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Autore: hotaru    20/07/2009    4 recensioni
Ha il colore degli occhi del cielo più blu
Come se pensassero alla pioggia
Odio guardare dentro quegli occhi
E vederci quel po’ di dolore

"Sentiva la sua schiena calda sussultare ancora, anche se sembrava essersi leggermente calmata, e i capelli ormai lunghi fino alle spalle bagnargli il collo. Doveva essere stata in qualche campo a raccogliere gli ultimi fiordalisi e papaveri della stagione, perché profumava ancora di fiori.
Quando Ino finalmente si calmò, fuori pioveva ancora. Si stesero entrambi sul letto, gli occhi distratti a guardare il soffitto."
Kiba/Ino sulle note di "Sweet Child o'Mine" dei Guns'n'Roses.
Seconda classificata al contest "How Wonderful Life is while You're in the World" indetto da LalyBlackangel e bambi88 e vincitrice del Premio per l'Aderenza alla canzone
Genere: Romantico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ino Yamanaka, Kiba Inuzuka
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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cap 1
Ninna nanna del Temporale


As the bright blue sky


Ninna Nanna del Temporale


She's got a smile that it seems to me
Reminds me of childhood memories
Where everything was as fresh
as the bright blue sky

[Ha un sorriso che mi é familiare
Mi ricorda memorie d’infanzia
Dove tutto era puro e splendente
come il cielo azzurro]


-    Inuzuka, cos’hai lì?
La voce dell’insegnante giunse improvvisa e lo fece sobbalzare, prima che alzasse uno sguardo estremamente colpevole.
-    Io… niente, signorina Yuhi.
-    Non dire sciocchezze, vedo benissimo che stai nascondendo qualcosa. Hinata, cos’è?
Non appena udì il proprio nome, la sua compagna di banco si fece rossissima in volto. Tuttavia cercò di non abbassare la testa, e riuscì a balbettare:
-    I-io non vedo niente, s-signorina…
Uno sbuffo esasperato accolse questa sua dichiarazione.
-    Hinata, non cercare sempre di coprirlo. E non costringetemi a venire lì.
-    Signorina, io riesco a vederlo! Ha un fagotto con uno strano botolo dentro! – intervenne una vocina petulante dietro di loro.
Kiba avrebbe forse dovuto negare, far finta di niente o perlomeno cercare di nascondere meglio quello che aveva sulle ginocchia, invece si sentì in qualche modo offeso da quella frase ingiuriosa, perciò si voltò e ringhiò:
-    Non è un botolo, stupida!
-    Allora, Kiba, ti sei dimenticato che ci sono anch’io? – la voce dell’insegnante lo fece voltare di scatto – Adesso basta: qualunque cosa sia, portamela qui!
-    Ma… io… davvero, non c’è niente… - tentò di nuovo il bambino, anche se un leggero guaito proveniente dalle sue ginocchia confutò subito le sue parole.
Decisamente preoccupato, Kiba guardò la signorina Yuhi scendere dalla cattedra per venire al suo banco, consapevole di non avere ormai più alcuna via di fuga.
Quando la donna fu abbastanza vicina lanciò un’occhiata al fagotto, per poi dire:
-    Lo sai che non si portano animali in classe. È il regolamento.
-    Mi dispiace, signorina. Ma vede, io…
-    Portalo subito fuori. Non lo voglio qui.
Kiba strinse i denti, conscio che quello che stava per fare equivalesse a un suicidio, ma sentiva il morbido fagotto caldo sulle gambe e non se la sentì di abbandonarlo.
-    Non posso, signorina – disse chiaramente, guardandola negli occhi – L’ho trovato sul ciglio della strada, venendo a scuola. Ha solo qualche settimana, qualcuno l’avrà abbandonato! Rischia di morire se…
-    Ho detto che il cane deve uscire dalla classe – lo interruppe la donna, inflessibile – Su questo non transigo.
Kiba lanciò un’occhiata al batuffolo peloso sulle sue ginocchia, e il cucciolo scelse proprio quel momento per allungare la testa e tirare fuori il muso, strofinandolo sulla coperta in cui era avvolto.
Se l’avesse lasciato fuori, da qualche parte, sarebbe potuta accadergli qualsiasi cosa.


