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Autore: giorgtaker    13/03/2019    0 recensioni
"Vorrei che la mia vita non assomigliasse ad un film, ma che lo fosse proprio, pieno di attori famosi, sceneggiatori, scenografie spettacolari e un regista.
Vorrei tutto questo, almeno non starei piangendo sul corpo dell’uomo che amo e che non mi abbraccerà mai più. Un corpo che va via via a diventare più freddo, riempito di buchi creati dai proiettili, pieno di sangue, riscaldato dalle mie lacrime e dal mio abbraccio che lui non potrà mai ricambiare."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Barba bianca, Ciurma di Barbabianca, Portuguese D. Ace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei che la mia vita non assomigliasse ad un film, ma che lo fosse proprio, pieno di attori famosi, sceneggiatori, scenografie spettacolari e un regista.

Vorrei tutto questo, almeno non starei piangendo sul corpo dell’uomo che amo e che non mi abbraccerà mai più. Un corpo che va via via a diventare più freddo, riempito di buchi creati dai proiettili, pieno di sangue, riscaldato dalle mie lacrime e dal mio abbraccio che lui non potrà mai ricambiare.

Urlo.

Urlo così forte da poter raggiungere qualsiasi angolo della città. Tutto è fermo attorno a me, i miei fratelli non parlano, piangono.

Sento qualcuno che si avvicina a me, si inginocchia e mi abbraccia “Mi dispiace” una voce bassa, rotta dal pianto. Per la prima volta da quando ero arrivata sul luogo alzo lo sguardo a guardare il mio interlocutore. I suoi capelli bianchi e la cicatrice a fianco all’occhio sinistro li conoscevo troppo bene, così come la sua voce autoritaria e i suoi modi bruschi ma gentili allo stesso tempo “Vecchio, ho bisogno di lui” sussurro tra le lacrime “Voglio che mi abbracci, che torni con me a casa. Ho bisogno del suo calore dopo una giornata lunga, ho bisogno di lui per dormire, ho bisogno di lui perché non posso crescere i nostri figli da sola” un braccio mi cinge le spalle, allontanandomi da quel corpo ormai freddo, che cade a terra con un suono sordo “Sfogati come preferisci, ma allontanati da qui. Non è sicuro per te e il bambino che porti dentro di te” “Non voglio allontanarmi da lui!” urlo di nuovo divincolandomi, provando a tornare a riabbracciare l’uomo che amo. Vengo bruscamente fermata da un altro braccio. Alzo di nuovo lo sguardo, per incrociare uno sguardo triste tra dei ciuffi di capelli rossi “Sophie, ti prego di fermarti. Siamo qui solo per portarli via entrambi”.

Silenzio.

Mi guardo attorno, vedo lacrime versate, corpi che vengono portati via in ambulanze, capi di polizia che urlano ordini per ripulire il disastro per le strade, il sangue che si secca con lentezza sull’asfalto, armi da fuoco, spranghe, mazze di tutti i tipi e scudi che vengono raccolti da terra, pacche sulla spalla di chi è ancora in piedi per poter raccontare una guerriglia urbana che lascerà segni indelebili nella storia di questa città, e poi lui. Sdraiato a terra il corpo di un uomo che pensavo incrollabile. Colui che mi ha dato la vita, il mio capo, l’uomo che mi ha dato la possibilità di diventare quello che sono. Mio padre. Il mio adorato padre senza vita, a terra coperto da un telo.

Mi giro di nuovo ad incrociare quello sguardo amico. Provo, ma non riesco a trattenere le lacrime, il solo pensiero di aver perso mio padre e il mio amore mi uccide dentro. In sole tre ore ho perso anche molti dei miei fratelli. Vorrei riavere tutto indietro “Non se ne sono andati via Shanks, non possono. Mi hanno promesso che avrebbero visto i bambini crescere, volevamo andare in periferia per farli stare lontani da tutto questo. Abbiamo preso casa, volevamo una vita normale. Non è giusto, nessuno di loro si meritava questo”.

Una voce riecheggia lontana. Alzo lo sguardo. Lo vedo davanti a me, che ride pronto a fare qualcosa che ancora non mi ha detto e mi tende la mano “Sophie, io Sabo e Rufy andiamo in centro città, vieni anche tu!” faccio per afferrarla, ma stringo l’aria. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Sento qualcuno che si inginocchia di fianco a me, mi abbraccia forte nascondendo il mio volto sul suo petto mentre mi accarezza la testa “Non dovevi vedere questa scena” “Marco… io non...” scoppio in singhiozzi.

Comincio a ricordare anni prima…

 

 

 

 

 

 

 

Avevo 10 anni. Mi ero appena svegliata ed ero in una macchina della polizia. Ero sul posto del passeggero, di fianco a me un grosso uomo brizzolato “Riuscirò a vivere tranquilla in un posto prima o poi?” ho chiesto sbadigliando “Non finché tuo padre sarà a piede libero. Sai quanto tu sia importante per noi, non ti lasceremo andare così facilmente” sospirai avvilita.

Sophie Newgate, figlia di Edward Newgate soprannominato Barbabianca. Ero io il filo sottile che teneva la polizia della città di Marijoa in posizione di vantaggio. Mio padre era uno dei capi mafia della città, divisa in quattro fazioni da molti anni, da quando il più grande mafioso, Gol D. Roger, era morto su una sedia elettrica. Passavo la mia vita tra il paese di Goa a venti minuti dalla città durante la settimana, e una stazione di polizia il week end. Ero stufa di non avere una vita normale.

“Garp, perché non posso tornare a casa?” silenzio. Odiavo le domande senza risposta “Allora?” mi girai. Un lungo sospiro da parte dell’uomo spezzò il silenzio “Non hai più una casa dove andare. Sono anni che tua madre è morta e sai che quella che tu chiami casa è stata rasa al suolo dagli sgherri di Akainu” scrollai le spalle gonfiando le guance in segno di protesta “Non mi interessa. Dato che lui è uno dei vostri, dovrebbero darmi un’altra casa” un altro sospiro uscì dalla bocca del vecchio “Per favore, potresti evitare di ricordarmelo? Non avevo potere su questo tipo di decisioni, lo sai” sbuffai di nuovo.

