acquista d'importanza in qualcosa di più profondo, i sentimenti. Ancora più complessi, ancora più intricati, nodi che creano altri nodi, alcuni impossibili da sciogliere. Nodi che creano strade da percorrere, cose da lasciare, cose da cercare, cose a cui far ritorno.

Luke, senza neppure guardare il barman, sollevò il quarto o forse drink, portandoselo alla bocca, ne bevve un sorso, ma di colpo si bloccò, tossendo.

“Troppo forte, signore?” Chiese sollecito il ragazzo che glielo aveva servito.

L'uomo gli fece cenno con la mano che andava tutto bene e tornò a guardare verso il lato opposto del bancone, dove vi si era appena seduto un uomo, dai lunghi capelli biondi, che aveva preso a fissarlo con un'intensità imbarazzante.
Luke non seppe se si trattasse di uno scherzo della sua mente già intossicata dall'alcool, dalla stanchezza che portava addosso, dai suoi nervi provati, o se ormai stesse realmente impazzendo e lui fosse davvero lì.

Guardò meglio, finché la vista non gli si schiarì del tutto e tirò un sospiro di sollievo.
“Merda...”
No, non si trattava di lui. Non poteva esserlo. A quell'ora doveva già dormire profondamente sedato nella sua stanza alla Langley Porter.
Il problema però era che ci stava ricadendo. Era da un po' di tempo che sembrava essersi liberato da quell'ossessione, andare alla ricerca, come un tossico in astinenza, di uomini dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri. Non che non avesse avuto bellissimi amanti con tali caratteristiche che, perdipiù lo avevano anche soddisfatto. Ma quando poi questi se ne andavano, perché lui non permetteva a nessuno di restare nel suo letto oltre la durata del solo amplesso, la solitudine tornava ad aggredirlo ancora più brutale. Come una sete, come una fame che non sarebbero mai state paghe, un'assenza mai colmata.

Il tizio continuava a fissarlo, Luke gli rispose con un sorriso, magari anche quella volta la soluzione era a portata di mano, almeno per qualche ora, almeno per un po'.
Si portò una mano alla fronte e con l'altra, con dita tremanti, cercò di afferrare il collo del calice con dentro il liquido trasparente. Vedeva doppio. Iniziò a sudare. La nebbia attorno a lui divenne più consistente, la voce preoccupata del barman si ovattò e il bel sconosciuto davanti a lui scomparve dalla sua sua vista.
Fece per alzarsi, ma dovette aggrapparsi al bancone, per non rovinare a terra.
Subito l'autista della sua limousine gli fu accanto e, con discrezione, lo sostenne per un braccio.
“Portami a casa, Kevin.” Mormorò, lasciandosi cingere la vita dall'uomo e con passo incerto, venire accompagnato fuori.

 

***

 

Se le sue ricerche erano giuste, aveva finalmente trovato l'appartamento di suo fratello.
Loki doveva avere una singolare passione per le alture.
Thor guardò col naso all'insù e intercettò quello che doveva essere un attico, secondo la terminologia umana.
“E ovviamente il più costoso...” mugugnò tra sé e sé, scuotendo la testa “Sei talmente viziato...”
Dalle finestre buie sembrava che nessuno fosse in casa.
Mentre il dio del Tuono cercava di capire cosa fosse meglio fare, il cono luminoso dei fari di una macchina, lo fece sobbalzare, facendogli rendere conto che si stava trovando nel bel mezzo della strada.
La macchina, lunga e nera si arrestò esattamente davanti al palazzo di Loki, ma Thor non riuscì a distinguere bene chi vi fosse al suo interno, dato i vetri oscurati. Eppure poté immaginarlo...
Senza un motivo, avvertì nuovamente quella strana sensazione dello stomaco che si chiudeva in una morsa e il cuore finirgli in gola. Tutta la baldanzosità di poco prima scomparve. L'avrebbe rifiutato ancora?
Ma pochi istanti dopo a quell'emozione se ne sostituì subito un'altra, ben diversa, che aveva a che fare con un senso di angoscia. Vide chiaramente colui che era suo fratello venire aiutato a scendere dalla limousine, lo vide aggrapparsi al collo di quell'energumeno che sembrava volerlo sostenere. Un'altra fitta indistinta di calore pungente gli rattrappì le viscere. Ebbe l'impulso di fiondarsi fuori dall'angolo buio in cui si era nascosto, scaraventare via lo sconosciuto ed essere lui a prendere l'altro tra le braccia, ma si bloccò e decise di attendere che Loki venisse accompagnato in casa e il tizio se ne andasse.

