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Autore: leti_0907    05/03/2019    0 recensioni
[Tate no Yuusha no Nariagari]
«Ero preoccupato, non uscivi più e pensavo ti fossi addormentata» le spiegò dolcemente, e lei gli sorrise goffa, come a confermare la sua teoria.
«Ora dovrebbe arrivare una domestica ad aiutarti con l’abito. Vedi di non fare tardi» comunicò l’Eroe alla ragazza mentre si dirigeva alla porta, ma, prima che potesse chiuderla alle sue spalle, si girò e le disse qualcosa che le fece accapponare la pelle per i brividi non appena il giovane se ne fosse andato.
«Non vedo l’ora di vederti addosso quel vestito»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Mio popolo!!» esordì Re Aultcray Melromarc, acquietando la folla esultante. «Oggi è un giorno molto importante…»

Quelli erano giorni di festa, in cui il regno di Melromarc era stato liberato dalla minaccia che incombeva su di loro e che minacciava di distruzione, e l’intervento dei quattro Eroi Sacri ha permesso dunque la loro vittoria. Finalmente la pace alleggiava su quei territori, consolatoria, dopo un lungo periodo di preoccupazione, morte e terrore, e si mischiava all’aria gioiosa, limpida e grondante di nuove speranze e sogni per il futuro.

Mentre il Re proclamava a gran voce il suo discorso nella piazza, accompagnato dalla figlia e dagli Eroi della Spada, dell’Arco e della Lancia, Naofumi, L’Eroe dello Scudo, appoggiato alla ringhiera della stanza che il re gli aveva concesso al castello, osservava con espressione impassibile il via vai di gente che si muoveva al di sotto di lui. Anche se non lo mostrava, era felice che la guerra si fosse conclusa: per lui, si prospettavano lunghi sonni tranquilli. Con una mano a sorreggere il volto, sorrise divertito nel vedere la piccola Filo, accompagnata dalla sarta che le aveva confezionato quel vestito da angioletto, scorrazzare per le vie, passando da un’esposizione all’altra. Quella ragazzina non cambierà mai, pensò, ma il suo sguardo cadde subito sulla figura aggraziata di Raphtalia, poco dietro di lei.

Vestita di un abito rosso quasi principesco ed i capelli pettinati in una crocchia per non darle fastidio, osservava le bancarelle con profonda curiosità ed interesse. Si vedeva da lontano un miglio che non aveva mai visto tutte quelle cose nella sua vita, e Naofumi si ripromise che gliele avrebbe mostrate tutte quante, soprattutto in quel momento che non avrebbero dovuto più combattere. Pensare a come rendere felice e serena Raphtalia gli veniva spontaneo, naturale: prima di fare qualcosa, pensava sempre a ciò che avrebbe potuto far nascere un sorriso sul quel bel volto. Voleva vederla sempre così, pensava che nessun ornamento le sarebbe potuto stare meglio più del suo stesso sorriso, sempre sincero e dolce.

E doveva ammettere che, nella sua versione più femminile, Raphtalia era riuscito a sorprenderlo ed anche a fargli venire qualche pensiero da ventenne con gli ormoni a mille. Era davvero diventata bellissima, quel vestito metteva in risalto il suo corpo snello e scattante, ma con le curve al posto giusto, senza renderla volgare.

Per la prima volta in quel mondo, le guance del ragazzo si colorarono di rosso.


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La giovane iniziava a sentirsi accaldata, sotto il sole cocente di quel giorno felice. Aveva camminato per tutta la mattinata, circondata da colori sgargianti e persone che chiacchieravano allegramente tra loro, ed aveva visto cose così interessanti e nuove, che avrebbe voluto comprarle tutte. Era sempre rimasta affascinata dagli umani e considerava i loro oggetti strani e bizzarri, ma unici. Il suo sguardo, meno veloce del suo pensiero, si rivolse verso la figura imponente e maestosa del castello, dove sapeva stava riposando l’unico umano a cui si era affezionata ed, in seguito, di cui si era innamorata.