 

Vidi i mulini in lontananza, ero quasi arrivata. Da una delle case vicina ad essi uscì un bambino con una cicatrice sotto l’occhio sinistro che si sbracciava “Sophiiiieeee!” un grande sorriso mi riempì la bocca. Ero a casa. Da quella stessa casa sbucarono fuori due altri bambini più grandi del primo, che cominciarono a correre verso la macchina. Il primo era moro con gli occhi neri e un viso pieno di lentiggini, mentre il secondo era biondo con un dente mancante e un bel paio di occhi scuri. Il moro aprì la porta della macchina per me accogliendomi con un bel “Abbiamo catturato un cinghiale prima! Stasera stufato!” lo abbracciai felice regalandogli un gran sorriso “Ace ma è stupendo! Adoro il cinghiale, volete che prenda le erbe aromatiche?” il ragazzino biondo prese la valigia dai sedili dietro di me “Non serve abbiamo già preso anche quelle” rise contento “È già tutto sul fuoco, tra poco mangiamo!” disse il più piccolo prendendomi una mano.

 

I tre bambini mi portarono dentro la casa, facendomi dimenticare totalmente di Garp, ancora in macchina che ci guardava con fare paterno. Quattro bambini lasciati a loro stessi, non eravamo nient’altro. Tre maschi con un patto di fratellanza fatto un paio di anni prima ed io che partecipavo a qualsiasi marachella volessero fare in qualità di palo. Un sospiro uscì dalle labbra del vecchio. Era difficile trovare un equilibrio, ero troppo conosciuta anche dalle bande in paese per cui dovevo mantenere un profilo basso, mentre gli altri tre erano i primi a creare confusione in centro. Per fortuna che aveva messo una donna a lui fidata, Dadan, e la sua banda di manigoldi a controllarci, anche se ci riuscivano a malapena. Non scese neanche a salutare, urlò un “Ci vediamo tra qualche giorno!” e corse via verso la città.

Così rimasi con i miei amici. Passò un’intera settimana e Garp non tornò a prendermi. Passò un mese, e niente. Chiamava ogni giorno, chiedendo come stesse andando, ma senza mai stabilire una data per quando mi sarebbe venuto a riprendere.

 

Nel mentre, noi quattro giocavamo, ci allenavamo e studiavamo. Adoravamo andare nella foresta vicino casa a cacciare gli animali, combattere tra di noi, godere dell’acqua fredda del fiume per farci il bagno. Come sempre Ace si preoccupava in modo particolare di me, così come io di lui. Gli altri due spesso ci guardavano ridendo, adoravano vederci imbarazzati e impacciati. Fu un momento molto felice e tranquillo nelle nostre vite, finché non successe il fatto.

Era una fredda giornata primaverile, venne annunciato in città che sarebbe arrivato il sindaco di Marijoa in una settimana a parlare in piazza. Il primo a leggere la notizia sul giornale su Sabo “Sta per arrivare qui il sindaco!” urlò il biondo. Tutti in casa si girarono verso di lui. Ace mi guardò preoccupato, se fosse arrivato un personaggio così importante, sicuramente io avrei dovuto essere rispedita in città. Sospirai. Non volevo andarmene, separarmi da loro per più di due giorni sarebbe stata una tortura. Mi sentii stringere in un abbraccio “Non voglio che tu vada via!” mi girai e vidi il più piccolo con le lacrime agli occhi “Rufy, sarà solo per qualche giorno, ci siamo abituati, no?” tirò su col naso e mi guardò disperato “Sì, ma c’è la scuola, non puoi andartene via!” gli arrivò un pugno sul naso facendolo urlare di dolore “Pensi che lei lo voglia? Smettila di frignare” Ace era arrabbiato. Parecchio. Gli presi il pugno ancora stretto tra le mie mani “Non serve sfogarsi su di lui” gli dissi calma “Non mi piacciono i piagnucoloni, lo sai. Esco a prendere dell’aria” sbatté la porta uscendo. Rimasi lì in piedi, aspettando che la porta si riaprisse e che lui tornasse indietro. Avrei voluto vederlo piangere, sfogarsi, ma non era nella sua natura, non l’avrebbe mai fatto di fronte a me. Una mano si poggiò sulla mia spalla “Lascialo sfogare, tornerà e si scuserà. Ha solo bisogno del suo tempo” sentii un nodo in gola e gli occhi mi si riempirono di lacrime che scesero calde sulle mie guance e prima che me ne potessi accorgere, stavo singhiozzando nell’abbraccio di Sabo. La giornata passò lenta, quasi non parlammo tra di noi. Ace era disperso da qualche parte e non tornò neanche per cena. Arrivò il momento di dormire. Nel mezzo della notte, sentii la porta di camera mia aprirsi e qualcuno accovacciarsi davanti a me “Scusami per prima” un bacio sulla fronte, una mano che mi sfiorò la guancia. Si alzò e fece per andarsene, ma io gli presi una mano “Ace, dove sei stato?” si girò riluttante. Nella penombra data dalla luce della luna che passata tra le tapparelle, gli vidi i lividi sulle braccia e i tagli in faccia. Mi tirai su preoccupata “Oh mio dio, cosa ti è successo?!” mi avvicinai a lui, provando a vedere la sua condizione nonostante la poca luce “Niente” la sua voce era bassa, così come lo sguardo “Non ti-” gli tirai un ceffone in faccia “Non osare dirmi di non preoccuparmi. Ora vieni con me che ti medico” mi seguì senza fiatare in bagno. Gli disinfettai e bendai le ferite e gli applicai la pomata sui lividi “Dove sei stato?” si morse il labbro “Ti arrabbieresti se te lo dicessi” alzai un sopracciglio “Ti devo costringere?” ci fu un lungo momento di silenzio. Sospirò “Sono andato a Marijoa” mi bloccai totalmente. Era andato in città senza dirlo a nessuno, senza qualcuno che gli coprisse le spalle. “Potevano ucciderti Ace, perché l’hai fatto?” cominciai a piangere. Non capivo se fossi arrabbiata o preoccupata alla follia, forse entrambe assieme. Lui mi avvolse in un abbraccio “Scusami. Davvero, scusami” lo abbracciai di rimando. Rimanemmo così per un po’ di tempo. Lui si scostò da me “Torna a dormire” disse “Io sto bene” scossi la testa per dire che non mi sarei mossa “Non ti ho curato per bene, devo ancora-” mi prese in braccio e mi portò via dal bagno dove eravamo. Tentai di divincolarmi, senza successo. Mi lanciò sul letto “Ci vediamo domani mattina, grazie per esserti presa cura di me” mi baciò una mano con dolcezza e mi pizzicò una guancia “Stai attento a come ti muovi” mi raccomandai. Mi sorrise e se ne andò in camera sua. La mattina dopo Dadan, Sabo e Rufy riempirono Ace di insulti per averli fatti preoccupare così tanto.