Così avvenne.
Trascorso quelli che dovevano essere stati quindici minuti di insostenibile lentezza, l'individuo vestito di nero sbucò fuori dal palazzo e si mise in macchina allontanandosi di lì.
Thor si accertò che nessuno transitasse per quella strada, lanciò un'occhiata furtiva all'ultimo piano e vide una luce tenue e diffusa provenire dal suo interno. Corse verso il portone e, sebbene recalcitrante, ringraziò il servitore per essersi dimenticato di chiuderlo bene. Almeno avrebbe evitato di dover far saltare la serratura!
Entrò furtivamente nel grande ed elegante atrio a volte vittoriane, che quasi ricordavano gli orpelli dei bassorilievi di alcune stanze della loro dimora asgardiana, e imboccò rapido le scale, totalmente dimentico che ci potesse essere un comodo ascensore a portarlo fino al dodicesimo piano.
Ma la fatica fisica di quella scalinata non era nulla in confronto all'ansia per l'ignoto di ciò che lo stava aspettando.
Come avrebbe preso Loki quell'incursione? Come avrebbe reagito nel vederlo ancora?
Almeno stavolta non c'erano guardie e strani aggeggi elettrici fra loro che potessero impedire ciò che il dio del Tuono si era preposto di portare fino in fondo.
Infine raggiunse la porta dell'appartamento del fratello e lì ebbe un po' di difficoltà. Si chiese se fosse stato meglio utilizzare le abitudini umane e quindi suonare, oppure buttare direttamente giù la porta, ma pensando che aveva già distrutto quella del suo ufficio, risolse per la prima opzione.
Prese un respiro profondo e spinse il tastino del campanello.
Attese.
Nessuna risposta.
Suonò ancora.
Portò l'orecchio alla porta, ma questa doveva essere talmente massiccia e blindata, che non riuscì ad avvertire alcun movimento.
“Avanti Loki, avanti...” mugugnò, avvicinando ancora il dito al campanello.
Tentò un'ultima volta, ma non ottenendo ancora niente, un pensiero gli attraversò la mente. Forse il fratello era pesantemente addormentato, date le condizioni in cui versava, o forse, peggio ancora, stava male.
Risolse per la seconda opzione.
Afferrò con presa decisa il grande pomo d'ottone della maniglia tra le dita e lo girò con tutta la forza che aveva in corpo, non certo con la forza sovrumana di cui era stato privato da Odino, ma comunque un grado di forza superiore al normale, quel tanto che bastò per far saltare il marchingegno blindato e permettergli di aprirla, senza necessariamente sfondarla.
Per un istante si arrestò sull'uscio.
Forse Loki aveva sentito tutto e ora si trovava dietro la porta pronto a colpirlo. Sarebbe stato meglio essere cauti.
La luce soffusa proveniente da una grande lampada avvolta in un velo sottile invase i suoi occhi, così come le sue narici vennero permeate da un effluvio agrumato che per un istante gli ricordò qualcosa di simile ai giardini di Asgard in primavera. O più semplicemente ciò che avvertiva in quel momento e che sembrava inebriarlo non era altro che il profumo inconfondibile di suo fratello. Una musica di sottofondo avvolgeva l'intera stanza, un enorme open space non troppo diverso da un angolo della sala del trono del Palazzo Reale. Lanciò un'occhiata alla sua sinistra e intravide la cucina, in stile, a detta degli umani minimale, con un semplice bancone che la separava dal resto della stanza.
Thor mosse alcuni passi in avanti, seguitando a guardarsi intorno. Intravide alla sua destra quella che doveva essere la camera da letto del fratello, il letto o qualcosa di simile ad esso perché più simile a un soffice, grande tappeto poggiato a terra s'intravedeva appena, circondato com'era da tendaggi chiari e trasparenti degni dell'alcova di un principe. Nell'ampio salone vi erano cuscini sparsi dappertutto, regolarmente di colore nero e su un lungo pianale posizionato davanti agli enormi vetri delle finestre scintillava la luce di un numero indefinito di candele.
Tutto in quel luogo sapeva di attrazione, simile al canto letale e ammaliante delle sirene che in tempi antichi, essi stessi avevano avuto modo di affrontare. Tutto, in quel luogo, parlava alla maniera di Loki e per un istante Thor si chiese se non fosse preda di un suo inganno.
Infine il dio del Tuono lo vide.
Seduto su un grande divano in pelle nera, alle spalle una delle grandi finestre che si aprivano sulla maestosa vista sull'intera Baia di S. Francisco. Ancora vestito con quei ridicoli abiti umani, le braccia poggiate sullo schienale, la testa reclinata all'indietro, come se fosse svenuto o stesse dormendo, il respiro calmo, profondo, a sollevare e riabbassare cadenzato il suo petto.
Su un tavolino di cristallo davanti a lui, una bottiglia con del liquido ambrato, un bicchiere vuoto e i residui bianchi di una polvere sparsa.
Il dio del Tuono richiuse senza far rumore la porta d'ingresso alle sue spalle e continuò ad avvicinarsi cautamente all'altro, finché non lo raggiunse, fermandosi in piedi dall'altro lato del tavolino.
Dopo alcuni istanti di completo silenzio e densa attesa, gli parve d'intravedere un sorriso tendersi sulle sue labbra.
“Infine sei riuscito nel tuo intento, fratello...?”
Thor si bloccò sul posto, avvertendo un brivido vibrargli lungo la spina dorsale, nel sentirsi appellare in quel modo.
Vide Loki sollevare lentamente la testa e quegli occhi verdi puntati acutamente su di lui lo obbligarono a fare un passo indietro.
L'osservò e per un istante gli sembrò che in lui convivessero due uomini, un dio di Asgard e un figlio di Midgard, insieme.
Doveva stare attento, molto attento. Il dio dell'Inganno poteva sì trovarsi realmente seduto dinanzi a lui, ma quella poteva essere anche un'illusione creata dalla sua magia. Non ci sarebbe voluto molto che Loki gli piombasse alle spalle e lo aggredisse con un fendente. Suo fratello era per sua natura talmente abile nel generare confusione. Per un istante Thor addirittura dubitò se non fosse rimasto impigliato nella rete di un sogno, tanto era stato il suo desiderio di ritrovarlo e il vederlo lì altro non era che uno scherzo della sua mente provata, per sua natura, impossibilitata a generare menzogne. Com'erano diversi...
“I tuoi capelli...” riuscì soltanto a dire, dopo un momento, guardandolo con stupore.
Loki continuava a sorridere, con il suo tipico ghigno beffardo.
“Ricrescono ogni notte, così ogni mattina, per ovvi motivi, sono obbligato a tagliarli di nuovo.” Rispose, accavallando senza fretta le gambe, con fare signorile.
“E diventare Luke Hallstrøm?”
“Già...”
“Che nome orribile!”
Il dio dell'Inganno si strinse nelle spalle.
“Quantomeno richiama qualcosa del nostro mondo su Midgard... è svedese...”
Loki non smetteva di guardarlo e per la prima volta, Thor, provò un senso di disagio sotto quello sguardo impietoso e indagatore. Si sentì goffo nei suoi abiti umani, la camicia ad aderire al suo torace, umettata di goccioline di sudore, quei dannati jeans stretti, troppo stretti e quegli odiosi boxer che sembravano togliergli il respiro. Aveva continuato ad aggiustarseli per tutto il tragitto fin lì e secondo l'etichetta degli Umani non doveva essere un gesto carino.
Si sentì denudato dallo sguardo del fratello che sembrava volerlo sondare e, istintivamente, distolse il proprio.
Loki si avvicinò al tavolino e riempì nuovamente il bicchiere del liquido ambrato. Tornò a rilassarsi sul divano e bevve un sorso.
“Sai qual'è il problema?” Riprese “Tutte queste deliziose invenzioni che gli uomini hanno escogitato qui sulla terra per farti smettere di pensare, dopo qualche breve minuto di euforia, a me non fanno assolutamente più nessun effetto.” Ingollò il drink e riempì il bicchiere ancora. Lo terminò e lo riempì di nuovo.
“Vedi, fratello... a me non è proprio stata concessa la possibilità di trovare un po' di pace...”
Il dio del Tuono si voltò a guardarlo di sbieco.
“Alcool, droghe, soldi, donne, uomini... ciò che per gli Umani è questione del tempo di una vita, soddisfazioni, frustrazioni, gratificazioni e ancora frustrazioni in un interminabile ripetersi, beh per me... si consuma nel...” schioccò le dita “battito di un secondo.”
Un'ombra cadde sui suoi occhi, le sue labbra tremarono impercettibilmente e a sua volta, distolse il suo sguardo, girando la testa dall'altra parte.
“Non saresti dovuto venire qui...” aggiunse cupamente, con un filo di voce “Non saresti mai dovuto venirmi a cercare.”
C'era rabbia in quelle parole. Rabbia e l'eco di un dolore lontano, che aveva richiesto un lungo lavorio e un lungo compromesso per venire attutito.
Thor si sentì inchiodato, e per qualche motivo anch'egli arrabbiato, per quelle parole. Si limitò a conficcarsi le mani dentro le tasche dei jeans e a guardare nuovamente altrove.
“Sai che questo era inevitabile.” Disse dopo un momento.
“Perché?” Gridò Loki con acredine, attirando nuovamente la sua attenzione. Lo vide scagliare il bicchiere contro il pavimento e i cristalli andare in mille, minuscoli pezzi “Perché non vuoi lasciarmi mai in pace?”
Ora, il più giovane tremava visibilmente e gli occhi gli si erano velati di lacrime.
Al che il dio del Tuono fece un passo ancora verso di lui e, com'era accaduto quella sera, diverse ore prima nel suo ufficio, si accovacciò sul tavolino, spolverando distrattamente via la polverina bianca con una mano.
“Sai quanto costa quella roba?” Fece il fratello, guardando la sostanza finire per terra. “E' di prima qualità!”
Thor si limitò a stringersi nelle spalle, non sapendo minimamente di cosa parlasse e gli sorrise, guardandolo intensamente con i suoi occhi blu... quel sorriso e quello sguardo che sapevano come calmarlo, fin da bambini.
“Credi che sia una cosa possibile? Lasciarti in pace?” Riprese dolcemente, godendosi appieno l'espressione di rinnovato stupore dipingersi sul volto del fratello.
Per gli Dei se adorava quei rari istanti di pura verità e autentica bellezza in cui Loki svelava realmente se stesso...
Per uno solo di quei momenti erano valsi gli anni di ricerca, i pericoli affrontati, la disobbedienza a Padre, l'estrema punizione che ne era conseguita. Per uno solo di quei momenti era valso perdere Asgard, il suo destino, ogni certezza e ogni cosa conosciuta.
Loki lo guardava. Come rimasto impigliato in attesa di qualcosa, forse, parole, parole che anch'egli avrebbe voluto sentirsi dire da tempo, nonostante il suo dissimulare, il suo ingannarsi e le sue menzogne. Sarebbe valsa la pena tentare...
Thor prese tempo, tutto il tempo necessario per dirgli finalmente ciò che era rimasto intrappolato nella sua mente e nel suo cuore, ciò per cui era giunto fin lì. Emise un respiro profondo. E si protese verso di lui.
“Se non vorrai, io non ti condurrò via da Midgard, ma ti chiedo solo una cosa... lasciami restare qui con te.”

