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Autore: _Frame_    10/03/2019    3 recensioni
[Human!AU]
[Frying Pangle!Centric; Bad Touch Trio; Accenni ad altre coppie]
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Per festeggiare l’ultima caldissima settimana di vacanze estive non c’è niente di meglio di una colossale gita di gruppo al mare, fra partite a beach volley, falò sulla spiaggia e sbevazzate in compagnia, prima che le scuole e le università riaprano, e prima che la vita riprenda il solito ritmo quotidiano.
Spronato (ricattato) dai suoi due migliori amici, Gilbert Beilschmidt decide che questa è la sua ultima opportunità per rimediare a una certa mancanza, prima che la partenza per l’accademia militare lo separi da coloro che ama di più.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bad Friends Trio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brevi disavventure di adolescenti allupati'
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N.d.A.

E niente. Ogni tanto mi sale l’ignoranza e sento il bisogno di scrivere qualcosa di inutile/idiota tanto per auto consolarmi davanti alle disgrazie della vita e alla futilità dell’esistenza (semicit).

Questa storia può essere considerata una sorta di sequel di “Come perdere la verginità grazie a WikiHow e a un pacchetto di caramelle al malto”, ma penso sia leggibile anche separatamente. È comunque ambientata nello stesso universo e nella stessa linea temporale. Sarà breve, solo quattro capitoli, tanto per svagarmi con una scrittura leggera e poco impegnativa che spero riesca comunque a strappare un sorriso. :)

Avviso che più avanti ci saranno dei riferimenti a Big Mouth, quindi c’è un possibile pericolo spoiler per chi sta seguendo la serie. Sì, Gilbert mi dà l’idea di essere una di quelle brutte persone che guardano Big Mouth. Quelle brutte persone di cui io non faccio sicuramente parte. *Si guarda attorno fischiettando*. Ma lo seguo solo perché mi sono presa una cotta bestiale per Connie, mica per altro, eh.

Aggiornerò una volta ogni due settimane, in alternanza al Miele.

Buona lettura!

 


 

Quattro di Picche

 

 

 

 

 

 

 

. Uno di picche

 

 

Feliciano balzò in ginocchio sul suo sedile imbottito, si sporse contro il finestrino del treno e appiccicò le mani al vetro intiepidito dai raggi del sole. I suoi grandi occhi color nocciola luccicarono di meraviglia, le labbra s’incurvarono in un ampio sorriso, luminoso come il riflesso del giorno fra le onde cristalline, e il cuore compì una capriola di gioia. «Ooh!» Si spinse più avanti, premette il ginocchio contro il bracciolo del sedile e accostò al vetro anche la fronte e la punta del naso, per vedere meglio al di là della fila di rotaie che correva parallela al loro binario. «Si vede già il mare!»

Un’ampia distesa di onde luccicanti sormontava la linea d’orizzonte, nel punto in cui s’incontrava con il cielo azzurro sbavato solo da qualche nuvola e diviso dai cavi della linea ferroviaria. Il bianco disco del sole troneggiava alto e gonfio, i suoi raggi cadevano in mare come lame, e la loro luce s’increspava fra le onde di spuma come una sbriciolata di diamanti. Dal profilo della costa sorgevano gruppi di briccole rivestite di alghe spugnose. Stormi di gabbiani volavano in cerchio, alcuni se ne stavano appollaiati sulle recinzioni di legno e altri si tuffavano in picchiata fra le onde, riemergendo con gusci di paguro stretti nel becco. Piccole barchette giacevano riverse sul bagnasciuga, alcune legate con cime di corda e altre abbandonate, accasciate sul fianco. Le vernici scorticate e il legno in decadenza. Solo un piccolo peschereccio navigava alla fonda. Stormi di gabbiani a volargli attorno, il sole a battere sulla vernice bianca, e il vento a soffiare fra i tralicci luccicanti.

Feliciano staccò la fronte e le mani dal finestrino e ricadde sulle ginocchia, urtando il gomito di Ludwig che gli sedeva affianco. Si girò verso Lovino e spinse l’indice sul vetro. «Lovi, Lovi, guarda!» Picchiettò più volte senza far sbiadire quel sorrisone dalle labbra. «C’è il mare. Si vede il mare!»

Lovino, stravaccato con la schiena contro il fianco di Antonio, accavallò le gambe sul bracciolo del suo sedile e urtò il finestrino con il piede ciondolante. Non staccò gli occhi dalla schermata di Instagram che stava sfogliando, e fece scorrere il pollice sulla pagina. Sbuffò un sospiro annoiato. «Uau, Feliciano. Lo stesso mare che vedremo ogni schifo di giorno per una settimana? Proprio non devo perdermelo, guarda.» Si girò sul fianco, dandogli la schiena, e aprì un altro profilo. Diede una ruminata alla catenina dorata stretta in bocca, lo stesso sottile crocifisso che pendeva anche dal collo di Antonio. Il ritmico crunch, crunch del metallo rosicchiato si alternò al suono scarrozzante del treno che sfrecciava sui binari.

Antonio gli sfilò il braccio dal fianco e gli diede un’energica strofinata ai capelli. «Dai, Lovi» lo rimproverò. «Sii carino con tuo fratello.»

Lovino alzò gli occhi al soffitto e reclinò il capo per sfilarsi dal suo tocco. «Mhf.» Tornò a girarsi sulla schiena, spingendosi contro il suo braccio, e continuò a sfogliare Instagram, per lo più selfie di belle ragazze, vigneti e colline di Toscana bagnati dalle luci dell’alba dorata, i meme dell’ultimo periodo, e tifosi che esultavano fra gli spalti gremiti di folla – i volti tinti di azzurro e di bianco – da cui pendevano bandiere del Napoli.

Anche Gilbert si sporse dal suo sedile per volgere lo sguardo al finestrino, e dovette spingere indietro le spalle di Antonio per vedere oltre lui e Lovino che tappavano il panorama. Inarcò un sopracciglio. «Ma ci sono sempre state quelle palizzate nel mare?»

Feliciano accostò la mano sulla bocca sorridente, nascose il lieve rossore spolverato sulle guance, e ridacchiò. «Si chiamano “briccole”, Gilbert.»

«Sarà» fece lui. «Ma io non ricordo di averle mai viste.»

Ludwig raccolse la felpa di cotone leggero che aveva ripiegato sul bracciolo fra lui e Kiku e lo rigirò in cerca della cerniera. «Non mi sorprende: non vieni qua da anni.» Se la posò sulle spalle senza infilarci le maniche, solo per proteggersi dal soffio dell’aria condizionata che rischiava di fargli venire il torcicollo. «Te ne sarai dimenticato.»

Gilbert spinse il gomito sul bracciolo e affondò il pugno nella guancia, sfiorando la spalla di Antonio con il capo reclinato. «E chissà quanto tempo passerà prima che io possa tornarci di nuovo.» Abbassò le palpebre e sospirò, flesse le sopracciglia in un’espressione più nostalgica. «Dopo che...»

«Ma ormai dovremmo essere quasi arrivati alla stazione!» Feliciano tornò a mettersi seduto composto, togliendo le ginocchia dal sedile, e anche lui si accasciò contro il fianco di Ludwig. Tese le braccia sopra la testa e stiracchiò le gambe fino a urtare il sedile di Lovino con le scarpe da ginnastica. Le vertebre scricchiolarono di sollievo dopo tutte le ore che aveva trascorso seduto. «Non vedo proprio l’ora di infilarmi il costume e andare in spiaggia.» Contò sulle punte delle dita. «Poi di mangiare il gelato ogni giorno, di fare il bagno, di giocare a calcio, di andare a passeggiare in centro la sera, di stare alzato fino a tardi, e... oh!» Batté le mani. «E anche di fare i falò sulla spiaggia!»

Kiku abbassò la piccola guida turistica che stava sfogliando e su cui aveva incollato i post-it nelle pagine con le recensioni dei ristoranti più economici in città. Inviò a Feliciano un’occhiata dubbiosa. «Speriamo solamente che ci lascino davvero rimanere in spiaggia anche dopo il tramonto e che ci diano il permesso di accendere i fuochi.» Sfogliò una pagina e si strofinò la nuca. «Appena arrivati all’ostello dovremmo subito andare a parlare con i bagnini.»

«Mhm.» Feliciano fece dondolare le gambe. Raccolse un braccio di Ludwig, se lo passò attorno al fianco, e si mise a giochicchiare con la sua mano, a intrecciare le dita alle sue e a massaggiargli gli spazi fra le nocche. «Ma l’anno scorso hanno detto che li hanno lasciati.»

«Sì, ma un solo falò è diverso» rispose Ludwig. «Quest’anno siamo di più, e sicuramente anche gli altri vorranno accendere i loro fuochi.»

Gilbert si strinse lo stomaco e scoppiò a ridere. «Oh, sì, non vedo proprio l’ora di assistere al falò vichingo di Mathias e gli altri.» Fece roteare lo sguardo tenendo alto quel ghigno sarcastico. «Quei cinque delinquenti daranno fuoco alla spiaggia, garantito.»

Antonio si sporse a battergli il gomito sul fianco, ammiccò con le sopracciglia. «Se prima non lo facciamo noi, eh.»

Gilbert allargò il sorriso aguzzo, emise una ridacchiata gracchiante, e ricambiò le gomitate. «Così imparano a sbatterci fuori dalla festa di fine anno, eh, eh.»

