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Autore: MagikaMemy    20/07/2009    2 recensioni
Ebe ha diciotto anni, un corpo fantastico che detesta e un migliore amico con cui parla ogni sera, affacciandosi al suo balcone. E' una ragazza diversa, pessimista, sincera, maliziosa e che non ha paura di mostrare la vera sè stessa. Tra camapnelle, vicini pettegoli, preservativi inesistenti, compiti in classe di storia e amici appassionati di birra, la vita di Ebe e Valerio scorre...non senza risate, lacrime e commentini sarcastici! Del resto, Ebe lo sa bene: la palazzina numero 18 di Viale delle Fragole non è affatto tranquilla come sembra!
Genere: Commedia, Demenziale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Viale delle Fragole n°18

Capitolo 1: “Sono le tre, è Estate, ho fame e non ho voglia di fare un ca**o”

Sonno.

Ebe si era alzata solo mezz’ora prima, alle due e trenta del pomeriggio, dopo aver dormito per qualcosa come tredici ore senza mai svegliarsi, e aveva ancora sonno.

Sarebbe stata capace di restare in quella specie di letargo per altri due giorni.

Dannate vacanze estive.

Ogni anno si ripeteva la stessa noiosa storia: non vedeva l’ora di lasciare quella scuola del cavolo, abbandonare il suo dannatissimo banco pieno di scritte fatte da qualche sgallettata della sua classe e mandare tutti, studenti e professori, a quel paese.

Ma dopo due settimane già si stufava, si sentiva soffocare dal caldo torrido della periferia e iniziava a sbuffare e dormire, dormire e sbuffare, limitando al massimo le uscite e ogni contatto con la società.

A dire il vero, a lei faceva un po’ schifo, la società.

Tutta quella gente che gridava, farneticava al cellulare mentre camminava in strada, spegneva le cicche addosso alle macchine del vicino antipatico e preferiva comprarsi un paio di scarpe da 200 euro piuttosto che spenderli in pizze surgelate e lattine di birra- cosa che lei non avrebbe esitato a fare.

In effetti, Ebe era una tipa piuttosto stramba.

Non che fosse una sfigata o robe simili-anche se, a volte, un po’ sfigata ci si sentiva davvero.

Semplicemente, non era colpa sua se era ipercritica, logorroica, perfidamente sincera, disfattista e poco femminile.

Sin da piccola si era accorta che in lei c’era qualcosa di strano, di diverso.

Qualcosa di anormale.

Non giocava con le Barbie, né tantomeno con i puzzle o le stoviglie di plastica che la nonna le aveva regalato per il quarto compleanno, spacciandole per un dono di marca ed esclusivo quando fino ad una settimana prima-che casualità- quelle stesse fottute pentoline giocattolo erano esposte al banco al mercato di Patrick Il Guercio a novantanove centesimi.

Preferiva fare cose che, a detta di sua madre, le bambine (e neanche i maschietti) della sua età di solito non facevano.

Mettere il dentifricio nel culo del gatto del vicino, per esempio, solo perché le aveva miagolato contro una volta. Radunare la polvere che marciva fetida sotto il suo letto per ficcarla nel panino di suo fratello, costringendolo in un letto d’ospedale per quasi due settimane. Girare per la piazza del quartiere con del ketchup sparso lungo tutto il collo e la tempia, simulando un tentato omicidio e facendo gridare di terrore gli altri bambini, mentre le madri di ritorno dalla spesa le lanciavano occhiate contrariate visibili a stento, dato che costrette sotto un pesante strato di mascara multicolore.

Ebe era una tipa che adorava mettere in difficoltà gli altri, e non ne provava la benchè minima vergogna.

Meglio ammettere di essere bastarde, piuttosto che fingere di essere le Sante che non si è.

Questo suo pessimo carattere era, d’altro canto, perfettamente nascosto dal suo aspetto esteriore.

Quegli occhi azzurri in cui solo lei vedeva una sfumatura di grigio cenere, con le ciglia lunghe e folte come quelle delle bambole in porcellana che tanto odiava.

E i capelli, lunghi, soffici, splendenti capelli tra il castano e il biondo, che sua madre continuava a giudicare il suo orgoglio, pedinandola per convincerla a lasciarli sciolti e vaporosi che ricadevano sulle spalle –quando lei li teneva rigorosamente legati in una sorta di cipolla mal riuscita, spettinata e poco curata, ma che a detta di Mario, il fruttivendolo all’angolo, la rendeva spaventosamente ‘chic’.