 

***

 

Se solo quel bifolco di suo fratello avesse avuto anche un decimo della sua capacità di leggere nelle emozioni altrui, si sarebbe senz'altro reso conto che, a quelle parole, a quello sguardo color dell'oceano e a quel sorriso, dinanzi a quella sua confessione cristallina, il suo cuore aveva perso un battito.
Ma fortunatamente Thor non era capace di farlo e ringraziò gli Dei che non lo fosse, potendo così aggrapparsi ancora un poco alle sue abilità illusorie che l'avevano difeso per tutta una vita.
Si sentì vulnerabile, Loki. Come sempre spogliato dalla chiara schiettezza dell'altro che sapeva come colpirlo direttamente al centro di sé.
Se solo quell'idiota avesse saputo quanto aveva atteso quel momento, quanto aveva atteso quelle parole.
“Certo che puoi restare. Resta qui con me su Midgard, oppure portami ovunque tu voglia portarmi, in qualunque dei Nove Mondi.” Avrebbe voluto rispondergli d'istinto. Ma si rimise a sedere in una postura maggiormente composta, siccome era letteralmente sprofondato in quel divano nero e continuò a sondare il fratello con sguardo attento. Le sue emozioni erano evidenti sul suo volto, era emozionato, folle di gioia per essere lì, rasente le lacrime per averlo ritrovato e poter leggere tutto questo in lui gli fece ancora più male. Perché le sue, di emozioni, erano esattamente identiche.
E al contempo, si chiese, se pur essendo identiche, avrebbero potuto essere chiamate con lo stesso nome.
Thor lo amava, questo era chiaro, ma il suo era un amore puramente fraterno, un amore pulito, a volte impacciato. Luminoso come il sole, senza macchia e scintillante come i suoi capelli d'oro.
Mentre il suo di amore... ciò che provava per il dio del Tuono e che soltanto da ragazzi aveva iniziato a comprendere, era qualcosa d'indicibile, qualcosa che non poteva venire espresso. Se solo l'altro avesse saputo delle notti segrete in cui egli si ritirava nella sua stanza e scopriva con carezze furtive il suo stesso corpo, mentre a labbra strette sussurrava in un lamento il suo nome, se solo avesse compreso che tutte le volte in cui lo svegliava in piena notte e s'infilava nel suo letto, piangendo che aveva avuto un incubo... se solo avesse compreso che si trattava soltanto di una scusa, quale rischio... E quando le sue braccia, già allora possenti, lo cingevano e lo traevano contro il suo corpo, soltanto allora riusciva a calmarsi, nell'avvertire lo scorrere caldo del suo sangue sottopelle, i battiti del suo cuore contro la sua schiena, il suo avvolgente calore, capace di ristorare il ghiaccio da cui proveniva, il ghiaccio che portava dentro. Se solo avesse saputo quante volte si era sentito morire quando, nelle innumerevoli battaglie combattute, l'aveva visto venir colpito e cadere. Non avrebbe esitato a sacrificare la sua vita per quella del fratello, a compiere qualunque efferata magia pur di salvarlo, sebbene dissimulasse l'esatto contrario. E quante volte, nei momenti di gloria aveva gioito in silenzio per lui e con lui, ma per colpa del suo stesso Fato e per il sentimento indicibile che portava dentro, si era obbligato a tramutare agli occhi dei più quella gioia in invidia, la sua stessa presenza in inganno.
Ma come non difendersi da tutto questo?
Era divenuto così abile maestro nei giochi dei contrari, collezionando per un'intera vita, in ognuno dei Mondi in cui era stato, una carrellata infinita di maschere.
“Vorrei poterti abbracciare... se mi dici che sei reale.”
La voce di Thor lo distolse di colpo dai suoi pensieri e lo fece sobbalzare. Ma non ebbe il tempo di replicare o di schermarsi che il fratello gli aveva già afferrato una mano e l'aveva fatto rialzare in piedi al suo cospetto.
Loki vagò perduto nei suoi occhi. Alle loro spalle la luce delle candele a danzare come aura protettiva, avvolgendoli, e al di là dei vetri, S. Francisco esplodeva in mille colori.
Sentì le mani dell'altro scivolargli lungo i fianchi, pressarsi sulla sua schiena e stringerlo a sé. Suo malgrado, il dio dell'Inganno cedette e poggiò la testa nell'incavo del suo collo scoperto. L'odore ineguagliabile di Thor gl'invase subitaneamente le narici. Dovette chiudere gli occhi, serrare con violenza la mascella, per riuscire a sostenere quel contatto e, inevitabilmente strinse a sua volta il fratello a sé. Le lacrime pizzicarono dolorose contro le sue palpebre chiuse. Istintivamente strofinò la fronte contro la sua guancia.
“Po..potresti aspettare almeno il mio consenso, prima di fare qualcosa?” Disse, in un ultimo, vano tentativo di difesa.
Per tutta risposta il dio del Tuono gli carezzò dolcemente la schiena, facendolo tremare ancora di più.
“Mi è bastato guardarti...”
“Arrogante...”
Thor lo strinse ancor di più, senza dubbio totalmente ignaro di cosa gli stesse provocando dentro in quel momento.
“Smetti di lottare, Loki,” gli sussurrò all'orecchio “basta, ti prego...” un bacio sulla tempia “avevamo semplicemente bisogno della stessa cosa entrambi.”

Rimasero così, allacciati l'uno all'altro per un tempo interminabile. Del tutto indifferenti al mondo fuori che scorreva nel suo ritmo forsennato, alle vite degli Umani, a ciò che si erano lasciati alle spalle. Esistevano unicamente loro, Thor e Loki e quell'unico, impareggiabile momento presente.

“Allora mi fai restare?” Chiese il dio del Tuono, allontanandosi un poco da lui, ma continuando a tenergli le mani tra le proprie.
Loki lo guardò di sbieco, ma per quanto ci provasse, non riuscì a fingere disappunto fino in fondo.
“Per gli Dei se sei insistente!” Esclamò, aggrappandosi al sarcasmo. Fece una pausa, per poi riprendere non senza esitazione “Diciamo che posso darti un... periodo di prova,” disse, e aggiunse frettolosamente “prima che tu faccia qualunque altra cosa, tipo sfondare porte, devastare uffici, portare allo svenimento le mie segretarie e vestirti come se fossi uscito da un veglione di Carnevale... dovremo discutere di alcune regole io e te.”

Thor lo scostò un poco da sé, guardandolo con aria divertita ed emozionata, per quello che doveva aver supposto essere un assenso.
“Tutto quello che vuoi, fratellino!”
“Non... chiamarmi così!” L'ammonì il più giovane.
“D'accordo, fratellino.”
Loki alzò gli occhi al cielo e, sganciatosi da lui, si diresse verso la cucina.
“Vuoi... ti va qualcosa da bere? Se non ricordo male, la prima volta che sei sceso su Midgard, non ti dispiaceva la birra.”
“Ricordi bene.”
Il dio dell'Inganno aprì il frigo e prese due birre ghiacciate, non avvertendo il minimo fastidio per il freddo sulla pelle. Del resto, era nato tra i ghiacci.
Quando si voltò vide suo fratello rivolto alla finestra, immerso nel contemplare il panorama fuori dai vetri. Gli lanciò una rapida occhiata, soffermandosi sulle sue spalle, la cui pelle nuda s'intravedeva sotto il bianco della camicia, proseguì sulla schiena ampia, dove gli ricadevano i capelli raccolti nella coda, per poi finire più giù, sulle natiche sode e perfette strette nella stoffa dei jeans, e risolse che quegli abiti umani gli donavano davvero.
Gli venne in mente il suo ultimo amante, Jacob, il più somigliante a suo fratello che era riuscito a scovare e ripensò inevitabilmente che ciò che gli restava addosso, una volta consumato il sesso, rigorosamente senza guardarsi in faccia per poter immaginare meglio quel che voleva immaginare, era sempre quella drammatica e tagliente solitudine. Quella sorta di condanna che si infliggeva ogni qualvolta cercava residui di Thor nei volti e nei corpi di qualcun altro.
Poggiò le birre sul tavolino e si fece vicino alla finestra, accostandosi all'altro.
“Non è per niente male qui, eh?” Mormorò, osservandolo di sottecchi.
“Ti sei sempre saputo trattare bene.”
Loki sorrise e si voltò a guardarlo. La voglia di un altro abbraccio, ora che lui era lì, si fece impellente.
“A cosa stai pensando?”
Un'ombra di malinconia attraversò gli occhi di Thor. Lo vide sospirare.
“Jane.” Rispose, improvvisamente perso nei suoi pensieri, come se per un attimo non fosse più lì con lui “Mi chiedo dove sia in questo momento, che cosa stia facendo. Sai, da quando ho distrutto il ponte la prima volta non sono più riuscito a vederla,” accennò un sorriso triste “Spero solo che sia felice... è passato così tanto tempo, per gli umani, intendo.”
Il dio dell'Inganno avvertì un brivido, simile ad una lama di ghiaccio, trafiggergli la schiena.

“Ti manca?” Chiese, senza troppi giri di parole.
“A volte...”
Loki s'irrigidì, inghiottendo un bolo di saliva invisibile.
“E... vorresti andare a cercare anche lei?”
Thor non rispose subito. Si limitò a stringersi nelle spalle e a continuare a guardare fuori.
“E' stato tanto tempo fa.” Disse infine.

