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Autore: whiteyourself    20/07/2009    0 recensioni
Riposto una delle prime storie che avevo scritto, su richiesta di Malvina {non immagini che piacere mi ha fatto sapere che ti era piaciuta, non ho potuto risponderti perchè non mi avevi lasciato nessuna mail..!}. Sul numero uno, il migliore, Severus Snape, ispirazione da uno dei grandi amore della mia vita, Ludwig van Beethoven.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NB_   Gli ambienti e alcuni personaggi sono tratti dalla penna della grande JK Rowling, ma nella mia storia Harry Potter non è mai esistito, né Lord Voldemort, né nessuna Profezia..
Ma non voglio anticipare troppo; buona lettura, spero che questa storia significhi per voi anche solo la metà di quanto ha significato per me scriverla.
Questa storia è un tributo a Severus Piton, e a Ludwig van Beethoven, fedele compagno di lacrime e pensieri.

 

 

o.1

“..Sembra come un attimo, dei cavalli si impennano,  quella sensazione, un momento di pura follia..”


Era cominciato un nuovo anno, ad Hogwarts, e davanti agli occhi neri e annoiati del professor Severus Piton una lunga fila di bambini di 11 anni sfilava, in impeccabili nuove uniformi nere, con la stessa espressione terrorizzata stampata sul volto.
Piton si chiedeva da tempo perché Silente non cambiasse quella regola; erano troppo, troppo piccoli e immaturi, infantili, capricciosi, fastidiosi, petulanti; se fossero stati ammessi, ad esempio, a 15 anni..più maturi e responsabili..
Bah, del resto non era lui il Preside, e continuare a lamentarsi non serviva a nulla; insegnava già da una decina d’anni, ed era ormai abituato alle frotte di mocciosi nel cui cervello ogni anno doveva cercare di inculcare i primi fondamenti di Pozioni.
Lo Smistamento era già cominciato da un pezzo, e  lo sguardo pigro immutato di una virgola, Severus Piton tamburellava con le lunghe dita bianche affusolate sul tavolo; non vedeva l’ora di andare a rintanarsi nel suo studio, a leggere un buon libro, o ad ascoltare della buona musica..
Il Cappello stava già smistando i ragazzini dal cognome iniziante per “M” quando le porte della Sala Grande si spalancarono, facendo girare di scatto centinaia di teste; una ragazza, non troppo alta, con un lungo mantello nero e gli occhi coperti da un cappuccio, da cui uscivano sottili, lunghi capelli di un colore castano molto chiaro, quasi  biondo, teneva aperta un’ anta della porta con un piede fasciato da un pesante stivale, e con una piccola mano dalle dita magre e delicate faceva un cenno a Silente; il Preside sorrideva affabilmente e con un cenno affermativo del capo le disse “Prego, prego, signorina Sanve, si avvicini”.
Sempre sorridendo, e rivelando una dentatura bianchissima e scintillante, la ragazza entrò e attraversò sotto lo sguardo di tutti gli studenti e dei nuovi venuti il lungo corridoio che conduceva al tavolo degli insegnanti; mentre procedeva,  a ogni passo gli stivali emettevano un sordo colpo, si tolse il cappuccio dalla testa, fece un gesto repentino per portare i lunghi capelli all’indietro, posando gli occhi sull’intera Sala, quasi a voler abbracciare con un solo sguardo ogni singolo individuo; immediatamente Piton si accorse che c’era qualcosa che non andava.
Sentiva una forza premergli da qualche parte, nel petto, insinuandogli una voglia di distogliere l’attenzione dalla ragazza; dovette combattere questa strana sensazione, molto simile all’effetto di una Maledizione Imperius; sorpreso, vide che nessuno reagiva nel suo stesso modo, tutti all’istante smettevano di osservare curiosi l’ adolescente, che continuava a sorridere, ma sembrava essersi accorta che qualcuno non aveva subito la sua influenza;  in un attimo, trovò gli occhi del professore.