Il signor Naofumi sapeva essere burbero e fin troppo schietto a volte, ma lei conosceva il suo lato gentile e nobile. Lui l’aveva salvata da un destino più crudele della morte stessa, l’aveva nutrita, le aveva dato un tetto sotto il quale dormire, l’aveva protetta in ogni modo, l’aveva addestrata e resa forte. E lei lo amava, non come una figlia con il proprio padre, ma come una donna con l’uomo che le piaceva. Amava ed apprezzava ogni suo difetto tanto quanto ogni sua virtù, mai l’avrebbe voluto cambiare. Era perfetto così ai suoi occhi.

Inoltre, non poteva tagliare fuori l’aspetto fisico, aveva un paio di occhi anche lei in fondo, e non poteva negare che quel ragazzo fosse affascinante.

Quegli occhi verdi, i capelli ebano costantemente scompigliati era bellissimo. La sua mente ripercorse in breve tutti i suoi ricordi, e quasi divenne rossa quanto il suo vestito quando ripensò al momento in cui, per puro caso e senza volerlo, lo aveva visto senza maglia. Si imbambolò in mezzo alla strada, pensando al corpo muscoloso del ragazzo, i muscoli degli addominali in rilievo, il petto ampio sempre nascosto dalla sua armatura le spalle larghe e forti. Si mordicchiò un’unghia, volendo ardentemente essere avvolta da quelle braccia che per lei avevano assunto il valore di casa, della sua casa. Desiderava quasi con vergogna che lui ricambiasse anche un quarto del suo amore, voleva dimostrargli apertamente quello che provava dal fondo del suo cuore.

Ma sentiva anche che quella possibilità, lei, non l’avrebbe mai avuta. Perché innamorarsi di lei, quando al mondo esistevano donne più belle di lei?

Si avviò verso il castello intorno all’ora di cena, con la consapevolezza di aver imparato qualcosa in più sul conto degli umani: quanto era forte il dolore di un amore a senso unico.


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Non appena sentì bussare alla porta, la giovane, per lo spavento, si alzò in piedi, rovesciando sul pavimento l’acqua che aveva raccolto nella vasca per farsi un bel bagno rilassante, in attesa della convocazione ufficiale del Re. Quella sera si sarebbe tenuta un banchetto in onore dei quattro Eroi, ed erano invitati anche i compagni di questi. Sapeva già che, in onore di questo evento, la loro amica aveva cucito e ricamato altri abiti per lei e Filo, e, quando lo aveva saputo, aveva alzato gli occhi al cielo. Avrebbe voluto indossare il suo vestito rosso, ma la donna aveva insistito che avrebbe dovuto essere abbinata al suo Eroe, facendole anche un occhiolino ed un sorriso furbo che l’avevano fatta arrossire tremendamente.

Sbuffò, pensando che la persona al di là della porta fosse la piccola compagna bionda che pretendeva di utilizzare il bagno della camera che condividevano, quindi avvolse il suo corpo in un asciugamano grande ed andò ad aprire, preparandosi a darle una sviolinata con i fiocchi. «Filo, insomma! Quante volt-» iniziò a dire mentre apriva la porta ma si fermò non appena, guardando verso il basso, non vide il corpo della bambina, bensì vide due gambe avvolte dai gambali di una sorta di armatura leggera.

Il suo sguardo percorse la figura da piedi a testa, soffermandosi sulla struttura dell’armatura che avvolgeva il busto ed anche le spalle del ragazzo, dalle quali pendeva un lungo mantello verde, esattamente lo stesso colore degli occhi di Naofumi.

Quando l’ebbe guardato negli occhi, si ricordò di essere coperta da ben pochi strati di tessuto ed iniziò a balbettare, in preda all’imbarazzo più totale. «Si-signor Nao-fumi! Pen-pensavo fosse Fi-filo…» cercò di spiegarsi, ma la tremarella la sconquassava da cima a fondo, non permettendole così di terminare la frase. «Hai bisogno di qualcosa?» domandò, sviando il suo sguardo. "Cavolo, se mi guarda così mi fa tremare tutta!"

«Ero preoccupato, non uscivi più e pensavo ti fossi addormentata» le spiegò dolcemente, e lei gli sorrise goffa, come a confermare la sua teoria.

«Ora dovrebbe arrivare una domestica ad aiutarti con l’abito. Vedi di non fare tardi» comunicò l’Eroe alla ragazza mentre si dirigeva alla porta, ma, prima che potesse chiuderla alle sue spalle, si girò e le disse qualcosa che le fece accapponare la pelle per i brividi non appena il giovane se ne fosse andato.