Il più giovane si sentì invadere da quella sensazione di cupezza, capace di spazzare via di colpo l'illusoria speranza che le ombre e gli spettri del passato avrebbero un giorno cessato di strisciare nella sua esistenza. Ma dopotutto di cosa si stupiva? Era abituato a tutto questo da sempre. Pensò con amarezza e un moto di rancore.
D'improvviso però, il suo stato d'animo fu costretto a cambiare ancora. Sentì di colpo le mani del fratello nuovamente sui suoi fianchi e si accorse soltanto in quel momento che Thor gli era passato alle spalle, per trarlo contro di sé, intrecciando le dita all'altezza del suo ventre.
“Ma adesso non pensiamo a lei,” disse il maggiore “non pensiamo alle cose del passato. Ora ciò che più conta è che ti ho ritrovato e che siamo qui, insieme.”
Loki ebbe voglia di piangere.
Perché quelle parole? Perché quegli abbracci? Perché quella tortura e quel crudele scherzo del destino, se ciò che muoveva suo fratello era un sentimento diverso dal suo? Evidentemente il Fato non era mai pago di giocare con lui in un gioco al massacro.
Sì, era vero, ora si trovava tra le sue braccia. Era vero, Thor lo aveva cercato sfidando quasi il Cosmo intero, era un fatto che anch'egli non poteva restare separato da lui, ma quell'amore, quell'amore così diverso dal suo non sembrava altro che una maledizione che pendeva sulla sua testa fin dai tempi antichi.
Se solo il dio del Tuono avesse sentito ciò che egli provava realmente, se solo avesse compreso... Loki sorrise, amaro. Se avesse compreso, lo avrebbe sicuramente perso.
Avrebbe dovuto allontanarlo. Cacciarlo via di nuovo, subito, al più presto. Avrebbe dovuto inventarsi qualche nuova pantomima per confonderlo e possibilmente deluderlo e fare in modo che non volesse più vederlo. Venire disprezzato da lui a tal punto da essere rinnegato. E forse così, trovare la pace.
Ma quando si trattava di Thor, il dio degli Inganni smetteva di essere tale e diventava più umano degli stessi uomini, vittima fragile delle sue stesse, inammissibili fragilità.
“Loki...”
“Mmh?”
“Beviamoci la birra.”
E poi succedeva questo. Lui che si dava le pene dell'inferno e suo fratello che con la semplicità di due parole riusciva a cambiare l'atmosfera e l'ambiente attorno.
Forse era anche per questo motivo che l' amava. In un modo o nell'altro era l'unico in grado di placare i suoi demoni.

Andarono a sedersi sul divano, stapparono e birre e brindarono alla maniera dei Mortali.
Le ore trascorsero veloci, come se in quel giorno, il tempo si fosse fermato, sospeso, in attesa a sbirciare invisibile la magia di quel loro incontro. Parlarono e parlarono ancora, Loki dei suoi dieci anni di vita sulla Terra, di come era riuscito a costruirsi magistralmente un personaggio vincente, abile, ambizioso, perfetto per quel tipo di mondo e arrivare in cima ai suoi obiettivi, alla punta massima della carriera, semplicemente reinventandosi, nel giro di pochissimo tempo, laddove per gli Umani, a volte, non era sufficiente un'intera esistenza per farlo.

Thor gli raccontò del suo peregrinare, di quel che aveva provato e ancor peggio di quello che aveva fatto nel momento in cui la navicella lo portava via, una decisione fulminea, così come fulminee e inarrestabili erano state le sue azioni. Gli narrò di come avesse attraversato Jotunheim, Vanaheim, dovendo apprendere ad essere diplomatico e non soltanto distruttore, perché in gioco non c'era un mondo da conquistare ma una ricerca da portare a termine. Aveva negoziato per ogni passaggio, con re, mostri, creature terribili. Aveva incontrato gli alleati di un tempo, Hulk e Iron Man l'avevano aiutato in nome della vecchia amicizia, non facendo troppe domande su dove fosse diretto e su cosa andasse a fare, praticamente da solo, in giro per terre ostili. Aveva perfino rintracciato quelle antiche creature ritiratesi da secoli, le Valchirie ed era stato loro prigioniero per del tempo, desiderato dalla loro regina, affinché si fermasse nel loro mondo. E anche da lì era riuscito a scappare.
Infine, era riuscito a trovare il passaggio per Midgard, o forse era stato Odino stesso a farglielo scovare, in un tacito accordo, che se fosse giunto fin sulla Terra non vi sarebbe stata più alcuna possibilità di ritornare a casa.

“Mi domando,” prese a dire Loki, scolandosi l'ultima birra con disinvoltura “quanto di tutto ciò che mi hai raccontato sia reale o... diciamo, un po' gonfiato di dettagli, come dire, spettacolari, data la tua natura, s'intende.”
Sorrise maliardo. In qualche modo doveva pur arginare la sciocca emozione bambina che gli faceva pulsare il cuore nell'ascoltare le imprese del fratello, per giunta rivolte a lui.

Ma Thor rimase serio a guardarlo.

“Tu avresti fatto lo stesso per me.”

Il dio dell'Inganno tossì, quasi strozzandosi con il sorso di birra in gola.

“Oh, ma per favore!” Esclamò, cercando una via di fuga a quella verità. Si assestò meglio sul divano e, distrattamente, si slacciò un paio di bottoni della sua camicia nera, guardando l'altro con supponenza. “Non avrei certo messo a repentaglio la mia... preziosissima vita, la mia posizione, il mio destino di re, i miei bellissimi abiti per venire a vedere se fossi vivo oppure no! Ho talmente tante volte attentato alla tua che...”
“Tu... avresti... fatto... lo stesso... per me.” Ripeté Thor, sporgendosi verso di lui e sorridendo divertito.

“Come vuoi!” Disse Loki, sollevando le mani a mo' di resa “Piuttosto, ma come diavolo ti è venuto in mente di piombare nel mio ufficio vestito da asgardiano?”

Cambiare discorso, subito!

“Beh, insomma, non ci ho pensato a cambiarmi, non avevo certo tempo da perdere!”
Scoppiarono ancora in una risata. Una risata benefica e calda che andò a sciogliere immediatamente l'imbarazzo che si era andato a creare tra loro.

“Sai che i miei dipendenti, ci metteranno un po' per riprendersi da quello che hanno visto?” Disse, il dio dell'Inganno, sprofondando ancor di più nel divano. “I loro analisti avranno un bel po' di materiale su cui lavorare.”

“I loro... cosa?”

Loki rise, guardando la sua espressione perplessa e allungò le gambe su quelle di Thor, rimasto seduto sull'altro lato.

“Oh, fratello, quante cose dovrai apprendere se deciderai di restare su Midgard!” Mormorò, portandosi la bottiglia ghiacciata alle labbra, per poi poggiarsela sul petto, sulla pelle nuda tra i lembi della sua camicia.
Istintivamente iniziò a muovere il piede contro la sua coscia, alla tacita ricerca di un maggior contatto.
“Che hai?” Chiese Thor, dopo un momento.
L'altro sospirò, abbozzando un sorriso e scosse la testa.
“Niente.” Rispose e si disse che quella convivenza si sarebbe rivelata più difficile del previsto. Si voltò a dare un'occhiata alla finestra e vide che il cielo si stava schiarendo, assumendo delle tonalità maggiormente tenui e rosate.
“Fuori albeggia, sarà bene che io vada a riposare almeno un paio d'ore!” Esclamò Loki, spezzando quell'atmosfera intima e carica di un qualcosa di troppo eccessivo da sostenere in quel momento. Alle otto, Luke Hallstrøm deve essere presente in ufficio!” Aggiunse con tono scherzoso, saltando su in piedi.
Ma il fratello lo afferrò per un polso, bloccandolo sul posto.
“Resta. Ancora un po', qui con me,”
Loki intercettò i suoi occhi e si sentì morire. Ma roteò il polso nella sua mano e si liberò gentilmente della sua presa.
“Ho... il mondo da mandare avanti...” disse con un filo di voce, quasi fosse un giustificarsi. Abbozzò un sorriso tirato “Non ti preoccupare, ormai non dobbiamo più rendere conto a nessuno, avremo tempo per stare insieme.” Fece un passo indietro, con l'intenzione di dirigersi in camera da letto, accorgendosi solo dopo di ciò che aveva detto “Tu per ora puoi dormire sul divano, domani farò arrivare un letto anche per te, se... se sei d'accordo.” Ancora un sorriso “Fai come se fosse la tua casa, svegliati quando vuoi, io... beh io magari... noi potremmo... potremmo pranzare insieme se ti va...”
Ma che diavolo stava dicendo? Le parole sembravano uscire inarrestabili dalla sua bocca, neanche fosse improvvisamente vittima di un sortilegio. E per fuggire da quel momento che si stava rendendo troppo pericoloso per la sua vulnerabilità, per difendersi da questo, non faceva che infilarsi in un qualcosa di ben più contorto.
Vide Thor annuire e s'intrufolò tra i tendaggi che si chiudevano sul suo letto in stile giapponese.