Lovino abbassò lo schermo del telefono, sollevò di scatto lo sguardo, e inviò a Gilbert un’occhiata lancinante. Raccolse il braccio di Antonio, se lo allacciò attorno alle spalle, si raggomitolò al suo fianco e piantò il muso dando la schiena a Feliciano e agli altri. «Se avete intenzione di fare i coglioni già dal primo giorno e se pensate di rovinarci la vacanza allora potete anche andare a farvi fottere.» Chiuse la pagina di Instagram e andò sul sito di uno dei ristoranti di pesce vicino all’ostello, di quelli con la terrazza sul mare. Sfogliò la tabella oraria. Fece schioccare la lingua e tenne la fronte aggrottata. Le luci del display s’infossarono fra le rughe di rabbia contratte attraverso quella maschera di malumore. «Già il fatto che abbiamo dovuto riorganizzare le camere all’ultimo momento è stata una rottura di palle. In cinque in camera.» Scosse il capo. «Come merda si fa a stare in cinque in camera? Neanche fossimo in una gita delle elementari.»

«Oh, dai, Lovi.» Antonio si chinò a sussurrargli all’orecchio. «Tanto uno dei matrimoniali ce li prendiamo comunque noi. Io, te...» Indicò entrambi e strizzò l’occhiolino. «E il mostro delle coccole.»

Lovino tenne il broncio per nascondere uno sciocco e patetico sorrisetto che non seppe proprio controllare. Aprì una mano sul viso di Antonio e lo allontanò. «Piantala, idiota.» Si rimise a rosicchiare la catenina dorata da cui pendeva il piccolo crocifisso. «Te lo do io il mostro delle coccole.»

«Non aspetto altro.»

Kiku richiuse la guida turistica, la rimise nel suo zaino, ma lo sguardo si soffermò su Lovino che dava loro la schiena, su quell’ombra di negatività e malumore che lo circondava come una nuvoletta plumbea e brontolante. Aveva trascorso tutto il viaggio stando appiccicato ad Antonio, senza quasi parlare a suo fratello e senza sfiorare Ludwig nemmeno con lo sguardo.

Kiku si sporse verso Feliciano, stando attento a non spremersi contro la spalla di Ludwig, e aprì una mano affianco al viso per nascondere il movimento delle labbra. «C’è forse qualcosa che turba Lovino-kun?» gli domandò. Il rumore della corsa del treno coprì i suoi bisbigli. «È di cattivo umore fin da quando siamo partiti.»

Feliciano si strinse nelle spalle e scosse il capo. «È solo un po’ nervoso.» Si sporse anche lui, ma sempre tenendosi appeso al braccio di Ludwig che gli passava attorno al fianco. Lasciò anche lui che lo scarrozzare del treno celasse le sue parole. «Ma lo è da quando ci hanno detto che le doppie erano finite e che quindi dovevamo stringerci nelle camere multiple. Probabilmente sperava di avere una camera solo per lui e Antonio.»

Kiku arrossì e si affrettò ad abbassare gli occhi, colto da una fitta d’imbarazzo. «Oh.»

Feliciano annuì. Abbassò lo sguardo, si strofinò la nuca con gesti rapidi e nervosi, e il rossore sulle guance assunse una tinta più vivace. «Poi credo che ce l’abbia ancora un po’ con me per quello che è successo all’inizio dell’estate, sai», un altro dondolio di piedi, «quando ha scoperto che Ludwig ha dormito a casa nostra la sera della festa.»

Ludwig si strozzò con un sussulto. Una vampata di calore gli infiammò le guance e arrivò a bruciare all’altezza delle orecchie. Evitò lo sguardo di entrambi e strinse un pugno davanti alle labbra per tossicchiare via quel nodo di vergogna che era incastrato nel petto dall’inizio dell’estate, da quando aveva trascorso la notte più traumatizzante e meravigliosa della sua vita.

«Credo non gli sia ancora passata» sussurrò Feliciano, sempre rivolto a Kiku. «È da quel giorno che fa lo scontroso. Anche Antonio ha provato a parlarci e a convincerlo di far pace, ma non sembra aver funzionato. Sai com’è Lovino quando decide di fare il difficile. Poi penso proprio che sia il periodo sbagliato per farlo ammorbidire, dato che Antonio il prossimo mese comincia l’università e che quindi non potranno più vedersi a scuola.» Si strinse nelle spalle e i suoi occhi s’intristirono, nonostante la calda luce del sole a tingergli le iridi, a mettere in risalto le pagliuzze dorate fra le sfumature d’ambra. «Spero solo che il cattivo umore non gli rovini troppo la vacanza, povero fratellone.»

Kiku scosse il capo, costernato quasi quanto Feliciano, e gli rivolse uno dei suoi forti sguardi d’incoraggiamento, trasmettendo una spinta consolatoria anche a Lovino. «Sono certo che non sarà così. Il mare lo metterà di buon umore, ne sono sicuro.»

Passi pesanti e incalzanti attraversarono il corridoio del treno, si avvicinarono al loro scompartimento. Una figura si materializzò all’entrata e sventolò il braccio in un energico saluto. «Ehi, gente!» esclamò Alfred. «Siete ancora vivi?»

Lovino fece roteare lo sguardo e soffiò un pesante sbuffo sconsolato. «Grandioso.» Si tenne spinto contro il fianco di Antonio, le ginocchia raccolte al ventre e il viso chino sullo schermo del cellulare. «Non c’erano già abbastanza idioti in questo scompartimento?» borbottò con tono acido.

Feliciano invece s’illuminò di gioia e tornò a rizzarsi sulle ginocchia, ricambiando il saluto sventolante. «Ciao, Alfred!» Indicò la distesa di mare che scorreva come una pellicola fuori dal finestrino. «Hai visto, c’è il mare! Si vede già il mare, siamo quasi arrivati. Pensavo di venirvi a chiamare io, ma mi hai battuto sul tempo.»

Anche Alfred sgranò gli occhi, si sporse verso l’interno della cabina e lasciò che le sue profonde iridi azzurre assorbissero il colore del cielo specchiato fra le onde. «Ooh, ma qua si vede bene. E guarda quant’è blu! Noi invece abbiamo i finestrini sull’altro lato, è uno schifo, si vede solo la recinzione. Ah, comunque...» Estrasse il cellulare dalla tasca dei calzoncini e lo scosse facendo tintinnare il ciondolo smaltato con lo scudo stellato di Capitan America. «Mi hanno mandato ad avvertirvi che sarebbe meglio fare un gruppo collettivo su WhatsApp in modo da non perderci di vista. È stata un’idea di Arthur. Sto facendo il giro delle cabine per avvertire tutti e...» I suoi occhi caddero inconsciamente sulla piccola figura di Kiku. Incrociarono gli sguardi.

Fra di loro corsero gli stessi ricordi, le stesse rapide immagini della serata di inizio estate trascorsa nella palestra della scuola, durante la festa, quando c’era stato l’incidente fra loro e Arthur.

Kiku si fece piccolo-piccolo, sprofondò nel sedile, e si nascose contro la stazza di Ludwig.

Anche Alfred fece schizzare gli occhi al pavimento, avvampando all’altezza delle guance che erano già arrossite davanti alla visione del mare. Scosse il capo, si riprese, e rinfilò il cellulare nella tasca. «E quindi pensavamo fosse il caso di organizzarlo prima di scendere dal treno e di perderci di vista, sapete, con la sistemazione nelle camere e tutto.»

Ludwig annuì. Lo sguardo serio e attento. «Mi sembra una proposta ragionevole.» Estrasse anche lui il suo cellulare e aprì la pagina di WhatsApp, in cerca del gruppo.

Feliciano spostò lo sguardo dal viso paonazzo di Alfred a quello basso di Kiku, celato dall’ombra dei capelli corvini ricaduti sulle guance. Sollevò un sopracciglio, confuso. Chissà perché...

I ricordi riaffiorarono, sia le immagini a cui aveva assistito di persona sia quelle suscitate dal racconto che Kiku gli aveva rivelato dopo la serata della festa. Alfred che aveva convinto Kiku ad accompagnarlo per far ingelosire Arthur che gli aveva piantato il muso per aver spifferato la vicenda del loro bacio alla partita di baseball. La truce espressione di rabbia e gelosia contratta sul volto di Arthur quando Alfred si era presentato al ballo in palestra tenendo Kiku per mano. Il pugno che gli aveva stampato sul naso davanti a tutti gli studenti. Kiku che aveva cercato di separarli e che poi li aveva riconciliati a festa finita.

Ooh! Gli occhi di Feliciano tornarono a illuminarsi, attraversati da una scintilla di realizzazione. Ora ho capito. Ma sul serio ci stanno ancora pensando?

Antonio fece correre il pollice attraverso la lista di contatti aggiunti al gruppo “Last Summer Memories”, e sfogliò i vari nomi. «Chi è l’amministratore del gruppo?» Con un nome così malinconico e deprimente, doveva per forza essere Arthur.

Alfred si riprese dal rossore d’imbarazzo, levò lo sguardo al soffitto e picchiettò l’indice fra le labbra. «Uhm, forse Arthur. Oppure Francis.» Fece sventolare la mano. «Però poi si sono messi a litigare con gli altri perché col gruppo di Ivan e di Yao è successo che...»