 

Nel giro di pochi giorni, qualcuno bussò alla porta. Dopo aver fatto nascondere noi bambini, Dadan l’aprì e si trovò davanti un poliziotto “Salve, sono venuto a prendere la signorina Sophie”. Feci capolino con la testa per farmi vedere “Dov’è Garp?” “Sono stato incaricato io al suo posto, in questo momento è occupato” mi scappò un sospiro “Arrivo, mi faccia preparare la valigia”. Mentre mettevo tutto in ordine, i ragazzi arrivarono in silenzio. Li guardai triste “Non possiamo farci vedere, ti dobbiamo salutare qui” disse con voce rotta Rufy. Annuii “Se vuoi lo facciamo fuori quel tipo e ci nascondiamo tutti assieme nella foresta. Non serve che ci separiamo!” provò a bloccarmi dal riempire il mio bagaglio “Ace, questa è l’idea più stupida in assoluto. Sai che se per sbaglio ci trovano a me rinchiudono per sempre, mentre tu farai la stessa fine di tuo padre” chiusi con violenza la valigia. Ace strinse così forte i pugni da farsi venire le nocche bianche “Non mi interessa. Non ho mai avuto nessun rapporto con quell’uomo. Non c’è mai stato per mia madre e me, non è mio padre” conoscevo perfettamente i suoi sentimenti verso suo padre, anche se non potevo fare a meno di pensare che se qualcuno l’avesse scoperto non ci avrebbe pensato due volte ad ucciderlo “Eppure hai il suo sangue nelle vene, questo non lo puoi cambiare. Puoi rinnegare di essere figlio del più grande criminale di tutti i tempi, ma ciò non cambierà chi sei. Se loro ti scoprissero, ti ucciderebbero” il bambino aprì la bocca per parlare, ma lo bloccai subito “Per quanto tu non lo voglia, rimani suo figlio” lo abbracciai stretto provando a trattenere le lacrime dalla tristezza “Non fate cagate mentre non ci sono, aiutate Dadan in casa, non ficcatevi troppo nei guai. Spero di tornare presto, mi mancherete” ricambiò l’abbraccio e si unirono anche gli altri due. Partii subito dopo, con la promessa di farmi viva il prima possibile.

 

Durante il silenzioso viaggio, notai una macchina che ci seguiva. Non dissi niente all’uomo con me. Poco dopo ci venne addosso, costringendoci a fermarci “Resta qui dentro, me la sbrigo io” mi intimò il mio accompagnatore. Mi girai per guardare la scena. Dalla macchina uscì un ragazzo biondo, con una camicia viola sbottonata fino a metà petto lasciando intravedere un tatuaggio e un accenno di barba “Cavolo zio, bella botta. Mi dispiace” dall’altra parte uscì un ragazzo castano con una strana acconciatura e vestito da cuoco “Dai, così farò tardi a lavoro!” urlò visibilmente preoccupato mettendosi le mani tra i capelli “È per non farti fare tardi che ho tamponato un poliziotto, cretino” vidi il biondo occhieggiare all’interno della macchina verso la mia direzione. Mi sorrise e mi fece un occhiolino “Mi dareste i vostri estremi, con patente e libretto per favore?” chiese l’uomo che era con me, scocciato da quel problema inaspettato “Certamente, aspetta che li prendo dal cassetto!” il biondo rientrò in macchina e uscì poco dopo “Eccoli”. Successe tutto troppo in fretta. Con una mano tendeva la patente e con l’altra una pistola. Il poliziotto non ebbe tempo di notare l’arma che aveva in mano l’uomo che si trovò una pallottola al centro della testa. Cadde a terra con un rumore sordo. Tirai un urlo e mi accucciai sul sedile, ero terrorizzata. “Non pensavo fossi così bravo a mirare, i miei complimenti” scherzò l’uomo vestito da cuoco con una risata ormai non più arrabbiato del tamponamento del suo amico “Tutto allenamento, inoltre devo gestire voi imbecilli, non posso essere meno bravo di così” ribatté il biondo sospirando mentre rimetteva l’arma nel porta oggetti in macchina. “Ora passiamo alle cose serie” sentii il mio sportello aprirsi “Ci devi seguire” vidi il castano che mi tendeva una mano sorridendo. Gli sputai in faccia “Uccidetemi se dovete, non vi seguirò!” si pulì il volto con la manica. Mi aspettavo di vederlo almeno infastidito, invece non cambiò espressione “Non ti dobbiamo uccidere, o le teste che salteranno saranno le nostre. Papà non sarebbe contento” il biondo si avvicinò di nuovo provando a tirarmi fuori dal veicolo, senza successo “Scommetto che hai una valigia nel portabagagli della macchina, vero?” lo guardai con odio e mi girai dall’altra parte infastidita “Ho capito, non mi parlerai. Thatch mettila in macchina mentre io prendo le sue cose” appena ebbe finito di dirlo, il castano mi prese in braccio. Provai a divincolarmi, ma senza successo. Mi lanciò in macchina chiudendomi la portiera con il blocco per i bambini, così da non poter fuggire. Si misero anche loro in macchina e partirono. Il viaggio non era silenzioso, la musica alla radio era un bel funky e i due ragazzi chiacchieravano tra di loro di missioni, cose da fare alla base e di come dovevano comportarsi con la polizia. Ad un certo punto il castano di girò “Siamo stati maleducati, non ci siamo presentati. Io sono Thatch e il tipo che guida ed è parecchio scorbutico è Marco” rise fragorosamente quando l’uomo che guidava accanto a lui lo pizzicò forte sulla guancia “Non dargli retta, non sono così sempre” mi sorrise dallo specchietto retrovisore.

Io decisi di non parlare. Non mi fidavo di queste persone, figurarsi a dire come mi chiamavo. Marco sospirò “È inutile che rimani imbronciata, e non parli, sappiamo già tutto di te. Secondo te dove ti stiamo portando?” rimasi interdetta. Non ci avevo pensato al fatto che mi stessi avvicinando alla città “Siete una di quelle bande in città, vero? Mi userete come riscatto o verso la polizia o verso Barbabianca. Potete anche torturarmi, tanto io non so niente di nessuna delle due fazioni” incrociai le braccia sbuffando. Ero stufa di questa vita, avrei preferito essere uccisa piuttosto che continuare a vivere così. Thatch cominciò a ridere “Hai un bel caratterino, proprio come lui” rimasi perplessa da questa sua uscita. Nel mentre entrammo in città. Girammo per un bel po’ prima di entrare nel garage di un edificio antico. Parcheggiammo e vari uomini ci si avvicinarono salutando I miei due rapitori. Io rimasi in macchina, rifiutandomi di uscire “È lei?” chiese uno “Yep, assomiglia tanto a Iris, vero?” disse un altro “È identica” un ragazzo dagli occhi verdi mi guardò curioso “Chissà la sua reazione quando la vedrà” un altro sorrideva contento “Wow, è stato semplice prenderla?” un uomo più grande a braccia conserte “Più semplice del normale. Il poliziotto era uno stupido” Marco mi aprì la portiera “Vieni fuori, non ti faremo niente” tese una mano che io scacciai “Non uscirò da qui” sibilai a denti stretti.