“A... tra qualche ora, d'accordo? Fuori dal mio... ufficio alle tredici. E, ti prego... non fare danni!”
I tendaggi ondeggiarono e si richiusero su di lui, benché uno spiraglio rimase aperto.
Quando fu relativamente solo, Loki, emise un sospiro profondo.
La testa gli girava, ogni fibra del suo corpo tremava impercettibile e costante sottopelle. Si appoggiò per un momento alla parete e cercò di sintonizzarsi nuovamente con il suo respiro. Poi, quando ebbe la certezza di essere abbastanza saldo sulle sue gambe, iniziò a spogliarsi lentamente, lasciando cadere i vestiti a terra senza cura e rimanendo completamente nudo. Ebbe la sensazione dello sguardo del fratello su di sé, attraverso quel vedo-non vedo tra i tendaggi scossi da un moto d'aria invisibile. Ma non ebbe il coraggio di voltarsi.
Si coricò e il sentore fresco delle lenzuola gli provocò subito un immediato ristoro.
Si posizionò al centro del letto, portandosi un braccio dietro la nuca e, suo malgrado, dopo qualche secondo di lotta impari con se stesso, guardò nello spiraglio in direzione di Thor.
Si morse le labbra, ma, sebbene tentasse d'imporselo, non riuscì a smettere di guardare.
Il fratello si stava spogliando a sua volta. Si era tolto gli stivali e aveva iniziato a sbottonarsi la camicia, per poi lasciarla scorrere lungo le braccia e cadere a terra.
Loki ebbe un sussulto, un brivido bollente lo percorse da parte a parte e inevitabilmente il suo sesso si tese. Corrugò la fronte, tentò di distogliere lo sguardo, come se quel gesto fosse sufficiente a sopprimere il fuoco che aveva ripreso ad invaderlo da dentro, tentò un'ultima resistenza, lottando contro la sua paura e al contempo contro il suo desiderio, ma, come sospinta da una forza superiore, la sua mano scivolò furtiva sotto il lenzuolo, raggiungendo il ventre e chiudendosi a pugno sulla sua erezione.

“No...” gemette, mordendosi la lingua. “No, ti prego no.” Implorò se stesso. Gli occhi a pizzicare per quel velo di lacrime, inabile ad arrestarsi, impossibilitato a non nutrire quel demone che si stava risvegliando in lui.
Il corpo del dio del Tuono riluceva possente e magnificamente definito nella sua statuaria virilità sotto la luce tremante delle candele ancora accese e le sfumature sempre più intense dell'alba che penetrava dentro la stanza.
Per un istante Loki ebbe la sensazione di essere ancora nella bellezza di Asgard, in quel tempo fatto solo di giovinezza, di felicità, amore e infiniti sogni per il futuro. Quando loro erano ancora dei ragazzi, quando le loro battaglie si giocavano sulle distese degli immensi giardini del Palazzo e le conseguenze di una vittoria o di una sconfitta non erano così letali. Quando non c'era nulla di irrevocabile e a tutto vi era perdono. Quando Madre era ancora viva...
Vide il fratello sganciarsi i bottoni dei jeans e represse un gemito naturale nella sua bocca. La sua mano aveva preso a muoversi veloce, portando la sua erezione e tutto se stesso ad uno stato apicale di estasi.
Tutto era splendore.
Thor si sfilò via anche i jeans e quando infilò le dita nei boxer, Loki si sentì accartocciare. Ma anche quell'ultimo indumento cadde irrimediabilmente a terra, scoprendo il dio del Tuono interamente nella sua nudità.
Loki mosse più forte la mano su di sé e sentì la punta del suo sesso farsi bagnata, mentre nel suo cuore, gonfio di desiderio, già iniziava a strisciare la vergogna per quanto stava facendo.
Una misteriosa folata d'aria scostò un poco i tendaggi e il dio dell'Inganno intravide il fratello voltarsi appena nella sua direzione.
Ma non ebbe il tempo di pensare se lo stesse guardando anch'egli in quel momento, né di fermarsi che, portatosi il braccio sulla bocca per impedirsi di gridare, sussultò e il piacere violento esplose fuori, riscaldando le sue dita del suo stesso seme.

Non si rese conto di quanto tempo fosse trascorso dal potente orgasmo provato, ma quando riaprì gli occhi, il suo respiro era tornato maggiormente regolare, sebbene il suo letto si fosse ridotto ad una pozza bagnata di umori.
Espirò fuori il residuo di tutta la tensione che aveva trattenuto dentro di sé e si asperse con le dita il sudore dal volto. Inclinò la testa verso lo spiraglio. I tendaggi erano tornati ad essere immobili e il silenzio era piombato nell'appartamento. Un silenzio di quiete, una quiete irreale, carica di qualcosa troppo a lungo taciuto, impedito, represso, qualcosa che doveva essere dimenticato. Come tutte le volte. Come allora.
Intravide il fratello disteso, il colore rosato del suo corpo nudo a contrastare con il nero del divano e stavolta decise di distogliere lo sguardo. Continuare a guardarlo, ora che il sole stava facendo capolino sulla sua pelle, sarebbe stato decisamente troppo.
Sfiorò il suo sesso con una lenta carezza e testò tra le dita la consistenza vischiosa del suo peccato. Sorrise ed ebbe voglia di piangere.
Sprofondò tra i cuscini. Gli restava solo una misera ora di sonno. Un giorno di intenso lavoro, le sorti del mondo da governare e una nuova notte da vivere, e Thor, suo fratello, ad attenderlo a casa.
Tutto era in ordine e niente lo era più.
La sua vita era stata stravolta nuovamente.

 

***

 

Il grande orologio sulla chiesa sconsacrata di St. James Street segnava le tredici.
L'appuntamento con Loki, ovvero con Luke Hallstrøm era fissato per quell'ora, ma ancora dal grattacelo della Hallstrøm & Associati non si vedeva uscire nessuno.
Il tempo... quella strana percezione unicamente umana. Thor si chiese come i terrestri riuscissero a sopportare di vivere in una gabbia del genere, una vita scandita da delle lancette di cui, tra l'altro, non erano mai contenti, perché queste giravano o troppo lente o troppo veloci per le loro aspettative.
Come promesso a suo fratello non aveva fatto danni.
Dopo essersi svegliato a metà mattina, aveva saccheggiato la sua dispensa facendo una ricca colazione, sebbene ci avesse messo un po' per capire come funzionasse il marchingegno del caffè, senza... distruggerlo!
Poi aveva ripreso la macchina, era tornato al motel, si era fatto una doccia, cambiato di abito, sostituendo l'elegante camicia bianca con una t-shirt azzurra del colore dei suoi occhi, aveva pagato, da 'bravo cittadino americano' l'affitto della stanza e, dopo aver lasciato il mezzo al punto noleggi, era riuscito addirittura a prendere la metropolitana.
Ed ora l'attendeva all'uscita dal lavoro, camuffato nel migliore dei modi, un umano tra gli umani.
Cominciò a vedere alcune persone uscire dal grattacelo e tra questi riconobbe Myriam, la gentile segretaria che il giorno precedente non aveva opposto granché resistenza nel lasciarlo passare. C'era da dire una cosa sui midgardiani, militari esclusi, ovvero che erano gentili, affabili, o almeno lo erano nei suoi confronti, in particolare le donne. Che cosa singolare!
Le tredici e cinque.
Quella del tempo doveva essere una vera e propria condanna! Loki stava facendo dei cosiddetti cinque minuti di ritardo e già lui aveva preso a spazientirsi. Inoltre faceva un caldo terribile. Intercettò una fontanella a poca distanza da lui e, nell'attesa, si avvicinò ad essa, bagnandosi un poco il volto, i capelli e le braccia nude, lasciando che quelle goccioline d'acqua gli scivolassero addosso, regalandogli un po' di ristoro.
Poi tornò a posizionarsi contro il muretto dinanzi al grattacelo e incrociò braccia e gambe, lanciando ancora un'occhiata stizzita all'orologio sulla chiesa.