Uno scossone del treno fece rimbalzare l’abitacolo della carrozza. Alfred inciampò di lato, sbatté con la spalla sulla soglia dello scompartimento e si tenne aggrappato per non finire sbalzato via.

Feliciano trasalì per lo spavento e tese una mano verso di lui. «Stai bene?»

Gilbert fece roteare lo sguardo e inviò un cenno col mento ad Alfred, indicandogli i sedili. «Senti, entra e siediti, così eviti di sfracellarti la testa prima ancora che la vacanza cominci.»

Feliciano scivolò in braccio a Ludwig, gli cinse le spalle, fece dondolare le gambe, e lasciò libero il sedile accanto al finestrino. «Puoi stare al mio posto, se vuoi.»

Alfred aggiustò gli occhiali che gli erano caduti sulla punta del naso, dopo lo scossone del treno, e sorrise. «Se insistete.»

Lovino sbuffò. «E chi insiste.»

Feliciano gli lanciò un’occhiataccia storta.

Alfred passò davanti a Kiku, ancora arricciato contro il fianco di Ludwig, e andò a sedersi al posto di Feliciano. Di nuovo volse lo sguardo fuori dal finestrino e tese la mano davanti alla fronte per resistere alla forte luce del sole che gli batteva sulle guance. Riacquistò lo stesso sorriso sognante comparso sulle sue labbra quando i suoi occhi si erano riempiti del riflesso blu delle onde. «Non vedo l’ora di fare il bagno.»

Antonio – lo sguardo ancora chino sullo schermo del cellulare – si soffermò sugli ultimi nomi aggiunti in fondo al loro gruppo.

 

“Ivan ^J^ Braginski”

“Yao W Panda”

“♥Mei-Mei♥”

“Pretty♀Little♀Psycho”

“Katya”

“Li-Xiao-Leon”

“Yong Soo ☆*:.。. o(≧▽≦)o .。.:*☆ Da-ze!”

“Toris L.”

“Totally☆Feliks”

“E. √on Bock”

“Raivis~”

 

Antonio inarcò un sopracciglio in un’espressione dubbiosa. «Il gruppo di Yao e quello di Ivan avranno intenzione di fare un falò tutto loro?» Sollevò gli occhi dallo schermo del cellulare. «So che Mathias voleva farne uno per i fatti suoi, ma se ce ne saranno più di due forse potrebbero darci rogne.»

Alfred scosse il capo. «Ancora non lo so.» Tolse la mano tesa da davanti la fronte e sollevò un indice. «Però anche loro hanno detto che dovremmo organizzarci subito. Sia per i falò sia per le cene, anche perché non possiamo permetterci di mangiare fuori ogni sera. Il pranzo è un conto, possiamo fare dei panini da portare sulla spiaggia, ma sapete come sono questi posti di mare. Non aspettano altro che arrivino turisti da spennare e tirano su i prezzi come fosse – ah!» Batté un pugno sul palmo e i suoi occhi riacquistarono la solita vivacità. «E poi dovremmo anche stabilire i turni per prenotare la rete da beach volley!» Le ginocchia saltellarono, frementi di emozione. «E potremmo anche organizzare delle partite a eliminazione ogni giorno, e dare un premio a quella che sopravvive fino alla fine della vacanza, e...»

«Oh, beach volley!» Feliciano batté le mani, e anche lui rimbalzò di entusiasmo sul grembo di Ludwig. «Non vedo l’ora! Ma anche a calcio, però. Voglio anche giocare a calcio. E per quello non serve nemmeno la rete o nulla, basta solo mettere delle bottiglie sulla sabbia per formare le porte.»

Lovino lasciò scivolare la catenina dorata fuori dalle labbra e squadrò Alfred con un’espressione perplessa. «Sul serio avresti l’energia di fare una partita al giorno?»

«Anche cinquanta!» Gli occhi azzurri di Alfred scintillarono come quelli di un bambino davanti ai cancelli di Disneyland. «Non sto più nella pelle.»

Lovino fece roteare lo sguardo e gli sventolò una mano contro, come per scacciare una mosca. «Be’, goditela da solo.» Diede una stiracchiata alle gambe e strusciò la schiena contro il braccio di Antonio. «In vacanza si va a rilassarsi, non a sfaticare.»

«Giocare a beach volley o nuotare non è sfaticare. È divertirsi!»

Antonio si chinò ad accostare le labbra all’orecchio di Lovino, ammiccò con le sopracciglia. «Magari noi troveremo altri modi di sfaticare divertendoci.»

Lovino torse un angolo della bocca, nascondendo il sorrisetto indesiderato che tinse anche a lui le guance di rosso, e gli diede un colpetto sulla spalla.

Gilbert si riappoggiò col gomito sul bracciolo imbottito e rivolse a sua volta un’occhiata scettica ad Alfred. «E gli altri cosa dicono?»

«Be’, loro...» Lo schermo del cellulare s’illuminò dalla tasca di Alfred, aprendo un rettangolo di luce dietro la stoffa dei calzoncini. La suoneria di una chiamata invase l’intero scompartimento.

 

Good morning U.S.A, I’ve got a feeling that it’s gonna be a wonderful day! The sun in the sky has a smile on his face, and he’s shining a salute to the American race!

 

Alfred estrasse il cellulare facendo di nuovo dondolare il ciondolo di Capitan America, e lanciò un’occhiata allo schermo. «Oh, è Arthur.» Ridacchiò. «Deve aver captato che stavamo per parlare di lui.» Si avviò verso il corridoio, sventolò a tutti lo stesso energico saluto con cui si era presentato, e strizzò l’occhiolino. «Ci si becca fra poco!»

Feliciano si tenne aggrappato a Ludwig con un braccio e ricambiò il saluto con la mano libera. «Ciao, Alfred!»

Alfred uscì e i suoi passi si allontanarono verso gli altri vagoni assieme alla suoneria.

 

Oh boy it’s swell to say, good morning U.S...

 

«Arthur, sto arrivando.» Anche la sua voce si fece più lontana e ovattata, sovrapposta alla ritmica corsa del treno sui binari. «No, non mi sono perso, mi ero fermato per... sì, lo so che anche Mattie si preoccupa, adesso infatti sto tornando. Sono lì in tre minuti, promesso.»

Gilbert stiracchiò le braccia sopra la testa e stirò le gambe fino a toccare il sedile di Kiku. Sgranchì le caviglie. «Be’, signori miei.» Batté le mani sulle cosce e si alzò con un balzo. Diede una massaggiata anche alle vertebre della schiena irrigidite dopo le ore di viaggio incollato alla poltroncina. «Penso che anch’io ne approfitterò per andare a dare un’occhiata ai miei consorti.»

Feliciano compì un rimbalzo fra le braccia di Ludwig. «Oh, vai da Eliza e Roderich? Vengo anch’io!» Saltò giù dalle gambe del suo ragazzo e seguì Gilbert fuori dal loro scompartimento. «Spero non si siano annoiati a fare il viaggio senza di noi.»

Gilbert si fermò sulla soglia, interruppe un passo a metà, e spinse le spalle all’indietro per lanciare un ultimo cenno agli altri. «Torniamo in un secondo.» Lui e Feliciano s’incamminarono.

Feliciano strinse le mani dietro la schiena, saltellò sfilando accanto ai finestrini che davano sull’altro lato del treno, sulle altre corsie di rotaie delimitate dalla recinzione attraverso cui si scorgeva comunque la distesa azzurra del porto, i tralicci delle imbarcazioni ormeggiate, la punta del faro, e i tetti dei primi condomini, degli alberghi da cui spiccavano cartelloni pubblicitari e le antenne della tv.

Feliciano sospirò. «Che fortuna che hai avuto.» Saltellò per raggiungere la camminata di Gilbert. «Tu puoi stare in camera con loro e sarete solo in tre. Secondo te in cinque riusciremo a dormire bene? Spero che nessuno si metta a russare.»

Gilbert sollevò un ghigno che gli fece luccicare il rosso delle iridi e affondò i pugni nelle tasche dei pantaloni. «O che Lovi e Toni non si mettano a fare altro.»

Feliciano si nascose la bocca e ridacchiò. «Oh, dai, non dire così anche tu. Lovino è già abbastanza arrabbiato per non avere la camera doppia solo con Antonio. Spero davvero che non stia col muso per tutta la vacanza.»

«Gli passerà, gli passerà» fece Gilbert. «Vedrai che Antonio saprà consolarlo a dovere quando torneremo a casa. Tu, piuttosto...» Chinò la spalla per punzecchiargli il braccio con una soffice gomitata. «Non sei triste per non poter stare solo soletto con Luddy?»

Feliciano intrecciò le dita delle mani davanti al ventre, strofinò le unghie fra le nocche e guardò in basso, celando il rossore che gli aveva spolverato gli zigomi. «Staremo bene, non ti preoccupare.» Sollevò un sorriso tiepido e sincero. «Non è un problema condividere la camera, sarà divertente. Poi sarebbe stato scortese lasciare Kiku da solo, anche se avrebbe comunque potuto unirsi al gruppo di Yao. Ma è il nostro migliore amico, e io voglio passare la vacanza assieme a lui tanto quanto lo voglio con Ludwig. E poi fra due settimane si torna a scuola, e io e Ludwig potremo vederci tutte le mattine in classe e anche i pomeriggi al club e durante lo studio. Avremo un sacco di tempo per stare assieme.»