 

Si aprì la porta del garage vicina a noi. Mi voltai a guardare chi stava arrivando, così come tutti gli altri. Vidi un uomo alto e possente, con una camicia bianca forse troppo stretta per lui, dei pantaloni neri, una bandana nera a fasciargli la testa e degli enormi baffi bianchi. Lo riconobbi dalle foto che mi aveva fatto vedere mia madre da piccola. Scansai Marco da davanti a me e gli corsi incontro. Lui mi vide, si inginocchiò a terra e mi abbracciò stretta appena mi avvicinai “Ti ho cercata ovunque da quando vi hanno attaccate. Mi dispiace averci messo così tanto” cominciai a piangere stretta in un abbraccio che non lasciava spazio alle parole “Papà” sussurrai tra i singhiozzi. Rimanemmo così per un po’. Lui mi prese il viso tra le mani e mi guardò negli occhi “Sei identica a lei. Sei bellissima. Hai già conosciuto gli altri?” mi asciugai le lacrime “Solo Marco e Thatch. Non mi stavano dicendo perché mi avevano rapita” mi girai per vedere Thatch che faceva il segno della vittoria con entrambe le mani e Marco che si grattava la nuca imbarazzato. Mio padre rise. Si alzò e mi portò in braccio dagli altri “Che ne dite, entriamo a casa così mangiamo il pranzo? Hai fame tu?” mi chiese sorridente. Annuii e mi poggiai sulla sua spalla. Ero stanchissima, troppe emozioni in poche ore. Dopo il pranzo, mi portarono in quella che sarebbe stata camera mia “Se vuoi poi possiamo andare a comprare delle cose per abbellirla come vuoi!” disse il ragazzo dagli occhi verdi di prima che si era presentato come Haruta “Non puoi uscire senza di noi per ora, ti daremo qualche giorno per rilassarti e poi comincerai ad allenarti con noi” disse un altro uomo chiamato Fossa. Li ringraziai entrambi e poi mi buttai a letto. Profumava di lavanda ed era morbido. Un senso di tristezza mi pervase, non avrei potuto condividere la mia felicità con i miei amici. Mi addormentai sopra le coperte rannicchiata e con una sensazione non ancora precisata.

Fui svegliata da una dolce scrollata da parte di Marco “Buongiorno principessa! Hai dormito parecchio questo pomeriggio, che ne dici di venire a fare un giro per il palazzo?” annuii ancora rimbambita. Il ragazzo mi prese la mano e mi trascinò ovunque. Mi fece vedere tutte le loro stanze da allenamento, l’armeria, lo studio di papà e i dormitori. Mi spiegò che si sarebbero tutti impegnati ad istruirmi come a scuola, dato che non avrei più potuto frequentarla. L’edificio era enorme, pieno di persone gentili e che volevano conoscermi. Marco mi presentò tutti i vari responsabili delle varie divisioni della banda, che mi accolsero a braccia aperte nella famiglia. Scoprii che il rapporto tra tutti loro era come quello di fratelli, e chiunque entrasse a far parte del gruppo chiamava Barbabianca “Padre”. Divenne presto sera. Adoravo l’ambiente, non sembravano neanche una banda di criminali. Ero felice accanto a mio padre e assieme ad un bel gruppo di uomini che sarebbero diventati la mia famiglia.

 

 

 

 

Passarono sette anni. Divenni uno dei componenti più forti grazie anche ai continui allenamenti a livelli altissimi a cui mi sottoponevo. I miei fratelli mi avevano aiutata e incoraggiata, mio padre ormai si appoggiava a me per molte cose, tra cui le informazioni fondamentali per l’organizzazione. Un giorno presi il giornale in mano e vidi la faccia di Ace su un articolo in cui si parlava della sua banda che era nuova a Marijoa “Papà! Papà!” corsi urlando nel suo studio dove lo trovai a parlare con Thatch e Izo, uno dei vari responsabili “Ace è in prima pagina!” continuai troppe felice per potermi fermare “Chi scusa?” mi chiese perplesso “Lui!” gli feci vedere il giornale. Lo lesse con attenzione e disse “Questi giovani, sempre a bruciare le tappe” sorrise verso di me “Sei felice che sia in città?” mi passò il giornale “Sì!” urlai di nuovo saltellando facendo ridacchiare i due ragazzi dietro di me “Spero che tu lo posso incontrare presto allora. Ho un incarico per te. Dobbiamo accordarci con Shanks per il nuovo quartiere, non ho voglia che il rosso ci prenda quello che ci spetta” piegai leggermente la testa perplessa “Di solito non ti curi tu di queste cose?” sospirò grattandosi la testa “Bambina mia, comincio a non essere più così giovane. Ho quasi settant’anni e-” “PAPÀ!” urlai. Thatch e Izo si spaventarono, mio padre mi fissò “Non dirlo neanche per scherzo. Io lo farò, ma non ti voglio più sentir dire una cosa del genere!” silenzio. Un altro sospiro del vecchio “Ti dirò quando e dove, ora torna di là ad allenarti” mi girai e me ne andai. Più tardi Izo bussò alla porta di camera mia, dove stavo studiando “Lo sai che non ti vuole rattristare” mi disse avvicinandosi e sedendosi sul letto “Lo so” risposi senza alzare lo sguardo dai libri davanti a me “E che vuole solo che tu realizzi che lui non sarà sempre qui con noi” continuò con tono piatto sempre guardando la mia schiena “So anche questo” non muovevo un muscolo, neanche per girare le pagine. Stavo rileggendo la stessa frase da troppo “Allora perché hai reagito così?” mi girai verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime “Perché fa più male sentito dire da lui. Voglio che ci sia sempre, anche se so che non potrà mai essere così” mi abbracciò forte. Mi asciugai le lacrime “Grazie” mormorai con la voce rotta “Fa male a tutti, ma contiamo su di te. Ormai hai diciassette anni, con il supporto di Marco dovrai prendere presto il posto di nostro padre e lo sai, ti stai allenando da anni per questo” annuii. Ormai da un paio di anni mi davano parecchi lavori che prima erano competenza di mio padre o di Marco, che da sempre è stato il suo braccio destro. Tutti si aspettavano molto da me. La mia giornata finì in quel momento, quando Izo uscì dalla mia camera dopo avermi dato un buffetto sulla guancia. Mi feci portare la cena in camera e andai a dormire presto.