Non trascorse che qualche secondo che un'ombra strisciò sinistra al suo fianco.
“Mi scusi...”
Il dio del Tuono si voltò bruscamente, subito in allerta, e si ritrovò davanti al naso una segaligna donna un po' in là con l'età che lo fissava da dietro dei sottili occhiali a farfalla.
“Sta aspettando qualcuno, giovanotto?”
Thor annuì, non sapendo se parlare o se tacere.
“Non fare danni...”
L'ammonimento che risuonava nella sua mente era chiaro.
“Mi farebbe un favore? Potrebbe tenermi Charlie per qualche minuto, mentre io vado in quel negozio? Sa, non fanno entrare gli animali là!”
Quindi la signora, senza neppure attendere una risposta, gli mollò il guinzaglio del cane in una mano e si allontanò trotterellando via.
Il dio del Tuono guardò in basso, attratto dallo strano rumore, apparentemente minaccioso, emesso dalla singolare creatura e vide un piccolo essere tozzo e grasso che lo fissava con aria torva.
Istintivamente si portò l'indice alle labbra, a monito di tacere, ma quello per tutta risposta gli mostrò i denti e senza troppa grazia gli si avventò su una caviglia, strappandogli via un pezzo di stoffa dei jeans.
“Malefica creatura!” Mugugnò il dio e con un gesto rapido della mano sollevò il cane in aria, facendolo guaire e penzolare davanti alla sua faccia, guardandolo torvo a sua volta “Non osare...”
Ma in quel momento un' altra mano si poggiò sulla sua e con un movimento lento e gentile lo invitò a riportare l'animale a terra.
“Loki!” Salutò allegramente, Thor.
“Non... si uccide!” Mormorò il fratello, fissandolo con aria grave.
“Beh, ma... non si uccide, d'accordo.” Rispose l'altro a denti stretti, dopo un attimo di esitazione.
Dopo qualche secondo la signora rifece capolino e tutta contenta si riappropriò del suo cucci cucci tesorucci Charlie caro amore della mamma, ringraziando con un sorriso a trentadue denti pieni il dio del Tuono per essersi preso cura di lui.
“Non è vero quello che dicono alla tv, sa?” Disse la donna rivolgendosi ad un Loki quantomeno perplesso “Vogliono che abbiamo paura e che non dobbiamo fidarci di nessuno e invece al giorno d'oggi è anche pieno di ragazzi gentili, giovani e direi pure piuttosto carini come questo... questo bravo giovanotto che... com'è che si chiama lei?”
“Tho...”
“Thornton!” Soggiunse Loki per lui, mentre l'altro già si godeva, gongolante, i complimenti della donna.
“Ah, piacere signor Thornton, è stato davvero gentile... davvero gentile...” Concluse la signora, dandogli la mano e poi allontanandosi continuando a chiacchierare tra sé e sé, mentre il carlino continuava a girarsi e a ringhiare coraggiosamente contro il dio del Tuono.
Quando rimasero soli, i due fratelli, il maggiore sollevò le mani a mo' di difesa.
“Mi sono comportato bene!” Disse.
“Stavi per uccidere un cane, all'ora di punta, in pieno giorno, a S. Francisco!” Rispose Loki, scuotendo la testa.
“Beh, ha cominciato la creatura, mi ha provocato con dei segnali gutturali e poi ha lanciato l'attacco.”
Il dio dell'Inganno alzò gli occhi al cielo e, preso il fratello per un braccio, lo trascinò bruscamente via di lì.
“Thor,” iniziò, esasperato “la creatura si chiama 'cane', i segnali gutturali è il ringhiarti addosso perché non ti conosce e poi, per gli Dei, i cani non lanciano attacchi!” Lo guardò di sottecchi “Andiamo a metterci qualcosa nello stomaco così magari ti spiego un po' come funziona quaggiù, prima di obbligarmi a farti arrestare di nuovo!” Avrebbe aggiunto volentieri “Non sembra che Jane Foster abbia fatto un buon lavoro con te.” Ma si limitò a tacere.

Raggiunsero la Bay Area a poca distanza dal Golden Gate Bridge, costeggiando una darsena densa di locali di ogni genere.

“Perché Thornton?” Chiese il fratello con aria divertita.

Loki lo guardò di sbieco.

“Perché, credi veramente che uno nell'anno 2020 sulla Terra, in America si possa chiamare... Thor??”

Il fratello si strinse nelle spalle.

“E' un nome.”

“Ma sei serio? … No, non sei serio.”
Entrarono al Miller's, un altro dei locali preferiti da Loki, in cui si ritrovavano manager e uomini d'affari della zona per un pranzo veloce prima di riprendere a lavorare.
Loki fu intercettato da più persone, che lo salutarono con sorrisi, pacche sulla spalla e cenni con la mano.
“Serpi...” mormorò il dio dell'Inganno, rispondendo a sua volta a quei saluti con una garbata e composta gentilezza “E' un covo di serpenti qui che neanche t'immagini.”
“Eppure da come ti muovi sembra che ti ci sia ambientato bene.” Soggiunse il maggiore, accomodandosi ad un tavolo accanto al parapetto che dava sulla Baia.
“Non ho mai avuto problemi di adattamento.” Rispose frettolosamente l'altro, prendendo il menù e iniziando a leggerlo “Qui fanno delle deliziose entrecôtes...”
“Entre-che?” Esclamò il dio del Tuono, cercando di capirci qualcosa anche lui.
“Carne! Bistecca! Cibo!” Commentò Loki, sbirciandolo da sopra il menù.
“Ah, d'accordo, d'accordo. Sì, mi va la carne, ho sempre amato la carne. E magari anche una buona birra.” Risolse Thor, colpendo il tavolo con un pugno di pura soddisfazione.
Il locale si ammutolì per un momento e i vicini di tavolo si voltarono verso di loro.
“Tutto a posto, signori,” disse il dio dell'Inganno, con un sorriso tirato “gli è solo scappata la mano... nessun problema, continuate serenamente il vostro pranzo.” Si voltò poi di scatto verso di lui e lo bruciò con lo sguardo “Non siamo nelle taverne di... Asgard... e qui mi conoscono tutti, quindi... ti prego!”
Ordinarono e dopo dieci minuti il cameriere ritornò, porgendo loro le bistecche, con un contorno di patate arrosto e qualche fogliolina d'insalata disposta elegantemente sul piatto.
Loki ringraziò cortesemente e dovette portarsi una mano alla bocca per soffocare una risata nel vedere l'aria avvilita del fratello, mentre fissava con sconforto le, ai suoi occhi, minuscole pozioni che gli erano state messe sotto il naso.
“Neanche gli gnomi del Vanayard chiamerebbero questa roba... cibo!” Commentò il dio del Tuono con costernazione.
Loki si allungò verso di lui e con una mano gli sollevò il mento, costringendolo a guardarlo.
“Nessuno... spettacolo... qui.” Sentenziò, definitivo.
Mangiarono, parlando del più e del meno, della mattinata lavorativa dell'uno, dove gli raccontò degli avvoltoi della finanza che aveva incontrato e che avevano molte cose in comune con i peggiori tra gli Elfi Oscuri e della mattina dell'altro, di come fosse riuscito a fare tutte le cose a modo. Nessun distributore di benzina esploso, nessuna famigliola classe borghese americana terrorizzata, nessun oggetto andato distrutto.
“Stavo per farlo con quell'attrezzo per la bevanda nera che hai in casa!” Bisbigliò Thor, neanche confessasse un recondito segreto.
“Si chiama... bollitore per il caffè.” Puntualizzò Loki.
“Beh, insomma, alla fine ho capito come funziona e... il caffè l'ho trovato buono.”
Vide il fratello sorridere divertito.
“Se non sapessi chi sei, penserei che fossi un midgardiano come tutti quanti qui.”
“Te l'ho detto, sono sempre stato bravo ad adattarmi alle nuove situazioni.”
Thor ingollò un sorso della terza birra e si ripulì le labbra con il tovagliolo, sotto gli occhi attenti dell'altro.
“Non ti manca? Asgard, intendo.” Chiese, d'un tratto.
Loki distolse lo sguardo e si rivolse al sole ad osservare distrattamente il Golden Bridge alla sua sinistra.
“Perdonami, non volevo essere inopportuno...” Aggiunse subito dopo Thor, capendo di essersi arrischiato con quella domanda.
Il dio dell'Inganno scosse la testa e tornò su di lui.
“Se mi manca?” Mormorò, con un sorriso amaro “Certo che mi manca... per quanto più volte avrei voluto la sua disfatta, avrei voluto vederla bruciare... è, dopotutto, casa. O forse potrei dire, la mia casa più importante.” Si portò le mani intrecciate sotto al mento “Sai, fratello, c'è forse una cosa che non potrai mai capire, perché semplicemente non l'hai mai vissuta...”