Gilbert abbassò le palpebre e sospirò a fondo. «Aah, Feli.» Sfilò una mano dalla tasca dei jeans e gli strofinò una carezza fra i capelli castani. «Cos’ha fatto quell’energumeno per meritare uno come te? Ma cos’è questa storia che vi vedrete tutti i pomeriggi?» Gli scoccò una furba occhiata d’intesa. «Che c’è, avete intenzione di approfittare della casa libera solo perché io parto per l’accademia e potrete fare tutte le porcellate che volete senza che nessuno vi disturbi?»

Feliciano compì un rimbalzo e il suo viso si accese come un semaforo rosso. «Eeh?» Il ciuffo cadente sulla spalla si arricciò in una spirale d’imbarazzo.

Gilbert mostrò i palmi con espressione sdrammatizzante. «Niente in contrario, sia chiaro. Basta solo che risparmiate la mia camera e che diate da mangiare a Gilbird ogni giorno. Ma niente semi di girasole, ricordatevelo. Quelli proprio non li sopporta.»

Quella frase passò attraverso il petto di Feliciano come una frecciata e gli strinse il cuore in un’amara e inaspettata fitta di tristezza. Cancellò il rossore sulle guance e appiattì il sorriso fra le labbra.

Entro un paio di settimane, Gilbert non sarebbe più vissuto in quella casa assieme a Ludwig, non lo avrebbero più incrociato nei corridoi della scuola durante la ricreazione, o le ore buche, o i tragitti verso la presidenza per l’ennesima punizione. Lui e Ludwig e Kiku non avrebbero più udito la sua voce o il rumore dei suoi passi durante i pomeriggi trascorsi a studiare da loro. Niente più casse dell’impianto stereo che pompano i Sabaton o i Powerwolf o i Nanowar of Steel – era stato Feliciano stesso a farglieli conoscere, regalandogli un loro album per Natale – a tutto volume, facendo vibrare le pareti delle camere. In cucina non sarebbe più aleggiato il delizioso profumo degli sformati di patate e salsicce che solo lui sapeva preparare e che cucinava sempre durante le cene di gruppo. E anche Gilbird si sarebbe ritrovato solo e triste, senza nessuno a farlo zampettare fra le dita o a farlo svolazzare fuori dalla gabbia come faceva sempre il suo padrone, lasciando che andasse a beccare i semini di sesamo direttamente dalla credenza.

Nel cuore di Feliciano si spalancò un buio vuoto di tristezza che pesò sul petto come un pezzo di piombo. Raffreddò tutto l’entusiasmo che gli aveva infiammato il viso nell’attesa di scendere dal treno e di far cominciare la vacanza.

Feliciano sospirò. Sollevò comunque un tiepido sorriso e rivolse a Gilbert un dolce sguardo già nostalgico della sua rumorosa presenza di cui nessuno riusciva comunque a fare a meno. «Ci mancherai tanto, Gilbert.»

Gilbert intercettò quel sorriso triste, la malinconia riflessa negli occhioni nocciola, e quella nostalgia a ingrigire l’aura attorno a lui. Gli diede una pacca di consolazione. «Ma è per questo che ho intenzione di godermi al massimo questa vacanza, no?» Gli avvolse le spalle e lo attirò a sé, bacchettandolo con la punta dell’indice. «Quindi niente facce tristi e niente piagnistei, intesi? Anche se dal prossimo mese dovrete fare a meno di me.»

Feliciano riacquistò il suo solito sorriso, più splendente di quel sole estivo specchiato fra le onde del mare, e annuì battendo un saluto militare sulla fronte. «Okay!» Sgusciò fuori dall’abbraccio di Gilbert e corse attraverso il corridoio fino allo scompartimento di Roderich ed Elizaveta.

Il treno sorpassò il cartello azzurro che annunciava l’entrata nella stazione e sfrecciò affianco alle prime persone che attendevano sulla piattaforma di cemento. I freni stridettero, la corsa rallentò, e la cittadina di mare accolse il loro arrivo.

 

 

Feliciano abbandonò il borsone sul pavimento – tunf! – compì uno scatto di corsa, spiccò un balzo, e spalancò le braccia per tuffarsi sul letto matrimoniale accostato alla parete di fondo. «Letto prenotato!» Abbracciò uno dei due cuscini, rimbalzò sul fianco, fra le lenzuola pulite, e si rotolò supino stritolando l’imbottitura di piume fra le braccia. Finì sotto la luce proveniente dalla porta-finestra che dava sulla terrazza in giardino. Una luce frastagliata dalle tende ancora tirate e dai riflessi verdi degli alberelli che crescevano rigogliosi attorno allo steccato confinante con le altre camere.

Feliciano si spinse sull’altro fianco, tenendo il cuscino soffocato fra le braccia incrociate, e inviò un’occhiata alla parete opposta della camera da letto, dove era posizionato un altro matrimoniale preparato con le stesse lenzuola color lavanda.  «Oh, ma c’è solo un altro matrimoniale» si lamentò. «E Kiku dove dorme? Ci stringiamo e lo facciamo stare fra me e Ludwig?»

Kiku posò la sua borsa accanto all’armadio e divenne scarlatto, sentendo le orecchie bruciare. «N-non penso sia il caso.»

Ludwig raccolse il borsone che Feliciano aveva abbandonato in mezzo al corridoio – stava intralciando l’entrata – e lo sistemò fra il guardaroba e il tavolino. Si guardò attorno – armadio, sedia, tavolino, due letti matrimoniali, porta vetrata sulla terrazza – e si sporse anche verso la porticina socchiusa del bagno. «Dovrebbe esserci una rete per un letto a una piazza da unire al nostro. Pensavo ce l’avrebbero fatta trovare direttamente in camera, ma a questo punto ci converrà andare a chiederla alla reception.»

Kiku annuì e si sfilò la felpa di cotone leggero che aveva indossato durante il viaggio in treno per non prendersi un colpo di freddo con l’aria condizionata, come Ludwig. «Dovremmo approfittare anche per chiedere dei falò sulla spiaggia.»

«Buona idea.»

Feliciano mollò il cuscino, saltò giù dal letto lasciando le lenzuola sgualcite, e impennò il braccio al soffitto. «Allora vado subito a mettermi il costume!»

Lovino sistemò il suo bagaglio ai piedi dell’altro matrimoniale, affianco alla borsa di Antonio, e lo fulminò con un’occhiataccia. «Feliciano, non osare entrare in bagno per primo. Ci impieghi un’eternità.»

«Ma Lovino» si lamentò lui. «Non posso cambiarmi davanti a tutti.»

Antonio si coprì la bocca e nascose una ridacchiata. «Oh, non è un problema.»

Lovino gli batté una gomitata sul fianco.

Gilbert strinse il suo borsone che teneva ancora a tracolla – non era ancora passato in camera sua per posare il bagaglio – e si guardò attorno. Passò davanti al tavolino affianco al guardaroba e rigirò il deodorante per ambiente posto affianco alla lampada. «Allora lasciamo tutto a voi.» Raccolse il braccio di Antonio, incatenando il gomito al suo, e rivolse una spolliciata a Lovino. «E date retta a Lovi. È lui l’adulto designato quando noi non ci siamo.»

«Perché?» Ludwig richiuse la porticina del bagno e aggrottò un sopracciglio. Nonostante il deodorante per ambienti che profumava di salsedine e di macchia mediterranea, sentì già puzza di guai. «Voi cos’avete intenzione di fare mentre noi saremo via?»

Gilbert si tenne incollato al fianco di Antonio, sollevò un indice e fece per rispondere tenendo le spalle larghe in quella solenne posa da adulto.

Una voce cinguettante li chiamò dalla soglia ancora aperta della camera. «Toc, toc.» Francis si sporse facendo ricadere una ciocca bionda sulla guancia e sventolò un saluto tenendo l’altro braccio piegato dietro la schiena. «I signori Beilschmidt e Fernandez Carriedo sono in casa?»

Antonio si sfilò dalla stretta di Gilbert e lo salutò anche lui sventolando la mano sopra la testa. «Ehiii, stavamo giusto per mandare via i marmocchi.»

A Lovino scoppiò una vena in fronte. «I cosa, prego?»

«I piccoli.» Gilbert raccolse le spalle di Ludwig – dovette mettersi in punta di piedi –, lo fece girare e gli diede un paio di spintarelle per condurlo fuori dalla porta. «Su, su, andate a divertirvi e a fare i castelli con la sabbia, ché i grandi hanno altre faccende da sbrigare.»

Ludwig lo squadrò di traverso. «Quali faccende?» L’olezzo di bruciato e di cattivo presentimento non era ancora sparito da sotto il suo naso.

«Ciao, Francis!» Feliciano saltò affianco a Francis e gli sorrise, circondato dalla sua solita aura di allegria nella quale sbocciavano fiorellini e scoppiettavano cuoricini rossi. «Com’è andato il viaggio? Avete visto il mare dal finestrino? Alfred è passato da noi e ci ha detto che avevate la cabina sull’altro lato ed è un peccato perché dai binari si vedeva tutta la laguna, e alla stazione vi ho cercato anche quando siamo scesi, ma era pieno di gente, e hai visto che ci siamo aggiunti sul gruppo di WhatsApp?»