Piton quasi sobbalzò davanti alla freddezza di questi ultimi; di un azzurro sorprendente, pieno e ghiacciato, sembravano voler  attraversare da parte a parte la testa del professore; mai, mai in tutta la sua vita Severus Piton aveva provato la sensazione di completo abbandono, completa appartenenza a quell’anima che stava indagando nella sua. Scioccato, distolse lo sguardo, e si accasciò nella sedia cercando di riprendersi.
Cosa gli succedeva?
Non era mai stato un uomo passionale, al contrario.. Certo, essendo un bell’uomo tuttora, e essendo stato un bel ragazzo, aveva avuto relazioni con l’altro sesso, ma non erano mai sfociate in qualcosa di più che avventure; per lui era difficile legarsi a qualcuno, considerava il sentimento dell’amore melenso e deleterio, lo scatenarsi delle voglie una vergogna, la soddisfazione della libidine una impurità..
Che poi, la ragazza, che era ora arrivata davanti a Silente e gli stringeva la mano, sempre sorridendo, e bisbigliandogli qualcosa, strappandogli una risata, non era di una bellezza sfolgorante; la pelle diafana, bianchissima, il fisico fin troppo magro, seppur perfettamente proporzionato nei punti giusti, la divisa della scuola di evidente seconda mano,la totale assenza di trucco, il tutto denotava una certa noncuranza del proprio aspetto, oltre a una certa povertà, ma aveva qualcosa, qualcosa che Piton non capiva, qualcosa che la rendeva una calamita, attirava in modo insostenibile..
“Cari studenti” aveva cominciato il Preside “Questa è Blanc Sanve; ha 15 anni, e viene da una lontana scuola di Magia, in un altro paese, che ha frequentato per tre anni per un increscioso errore burocratico; ma ora è qui, e dovrà essere smistata come è accaduto a tutti voi, per diventare una vostra compagna e amica”
Piton sbuffò; sempre le solite idee di Silente, amicizia, solidarietà, uguaglianza..
Aveva seri dubbi che la ragazzina fosse in cerca di compagnia di coetanei; aveva l’aria di una che aveva passato brutte cose in poco tempo, una che era cresciuta molto in fretta, una che aveva già le idee ben chiare sul mondo.
Nel frattempo, scostando i l lungo mantello, Blanc si era seduta sullo sgabello, e si era calata il Cappello sulla testa.
Passarono i minuti; la ragazza accavallò le gambe,in atteggiamento di rassegnata pazienza, e spuntò un ennesimo sorriso da sotto il copricapo che sembrava corrucciato e indeciso; passò un quarto d’ora, e poi mezz’ora.. Nella Sala si udivano bisbigli sconcertati, anche dal tavolo dei professori.
Anche Piton si chiedeva come mai il Cappello ci mettesse tanto; senza più trattenersi, fissò gli occhi su di esso e praticò l’arte della Legilimanzia per leggerne i pensieri..
“Mmh.. Devo ammetterlo, sei il caso più difficile che mi sia mai capitato.. Vedo un’ anima sensibile, ma vedo anche un passato travagliato, vedo una grande intelligenza ma un totale disprezzo di ciò che è prefissato, regolare, e del destino,e una grande maturità,ma anche una capacità di amare incondizionata.. vedo una malinconia che potrebbe uccidere chiunque, che tuttavia tu eleggi a divinità; dannazione, dove potrei collocarti..”
Con sua grande sorpresa, il professore sentì un’ esclamazione di rassegnazione, seppur con disappunto, e vide il Cappello spalancare lo squarcio che aveva per bocca, e declamare a tutti “Non c’è una Casa adatta ad accogliere questa ragazza; la decisione è presa: non apparterrà a nessuna delle quattro.”
Un boato di esclamazioni accolse questa affermazione, e Blanc si toglieva il Cappello con aria di scuse, ma sorridendo leggermente; e di nuovo Piton sentì quella forza cercare di obbligarlo, questa volta ad accettare la cosa senza fare storie, e di nuovo creò uno scudo contro di essa; mentre l’intera Sala si piegava al volere dell’adolescente, Silente compreso, che con un sorriso le fece cenno di andare a sedersi dove più preferiva, la ragazza alzò uno sguardo solo leggermente contrariato sulla fonte dello scudo che si sovrapponeva alla sua volontà, e guardò il professore di Pozioni, che fu di nuovo sconvolto da quello sguardo, nel quale ora riusciva a leggere una tristezza talmente grande, talmente profonda, che come aveva detto il Cappello, avrebbe dilaniato chiunque; era  un dolore insopportabile, rumoroso, lacerante..