 

Due giorni dopo, andai nel nuovo quartiere ad incontrare Shanks. Il rosso era con i suoi uomini più fidati, così come io andai lì con i miei. Il suo sorriso era smagliante “Buongiorno principessa!” “Smettila di chiamarmi così ogni volta che ci vediamo” rise di gusto “Beh, la figlia di Barbabianca non può essere chiamata diversamente, in fondo tu prenderai il posto di colui che lottò al pari di Gol D. Roger” “E se non ricordo male tu facevi parte della sua squadra, giusto?” chiesi “Touché mia cara. Parliamo di affari?” Shanks non mi era nuovo. L’avevo conosciuto già a Goa anni prima, quando ancora non era un mafioso conosciuto. Perse il braccio in uno scontro a fuoco per proteggere Rufy, che da lui ebbe anche il suo amato cappello di paglia. L’avevo rincontrato cinque anni fa durante una delle mie missioni e avevo scoperto che era un nemico, uno degli altri Imperatori della città. Il più conosciuto era mio padre, seguito da Kaido, Big Mom e poi Shanks. Erano quattro mostri che si dichiaravano guerra un giorno sì e l’altro pure, in questa grossa metropoli chiamata Marijoa. Sapevo di poter stare tranquilla con il rosso al mio fianco, ma essendo su due fazioni diverse non potevo abbassare troppo la guardia. Finimmo di patteggiare in relativamente poco tempo e senza troppe discussioni “Uff, che faticaccia” sbuffò lui “Non ci posso credere che siete tutti cresciuti così tanto. Erano anni che non vedevo nessuno di Goa oltre te, ma un paio di giorni fa è passato Ace a salutarmi. Mi ha parlato un po’ di come stava andando e ha rifiutato la mia proposta di entrare in affari con me, dice che vuole diventare grande con le sue mani” il rosso ridacchiò “Il tempo passa in fretta, mi ricordo ancora quando vi insegnavo ad brandire una pistola e adesso uno parla di essere più forte di me mentre tu ormai stai diventando sempre più forte e stai ascendendo al potere. Mi fate veramente sentire vecchio” io lo guardai basita “Ace è venuto da te?” “Sì, mi ha anche chiesto di te, se sapessi che fine avevi fatto. È da sette anni che non vi sentite, o sbaglio?” mi morsi un labbro “Non mi è permesso scrivergli” mormorai triste. Shanks mi si avvicinò all’improvviso “Stai attenta a quello che fai. Potrebbe essere cambiato in sette anni” si mise il cappotto appena si scostò da me “Bene signorina, io ti saluto! È stato un piacere rivederti, ma abbiamo molte cose da fare e non mi sembra il caso di tenerti troppo fuori casa, magari tuo padre pensa che ti abbia rapita” mi fece un occhiolino “Buona giornata!” fece un cenno con la mano che io ricambiai ancora frastornata. Ace in città. Allora non era un sogno, Ace era arrivato alla città. Ma come aveva fatto? “Sophie” mi chiamò uno dei miei “Dobbiamo tornare a casa” “Sì, eccomi” il viaggio di ritorno fu silenzioso. Continuavo a pensare alle parole di Shanks “No, lui non è cambiato” tentai di convincermi “Lo constaterò con i miei stessi occhi”.

 