-    Non posso crederci. Sei uscito da scuola anche tu piuttosto di lasciarlo da solo? Ma lo sai che sei proprio stupido?
Forse era vero. Kiba lo sapeva che la signorina Yuhi avrebbe sicuramente avvertito sua madre, e questo significava buscarle entro i successivi tre giorni.
Ma prima doveva trovare qualcosa da mangiare per il cucciolo; sicuramente beveva ancora il latte. Dove trovarlo, però? A casa sua non ce n’era, di questo era sicuro. L’aveva finito tutto il ragazzo di sua sorella due giorni prima, e fino alla settimana successiva non ci sarebbero stati i soldi per comprarne dell’altro. Ma il cucciolo ne aveva bisogno immediatamente…
-    Ehi, mi stai ascoltando? Piantala di guardare quel botolo, è sporco da far paura… - la voce della mocciosetta petulante che l’aveva denunciato alla maestra continuava a seguirlo, ma Kiba, immerso nelle proprie riflessioni, non ci faceva nemmeno caso.
-    Non è un botolo… - mormorò meccanicamente, senza smettere di camminare.
Tuttavia Ino Yamanaka non era abituata ad essere ignorata. Le dava anzi fastidio che quel suo compagno di classe la snobbasse in quel modo. Non si era nemmeno preoccupato di dirgliene quattro dopo che lei aveva fatto la spia, tanto era preso da quel botolino insulso.
-    Ehi, mi stai ascoltando? Ma non ti fa schifo? Magari è malato…
-    Latte… dove lo trovo? – diceva intanto fra sé Kiba, cercando di trovare una soluzione valida per non essere costretto a rubarlo da qualche parte.
-    Latte? E a che ti serve? – chiese la bambina.
Stavolta Kiba sembrò sentirla, perché alzò gli occhi e la guardò storto, prima di dire:
-    Cosa vuoi? Perchè mi stai seguendo?
-    È un’ora che ti vengo dietro, te ne accorgi adesso? – fece Ino – Perché ti serve il latte?
A quella parola Kiba tornò al suo problema. Lanciò un’occhiata al cucciolo, che doveva essere sicuramente affamato.
      -     Per lui. Se non mangia qualcosa morirà.
      -     Dagli da mangiare, allora.
      -    Gli serve del latte, e a casa mia… - rispose Kiba titubante - … è finito.
La bambina lo squadrò allibita, incapace di capire perché mai quel suo compagno tanto scalmanato se ne stesse lì, sul ciglio della strada, a guardare preoccupato un tale ammasso di pulci.
-    Posso vederlo? – si ritrovò a chiedere.
Kiba le lanciò un’occhiata torva, alla quale Ino ribatté con un “Non lo mangio mica!”, finché lui acconsentì.
Scostò un lembo di stoffa e glielo mostrò.
Tutto lo scetticismo e il cinismo della bambina si eclissarono non appena lo vide da vicino. Non aveva mai visto niente di più piccolo. Di più indifeso.
Kiba aveva ragione: sarebbe sicuramente morto, perché dipendeva da qualcuno del mondo di fuori per poter sopravvivere. Ino lo aveva imparato da molto tempo.
-    A casa mia c’è del latte – sentì dire alla propria voce, come se fosse qualcun altro a parlare – Possiamo prenderne anche una bottiglia intera.


Effettivamente in frigo ce n’erano due bottiglie piene, ma a Kiba sembrava assurdo che potessero rubarne una senza che nessuno se ne accorgesse.
-    Senti – sussurrò piano – Me ne basta molto meno. L’importante è che sopravviva per un paio di giorni, poi mi arrangerò.
-    Non dire sciocchezze – sibilò Ino – Tanto è casa mia, no? Posso prendere quello che mi pare.
-    Sì, ma…
All’improvviso si sentirono dei rumori provenire dal piano di sopra, e poi lo schianto di una bottiglia di vetro che si frantumava.
-    Ehi, Ino! – sbraitò una voce femminile – Sei tornata?
La bambina, lungi dal rispondere, richiuse in tutta fretta lo sportello del frigo.
-    Muoviamoci, andiamo fuori di qui! – ordinò in un sussurro, e in un lampo furono di nuovo all’aperto.
Si lanciarono in una corsa trafelata, Ino con la bottiglia ghiacciata del latte, Kiba stringendo fra le braccia il caldo involto.