“Ti ascolto.”

“E' una strana nostalgia per qualcosa che una volta ti apparteneva e che poi hai perduto. Sono nato tra i ghiacci e sono stato portato via dalla mia terra. Sono cresciuto ad Asgard e poi anche Asgard ho perduto. Ora sono qui ed è come...” s'interruppe, mentre quella sfumatura d'emozione profonda che Thor aveva imparato a riconoscere, fece capolino nei suoi occhi “...come se ci fosse sempre un pezzo mancante nella mia vita.” Abbozzò un sorriso “Forse è semplicemente il mio Fato, che io non mi debba legare a nulla, mai, troppo a lungo, a nessuno. Ci sarà sempre per me una partenza, un addio, una...separazione.”
“Loki...” sussurrò il dio del Tuono, usando tutta la forza che aveva in corpo per evitare di alzarsi, raggiungerlo e stringerlo a sé.
“Ma del resto,” proseguì il fratello, riprendendosi “noi sappiamo quanto sia capriccioso il Fato e l'unico modo per rintracciare un po' di felicità è imparare a negoziare con lui.” Si alzò di scatto in piedi, guardando l'orologio. “Devo rientrare.”
“Di già?”
“Sì, avevamo un'ora.”
“Ahh, ma è pazzesco!”
Tempo tiranno...
Si avvicinò al maggiore e gli poggiò una mano su una spalla, invitandolo a restare seduto.
“Prenditela con calma, pago io il pranzo oggi,” ammiccò “ci vediamo stasera a casa e...”
“Non fare danni.” Finì Thor per lui.
Vide il fratello annuire e sorridere e, dopo essersi congedati, continuò a seguirlo con lo sguardo, mentre le sue ultime parole echeggiavano nell'aria, finché non scomparve dalla sua vista.

 

***

 

Per tutto il pomeriggio e per tutto il tragitto di ritorno verso casa nella sua limousine, Loki era rimasto assorto nei suoi pensieri, tralasciando più del solito e suo malgrado gli impegni di lavoro.
Ma del resto, non aveva potuto fare diversamente.
Un'infinità di cose affollavano la sua mente. Dubbi, immagini, riflessioni e ancora dubbi.
Si chiese se avesse fatto la cosa giusta nell'accordare a suo fratello il permesso di restare lì con lui. Amava complicarsi la vita. Da sempre. Ogni volta ricadeva nello stesso errore, sopravvalutando le sue capacità, la sua arguzia, la sua abilità nel tessere reti tra le quali poi finiva per restarvi impigliato. E alla fine era sempre il dio del Tuono a doverlo salvare e proteggere.
Ma non questa volta.
Perché la rete in cui si era irrimediabilmente impigliato era il suo stesso salvatore e ciò da cui aveva bisogno di farsi proteggere era lo stesso sentimento che provava per lui e da cui non poteva far altro che scappare.
Osservò con occhi distratti le luci della città aggrapparsi ai vetri della macchina e scivolare via, dissolvendosi. Si sentì un po' come quelle luci, impossibilitate a fermarsi su qualcosa, incapaci di trattenere tra le dita ciò che era di più prezioso. Poteva sostare soltanto un attimo, ma poi era costretto, anch'egli, come le luci della notte, a scivolare via.
Kevin l'accompagnò fin davanti il portone di casa e si congedò, ricordandogli che si sarebbe fatto trovare sempre lì davanti il mattino successivo alle sette e quindici in punto. Come ogni volta, come ogni mattina, del resto.
“Bravi midgardiani...” mormorò Loki tra sé e sé, accostando la sua tessera magnetica al chip del portone ed entrando nell'androne del suo palazzo.
Salutò gli uomini della sicurezza e s'infilò nell'ascensore, schiacciando il tasto che l'avrebbe portato al suo piano.
Per tutto il tempo di quella rapida salita si poggiò stancamente contro la parete metallica e chiuse gli occhi.
“Ancora una notte... un'altra notte con te... perché mi sto facendo questo?” Si chiese, mentre le immagini di quanto era accaduto il giorno precedente e soltanto fino a poche ore prima gl'infestarono rapide la mente. Poteva ancora sentire su di sé il profumo di quel sesso consumato in segreto, mentre la bellezza del dio del Tuono, come sempre era accaduto, lo soggiogava attimo dopo attimo nel rifugio poco sicuro del suo letto. Per quanto, per tutto il giorno, avesse tentato di dimenticare quelle immagini, queste erano ancora troppo fresche, crudelmente ravvivate da qualcosa che non si sarebbe più dovuto concedere. Per non parlare di quando si era alzato, soltanto un'ora dopo essersi addormentato e, dirigendosi in bagno, si era fermato a guardare il fratello beatamente addormentato, del tutto nudo, sul suo divano. Così, l'aveva coperto con un lenzuolo, con cura e senza fare rumore, attento a non svegliarlo ed era rimasto a guardarlo, indugiando troppo, quei pochi istanti in più, ma che erano stati sufficienti per rendergli difficoltoso allontanarsi da lui e sognare ancora di potergli giacere accanto.

Sarebbe stato così facile respingerlo e rimandarlo su Asgard. Sarebbe stato così facile deluderlo e farsi odiare, una volta per tutte, definitiva. Sarebbe stato semplice riuscire a trasformare quei maledetti assensi che continuavano ad uscire dalla sua bocca in salvifiche negazioni.

Il segnale acustico dell'ascensore indicò che era giunto al suo piano.
Riaprì gli occhi con un sussulto, uscì e si avvicinò alla porta del suo appartamento. Non poté non negarsi un sorriso. Thor gliel'aveva aggiustata. Fece per aprirla, ma d'un tratto gli parve di udire degli strani rumori provenienti da dentro. La porta era blindata e insonorizzata e pur giungendo ovattati alle sue orecchie, si chiese che cosa il fratello stesse combinando di nuovo. Sentì un tonfo metallico, poi un altro e un altro ancora.
“Thor...” sospirò, scoraggiato.
Aprì cautamente la porta, timoroso di ciò che avrebbe potuto trovarsi davanti, ma prima ancora di rendersi conto cosa fosse successo, un intenso profumo di vivande inebriò i suoi sensi.

Entrò e si ritrovò immerso nella luce soffusa delle candele, che erano state nuovamente accese tutte dinanzi alle vetrate che davano sulla notte colorata della Baia. Anche la grande lampada in fondo alla stanza era stata accesa e avvolta da un sottile tessuto viola che rendeva quell'atmosfera alquanto surreale. I profumi si fecero persistenti e si mischiarono con altri, provenienti dal brucia-essenze, posizionato accanto all'ingresso. Thor aveva anche messo su un po' di musica, lounge per l'esattezza e per un attimo, Loki si chiese se si fosse trattato di una scelta studiata o di un puro caso. Almeno doveva aver capito come funzionasse un giradischi d'epoca. E ringraziò gli Dei per questo, perché aveva talmente a cuore quel cimelio che se glielo avesse distrutto, sarebbe stata probabilmente la scusa perfetta per buttarlo fuori di casa!

Soltanto un moto di sconforto lo colse quando vide in che stato era ridotta la sua cucina iper-moderna e si chiese se si fosse scatenato Ragnarok anche all'interno di casa sua. Risolse che il mattino seguente avrebbe contattato una ditta di pulizie per rimediare a quel disastro.

I suoi occhi infine si soffermarono, catturati, sulla tavola che era stata portata davanti alle vetrate. Nel vederla apparecchiata con gusto e nel vedere al centro di essa una splendida candela che rendeva quella situazione qualcosa d' indicibilmente intimo, il suo cuore perse di nuovo un battito.
E ora che fare? Non c'erano molte alternative.
Ormai era rientrato e non poteva certo prendere e fuggire di lì. Inoltre, nessuno dei suoi muscoli obbediva ai suoi comandi. Paralizzato in ciò che stava guardando, simile ad uno dei suoi stessi, ammalianti inganni, mentre tutto, attorno a lui, sapeva di Thor.
“Ti prometto che sistemerò tutto io stanotte quando sarai andato a dormire.”
La voce profonda del dio del Tuono lo colse alle spalle e quando si voltò nella sua direzione, questa volta il respiro gli mancò per davvero.
Non poté far altro che rimanere al suo cospetto immobile, inchiodato al suolo e guardarlo per un lungo momento.
Thor era bellissimo. Si aggirava scalzo per il suo appartamento, con addosso i jeans e quella t-shirt blu che riprendeva il colore dei suoi occhi. Alcune ciocche di capelli gli si erano sfilate dall'elastico ricadendogli disordinate sul volto. Su una spalla teneva uno strofinaccio macchiato dei residui di ciò che aveva cucinato.
E il suo sguardo, profondo e intenso, dritto dentro di lui.