Francis sospirò, sorrise sconsolato ma intenerito – aveva perso il filo già alla seconda domanda – e gli diede una strofinata ai capelli sempre tenendo l’altra mano nascosta dietro la schiena. «Ciao, Feli. Quanto sei caruccio, oggi.»

«E quanto avete intenzione di tenere la camera occupata, si può sapere?» sbottò Lovino, le braccia annodate al petto e la punta del piede a picchiettare sul pavimento.

Antonio si sfilò le scarpe, lanciandole sotto il letto, e indossò le ciabatte di cuoio marrone che aveva appena tirato fuori dalla sua borsa. «Vi raggiungiamo presto, promesso.» Posò una mano sul capo di Lovino e si chinò a sorridergli. «Tu mi prometti di tenere a bada tuo fratello e gli altri? Solo per qualche ora.»

Lovino arricciò la bocca, tenendo il viso imbronciato. Picchiettò di nuovo il piede sul pavimento, strinse le mani aggrappate alle braccia incrociate, e soffiò un piccolo sbuffo. «Uhmf.» Distolse gli occhi, sciogliendosi davanti allo sguardo più tenero e accattivante di Antonio che riusciva sempre a spazzare via le sue nuvolette di malumore. «D’accordo.»

Antonio gli scostò le ciocche della frangia e gli posò un bacino sulla fronte. «Bravo il mio Lovi.»

Gilbert acchiappò Antonio per il bavero della maglietta e lo tirò indietro. «Okay, okay, basta pomiciare. Avete tutta la vacanza per farlo.»

Lovino digrignò i denti. «Veramente...»

«Divertitevi in spiaggia!» Gilbert trascinò fuori Ludwig che si premurò di portarsi dietro Feliciano e Kiku aggrappati alle sue braccia, punzecchiò anche Lovino con una serie di spintarelle, e richiuse la porta della camera. Si girò ad accasciarsi sull’anta, le braccia distese sui fianchi e la nuca reclinata, e soffiò un lungo sospiro di sollievo. «Dio, finalmente.»

Una scintilla di anticipazione attraversò gli occhi di Antonio. Si girò a lanciare a Francis uno sguardo d’intesa velato da un’ombra di mistero e segretezza. «Le hai portate?»

Francis ricambiò il sorriso da mascalzone. Sfilò la mano da dietro la schiena ed esibì il pacco da sei bottiglie di Corona. «Portate, portate.» Scosse la confezione. Gocce di condensa rotolarono attraverso il vetro delle bottiglie ghiacciate e percorsero le etichette plastificate. «Ancora fresche di frigo.»

Gilbert si rialzò dalla porta, impennò il braccio e distese un sorriso ingolosito. «Prendo il cavatappi!»

Antonio andò a spalancare le tende e ad aprire le porte vetrate che davano sulla terrazza. «Sistemo le sedie in veranda.»

«E dai anche una pulita al tavolino.» Francis estrasse qualcos’altro dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo mostrò agli altri due. Una vecchia confezione di carte da Uno, consumata agli angoli, e con rughe biancastre ad attraversare il disegno del mazzo di carte colorate sulla parte frontale del pacchetto. «Godiamoci degnamente la meritata ricompensa per tenere a bada questa banda di marmocchi.»

 

 

Antonio lanciò la sua carta, un tre rosso, sul mazzo accumulato al centro del tavolino in veranda, coprendo il sette rosso che aveva giocato Francis prima di lui. Si abbandonò contro lo schienale della seggiola e continuò a scavare nei ricordi del racconto risalente all’inizio dell’estate, e non riuscì a trattenere una risatina di tenerezza. «E insomma io faccio le scale, lascio Lovino al piano di sotto perché avevamo comprato le brioche per fare una sorpresa a Feli, dato che lo avevamo lasciato solo e pensavamo di farci perdonare portandolo anche a pranzo fuori.» Sorseggiò dalla sua bottiglia di Corona già mezza vuota. «Apro la porta, non faccio nemmeno in tempo a mettere naso nella camera che – bang!» Sbatté la bottiglia sul tavolino e sventolò il suo mazzo di carte. «Abiti per terra, letto disfatto con le lenzuola tutte sul pavimento, Ludwig vestito solo con i jeans, e Feli con una camicia di tre taglie più grande che cercava di spingerlo nell’armadio. E per terra c’era anche la bustina del preservativo.» Indicò il pavimento di legno sempre con le carte fra le dita. «Io lo vedo e faccio: “Ehi, quella non è la bustina di un preservativo?” Lud e Feli avranno cambiato colore dieci volte in faccia, avreste dovuto vederli. Sembravano una tavolozza.» Accavallò le gambe, reclinò il capo godendosi il tepore dei raggi di sole che gli solleticavano le guance e la punta del naso, e assaporò la dolce e fresca brezza che soffiava sulla veranda e attraverso i suoi capelli, cullato dalla sensazione estatica e ovattante birra che gli stava già salendo alla testa. Inspirò quella frizzante e speziata aria di mare, di sabbia, dei sorbetti alla frutta che vendevano nella gelateria dietro l’angolo, e il profumo più intenso e muschiato dei pineti, dei mirti e dei ginepri che crescevano lì attorno, nel piccolo giardino confinante con la stradina che conduceva alla spiaggia. Un profondo senso di pace lo pervase, dandogli l’impressione di trovarsi già a galleggiare fra le onde del mare, a bagnarsi la pelle di sole. «Se non è palese questo.»

Francis si pettinò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e rise a sua volta. «Quanto avrei voluto assistere. Che dolci angioletti. Situazioni del genere mi suscitano sempre una tenerezza infinita.»

Gilbert alzò gli occhi e fece schioccare la lingua fra i denti. Fece sfilare il tocco fra le sue carte, indugiò fra un cinque rosso e un Cambio Colore +4. «Che ingrato traditore» commento, scocciato. «Lud non mi ha nemmeno detto nulla.» Buttò giù il cinque e tracannò voraci sorsate dalla sua birra. «E il giorno prima gliel’avevo anche chiesto.» Scollò il vetro dalle labbra con uno schiocco e tese l’indice su Antonio. «Ovvio che avevo capito che sarebbe successo, che avrebbe passato la notte da Feli per fare ciaf-ciaf e non per giocare con i soldatini. Gli avevo chiesto se gli servivano preservativi – glieli andavo a comprare io – ma lui ha fatto tutto lo scontroso, mi ha sbattuto la porta in faccia e si è rinchiuso in camera.»

Antonio risollevò il capo e inarcò un sopracciglio. «Gilbert, chi mai andrebbe dal proprio fratello a chiedere di comprare preservativi?»

Francis si strinse nelle spalle, si fece aria con le carte e scrutò il suo mazzo – ne aveva sei. «Chiedere al proprio fratello è un conto. Chiedere a Gilbert è un altro. Nemmeno io avrei corso il rischio.» Pescò una nuova carta dal mazzo ribaltato – un otto giallo – e lo aggiunse al mazzo. «Passo.»

Gilbert scosse il capo e rise premendosi la mano sulla fronte. «Mi sto ancora chiedendo da chi li abbia presi. Uno come Luddy non avrebbe mai coraggio di andare a comprarli, dai.»

Francis gli lanciò un’occhiata di rimprovero. «Guarda che non c’è niente da vergognarsi. E comunque...» Raccolse la sua bottiglia umida di condensa – beveva per solidarietà, lui detestava la birra – e la fece oscillare. «Ci sono sempre i distributori automatici.» Prese un piccolo sorso.

Antonio assottigliò le palpebre, aguzzò lo sguardo sulle sue carte, torse un angolo delle labbra e si strinse il mento, pensieroso. «Uhm.» Fece tamburellare le dita sul tavolino di ferro. Le rilesse tutte un’altra volta e scelse un +2 rosso, gettandolo nel mazzo.

Gilbert gli lanciò una breve occhiata assassina, giurando mentalmente vendetta, ma pescò le sue due carte e le aggiunse al mazzo. «Secondo me Luddy si è fatto accompagnare da Kiku e ha mandato lui in cassa a comprarli, standosene a sorvegliare la situazione dal fondo della farmacia.» Scosse il capo. «Non ce lo vedo proprio ad andare assieme a Feli. E non riesco nemmeno a immaginare Feli che trotterella da solo, tutto innocente e puccioloso, andandoli a comprare come se fossero caramelle.» Gettò un Cambio Colore. «Cambio giallo.» Francis fece la sua mossa, e Gilbert rivolse a entrambi un’occhiata incerta e titubante. «Voi li vendereste mai a Feli?» Si posò la mano sul petto, sul ciondolo a forma di croce di ferro. «Io mi sentirei sudicio nell’anima, avrei l’impressione di essere complice di un crimine nell’intaccare il suo candido animo innocente.»

Francis se la rise e sventolò il suo mazzo di carte davanti al viso, scuotendo le ciocche di capelli che gli cadevano sulle spalle. «Io non direi per niente. Feli fa tanto il visetto dolce e innocente davanti a tutti, ma secondo me a letto è un maiale.»

«Già, ci pensate?» Antonio sgranò gli occhi. La faccia di colpo grigia e sconvolta. «Feli non è più vergine.» Buttò un Cambio Giro.