-    Sei sicura che non finirai nei guai? – le chiese ancora una volta Kiba, dopo che si erano seduti già da un po’ sotto un vecchio salice nei pressi del fiume, ben nascosti dietro le fronde cadenti.
Non gli era mai importato molto- per non dire nulla- di quella bambinetta bionda e petulante. Anche se erano nella stessa classe dalla prima, era sempre stata troppo arrogante e dispettosa perché arrivassero perlomeno a parlarsi. Con Hinata era stato diverso, Hinata era gentile con tutti e non si era mai permessa di fare la spia quando lui ne faceva una delle sue. La signorina Yuhi gliel’aveva messa vicina già dal primo giorno perché diceva: “Sarai anche un vulcano di guai, Inuzuka (quando combinava qualcosa, lo chiamava sempre per cognome), ma metterti di fianco a Hinata è come metterti vicino il K2, quindi sono sicura che combinerai ben poco.”
Era vero: Hinata non partecipava certo alle sue mille trovate, tipo quella di sistemare un pesce vecchio di cinque giorni dietro la lavagna, ma non lo aveva mai denunciato. Hinata era leale.
Cosa che non si poteva assolutamente dire della piccola vipera che in quel momento era seduta vicino a lui. In qualsiasi altro frangente se la sarebbe data a gambe, perché la vicinanza di una femmina fuori dalla scuola gli dava il voltastomaco.
Però era in debito con lei. D’accordo, aveva fatto la spia in classe anche se non era stata nemmeno interpellata, ma era solo merito suo se il cucciolo era ancora vivo e in quel momento poteva lappare con vigore il latte dalle sue dita.
-    Ma perché glielo dai così? – chiese Ino affascinata, protesa verso di lui. Aveva di nuovo ignorato la sua domanda, e sembrava si fosse dimenticata di aver chiamato il cagnolino “botolo” fino a un quarto d’ora prima.
Kiba cercò di spostarsi un po’, anche se con il cucciolo sulle ginocchia non era facile.
-    Perché è troppo piccolo per mangiare da solo. Sicuramente la sua mamma lo stava ancora allattando – rispose.
Senza staccare gli occhi dal cagnolino, i corti capelli biondi ai lati del viso assorto, Ino domandò ancora, in un sussurro:
-    E perché l’hanno abbandonato?
-    Perché sono degli idioti – ringhiò Kiba suo malgrado, incapace di trattenersi.
Per un attimo fu certo che sul viso della bambina fosse passata un’ombra, ma quando lei rialzò lo sguardo si rese conto che aveva gli occhi azzurri. Non aveva mai veramente guardato gli occhi di una sua coetanea prima d’ora, anche se si ricordava di aver notato che quelli di Hinata erano di un grigio chiaro veramente strano.
Ma nemmeno l’azzurro del cielo dopo il temporale era così smagliante.
-    Però è stato fortunato. Ha trovato qualcuno che non è così idiota – disse Ino sorridendo, e poi in un soffio: - Almeno lui…
Otto anni sono troppo pochi per innamorarsi?
 


Now and then when I see her face
She takes me away to that special place
And if I stared too long
I'd probably break down and cry

[Prima o poi vedo il suo viso
e lei riesce a portarmi in quel posto speciale
E se lo fissassi troppo a lungo
Probabilmente scoppierei a piangere]