«Non vedo l’ora di vederti addosso quel vestito»


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Non erano in molti, gli ospiti seduti alla tavolata, ma nella sala risuonavano allegre battute scadenti, il lieve clangore delle posate che cozzavano con la ceramica dei piatti, racconti di imprese eroiche e risate cristalline.

Tutti e quattro gli Eroi Sacri, accompagnati dai loro compagni, ridevano e scherzavano tra loro, mentre a capotavola, Re Melromarc, li osservava portandosi ogni tanto il calice di vino alle labbra. La figlia, la principessa Melty, conosciuta anche come Myne, si schiacciava contro il braccio di Motoyasu, l’Eroe della Lancia, il quale arrossiva vistosamente ogni volta che la ragazza lo fissava maliziosamente. Ren, l’Eroe della Spada, chiacchierava tranquillo con alcuni membri della sua combriccola, mentre l’Eroe dell’Arco, Itsuki, mangiava con voracità una coscia di pollo.

Naofumi, invece, osservava tutti e tutto nei minimi dettagli. In particolare, prestava attenzione alla ragazza posta al suo fianco sinistro, mentre Filo, alla sua sinistra, vestita di un abito blu e verde, in richiamo al colore del ragazzo, si riempiva il pancino con le prelibatezze che venivano servite. Quando aveva visto quell’abito, aveva pensato subito a quanto potesse stare bene alla ragazza-procione, e con fierezza ammetteva a se stesso che le sue previsioni erano esatte: Raphtalia era splendida, sembrava una vera principessa con le sue maniere educate ed il comportamento fiero, al contrario di quell’arpia di Myne. Il verde le stava d’incanto, quel corpetto ricamato finemente con motivi floreali dorati le stringeva delicatamente il busto, mettendo in risalto le spalle scoperte, mentre il rosa della gonna richiamava lo splendido fermaglio floreale che le raccoglieva i capelli ed il colore dei suoi occhi. Quegli occhi che aveva sempre ammirato per la loro limpidezza e determinazione, quegli occhi che trovava magnifici.

Si perse ad ammirarla, tanto che non sentì la voce di Ren chiamarlo. Quando lo guardò, il ragazzo in blu gli fece cenno che il re stava per iniziare un discorso, allora si mise sull’attenti, curioso di sapere cosa stesse per dire.

«Eroi» cominciò Melromarc, alzandosi in piedi con l’immancabile calice di vino in mano. «Non so davvero come esprimervi la mia gratitudine. Ci avete liberati, avete salvato il regno, e per questo vi sarò eternamente debitore. Per cui, vorrei farvi un regalo: come prestabilito, tutti e quattro riceverete un compenso e tornerete nel vostro mondo» annunciò con orgoglio, aprendo le braccia. Diverse emozioni comparirono sui volti di tutti: felicità, sollievo, incredulità, ammirazione. Ma Naofumi non provava tutto ciò. Rabbia, sofferenza, paura, dolore, tutti questi sentimenti vorticarono attorno alla sua anima e lo ferivano, stringendolo in una morsa orribile. Lui non voleva andarsene, quel regno era l’unico luogo in cui poteva dire di aver trovato la felicità. Più precisamente, Filo, il Capo, la maga, la sarta, il venditore di medicine, il mercante, persino il mercante di schiavi.

E Raphtalia, la sua dolce, bellissima, combattiva Raphtalia.

Si volto immediatamente verso di lei, trovando però, al suo posto, una sedia abbandonata.


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Non sapeva da quanto stava piangendo. Secondi, minuti, ore, non faceva alcuna differenza. Il dolore era sempre lì presente, la stringeva a sé con la sua aura soffocante, le faceva male al cuore. Dopo aver perso la sua famiglia, pensava avrebbe trascorso la sua vita in solitudine, come schiava. Ma il signor Naofumi l’aveva salvata da quel destino, donandole tutto, facendola innamorare di lui. Ma se se ne fosse andato, cosa sarebbe rimasto di lei? Che avrebbe fatto? Come avrebbe potuto sopravvivere alla sua mancanza?