Arrivammo a casa e fui accolta da uno dei responsabili più ricci che avessimo, Vista, e Marco che mi sorridevano “Vieni con noi, ti dobbiamo portare da papà” mi disse il biondo “Ci riesco ad andare da sola, anche perché devo fare rapporto” “Tu non hai capito!” urlò l’altro “Devi correre con noi da papà!” mi presero entrambi a braccetto e mi fecero correre per tutto l’edificio. Non capivo tutta quella fretta. Arrivammo davanti all’ufficio di nostro padre. Bussai e aprii quando sentii un “Avanti!” dall’altra parte. Alzai lo sguardo da terra e notai una persona di troppo nella stanza che si voltò verso di me. Era legato con delle pesanti catene alla sedia, aveva un cappello arancione, i capelli neri lunghi che ero sempre stata abituata a vedere e le sue solite lentiggini sul viso. Rimasi bloccata sul posto. Non sapevo cosa dire, e dall’espressione di lui capii che provava lo stesso “Perché è legato?” chiesi con voce rotta “Ha provato ad uccidere qualcuno dei nostri con i suoi compagni” spiegò papà “Lo puoi slegare? Lo vorrei abbracciare” dissi con un sussurro. Lui mi sorrise e acconsentì. Appena libero, Ace corse verso di me e mi abbracciò. Il suo profumo non era cambiato, ma ormai era diventato molto più alto di me e la muscolatura si era accentuata. Le sue braccia erano avvolgenti, il suo tocco sulla mia pelle gentile e la sua voce bassa che mi diceva quanto mi avesse cercato e aspettato in quegli anni mi cullava. Finalmente lo stavo riabbracciando, dopo anni che sognavo un nostro ricongiungimento. Sciogliemmo l’abbraccio solo perché così lui mi potesse prendere il volto fra le mani “Mi sei mancata infinitamente. Tutto questo tempo sei stata qui?” “Sì, mi dispiace ma non mi permettevano di scriverti. Sono rimasta nascosta nelle tenebre tutto questi anni solo per vivere una vita normale, lontana dalla polizia” “Non importa, da adesso in poi non ti lascerò mai più, promesso” “Come stanno gli altri?” “Sabo è entrato in quella che chiamano Resistenza, dove vogliono soverchiare il sindaco della città con tutta la sua politica corrotta, mentre Rufy studia ancora e aspetta il momento in cui anche lui riuscirà a venire in città” “Sempre a fare casini state, mai un attimo di pace!” “Parli tu! Sbaglio o sei una delle persona più influenti nella malavita di questa città?” ridemmo assieme. Era così bello averlo lì con me a parlare. “Tutto molto emozionante, qui però abbiamo un problema” mio padre prese parola “Il signorino qui presente ha detto che non vuole entrare per nessuna ragione al mondo nella nostra organizzazione, che mi vuole uccidere. Cosa vogliamo fare?” guardai interdetta il ragazzo di fianco a me “Davvero?” chiesi esterrefatta e lui annuì con convinzione. Marco tirò un forte sospiro “Cosa vogliamo fare?” il vecchio si sedette e ci pensò un pochino “Ti concedo di rimanere qui. I tuoi compagni ho visto che si sono già ambientati e molti vogliono rimanere. Durante questo periodo in cui prenderai una decisione, non ti permetto di frequentare mia figlia” mi avvicinai al tavolo “Papà ma come!” mi bloccò appena finita la frase girandosi verso di me “Zitta, sto decidendo cosa è meglio per il bene di tutti” mi guardò duro. Chiusi la bocca appena incrociai i suoi occhi “Non la potrai avvicinare, abbracciare e parlare. Finché non ti sarai deciso, potrai solo guardarla da distante, intesi?” Ace lo guardava con aria di sfida, sapevo non si sarebbe tirato indietro “Affare fatto vecchio” allungò la mano che mio padre strinse con forza. Ci fu un lungo momento di silenzio in cui i due uomini non lasciarono la presa “Ottimo allora. Marco, porta in camera Sophie, Vista fai vedere al nuovo arrivato i dormitori” fummo bruscamente separati. Vista portò via Ace trascinandolo per un braccio, Marco si parò davanti a me per evitare che li inseguissi “Sei crudele” sussurrai piangendo guardandolo negli occhi “È la punizione che ha scelto lui” rispose mio padre “Così ferisci anche me” non abbassai lo sguardo, volevo che vedesse tutto il risentimento e lo sconforto che mi aveva preso in quel momento “La vita non è fatta solo di cose belle, lo sai” disse prendendo in mano dei documenti lasciati abbandonati sulla scrivania appena era entrato il ragazzo nello studio “Non lo vedevo da sette anni!” urlai provando ad impormi su di lui. Confidavo nel fatto che non facendolo mai mi avrebbe ascoltata “Non mi interessa!” tuonò facendo cadere un piccolo castello mentale di carta che mi ero creata “Fino a prova contraria io sono il tuo capo, non disobbedirai ai miei ordini. Non ti avvicinare a lui o ne subirai le conseguenze!” rimasi per un attimo a pensare, poi le parole mi uscirono di bocca senza un freno “Non ti stai comportando da capo, ti stai solo comportando a padre cocciuto!” andai verso la porta arrabbiata. Mio padre si alzò di nuovo dalla sedia per rincorrermi “Sei grande Sophie, non farti mettere in castigo” mi voltai infuriata prima di poggiare la mano sulla maniglia “Tu sai i miei sentimenti verso di lui e ancora non vuoi accettarli. Sono anni che mi dici che mi passerà, ma ora che l’ho visto non ho che dato una certezza ai miei dubbi. Perché sei così preoccupato?” poggiò con calma apparente le mani sulla scrivania per tenersi in piedi, la stanchezza stava avendo la meglio su di lui in quel momento “Tu farai quello che ti dico. Questo è un ordine, mi hai capito Sophie Newgate?” mi asciugai in fretta le lacrime che ormai non riuscivo più a trattenere “Ho capito, signore. Torno alle mie stanze” aprii la porta e corsi verso la mia stanza senza fiatare.

 

Marco mi bussò poco dopo “Posso entrare?” il tono della voce era dolce e gentile, sapeva che era il mio punto debole, lo usava ogni volta che ero arrabbiata “Lo faresti lo stesso anche se ti dicessi di no” aprì la porta. Ero sdraiata sotto le coperte ad abbracciare uno dei vari cuscini che avevo. Come ogni volta che voleva consolarmi per qualcosa, si sedette sul letto e poggiò una mano sulla mia testa “Sai che lo fa pensando al bene tuo e di tutti noi, vero? Non possiamo fidarci di lui, sono passati troppi anni da quando vi siete visti, potrebbe essere diventato un’altra persona” mi alzai di scatto “Non è così! Glielo si legge negli occhi!” dopo un primo momento di sbigottimento, Marco sorrise “Parli proprio da ragazza innamorata” mi pizzicò una guancia ridacchiando contento “È la prima volta che ti vedo così”. Rimasi a guardarlo per un pochino prima di poggiare la testa sul suo petto “Non pensavo che io avessi ancora sentimenti per lui. Appena l’ho rivisto ho sentito un vuoto allo stomaco, quel senso di incompletezza che provavo è sparito… non voglio stargli lontana mai più” sentii le braccia del mio fratello più adorato che mi stringevano. Incrociammo lo sguardo e lo vidi con gli occhi lucidi. Mi preoccupai subito, ma lui vidi subito un grande sorriso sul suo volto “Tu non hai idea di quanto questo mi faccia felice. È la prima volta in tanti anni che parli così di qualcuno. Sei diventata grande, sono così contento” lo abbracciai di nuovo sorridendo “Sei la mia piccola sorellina, ti voglio un bene dell’anima. Voglio solo che tu sia felice. Lascia passare questo momento, sono sicuro che Ace cambierà idea” annuii.

 