«Be’, tanti auguri a Ludwig.» Francis esaminò le sue carte e sollevò un sopracciglio. Una scintilla di concentrazione guizzò attraverso le iridi azzurre. «Se non avesse avuto uno come Feli e se non si fossero innamorati a vicenda, probabilmente si sarebbe portato la verginità nella tomba.»

«Ehi!» Gilbert gli ringhiò addosso. «Vacci piano, è del mio fratellino che stiamo parlando. Solo io posso sparare merda su di lui.»

Francis lo ignorò. Soffermò il tocco su un Cambio Colore +4 e i suoi occhi scintillarono. Giocò la carta.

Gilbert ebbe un sussulto, ma durò poco. Ghignò anche lui, attraversato da un bruciante fremito di vittoria, e gettò a sua volta il suo Cambio Colore +4. «Suuucchiamelo

Antonio cacciò un gridolino di panico. «Aah! No, no, fermi, aspettate.» Toccò ogni sua carta, pescò il +2 giallo, e lo buttò sopra l’infame carta nera.

Gilbert aggrottò la fronte. «Ma che...» Pigiò l’indice sul mucchietto di carte. «Non puoi buttare giù un Più Due

«Ma è giallo» protestò Antonio. «Ed è comunque un Aggiungi Carta

Anche Francis assecondò Gilbert. «Ma le carte devono essere uguali per essere sovrapposte.»

«Ma con Lovi vale» frignò Antonio. «Quando gioco con lui questa mossa vale.»

Gilbert pescò otto carte dal mazzo ribaltato e gliele passò senza sbirciarle. «Si cucchi le sue otto carte, signore.»

Antonio piagnucolò ancora qualche breve protesta a fior di labbra, gli occhi lucidi di disperazione, e aggiunse le carte al mazzo che ora faceva fatica a tenere in mano. «Che colore?»

«Blu.»

Antonio buttò giù un otto blu e passò il turno.

Francis pinzò un nove blu dal suo mazzo, senza sfilare la carta, e diede una piccola spallata ad Antonio, rivolgendogli un sorrisetto di striscio. «Tu invece vai a comprare da solo la merce che scotta?» Giocò il nove.

«Sì» annuì Antonio. «Lovi di solito si vergogna. Ma a me non disturba, lo faccio volentieri.»

«Che palle» si lamentò Gilbert. «Tutto questo macello di Lud e Feli ci sta distraendo troppo, diavolo.» Buttò anche lui una carta blu in cima al mazzo e ammiccò in direzione di Antonio. Gli occhi rossi luccicarono come perle di sangue, avidi di aspettativa. «Non ci hai ancora raccontato cos’avete fatto tu e Lovi la sera della festa.»

Nonostante la batosta da otto carte aggiunte al mazzo, sulle labbra di Antonio ricomparve un piccolo sorriso, assieme a una spolverata di rossore sulle guance. «Ve l’ho detto.» Buttò una carta. «Abbiamo cenato.»

Anche Francis gli rivolse un guizzo con le fini sopracciglia bionde e imitò lo stesso sguardo malizioso di Gilbert. «E poi?» Carta.

Antonio raccolse la sua bottiglia di Corona, fece oscillare la birra avanzata, e rivolse lo sguardo sognante al cielo soleggiato che splendeva sulla veranda, fra i rami dei rampicanti profumati. Sospirò. «Poi abbiamo preparato assieme i pancake e la salsa di cioccolato fatta in casa.»

Gilbert aggrottò un sopracciglio, sempre più impaziente. «E poi?» Gettò uno Stop. Di nuovo il turno di Francis.

Antonio avvolse le guance fra i palmi e continuò a sorridere, a rimanere avvolto in quell’atmosfera soffice e smielata come una distesa di zucchero filato rosa. «Poi abbiamo guardato Adventure Time mangiando sia i pancake che il gelato che aveva portato Lovino.»

Gilbert sbuffò e fece roteare lo sguardo. «Sfigati.» Prese la sua bottiglia di Corona e tracannò un altro paio di sorsi.

Francis piegò il gomito sul tavolo, stando attento a non urtare le birre e il mazzo di carte già giocate, e si sporse verso Antonio. «E poi?»

«E poi anche le televendite» rispose lui. «Quelle che fanno di notte dopo i talk show e i reality.»

Gilbert si sfilò la bottiglia dalla bocca e si soffocò con un sorso di birra andato di traverso. «Le cos – le televendite?» Batté le mani sul tavolino e fronteggiò Antonio a occhi sgranati, allibiti. «Ma siete scemi?»

«No, ci divertiamo!» Antonio abbassò le palpebre e tornò a esibire un’espressione pacifica e beata. L’espressione di chi si trova a saltellare fra le nuvolette del paradiso, circondato da spirali di cuoricini e da cascate di fiori colorati. «Ci piace guardare i prodotti e immaginarci cosa faremmo se li avessimo anche noi. Sai, le macchinette per fare lo yogurt, le pentole dove ci puoi cucinare di tutto senza che si attacchi niente, i set di cuscini, le poltrone massaggiatrici. Poi ci piace immaginare che tipo di vita avremmo se avessimo tutti quei prodotti assieme, e ogni volta ce ne costruiamo una diversa. Un giorno io e Lovi vivremo una casa con una piscina con l’idromassaggio e i materassini gonfiabili. E avremo anche un portico dove coltiveremo le spezie, e avremo anche uno di quei cosi per fare le centrifughe di frutta e di verdura, e – oh, la stanza cinema con il megaschermo! Poi avremo una cucina di quelle con il bancone al centro e le sedie alte girevoli, e un freezer enorme con uno scompartimento solo di gelati che sarà pieno tutto l’anno, poi una mansarda super mega gigantesca dove faremo le feste e appenderemo delle lampade che saranno come delle lanterne, e avremo anche una mini palestra con il...»

«Mio. Dio.» Gilbert scosse il capo, amareggiato, e non lo lasciò finire. «Non so nemmeno perché continuo a uscire con voi due.» Giocò un’altra carta. «Che palle! Voglio dettagli sul culo di Lovino non sul set di pentole!»

«Scordatelo.»

Francis nascose una ridacchiata dietro il dorso della mano e si sporse a bisbigliare sopra la spalla di Antonio. «Gilbert brama di scoprire i dettagli solo perché lui non ha ancora avuto esperienza diretta sul campo.»

La faccia di Gilbert divenne di pietra, le unghie stridettero sul vetro bagnato della Corona, e il suo cuore batté un palpito fitto e pesante come una martellata di piombo.

Francis pescò una carta dal suo mazzo, la usò per sventolare un po’ d’aria sulle guance già rossicce d’alcol, e gli rivolse una fine occhiata saccente. «Come ci si sente a sapere che tuo fratello minore ha perso la verginità prima di te?» Buttò la carta nel mucchio.

Gilbert si morse il labbro, assorbendo il sapore amarognolo di schiuma di birra, e gettò gli occhi in disparte. Fece uno sbuffo e tirò su il mento, gonfiando un sorriso noncurante. «Dovrebbe turbarmi?»

Francis si strinse nelle spalle. «Be’, sai...» Si pettinò una ciocca dietro l’orecchio. «Hai appena finito le superiori e sei ancora vergine. E se persino uno come Ludwig ci è arrivato prima di te...»

«Già, Gil!» Antonio gli scagliò l’indice contro. Trasse un sospiro scandalizzato che rese il suo viso più buio. «Non si può arrivare alla fine delle superiori ed essere ancora vergini, è tipo la sacra morale di American Pie

Francis si schiaffò una mano sulla fronte. «No, imbécile. La morale di American Pie è che devi fare sesso solo quando ti senti pronto per fare sesso. L’età o l’anno scolastico non c’entrano niente.»

«Ma alla fine lo hanno fatto comunque tutti e quattro durante la festa di fine anno!» ribatté Antonio. «Quindi che senso avrebbe quel film?»

Gilbert gli rise dietro. «Non puoi basare la tua morale sui film!»

«E tu non puoi accettare così alla leggera il fatto di essere ancora vergine!» Lo sguardo di Antonio tornò mortalmente serio. «Lo sai che è scientificamente provato che quelli che finiscono la scuola da vergini rimangono soli a vita?»

«Ma che...»

«E pensa a cosa succederà ora che andrai in accademia!» Antonio sgranò gli occhi e impallidì di terrore. Un brivido viscido e freddo come un cubetto di ghiaccio gli discese la schiena. «Se quelli scoprono che sei vergine ti sfonderanno come un materasso, organizzeranno le orge nei bagni e ci sarà anche un buttafuori che ritirerà i biglietti di quelli che vogliono partecipare, metterà i timbri sulla mano, e...»

«Piantala!» Però un brivido di panico e disgusto fulminò anche Gilbert. Gli ghiacciò il sangue nonostante il calore del sole a battergli sul viso e sulle braccia nude. Gilbert pescò una carta dal mazzo al centro, la sventolò per scacciare la vampata di sudori freddi e per far sfumare via quell’immagine dalla testa. Soffiò un borbottio da sbruffone. «E poi chi vi dice che io sia ancora vergine?»

Francis rise. «Oh, andiamo, Gilbert. Se fosse già successo ce l’avresti detto, lo avresti sbandierato ai quattro venti.» Giocò la sua carta e indicò Antonio con il pollice. «Ti ricordi quando Antonio e Lovino lo hanno fatto la prima volta?»