-    Lo sai? Quando sono tornato a casa sono salito in camera mia in punta di piedi, anche se probabilmente mia madre non c’era e mia sorella era da qualche parte con uno dei suoi ragazzi. Mi sono sistemato sul letto col cucciolo addormentato sullo stomaco. Faceva un caldo infernale, piccola mia, mi sembrava di avere le cicale sotto il cuscino e lo stomaco completamente sudato a causa della palla di pelo bianco che ci stava sopra.
I bisbigli di Kiba si sommavano alla musica in sottofondo, e il dondolio del corpo che si muoveva lento stava raggiungendo l’effetto sperato.
     -     Ma mi sentivo in paradiso, bambina mia, in una bolla di sapone rosata che in quel momento
           nessuno avrebbe potuto infrangere. Le cicale erano nella mia testa, e delle farfalle impazzite
           sembravano aver preso il controllo del mio stomaco. Mi sembrava che il cuore, fuori di sé,
           mi battesse dappertutto: nel petto, nelle orecchie, sulla punta dei piedi, nei gomiti.
L’uomo si arrestò un attimo, attento a cogliere un suono più sottile sotto la voce di Axl Rose. Il respiro regolare gli rivelò che si era ormai addormentata, ma continuò lo stesso col suo racconto sussurrato.
-    Adesso ti sembrerà stupido, ma prima che te ne renda conto succederà anche a te. Mi ero innamorato, sai? Mi ero innamorato così, da un minuto all’altro, quando quella mattina stessa avevo dato della stupida a colei che mi stava facendo sentire così. Assurdo, ti pare?
Molto lentamente, il dondolio del corpo ancora a tempo con la melodia della canzone tenuta a basso volume, Kiba si avvicinò al lettino e la pose delicatamente sul materasso sottile. Dopo averle tolto la mano da sotto la testa tirò mentalmente un sospiro di sollievo. Maledette coliche, ormai non li facevano più dormire! Né lei, né tanto meno lui.
Avrebbe dovuto approfittarne per buttarsi a letto, ma si trattenne ancora un po’, lì nella penombra. Possibile che quel visino angelico potesse venir distorto in modo spaventoso dagli sforzi del pianto? Diventare rosso da far paura, gli occhi stretti e la bocca aperta, tanto da costituire una maledizione divina contro il sacro sonno umano?
Kiba sapeva che probabilmente di lì a poco la tortura sarebbe ricominciata, ma si rendeva anche conto che entro qualche anno quel delizioso nasino all’insù sarebbe stato ricoperto da una spolverata di leggere lentiggini, mentre gli occhi si sarebbero certamente mantenuti azzurri. Di quell’azzurro più smagliante del cielo dopo il temporale.
Più rimaneva lì ad osservarla e più ne era sicuro. Ma forse la penombra, la musica e la stanchezza gli stavano facendo un effetto strano, perché intorno a quel viso stavano sorgendo, dai recessi della memoria, i rami di un salice che li nascondevano alla vista altrui. C’erano solo loro, lui e lei, in quel posto speciale, e nessuno avrebbe mai potuto entrarvi.
Sì, doveva essere distrutto, perché la testa si stava facendo pesante, come se tutto il peso di quei ricordi si stesse accumulando in una zona tra il naso e gli occhi, e non gli riuscisse davvero di ricacciarlo indietro. Avvertiva come un nodo in gola, che spingeva a tutti i costi per salire e sfogarsi.
Sentì il viso contrarsi in una smorfia non voluta, che non gli riusciva in alcun modo di controllare.
Solo lui e lei, protetti da quei rami simili a capelli sottili.
Qualcosa di caldo e salato precipitò sul bordo del cuscino. Per fortuna, perché se quella lacrima le fosse caduta sul viso un urlo stizzito avrebbe certamente reso vane tante fatiche.
Ma nemmeno il rischio di svegliarla fece desistere Kiba dal sussurrare quella manciata di parole sulla voce di Axl:

Oh, sweet child o' mine
Oh, sweet love of mine

[Dolce bambina mia
Dolce amore mio]




Sono contenta del mio secondo posto al contest “How Wonderful Life is while You’re in the World” indetto da bambi88 e LalyBlackangel. Oltretutto sono davvero felice di aver vinto il Premio per l’Aderenza alla Canzone. Non sapete quante volte me la sono riascoltata, per scrivere questa storia!
Questo è il primo di tre capitoli che spero possano piacervi.
La canzone è “Sweet Child o’Mine” dei Guns’n’Roses.

Faccio i complimenti a _memi, classificatasi prima, e a tutte le altre partecipanti.
Ringrazio anche le giudici per la velocità con cui ci hanno comunicato i risultati.
   
 
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