Dopo quella giornata, incrociai parecchie volte Ace nei corridoi. Ogni volta era una tortura, eravamo a pochi metri di distanza, ma non potevamo né toccarci né parlarci. Sapevo dagli altri che provava ciclicamente ad assassinare mio padre, ma senza successo. Non ero preoccupata, sapevo che era troppo debole per poter riuscire nella sua impresa, piuttosto del fatto che non sarebbe cambiato niente. Ace era solamente troppo testardo per abbassare la testa. Un giorno mentre stavo camminando per i corridoi della base, notai mio padre che girava con dei fogli in una mano e del sakè nell’altra, a pochi metri dietro Ace estraé fuori una pistola. Non ci pensai due volte, tirai fuori la mia e gli sparai molto vicino al naso, prendendo il muro di fianco a lui. Si bloccò e mi guardò sconvolto, mio padre fece lo stesso notando solo dopo il ragazzo dietro di lui. Mi avvicinai minacciosa ad Ace prendendolo per il colletto della camicia “Cosa stai facendo? Cosa vuoi fare? Perché ti ostini a non cambiare? Perché mi devi far diventare così? Non ti voglio uccidere, ma se continuerai su questa via, sarò costretta. Non voglio sparare all’uomo che amo!” cominciai a piangere. Avevo ancora il mano la pistola, gliela stavo puntando alla testa e non riuscivo a smettere di tremare. Mio padre si avvicinò, mi allontanò da quel ragazzo che ormai mi guardava terrorizzato e mi abbracciò stretta “Calmati bambina mia. Dammi la pistola” mi prese l’arma dalle mani. Arrivarono correndo molti dei miei fratelli, tra cui Thatch e Haruta. Quest’ultimo mi prese una mano e mi portò in camera, mentre il castano puntò un fucile ad Ace ringhiando “Non muoverti”. Mi girai a metà strada e corsi di nuovo dove era avvenuto il fatto. Trovai ancora mio fratello e il ragazzo che amavo che si guardavano in cagnesco. Vedendomi di nuovo lì, mio padre mi chiese “Cosa vuoi fare?” gli feci un mezzo sorriso mentre gli sfioravo un braccio “Fidati di me papà” mi avvicinai ad Ace, abbassando il fucile che aveva ancora puntato al petto “Non sei in grado di uccidere papà, lui ti fermerà sempre e se non basterà, ci sarò io o i miei fratelli a proteggerlo. Vorrei solo che tu la smettessi di comportarti così e che prendessi una decisione. Tutti i tuoi vecchi compagni hanno trovato un posto qui, se tu prendessi una decisione ce ne sarebbe anche per te e ti assicuro che non saresti trattato male” sorrisi “Vorrei evitare di uccidere l’uomo che amo adesso che l’ho vicino a me, odio vedervi litigare in continuazione” gli presi una mano tra le mie guardandolo negli occhi “Ti prego, prendi una decisione. Preferisco averti come nemico fuori da qui che ucciderti all’interno di queste mura” gli baciai una guancia e me ne andai di nuovo da Haruta che mi guardava sorridendo “Ti rendi conto che nostro padre poteva punirti seriamente perché gli ha disobbedito, vero?” scrollai le spalle “Valeva la pena rischiare. Spero che Ace l’abbia capito questa volta che deve decidere”.

 

Il resto della giornata passò tranquillo. Dovetti fare parecchi lavori di scrivania e nei momenti tranquilli studiai. Verso l’orario di cena mi vennero a bussare alla porta. Aprii e mi trovai davanti Ace imbarazzato “Posso entrare?” non riusciva a guardarmi negli occhi, preferiva i suoi piedi “Non potresti nemmeno essere qui, figurati entrare” risposi secca ma curiosa. Non sapevo chi lo aveva lasciato avvicinare così tanto a me “Ho preso la mia decisione, il vecchio lo sa già. Mi ha permesso lui di venirti a parlare” lo guardai poco convinta. Mi affacciai alla porta e vidi in lontananza Marco che mi fece un pollice in su per segnalarmi che andava tutto bene, allora sorrisi, presi il ragazzo davanti a me per la cintura e lo trascinai dentro la mia camera chiudendo la porta dietro di noi.

 

“Parla, ti ascolto. Sto finendo un lavoro, ma ti ascolto” tornai alla scrivania ricontrollando i fogli che avevo appena completato “Scusami” sospirò affranto “Scusami davvero, non ho pensato a quello che provavi tu. Sono stato così ceco che non ho visto quanto tu soffrivi” mi abbracciò da dietro. Sentii il suo fiato caldo sul mio collo che mi fece venire i brividi lungo la schiena. “Ho detto di sì al vecchio. Voglio rimanere qui, accanto alla donna che amo” mi bloccai improvvisamente scioccata “È una risposta a quello che ho detto prima?” le sue dita mi fecero girare il viso delicatamente “Direi di sì” e mi baciò. Era un bacio casto, dolce, che cambiò velocemente in qualcosa di più passionale. Intrecciai le mie mani nei suoi capelli e lui mi tirò su dalla sedia per potermi lanciare sul letto. Ci prendemmo il nostro tempo per poterci assaporare per bene, poi cominciammo a svestirci. Entrambi inesperti, ci chiedevamo a vicenda se tutto andasse bene mentre ci davamo piacere a vicenda, dandoci consigli e godendo dei gemiti. Prima che la parte più importante potesse cominciare, lui si fermò. I capelli erano leggermente bagnati dal sudore, le prime goccioline gli cadevano dalla fronte, il fiato era corto e le guance rosse “Aspetta qui, non voglio che rimani incinta la prima volta”. Tirò fuori dai pantaloni un preservativo e disse imbarazzato “Regalo degli altri, mi hanno riempito” se lo mise e tornò verso di me. All’inizio fu doloroso, non ero abituata. Non che la cosa migliorò di molto poi continuando, ma non fu così tragica come me l’aspettavo. Ace era sempre preoccupato, mi chiedeva come andasse, aveva paura di farmi male. Nonostante ciò dopo un pochino aumentò il ritmo stando sempre attento che io non soffrissi troppo. Dalla mia parte avevo paura di fargli male per via delle mie unghie conficcate nella sua schiena che lo graffiavano ad ogni spinta, ma ad un certo punto se ne uscì con un “Se mi graffi così rendi tutto un po’ troppo sexy” con un mega sorriso. Finimmo dopo un po’, lui buttò il preservativo e mi schioccò un bacio sulle labbra “Ti sognavo da troppo tempo. Sei bellissima sempre, ma quando godi lo sei ancora di più” arrossii violentemente e lo spinsi via. Rise e mi abbracciò di nuovo lanciandomi sul letto. Mi trovai lui poggiato sul mio seno nudo che mi cingeva i fianchi con le sue braccia forti. Cominciai ad accarezzargli i capelli “Ti amo da morire” mi disse dopo qualche minuto. Si voltò a guardarmi, poggiando il mento sul mio sterno “Anch’io” risposi con un sorriso che ricambiò e si avvicinò per baciarmi. Ci addormentammo abbracciati dopo aver fatto una doccia ed esserci cambiati. Ci svegliammo di nuovo nel mezzo della notte e ricominciò tutto daccapo, ci amammo di nuovo e di nuovo. Era tutto perfetto.