Si vestiva come le capitava; era un qualcosa di cui non le importava davvero.

Prediligeva i maglioncini larghi tre volte, i pantaloni lunghi e a tubo, le magliette che pubblicizzavano la salvaguardia delle balene e tutti gli indumenti sui toni del blu, del rosso e del nero.

Dio, Ebe adorava il nero.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per una chioma scura come la notte, riccia e ribelle, di quelle che sono così indomabili da sembrare più selvagge di un branco di lupi delle montagne.

E le sarebbero piaciuti anche un bel paio di occhi gialli, uguali a quelli dei gatti, ed una pelle così bianca, ma così bianca da farla sembrare invisibile.

Ma si accontentava di essere piccola e bionda, una perfetta reincarnazione di Barbie Ballerina, come adorava definirla Valerio.

Era anche vero che quel bastardo sarebbe stato capace di inventarsi dei nuovi aggettivi pur di prenderla in giro.

Ancora sdraiata sul letto, immobile nel silenzio della camera in penombra, osservò un’altra volta la piastrella del soffitto, quella che faceva angolo con la parte più alta della libreria.

Sul marmo chiaro, piccolo, quasi illeggibile, c’era una dedica.

Una roba a matita che quell’idiota le aveva scritto a nove anni, quando lei era rientrata dal salone e si era trovata il suo migliore amico spericolatamente traballante sulla scala e tre libroni di favole.

Ebe, agitando i codini biondi e lisci, gli aveva chiesto cosa stesse facendo.

Ma lui non le aveva risposto: si era limitato a farle la linguaccia, sorridere e balzare giù da quell’assurda montagnola di oggetti.

Lei, naturalmente, non aveva mai saputo cosa ci fosse scritto là sopra.

Era una frase segnata in piccolo e con un tratto chiaro, e l’unico modo per svelare quel patetico mistero sarebbe stato arrampicarsi e leggere, sollevando il collo fino al limite.

Sospirò, spostando poi lo sguardo verso le pale del ventilatore che, lente, stavano compiendo la stessa identica rotazione di pochi secondi fa.

Stava giusto per prendere in considerazione l’idea di farsi un’altra dormita, ma il suono di una campanella la costrinse a svegliarsi tutto d’un botto.

Finse di non essersene accorta per qualche istante, ma sarebbe stato impossibile addormentarsi con quel chiasso.

“Stavolta ti distruggo!”

Fece in tempo ad urlarlo e a balzare dal letto, correndo poi verso la porta finestra che dava sul balcone e alzando la tapparella.

Davanti si ritrovò lui.

La sua Rovina.

Il suo Incubo.

La sua Scorta Personale.

Tutti aggettivi che, per la natura contorta di Ebe, equivalevano alla figura di ‘migliore amico’.

“Buongiorno, mia piccola aspirante Emo!” esclamò quello, abbandonando finalmente la presa dalla campanella appesa sulla sua testa e penzolante.

Fece cenno di entrare, ma Ebe, ancora in mutande, si afflosciò contro la porta, bloccandogli il passaggio e lanciandogli uno sguardo truce.

“Vale, quando la smetterai con questa storia dell’entusiasmo giovanile? Sono le tre, è Estate, io ho fame e non ho voglia di fare un emerito cazzo.” Disse flemmatica, guardandolo dritto negli occhi verdi e chiari.

Valerio sembrò rimanerci male per un istante, ma subito dopo sfoderò un altro sorriso, estraendo dalla tasca dei jeans un oggetto di forma quadrata.

“Lo sapevo che cominciavi a brontolare…perciò ti ho comprato una sorpresina, così ti svegli per bene!”

Ad Ebe si illuminarono gli occhi quando davanti ai suoi occhi comparve uno scintillante pacchetto da venti di Chesterfield Blue.

Valerio si mise a ridere quando lei tentò di riprendere il controllo, ma negli occhi azzurri lampeggiava una fiamma di ardente impazienza.

“…sei un ruffiano del cavolo!” brontolò Ebe, per poi afferrare le sigarette – le sue sigarette preferite- e infilare la mano nella tasca di Valerio, che sorrideva come un emerito ebete.