Gli occhi di Antonio tornarono dolci e sognanti, due cuoricini pulsanti fra le palpebre. «Io sì.»

«Ecco» considerò Francis. «Non ha fatto altro che parlarne per una settimana. E tu sapresti essere ancora più irritante.»

Gilbert si mise a braccia conserte e piantò un muso da offeso. «Be’, guarda che non sarei comunque l’unico ad aver finito la scuola e a essere ancora vergine.» Socchiuse gli occhi, si guardò alle spalle, oltre il confine della veranda, oltre le siepi che delimitavano il giardino, oltre la stradina che scorreva fra gli altri condomini, verso la linea di mare da cui arrivavano gli scrosci delle onde e le risate schiamazzanti dei ragazzi che si erano già precipitati in spiaggia. Si nascose le labbra e torse un sorriso aguzzo e malefico che gli accese gli occhi di rosso. «Secondo me anche Arthur lo è ancora.»

Francis sgranò le palpebre, compì un piccolo rimbalzo sulla sedia, come se avesse preso la scossa, e si nascose dietro il suo mazzo di carte.

Antonio guardò in alto, fece tamburellare fra le labbra la bocca della bottiglia, e stropicciò la stessa smorfia pensosa che aveva mostrato prima mentre sceglieva quale carta giocare. «Uhm.» Annuì. «Sì, effettivamente anche secondo me lo è.»

«Vero, no?» Gilbert sorseggiò dalla sua birra. «Anche se sta con Alfred da mesi, Arthur dà l’idea di uno che te lo fa sudare. È così scorbutico, per me non si lascia nemmeno palpeggiare.»

«No. Arthur...» Francis strinse un pugno davanti alla bocca e tossicchiò tenendo gli occhi distanti, l’aria vaga. «Arthur non è vergine, ve lo assicuro.»

Gli sguardi di Gilbert e Antonio schizzarono su Francis, le loro bocche mute e le espressioni congelate.

Antonio rizzò un sopracciglio, già sentendo un formicolio di sospetto prudere dietro la nuca. «E tu che ne sai?»

«Be’...» Francis tenne gli occhi distanti – gesto così raro da parte sua – e si strofinò la nuca, impacciato e vulnerabile. «Una volta, fra di noi...» Si morse il labbro e mozzò la frase a metà.

Gilbert e Antonio sbiancarono e spalancarono le bocche. Si guardarono fra loro, sbatterono più volte le palpebre, come in preda a un miraggio, e tornarono su Francis.

«Stai scherzando?» esclamò Gilbert. «Lo...» Lasciò il suo mazzo di carte, sbatté le mani sul tavolino e si gettò col viso a una piuma dal suo naso. «Lo avete fatto?»

Antonio non diede nemmeno tempo a Francis di rispondere, imitò la stessa faccia scandalizzata di Gilbert e lo stesso tono incredulo, quasi offeso. «E non ci hai detto niente?»

Francis sospirò, abbassò le palpebre in un gesto sconsolato, e corrugò la fronte. «Sentite.» Appoggiò il suo mazzo di carte, tenendole coperte verso il basso, e mostrò i palmi, di nuovo serio. «A mia discolpa posso dire che è successo prima che si mettesse con Alfred. Arthur pensava che Alfred lo avesse già fatto, allora è venuto da me, mezzo disperato, e mi ha detto: “Non posso mettermi con uno più giovane di me ed essere vergine mentre lui non lo è. Devi insegnarmi qualcosa in modo da non fare figuracce”. E allora ci siamo fatti un po’ prendere la mano. Ma è stato prima che si mettesse con Alfred» sottolineò di nuovo. «Quindi teoricamente non ha mai tradito nessuno e io non sono stato complice di un crimine.»

Antonio richiuse la bocca, cancellandosi dalla faccia quell’espressione da beota, e l’ombra attorno ai suoi occhi assunse una sfumatura amareggiata. «Non ce lo avevi mai detto.»

«Perché sarebbe dovuto rimanere un segreto. In teoria.»

Gilbert fece scivolare il gomito contro di lui, spremette la spalla sulla sua, e ammiccò, di nuovo ghignante e fremente di curiosità. «E com’è stato armeggiare con Mister Sopracciglio?»

Francis alzò lo sguardo al cielo. «Imbarazzante. Orribile.» Pescò dal suo mazzo la carta dello Stop e la gettò nel mucchio al centro. Prese un sorso della sua birra e si strinse nelle spalle. «In realtà sarebbe anche potuta essere una bella esperienza, dato che voglio tanto bene ad Arthur e che effettivamente lui mi piace, ma si capiva che lui lo stava facendo solo per Alfred, e si capiva anche che mentre lo stava facendo con me pensava a lui. Poi non siamo riusciti a guardarci in faccia per una settimana.» Piegò il gomito sull’orlo del tavolino e raccolse la guancia nel palmo. Sospirò. Sulle labbra sbocciò di nuovo un sorrisetto divertito. «E la cosa più comica in tutto questo è che Alfred era comunque vergine, quindi Arthur si è pentito ancora più di me perché ha perso l’occasione di consumare la prima volta con lui.»

Gilbert sollevò un sopracciglio. «Esilarante.»

Gli occhi di Antonio invece brillavano come smeraldi, affascinati. «E loro due lo hanno già fatto?»

«No» rispose Francis. «Be’, circa. In realtà mi ha raccontato che lo scorso mese è successo che...» Scosse il capo e tagliò la conversazione con un gesto della mano. «Sentite, non sono affari nostri. Andate a chiederlo ad Arthur se ci tenete tanto. O ad Alfred.»

Gilbert tirò su uno dei suoi migliori sorrisi da idiota. «Be’, Francis, se ti offri spontaneamente di fare da nave scuola...» Gettò un +2 blu e si accostò a Francis, allacciò il braccio al suo e gli sfiorò l’orecchio con le labbra. «Allora potresti anche cederti a me. Tanto a te va bene sia sotto che sopra, no?»

Quel pensiero si materializzò in una nuvoletta bianca e fluttuò sopra la testa di Antonio. Antonio arrossì. Scosse più volte il capo e agitò le dita nella nuvoletta per dissolvere quelle immagini indesiderate.

Francis aprì una mano sulla faccia di Gilbert se lo scollò di dosso. «Te lo scordi» rispose con tono grave, lapidario. «Non farò mai più una cosa del genere.» Pescò dal suo mazzo capovolto le due carte che gli spettavano e ammorbidì lo sguardo. Anche attorno a lui fiorì un’aria sognante, profumata delle erbe e dei fiori mediterranei che riempivano il giardino. «Senza contare il fatto che ora c’è Matthew. Non potrei mai andare con qualcun altro.»

«Ma non state ancora assieme, dai.»

«Ma sono in piena fase corteggiamento.» Francis si posò la mano sul petto, sollevò il mento mostrando una posa solenne. «Ho un impegno con lui e con me stesso, e non potrei mai tradire i miei principi morali.»

Antonio sbatacchiò le palpebre, perplesso. Fase corteggiamento? Sopra di lui si gonfiò una nuova nuvoletta bianca. Questa volta, al suo interno, comparve l’immagine di Francis vestito con vaporoso abito azzurro, tutto pizzi e volant, e con una pelliccia di piume attorno alle spalle. La miniatura di Francis spalancò le braccia esibendo le piume, compì un paio di piroette e danzò attorno a Matthew, come un pappagallo durante il corteggiamento. Davanti a lui, Matthew lo ammirava con gli occhi luccicanti, incantati dalla danza delle piume, e batteva le mani, contento come un bimbo. Antonio si tappò la bocca, s’infiammò fino alle orecchie e soffocò una risata, strozzandosi con il suo stesso fiato.

Gilbert sventolò la mano verso Francis, sdrammatizzante. «Pfft» ridacchiò. «Tu prendi queste cose troppo seriamente.»

«Certo che prendo queste cose seriamente.» Francis si appoggiò sul gomito, posò il mento sulle nocche, affilò un sorriso ammaliatore, e socchiuse le lunghe ciglia da cerva. I suoi occhi azzurri luccicarono di furbizia. «Ecco perché io non sono più vergine mentre tu lo sei.»

Antonio spalancò gli occhi e staccò la mano dalla bocca per trarre un lungo sospiro di scherno. «Ooh!»

Gilbert si morsicò l’interno del labbro, spezzò il sorriso, e stritolò il pugno sul tavolino fino a ficcarsi le unghie nel palmo. Il senso di vergogna e di sconfitta salì a sfrigolare fino alle punte dei capelli.

Antonio gli scagliò l’indice contro. «Sfondato, Gil!» rise. «Come un materasso durante un’orgia! Aspetta, aspetta, devo fare una cosa.» Posò le sue carte e tirò fuori il cellulare dai pantaloni. Si mise a smanettare. Il sorrisino sempre lì. «Francis, ridi’ la frase.»

Francis lo squadrò di traverso. «Toni...»

«Ridilla!»

Francis fece roteare lo sguardo, sospirò, e tornò a poggiare il mento sulle nocche. «Ecco perché io non sono più vergine mentre tu lo sei.»

Antonio portò il cellulare dietro la testa di Gilbert e fece partire la parte corale di For the Damaged Coda. Fece oscillare il cellulare soffocando gli sghignazzamenti dietro la mano libera.