Sentiva una morsa gelida nel petto, e si porto una mano sul punto in cui sentiva più dolore, stringendo con prepotenza la stoffa del corpetto, per alleviare un po’ anche la rabbia che stava provando nei confronti del re. Lo odiava, lo odiava infinitamente, lui e quell’odiosa di Myne, coloro che le avevano dato la possibilità di conoscere Naofumi, ma che stavano per toglierglielo per sempre.

Raphtalia affondò il viso nel cuscino, e, singhiozzando, non sentì la porta aprirsi e richiudersi, non sentì il lieve tonfo dei passi sulla moquette, non sentì due braccia forti avvolgerla in quell’abbraccio che lei conosceva a meraviglia, per via delle mille emozioni che le procurava.

Non si spaventò, anzi, si girò ed abbracciò il giovane Eroe dello Scudo, strofinando la guancia imperlata di quel pianto disperato contro il suo petto, stavolta coperto di una semplice maglietta bianca. Poco dopo, come un incantesimo, la ragazza si calmò, accoccolandosi di più contro quel corpo, mentre sentiva le mani di lui accarezzarle i capelli. Sapeva che quello era il suo effetto su di lei, sapeva che solo lui poteva farlo.

«Scappiamo» sussurrò debolmente, ma Naofumi comprese comunque ciò che disse. «Scappiamo, tutti insieme. Io, te e Filo, lontano da questo regno» propose con coraggio, alzando il volto verso di lui. Gli stava facendo una richiesta egoista, stava pensando a se stessa e non a ciò che lui maggiormente voleva, ma, crescendo, si era ripromessa di pensare un po’ più a se stessa ed a quello che desiderava.

La stretta di Naofumi si intensificò, facendola fremere di nuovo. «Lo desidero tantissimo» sussurrò contro i suoi capelli. «Vorrei stare qui, con voi, con le mie due ragazze, ma il re ci ha spiegato che, ovunque ci troviamo, il teletrasporto agirà su di noi e ci riporterà nelle nostre rispettive realtà. Per quanto vorrei fermarlo, non posso» le spiega tenendola stretta a sé.

Allora Raphtalia capì che stava davvero per perderlo, stava davvero per lasciarle. Rinchiuse una mano in un pugno. «Quando?» volle sapere, sperando con tutta se stessa che fosse il più tardi possibile.

Ma questa sua richiesta non venne ascoltata.

«Domani mattina, alle prime luci dell’alba»

Fu allora che, presa da un momento di coraggio e spinta dal pensiero che dopo poche ore non avrebbe potuto più godere del calore delle sue braccia, posò la bocca sulla sua, in un dolce e casto bacio. Un bacio che le fece formicolare le labbra e che servì ad allentare la presa ferrea del dolore attorno al suo cuore.


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Naofumi era stordito da quella botta di coraggio di Raphtalia, ma non in senso negativo. Era piacevolmente sorpreso, anche perché aveva anticipato qualcosa che voleva fare lui e che pensava che non sarebbe mai riuscita a fare per prima.

Perché anche lui voleva baciarla. Lo voleva fare da tempo, e sapere che le poche ore che gli erano state concesse sarebbero corse molto velocemente, non voleva perdere attimi preziosi e sprecarli come se non valessero niente. Soprattutto, non voleva avere rimpianti, voleva donarle il suo primo bacio.

La mano che poco prima affondava tra i capelli folti della ragazza-procione riacquistò la presa, avvicinando ulteriormente il volto al proprio. La voleva molto più vicina, la voleva per sempre al suo fianco, la voleva più vicina al suo cuore. Si rese conto di amare quella ragazza, in un modo che si era sempre negato, ma che non avrebbe mai immaginato potesse renderlo più felice.

L’abbracciò, mentre le loro bocche si sfamavano l’una dell’altra, si separavano, si ricercavano, bramanti e vogliose di contatto. La mano libera si posò sul suo fianco, muovendo piano le dita sulla stoffa in una lieve carezza, staccandosi a malincuore da lei.


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Deglutì. Per Raphtalia era arrivato il momento.
«Sig… Naofumi» alzò lo sguardo, decidendo per la prima volta di dargli completamente del tu. «A te devo tutto, questo lo sai. Mi hai salvato dalla prigionia, che mi avrebbe potuta far morire, mi hai offerto del cibo, curato e protetto. Mi hai dato tutto quello che, per una bambina, sarebbe stato impossibile ottenere da sola, ed io non saprò mai come poterti dimostrare quanto ti sia grata per quello che hai fatto per me»

«Raphtalia…» sospirò lui, ma lei lo fermò prima che potesse continuare.