Al tatto sentì l’accendino dell’amico, e lo estrasse con un gesto deciso; poi afferrò il pacchetto, lo aprì e tirò fuori una cicca con il solo ausilio delle labbra.

La accese sotto lo sguardo divertito dell’amico, che si riprese l’accendino e lo usò per un’altra sigaretta.

La sigaretta dopo il pisolino era un suo classico appuntamento con Ebe, quella bionda pazza con il corpo di un angelo e la mente del peggiore dei diavoli.

La conosceva da una vita, sul serio.

Avrebbe potuto tracciare la mappa di tutti i suoi nei, compresi i più piccoli.

Gli era sempre piaciuto stare con lei; a volte gli sembrava che fosse davvero l’unica che riusciva a capirlo, o comunque a sopportarlo.

La osservò tirare fuori il fumo dalla bocca, la maglietta di suo padre con cui dormiva e le mutande nere a stelle bianche, unico indumento che la copriva nella parte inferiore.

Le gambe, al contrario, erano nude in tutto il loro pallore, così come i piedi, poggiati delicatamente sulle mattonelle del balcone.

Ebe era splendida, appena sveglia.

“Beh, vuoi una foto?! Cristo, Vale, da quanto non ti fai una scopata? Hai gli occhi che sembrano due anguille e le braccia ti si stanno trasformando in tentacoli.” Osservò Ebe fugace, lanciandogli uno sguardo divertito e piegando le labbra chiare in un sorriso sornione.

Valerio sospirò, spostando gli occhi verso il vialetto sotto di loro, al momento deserto ad eccezione, come al solito, della signora Camelia.

Era una grassa vecchia sulla novantina, che stava seduta tutto il giorno sotto il portico della palazzina: stava là, senza muoversi, appollaiata su quella vecchia sedia scricchiolante in vinile, con le sue parole crociate in grembo e gli occhi fissi su chiunque osasse attraversare il suo territorio.

“…con Franci non va molto bene. Ieri sera mi ha detto che ‘vuole provare nuove esperienze’”. Esclamò, senza alcun cenno di tristezza.

Ebe lo fissò per un brevissimo istante.

Questa era una di quelle caratteristiche di lui che adorava; il suo essere costantemente allegro, esuberante e ottimista.

Avrebbe potuto venire messo sotto da un camion, e scommetteva che lui si sarebbe rialzato senza essersi fatto un graffio.

Niente sembrava scalfirlo, indebolirlo o renderlo triste.

Un potere che a lei non era stato concesso, dato che si comportava esattamente all’opposto, e questo le ricordò ancora una volta quanto la loro amicizia fosse straordinaria, viste e considerate le differenze abissali tra loro.

“Sarebbe a dire? E’ diventata lesbica?” chiese senza cenno di imbarazzo.

Valerio sorrise e tolse la cenere nel recipiente di ceramica davanti a loro, posato sulla ringhiera del balcone; poi fece un altro tiro, stavolta più lungo e denso.

“No, si è fatta il suo prof di scienze.”

Ebe inarcò un sopracciglio, scettica come non mai.

“De Angelis?! Quello è una vecchia ciabatta, non se lo farebbe nemmeno un trans cieco”

“Ma una puttana come Francesca sì.” Sostenne Valerio, offrendo ad Ebe il beneficio del dubbio.

Lei si limitò ad alzare le spalle e a dargli una pacca ‘affettuosa’ sulla schiena, e questo, Valerio lo sapeva, era il massimo della comprensione che poteva aspettarsi.

Ebe fissò di nuovo la strada che troneggiava sotto di loro, attorno alla quale si ergevano gli alberi di ciliegio più brutti dell’intero universo.

“…un giorno me ne andrò di qui.”

Fece un attimo di pausa, e Valerio la guardò intensamente mentre poggiava il mento sulle mani. Lei continuava a osservare la strada, svogliata.

“…io e te. Ce ne andremo da Via delle Fragole. Sono diciotto anni che sono inchiodata qui. E gli sguardi dei nostri vicini mi fanno sentire ancora più estranea.”

Valerio taceva, limitandosi ad annuire.

Era vero; ogni volta che passava per le via, Ebe veniva guardata da tutti con curiosità mista ad invidia e ribrezzo.