Loki avrebbe voluto parlare, dissipare la tensione crescente con una delle sue frecciate, evitare di mostrargli l'emozione di quello stupore che doveva essersi dipinta sul suo volto. Perché Thor sorrise compiaciuto e gli si fece vicino. E siccome Loki sembrava essere rimasto preda di un sortilegio che non gli consentiva di muoversi, l'altro lo fece per lui. Prima gli tolse la valigetta da una mano, poggiandola delicatamente a terra, poi tornò al suo cospetto e portò le mani al nodo della sua cravatta, con il preciso intento di allentargliela.
Come le sue dita gli sfiorarono il collo, il dio dell'Inganno ebbe un sussulto e sembrò risvegliarsi, ma durò soltanto un attimo, soltanto per precipitare ancora in quel tiepido ottundimento, dovuto alla loro drammatica e pericolosa vicinanza. Tuttavia, istintivamente portò una mano su quelle del fratello ed arrestò il suo gesto.
“Levati questa roba di dosso.” Gli mormorò Thor, con una strana luce negli occhi, capace di renderlo, se possibile, ancora più bello.
Loki, a quelle parole che tanto somigliavano a un indiscutibile ordine, fu percorso da un fremito, ma riuscì comunque a riprendere il controllo.
Fece un passo indietro, intimando all'altro con lo sguardo di non avvicinarsi di nuovo e si sfilò via, senza fretta, la giacca, iniziando poi a liberarsi della cravatta.
“Non li ami proprio questi abiti, vero fratello?” Tentò di ironizzare, pur di dissipare la densa energia che si era andata a creare nella stanza e su di sé.
Thor incrinò le labbra in un sorriso e, mani ai fianchi, si soffermò ad osservarlo meglio, inclinando la testa per guardarlo da più angolature.
“E' che non sei tu.”
“Sono molte cose, lo sai...” Soggiunse il dio dell'Inganno, non dando peso alla tonalità con cui aveva pronunciato quelle parole. Fece qualche passo indietro e si diresse verso la camera da letto per finire di svestirsi.
“Perché spogliarsi quando ti potresti trasformare?” Chiese l'altro.
“Perché qui su Midgard non posseggo più alcuna magia.” Rispose Loki da dietro i tendaggi che lo tenevano protetto “Come del resto tu, dal momento che hai deciso di venire qui.” Aggiunse “Non vedo il tuo martello.”
Poteva essere più odioso? Sì, poteva. Benché nel rientrare e nel vedere ciò che egli aveva fatto per lui gli avesse fatto saltare il cuore in gola, doveva in qualunque modo cercare di mantenere il controllo della situazione. Altrimenti le conseguenze sarebbero state disastrose. Ma al contempo, e questo non poté negarselo, in quella strana e ammaliante atmosfera, avvertì uno strano calore, qualcosa di sconosciuto, qualcosa, forse, mai provato fino in fondo e comprese, per la prima volta, cosa significasse per i Mortali la parola 'casa'.
“No, il martello non c'è più e anche la mia forza è grandemente diminuita,” gli fece eco Thor “ma è sicuramente di gran lunga maggiore di qualunque capacità umana. Sai quanto ci ho messo per andarmene dal posto dove mi hai spedito ieri?”
Il dio dell'Inganno sorrise e sospirò, finendo di rivestirsi con un semplice paio di pantaloni di lino e una casacca leggera, entrambi rigorosamente neri.
“Posso immaginare...” commentò divertito “c'era l'articolo sul giornale, stamattina! Parlavano addirittura di potenziale attacco terroristico alla Hallstrøm & Associati.” Continuò, risbucando dai tendaggi e avviandosi anch'egli scalzo verso il centro del salotto “Devi sapere che gli Umani hanno questa paranoia della sicurezza, in particolare qui negli Stati Uniti.” Aprì le braccia, sotto il suo sguardo “Così va meglio?” Disse, lasciandosi osservare senza fretta, con soddisfazione.
“Infinitamente meglio...” sorrise Thor, porgendogli un flûte con delle bollicine.
“Non dirmi che questa è la mia bottiglia di champagne riserva da mille dollari?” Mormorò Loki, fingendosi indispettito.

Si avvicinarono l'un l'altro e brindarono, lasciando che i profili dei loro corpi ora rilassati venissero illuminati dai giochi di luce delle candele.
“Lo è.” Rispose Thor e, senza smettere di guardarlo, si portò il calice alle labbra, assaggiandone un sorso. “Ha molto valore?”
“Per gli standard terrestri, sì.”

“Per gli stand.. cosa?”
“Lascia stare.”

Il dio dell'Inganno si allontanò da lui, ma solo per accostarsi alla grande vetrata e soffermarsi a guardare, ammaliato la notte fuori. Ancora una volta sentì gli occhi del fratello su di sé, percorrerlo tutto, spogliarlo quasi di quegli abiti che, seppur leggeri, già iniziavano a sembrare superflui. Scacciò quel pensiero dalla mente e si passò una mano tra i capelli, tornati ad essere lunghi sulle sue spalle.

“Dunque, a quanto sembra siamo stati spogliati entrambi dei nostri poteri...” Riprese.

Thor lo raggiunse e si posizionò dietro di lui. Loki percepì distintamente un brivido scorrergli sottopelle e invocò in silenzio un abbraccio, che però non arrivò. “E' davvero singolare, essere confinati quaggiù, in un mondo che, da coloro che lo abitano, viene considerato l'unico...”

“Lo trovi strano?” soggiunse il fratello.

“Forse, un po'. Per noi che sappiamo che non è soltanto questa la realtà delle cose e che sulle vette di Asgard eravamo Dei e guardavamo molteplici mondi.”

Avvertì la mano dell'altro poggiarsi sulla sua spalla.

“Mi dispiace, Loki,” disse il dio del Tuono “mi dispiace per tutto quello che è accaduto, per come è andato il corso degli eventi.”

Il più giovane abbozzò un sorriso, mostrandone al maggiore il suo profilo.

“Non è poi così male qui,” mormorò “dopotutto gli Umani nel loro piccolo mondo hanno trovato il loro posto, è tutto quello che hanno, tutto ciò in cui credono e che proteggono. Forse la sofferenza nasce dal voler sempre cercare altrove qualcosa che invece sfugge rapidamente via, come un incantesimo, e per essere felici basterebbe forse fermarsi là dove hai capito di voler restare.”

Thor lo voltò lentamente verso di sé e infilò le dita tra i suoi capelli, in quel rude gesto di appartenenza che chiamava carezza.

“Pare di si,” disse “forse dovremmo cominciare a imparare da loro. Forse non ci resta altro che imparare ad essere... umani, per davvero.”

Loki lo guardò con aria turbata, ora, del tutto scoperto. Vulnerabile. Come se la conoscenza di centinaia di anni trascorsi su Asgard e ciò che aveva appreso in quel breve tempo su Midgard fossero svaniti via in un solo istante.

“Non ho idea di come fare.” Si confessò.

“Neppure io,” rispose il fratello a sua volta. Ancora una carezza. Ancora un sorriso. Ancora il conforto e quella dolce sensazione di non essere più solo. “Dammi solo il tempo di abituarmi quaggiù e vedrai che diventerò anch'io un uomo perfetto.”

Loki fece un passo verso di lui e poggiò il calice contro il suo, guardandolo intensamente.

“Allora hai proprio deciso di restare?”

Il dio del Tuono ammiccò e sorrise.

“Senza alcun dubbio.”

***
TBC

***
NdA: avendo letto il regolamento e per rispetto delle regole presenti qui su EFP, sottolineo che, pur avendo inserito il disclaimer dell' "Incest" (benché Loki e Thor non siano realmente fratelli eh eh!), si tratta ancora per questa parte di storia di un 'soft incest', un rating arancione, in cui non sono descritte scene di sesso esplicito. 
E' tuttavia possibile trovare la fanfiction anche qui: 
https://www.wattpad.com/698690704-beyond-the-mask-prima-parte-asgard-asgard

 

   
 
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