Blanc però si fermò; e con sguardo interrogativo chiese qualcosa nell’orecchio a Silente; che dapprima con un sorriso di scuse fece un segno negativo con la testa, ma davanti a uno sguardo più attento, dove Piton riusciva a scorgere la sorgente di quel potere molto convincente, si schiarì la gola, e comunicò all’intera Sala: ”La signorina Sanve desiderebbe dilettarsi e dilettarci eseguendo per noi un brano al pianoforte”;  sempre con lo stesso sguardo annebbiato agitò la bacchetta e un pianoforte a coda laccato di nero comparve proprio al centro della Sala.
Chinando leggermente il capo in segno di ringraziamento, e lanciando un altro sguardo a Piton, Blanc vi si avvicinò, si tolse il mantello, rimanendo nella uniforme che non poteva portare i colori di nessuna Casa, e lentamente si sedette sullo sgabello, girò le manopole ai lati di esso per abbassarlo, il volto rivolto al tavolo dei professori, rivelando una nuova luce negli occhi azzurri.
Piton la guardava interessato; poteva vedere un nuovo modo di muoversi, non più agile e pronto, ma delicato e prudente, bramoso ma controllato.
L’adolescente alzò le mani, le poggiò sui bianchi tasti e chiuse gli occhi, inclinando leggermente la testa a sinistra, tremando leggermente; una melodia lenta, struggente, leggera e delicata, carica di una malinconia sconcertante, devastante, insopprimibile, scaturì dalle sue dita che si poggiavano su ogni tasto, quasi a volervici  affondare pienamente, a voler scaricare ogni sensazione sullo strumento, quasi a voler rivelare il suo dramma interiore; Piton era sconvolto, nel più profondo dell’animo.
 Soffriva, soffriva intensamente; sentiva come se la sua anima fosse collegata  a quella che stava urlando note dolcissime, sentiva come se ogni singolo dolore che essa provava fosse ribattuto sul martelletto del pianoforte e sul centro del suo cuore, voleva alzarsi e piangere, inginocchiarsi e pregare, ridere e morire, morire in un istante..
Attraverso gli occhi offuscati da lacrime, vide che nessun altro provava ciò che stava provando lui: ascoltavano con gli occhi annebbiati, alcuni guardando il vuoto, ma del resto, pareva che fosse stata la stessa signorina Sanve a causare tutto questo; era la Sonata al Chiaro di Luna di Ludwig van Beethoven, e lei la stava suonando solo per lui.
Come a voler confermare quest’ultimo pensiero, la ragazza alzò gli occhi e li fissò penetranti in quelli neri dell’uomo, tremante dall’ enormità dell’emozione che provava.
Sembrava come volergli comunicare “Guardami, sì, sono proprio io.. Sì, finalmente sono arrivata, lo so, lo so che mi aspettavi da tempo, non ti preoccupare, ora sono qui insieme a te..”
 La ragazza concluse il pezzo, in un ultimo, straziante accordo, un anelito alla fine del mondo, una preghiera a mani intrecciate, e alzò le dita dalla tastiera, lo sguardo fisso in quello dell’insegnante.
Piton non riuscì a sopportare un secondo di più; si alzò in piedi, pallido e tremante, scostò bruscamente la sedia e uscì a grandi passi, attraverso la porta secondaria della Sala Grande.
Una volta in corridoio cominciò a correre, il mantello nero che sbatteva sulle caviglie, in testa ancora la fine di quella melodia, quello sguardo, quella ragazza..
Arrivò nel suo studio;  appoggiò le spalle al muro e si lasciò scivolare giù, sempre più giù, prendendosi la testa fra le mani.
Cosa diavolo stava succedendo, perché era entrata in quel modo nella sua normalissima vita, cosa voleva da lui, perché la desiderava in quel modo così prepotente..
Ma conosceva ogni singola risposta a questa domanda.. e la gravità di ciò che aveva compreso crollò su di lui in un’ insostenibile chiarezza e verità: quella era la sua anima gemella, il completamento del suo Io, e lui, Severus Piton, cominciava a provare le terribili dolcezze dell’essere perdutamente, completamente e inevitabilmente innamorato.


  
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