C’era un gruppetto di otto idiote tra i tredici e i quindici anni che non perdeva occasione di additarla e lanciarle insulti pesanti e sguardi di fuoco, a cui Ebe rispondeva con fin troppa prontezza.

La più intelligente di quella banda di gatte in calore era una quattordicenne con lo zaino di Hig School Musical e una maglietta su cui era stampata la faccia del suo ragazzo, rigorosamente di cotone rosa e con scollo a V, e tra l’altro abitava sullo stesso pianerottolo di Ebe.

Una volta lei e Valerio erano usciti dal palazzo per andare ad un concerto, e Cristina –questo il nome di quell’essere denomiaco- e la sua gang di iene clonate si erano zittite, seguendoli con gli occhi: una volta allontanati, lui drizzò l’orecchio e sentì la seguente conversazione.

“Madonna, quello è troppo un figo!”

“Ma chi, Cri?”

“Come CHI?! Valerio Taschi, ovvio!”

“Allora non ero solo io a trovarlo così fantasfizioso!” (termine di cui nessuno dei due era sicuro di voler conoscere il significato, seguito oltre tutto da una serie di gridolini sovreccitati)

“No, macchè, è stupendo! Non capisco che ci trovi in quella sclerata!”

“Intendi dire la bionda che sta sempre con lui, la Modigliani?”

“Esatto, proprio lei! Se la tira solo perché è carina…”

A quel punto i due amici se n’erano dovuti andare, dato che Ebe già stava scalciano per uscire dall’angolino dove erano nascosti e spaccare il muso a quella specie di babbuino travestito.

Valerio e Ebe rimasero in silenzio ancora pochi istanti; poi lui sorrise, sfiorandole una spalla.

“Dài, mettiti qualcosa addosso. Ti porto a pranzo fuori.”

Ebe non finse neanche di opporre resistenza, entrò dentro e si infilò il primo paio di jeans che le cadde tra le mani.

Finì di prepararsi sotto lo sguardo di Valerio, come al solito.

Fino a tredici anni si erano fatti perfino il bagno insieme, non si vergognavano affatto l’uno dell’altra.

Una di quelle tipiche amicizie da telefilm americano, come la definiva spesso lei.

Ma Ebe sapeva perfettamente che non sarebbe durata per sempre.

Che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa.

Qualcosa di assurdo e inaspettato, che avrebbe provocato danni e litigi.

E che li avrebbe separati per non farli ricongiungere mai più.

Valerio, ogni volta che le prendevano questi attacchi di insicurezza, la abbracciava, le accarezzava i capelli e le susssurrava nell’orecchio una filastrocca che aveva inventato per lei a sei anni.

Ebe riusciva solo così a calmarsi, a regolare il respiro e, infine, ad abbracciarlo a sua volta, convincendosi che quel momento era ancora troppo lontano.

Nella Tana dell’Autrice:

Le storie originali saranno la mia rovina, lo sento XD

Detto questo: salve a tuttiiiii!

Questo era il primo capitolo della mia nuova storia, una commeddia scanzonata e un po’ pessimista, ma tanto, tanto carina e zuccherosa > 3 (Ma non è vero =___= hai in mente delle cose orribili da farmi vivere nd Ebe) (Oh, ma che ti frega, fai redere ai lettori che la storia sarà romantica sennò non mi leggono più ahah nd Memy) (O_O nd Ebe)

COMUNQUE!!!! Spero che il primo capitolo vi garbi.

Ebe non è così pazza come sembra…è peggio. Moooolto peggio. Andando avanti con la storia lo potrete constatare da voi XD

Mi viene spontaneo fare un piccolo avvertimento: se non vi piacciono le protagoniste stronze, crudeli, spietate e –di conseguenza- assolutamente realistiche…e se volete leggere una storia tutta rosa, piena di bacetti, di guance che diventano rosse per l’imbarazzo e di personaggi maschili timidi e innamorati….beh, girate subito al largo da questa roba XD Ve lo dico da amica.

Bene, credo sia tutto per il momento. Nel prossimo capitolo scopriremo qualcosa di più su questi due idioti!

Grazie per aver letto! See ya!

*MagikaMemy*

p.s. Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate ^____^ Ciò, ovviamente, vale sia per i commenti positivi che negativi (mi raccomando però, se dovete criticare fatelo con educazione XD). Grazie per la pazienza! Ma come sono rompiscatole XDXD

   
 
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