Gilbert allontanò il cellulare di Antonio dall’orecchio e strinse più forte il pugno, fino a sentire le falangi scricchiolare, sopprimendo al suo interno la tentazione di stampargli un cazzotto sul naso. «Ah ah, divertente, Toni, davvero.»

Antonio spense la musica e annuì. «Ovvio che sono divertente. Lovino lo dice sempre.» Si posò l’indice sulle labbra. «E col tuo stesso tono di voce, poi.»

Francis lo squadrò con un’occhiata ambigua.

Gilbert si diede una spolverata alle spalline nere della maglietta, si ricompose, si rivestì del suo solito atteggiamento pomposo e arrogante, e si posò la mano sul petto, sul muso di Mister Pickles disegnato dentro il pentacolo capovolto e sanguinante. «Tanto io non ho bisogno di Francis per perdere la verginità. Qualsiasi persona al mondo vorrebbe venire a letto con me. E poi...» Circondò con un braccio le spalle di Antonio, lo attirò a sé, e gli diede una spremuta alla morbidezza delle guance. «La risposta a tutti i miei problemi è proprio qui affianco a me.»

Antonio sobbalzò e sgranò le palpebre, già attraversato da un brutto presentimento che fu come una coltellata allo stomaco. «I-io?» balbettò, soffocato dalle dita di Gilbert strette sulle sue guance.

Gilbert annuì. Gli tolse le dita dalla faccia, gli afferrò le spalle, stringendo una presa salda, e lo guardò dritto negli occhi. «Toni.» L’espressione più seria che mai.

Antonio s’impietrì. Sudò freddo, brividi gelati risalirono la schiena, i suoi occhi impauriti non riuscirono a scollarsi da quelli così rossi, intensi e ipnotici di Gilbert. Oh, no, e adesso che faccio? Non voglio andare a letto con Gilbert, ma se me lo chiede con quegli occhi come faccio a rifiutare? Poi è pur sempre un favore al mio migliore amico, non so se avrei mai cuore di dirgli di no e anche se si trattasse di...

«Mi presti Lovino?»

La faccia di Antonio divenne nera di colpo, come se il sole che picchiava in giardino fosse morto, come se una vampata di gelo siderale avesse congelato il venticello estivo, come se tutte le foglie fossero cadute dagli alberelli e come se tutti i fiori fossero marciti dai cespugli.

Antonio s’impennò dalla sedia facendone stridere le gambe sul pavimento, artigliò la maglietta di Gilbert, lo tirò contro di sé, e lo trafisse con occhi in fiamme che avrebbero potuto liquefargli il cervello. Attorno a lui si accese un’iraconda vampata di fuoco. «Avvicinati a Lovino», stritolò il pugno fino a far pulsare le vene fra le nocche sbiancate e fino a sollevare lo schiocco delle falangi contratte, «provaci a toccarlo anche con un dito, e ti spedisco su Yugopotamia a mangiare letame per il resto dei tuoi giorni. E non sto scherzando, Gilbert.»

Francis levò gli occhi al cielo con un sospiro, e si sporse a stringere il polso di Antonio e spingere all’indietro le spalle di Gilbert. «Ehi, ehi, calmi, voi due.»

Gilbert però sorrise in faccia ad Antonio, distese uno dei suoi aguzzi ghigni da sbruffone, e continuò a fronteggiarlo senza paura quegli occhi di fuoco che avrebbero potuto incenerirlo. «Ma su Yugopotamia verrei trattato come un prigioniero, quindi non mi farebbero mangiare letame, ma dolci e cioccolata. Quanto sei ignorante, Toni. Smettila di essere così ignorante. Ti metti in ridicolo da solo.»

Francis staccò il pugno di Antonio dalla maglietta di Gilbert. «D’accordo, grazie per l’esaustiva lezione antropologica.» Spinse sulle spalle di entrambi e li costrinse a ricadere sulle seggiole di vimini. «Ma ora mettetevi giù tutti e due.»

Antonio tenne la fronte aggrottata, quella saetta omicida a sfrigolare dai suoi occhi puntati su Gilbert. Acchiappò la sua bottiglia di Corona e tracannò una sorsata per placare i gorgoglii di rabbia che gli stavano ancora ribollendo nel sangue e battendo sulle tempie.

Francis scivolò accanto a Gilbert, premendo la spalla sulla sua, e lo tirò a sua volta per il bavero della maglietta, sfiorandogli la fronte. «Sei scemo a dirgli una cosa del genere?» bisbigliò. «Vuoi farti ammazzare?»

Gilbert sbuffò. Si strappò il suo tocco di dosso e si mise a braccia conserte. «Almeno io saprei andare dritto al sodo e non passerei la sera a guardare le televendite o Dora l’Esploratrice.»

Antonio sbatté la bottiglia sul tavolo. «Era Adventure Time

Francis rise. «Sì, effettivamente questa sua abitudine è davvero...» Si appoggiò col mento sulle nocche, fece scivolare su Antonio un’occhiata più fine, e strizzò l’occhiolino. «Inaccettabile

Antonio afferrò la battuta al volo. Gli tornò il sorriso, «Ah!», e le fiamme di rabbia si spensero come se Francis gli avesse rovesciato addosso un bicchiere d’acqua fresca.

Ripresero a giocare, finirono di scolare le birre che seppero acquietare gli animi. Altre carte si accumularono nel disordinato mazzo al centro, mentre quello capovolto divenne più sottile man mano che i turni passavano.

La leggera e piacevole brezza estiva soffiò attraverso il giardino su cui affacciava la veranda, spanse il forte e mieloso profumo di arbusti, delle aiuole in fiore e dei rampicanti che rivestivano le facciate bianche degli appartamenti. Tre ragazzini vestiti in costume si rincorsero attraverso la stradina, ridendo, battendo sulle pietre le ciabatte da spiaggia incrostate di sabbia, e facendo rimbalzare una palla gonfiabile fra i piedi. Dalla spiaggia giunse il trillo del furgoncino dei gelati che stava passando sul bagnasciuga. Seguirono i gridolini di gioia di quelli che accorsero uscendo dalle onde o dal riparo degli ombrelloni, e a Gilbert parve di riconoscere le esclamazioni di gioia di Feliciano e di Alfred.

Antonio, nonostante la fucilata da otto carte che aveva incassato nei turni precedenti, era rimasto con sole tre carte nel mazzo. Riprese il discorso. «Non capisco quale sia il problema, Gilbert.» Esaminò le sue tre carte ma pescò dal mazzo. «Chiedi a Roderich, no? O a Eliza.» Si portò una mano alla bocca per nascondere un sorrisetto di perfidia che gli tinse le guance di un rosso acceso. «Oppure loro si sono messi assieme a tua insaputa?»

Quel pensiero sfondò il ventre di Gilbert come un pugno di ghiaccio. Gilbert pietrificò il tocco delle dita sulle sue ultime carte, a sfioro di un tre rosso. Rabbrividì e fulminò Antonio da dietro il mazzo. «No che non si sono messi assieme!» Si spinse il pollice sul petto, sulla croce di ferro che gli pendeva dal collo. «Noi tre non potremmo mai metterci con uno di noi, sarebbe uno scandalo, sarebbe un crimine.» Sfilò il quattro giallo dalla sua mano e lo gettò sul mazzo al centro. «Sarebbe come... Uno!» Abbassò la fiammata d’entusiasmo, si ricompose, rigirando l’unica carta che gli era avanzata, e sventolò le dita per scacciare quel pensiero. «Sarebbe come tradire automaticamente l’altro.»

Francis flesse il capo di lato e gli rivolse un’occhiata tutta luccicante di aspettativa. «Allora potreste fare tutti e tre assieme. Vi insegno io, se vuoi.»

Antonio si diede una grattata dietro l’orecchio e guardò in alto, di nuovo scavando in cerca di una soluzione nelle sue nuvolette immaginarie. Un ronzio di confusione a vorticargli attorno alla testa. «E come farebbero a incastrarsi?»

«Guardate che io sono in grado di perdere la verginità quando e come voglio.» Gilbert strinse il pugno sul tavolino. I suoi occhi si accesero di combattività. «Non ho bisogno di chiedere il permesso di nessuno.»

Francis sollevò un sorriso ammiccante. «Allora facciamo una sfida. Tu, Monsieur Gilbert Beilschmidt, dovrai perdere la verginità prima della fine della vacanza.» Abbassò il tono. «Altrimenti...»

Gilbert trattenne il fiato, come se si fosse trattato di rimaner immobile su una sedia fatta di spilli. «Altrimenti?»

Francis gli scagliò l’indice addosso, sfiorandogli la punta del naso. «Vergogna a vita!»

Anche Antonio si unì alla cagnara, e il suo animo già fremette all’idea. «Ti prenderemo in giro per il resto della tua esistenza, e persino al tuo funerale.»

Gilbert si stravaccò sulla seggiola di vimini, si fece aria con l’ultima carta rimasta fra le dita, e si strinse nelle spalle esibendo un sorriso disteso e sdrammatizzante. «Tutto qua? Devo solo farmi pregare da tutti quelli che si metteranno in fila solo per strusciarsi con me?» Impennò la sua ultima carta e raccolse la sfida, già succhiando il dolce sapore della vittoria fra le guance. «Andata.» Buttò il tre rosso sopra il tre giallo in cima al mazzo e vinse la partita.

   
 
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