«Lasciami finire, ti prego, o tutto il coraggio che ho raccolto svanirà» gli chiese supplicandolo, ottenendo un cenno.

«Dopo così tanto tempo passato assieme, ho imparato a conoscerti sempre meglio. Ed è stato dal primo momento che ho provato qualcosa per te. Tu magari mi vedi come una figlia, come tante volte hai detto, ma per me non sei come un padre. Io…» prese un bel respiro, richiamando a se tutto il suo coraggio. «Io mi sono innamorata di te»confessò, il cuore che scalpitava furioso, ma con un peso in meno. SI sentì immediatamente più leggera. «Ti amo così profondamente, tanto da volermi accontentare di queste poche ore per starti accanto. Almeno so che non proverò il rimorso di non averti detto il reale aspetto del mio affetto»

Strinse la stoffa della sua maglietta tra le dita, mentre nascondeva il volto, aspettando con ansia il terribile rifiuto.


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I suoi occhi verdi, anche se lei non poteva vederli, erano sgranati dallo stupore. Mai si sarebbe aspettato una confessione del genere, un momento di verità che, però, lo rese tremendamente felice. Era arrivato in quel mondo, senza alcun legame, per poi venire trattato come il peggiore dei condannati a morte a causa di accuse infondate, con la speranza di essere amato davvero già sepolta nei meandri della sua anima. Si era costruito una reputazione, molti avevano iniziato a stimarlo, ad apprezzarlo. Ed aveva trovato delle alleate uniche, la piccola Filo e la sua Raphtalia. Le amava, anche se in modo differente.

Amava Filo come un padre amava la sua bambina, non avrebbe mai voluto che le succedesse niente e che crescesse al di sotto della sua ala protettiva. Era geloso esattamente come un padre, e faceva le stesse cose che avrebbe fatto un genitore: cucinare per lei, pettinarle i capelli, educarla, farle il bagnetto. Era quello il genere di amore che provava per lei.

Ma Raphtalia… era qualcosa di profondamente diverso. L’amore e la gelosia che gli faceva contorcere le budella fino a farlo vomitare ed accecare dalla rabbia, il senso di protezione e quel desiderio di maggior contatto erano nuove, nel loro rapporto. In men che non si dica, seppe dare un nome a quei sentimenti.

L’amava, come un uomo amava la compagna con cui avrebbe voluto passare il resto della sua vita. Ma, per loro, non c’era tempo. Il loro momento si sarebbe concluso di lì a poco, ed allora decise anche lui di saltare, di buttarsi.

«Anche io…» sussurrò, avvicinando la bocca al suo orecchio. «Anche io ti amo, Raphtalia…»


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Quelle parole arrivarono dritte al suo cuore, provocandole piacevoli brividi in tutto il corpo. Tirò su la testa, mostrando un sorriso raggiante, ma prima che potesse sporgersi per godere della morbidezza delle sue labbra, la porta si spalancò, ed il piccolo corpo della filovia in lacrime si frappose tra loro. Filo abbraccio il padrone con foga, piangendo disperata.

«Padroncino, perché te ne vai? Io non voglio, e nemmeno Raphtalia lo vuole!»

La ragazza osservò triste la bambina, mentre Naofumi le accarezzava la testa, cercando di calmare quel pianto furioso. Capiva in modo assurdo quel dolore che stava provando, lo condivideva al cento per cento, proprio per quel motivo la abbracciò dolcemente.

Le accarezzò i capelli anche lei, sfiorando la mano un po’ callosa del ragazzo. «Naofumi non se ne va, Filo. Lui resta qui» le indicò il petto, mentre quegli occhioni blu traboccanti di lacrime la guardavano disperati. «Resterà per sempre qui, insieme a noi»

Filo non disse niente, ma si strinse alla giovane, a sua volta abbracciata da Naofumi. E fu in quella posizione che, la mattina successiva, al primo raggio di sole, Raphtalia si svegliò, trovando solo davanti a lei il lenzuolo raggrinzito ed una lieve scia del suo dolce profumo.


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Era passata oramai una settimana dal ritorno di Naofumi nel mondo reale. Stranamente, nessuno si era accorto della sua scomparsa prolungata, e, quando chiese come mai la madre non si fosse preoccupata, gli disse solamente che era sparito in biblioteca da quella mattina, come era sua abitudine. Quindi il tempo scorreva in modo diverso, si disse, non trovando altre soluzioni al riguardo, mentre camminava per le strade affollate della città.

Non era più abituato a tutta quella modernità. Gli mancava il regno, gli mancava il suo scudo, le rivalità, le sfide, gli mancavano tutti di quel mondo.

Ma, soprattutto, gli mancava Raphtalia. Dio, se gli mancava.

Ma doveva farsene una ragione, Raphtalia avrebbe vissuto in quel mondo che per lui era diventato solo un mucchio di parole, impresse nella carta ingiallita di un libro. Non avrebbe più potuto reincontrarla, e gli faceva male, ma la vita andava avanti.
E di certo non sapeva che il destino, dopo aver a lungo patito, gli riservava una splendida sorpresa.

«Filo! Ti ho detto mille volte che mi devi dire quando vai al parco!»

«Ma, Onee-chan… come facevo a dirtelo! Eri a lavoro!»

«Il mio numero di telefono lo sai a memoria, ti facevi prestare il telefono della mamma di una tua compagna e mi telefonavi!»

«Uffa, Raphtalia, mi è passato di mente, va bene?»

Non appena le battute di quella piccola discussione gli arrivarono alle orecchie, Naofumi si girò immediatamente da dove le due voci provenivano. E là, le vide.

Le esatte copie di Filo e di Raphtalia, solo che non aveva più le orecchie da procione, ed indossavano abiti umani, normali, di quell’epoca.

Le esatte copie delle sue due ragazze, delle sue due alleate, della ragazza che amava e della sua piccola figlioletta.

Preso dall’emozione di vederle lì, in carne ed ossa, davanti a lui, non si accorse delle lacrime che scorrevano libere ed irrefrenabili sulle sue guance. Si accasciò a terra, le sue gambe non riuscivano a reggere il suo peso per quanto tremavano.


Alzò il viso, e vide proprio Raphtalia, accovacciata davanti a lei, guardarlo preoccupato. Come poteva non stare bene? Come non poteva stare bene al pensiero che avrebbe potuto riabbracciarla, e poter coccolare Filo? Come poteva non stare bene, ora che aveva la possibilità di amarla?

«Sto bene…» disse, la voce tremante, mentre le accarezzava il viso. «Sei qui… sei davvero tu…?»

E l’espressione confusa che seguì quella frase ebbe l’incredibile potere di spezzargli il cuore. Non era davvero lei, ma solo una ragazza che le assomigliava come una sorella gemella, e quella consapevolezza, che distrusse ogni sua speranza, gli congelò il sangue nelle vene.

Si ritrasse, abbassando il volto. «Scusami, devo essermi confuso…»

Vedendolo in quelle condizioni, la giovane, dispiaciuta per lui, posò dolcemente le dita soffici ed affusolate sulla sua guancia. In un attimo, ebbe delle visioni, in cui vide se stessa ed il giovane, abbigliati in modo diverso ed in un mondo cavalleresco, che combattevano affianco l’uno all’altra. Sembravano quasi visioni di un passato, di una qualche vita precedente che erano legati a quel ragazzo così bello, ma allo stesso modo così triste. Il suo cuore mancò un battito, e senza accorgersene una domanda le uscì dalle labbra.

«Ti va un gelato? Io e mia sorella stavamo andando a prenderne uno…»

Il sorriso di Naofumi la stordì, mentre entrambi si alzavano, e gli porse la mano. «Io mi chiamo Raphtalia, e quella bambina bionda è mia sorella minore, Filo. Tu come ti chiami?»

«Itawani Naofumi, ma puoi chiamarmi solo Naofumi»

In quella giornata di sole, sotto l’ombra delle foglie smosse dal vento caldo d’estate, l’amore unì quei due giovani, portandoli a vivere una vita insieme, combattendo le avversità. Lei, attaccando, lui, proteggendo.

In un ottimo lavoro di squadra.
   
 
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