 

Il giorno dopo entrò Marco urlando “Buongiorno piccioncini!” svegliandoci di soprassalto. Ace mi strinse a sé, non voleva alzarsi e la luce delle tapparelle alzate dal biondo gli dava parecchio fastidio “Avete ancora un po’ di tempo prima che nostro padre ci cominci a chiedere perché nessuno dei due si fa vivo. Vi abbiamo coperto per la cena, ma alla colazione dovete esserci” spostai Ace via da me e mi sedetti sul letto stando ben attenta a coprirmi il seno con le lenzuola “Tranquillo, scendiamo tra poco” mormorai girandomi verso il ragazzo di fianco a me che si era riaddormentato. Sorrisi “Marco” mio fratello si voltò “Dimmi tesoro” il suo tono dolce mi fece sorridere ancora di più “Grazie” mi fece un occhiolino “Per te questo ed altro. Sei felice?” si sedette di fianco a me “Molto” sussurrai. Mi abbracciò stretta “Questo ci interessa. Ora se non scendete ti troverai papà qui che ti tira giù dal letto e non so quanto sarà felice di vedervi così” detto questo, sciolse l’abbraccio e se ne andò. Poggiai di nuovo la testa sul cuscino guardando il volto rilassato di Ace. Chiusi di nuovo gli occhi. Sentii le sue braccia che mi stringevano a lui e un sussurro “Buongiorno amore mio” mi raggomitolai, crogiolando in quel calore mai provato prima “Buongiorno a te”. Mi baciò sulla fronte e si andò a lavare in bagno. Tornò cambiato e profumato “Ti devo chiedere una cosa importante” mi guardò serio “Ma da adesso ti posso considerare la mia ragazza o devo chiedere al vecchio?” gli lanciai un cuscino “Non ti serve il permesso da nessuno, certo che puoi” “Ottimo” un altro bacio leggero sulle labbra seguito da una leggera risata.

Uscimmo dalla stanza dopo aver sistemato tutto. Gli presi una mano tra le mie, lui arrossì e la strinse. Arrivammo in sala da pranzo così. Tutti si girarono sorpresi a guardarci, tutti tranne nostro padre. Ci sedemmo vicino a lui che non spostò il suo sguardo dal giornale di quel giorno “Come devo prendere questo ingresso che avete fatto?” chiese con voce monotona “Papa`, noi-” “Non sono stupido. Avete saltato la cena ieri, l’avevo capito. Spero solo facciate le cose con criterio” si alzò uno dei responsabili, il suo nome era Fossa, e urlò da metà tavolo “Padre, puoi stare tranquillo, ci abbiamo pensato noi a dare il necessario ad Ace!” scoppiò una fragorosa risata in tutta la sala, tranne da me e Ace che ci guardammo imbarazzati. Marco si mise tra noi due, ci prese per le spalle e ci sussurrò “Non avrete pace per un bel po’ di tempo, abituatevi” sbuffai tirandomi uno schiaffo sulla fronte “Io vi uccido tutti nel sonno, preparatevi” risposi con un coltello in mano. Mio padre ridacchiò. “Dopo vieni nel mio ufficio Sophie, ok?” mi chiese. Annuii e cominciai a mangiare. Saltare la cena e avere una nottata come quella appena passata mi avevano messo una fame incredibile. Passata un’imbarazzante colazione, andai in studio da mio padre. Bussai e al suo “Avanti!” entrai. Mi aspettava a braccia conserte e sguardo assorto. “Siediti pure. Devo chiederti un paio di cose” mi sedetti in silenzio aspettandomi l’ennesimo terzo grado. “Sei sicura di quello che stai facendo?” mi chiese serio con le braccia incrociate al petto “Sì” risposi sicura di me, annuendo con convinzione “Com’è stato stanotte?” arrossii. Parlarne con lui era l’ultima cosa che volevo fare, era troppo imbarazzante. “Bellissimo” dissi con un soffio. Mi fissò per qualche secondo in silenzio. Poi vidi un grande sorriso dipingersi sulle sue labbra “Sei radiosa questa mattina. Adoro vederti così. Solo non dimenticarti dei tuoi doveri. Il fatto che adesso ci sia anche lui nella tua vita non significa che puoi lasciarti andare. Devi comunque studiare, andare ad occuparti dei vari territori, allenarti e soprattutto gestire tutto quello che ti ho dato” il sorriso sparì e al suo posto arrivò un’espressione più dura, che lasciava però trasparire una certa dolcezza che quella mattina era troppo presente per poterla farla andare via “Sei diventata davvero grande bimba mia. Ora torna ai tuoi doveri, ci vediamo dopo” mi alzai e lo andai ad abbracciare “Grazie papà” mi strinse forte “Tutto per te. Non te ne approfittare” mi lasciò andare e tornai alle mie faccende.

 

 

 

 

Passarono tre anni da quel giorno. Le giornate passarono veloci, in poco tempo Ace si fece valere tra le nostre fila e fu promosso a responsabile della seconda divisione. Io continuai con il mio lavoro, divenni ufficialmente il braccio destro di mio padre con Marco che mi supportava avendo più esperienza di me. Tra me e Ace le cose andavano a gonfie vele. Avevamo i nostri momenti intimi in cui non sentivamo niente e nessuno, eravamo supportati da tutti e nell’ultimo periodo arrivavano battutine su figli e matrimonio, che papà faceva finta di non sentire. Ero felice di come stessero andando le cose, finalmente era tutto perfetto.

Un giorno, Ace arrivò correndo in ufficio da nostro padre mentre ero lì che stavo facendo rapporto su una missione “Padre! Sophie! Guardate chi è in prima prima pagina!” vidi il faccione sorridente di Rufy in mezzo ad un gruppo di ragazzi che sembravano circa della sua stessa età con il titolo “Una nuova banda terrorizza la città”. Rimasi basita davanti alla notizia, che invece fece ridere mio padre “Chi è questo marmocchio?” chiese divertito guardando il giornale e leggendo l’articolo “È mio fratello!” disse il moro tutto contento “È una tragedia Ace! Rufy è troppo piccolo, non può cominciare ad esporsi appena arrivato in città, dove diamine ha trovato questi compagni, cosa sta combinando? Insomma non è pronto” cominciai ad urlare preoccupata per il ragazzo che un tempo era il più debole tra noi quattro. Il mio ragazzo mi poggiò una mano sulla spalla “Stai tranquilla, non è più il bimbo scemo che ricordi tu, è migliorato incredibilmente col tempo” provò a tranquillizzarmi, ma senza successo “Non mi fido” alzò le spalle “Come vuoi”. Mio padre si schiarì la voce “Dato che siete qui, ho una missione per voi due. Ho saputo che un certo informatore della polizia, un certo Teach, che sta chiacchierando un po’ troppo su di noi. Ho mandato Thatch ad occuparsi di lui, ma ancora non è tornato, non vorrei gli fosse successo qualcosa. Dovete cercarlo” la porta si aprì di scatto ed entrò uno dei vari responsabili, Atmos, con il fiatone “Padre” disse con lo sguardo basso e la sua voce profonda “Hanno trovato Thatch” il tono era funereo. Calò il silenzio. Portai le mani alla bocca, non volevo continuasse la frase “Padre, è stato ucciso” Ace mi abbracciò istantaneamente, tenendomi in piedi dato che le ginocchia mi cedettero alla notizia. Sentii una penna spezzarsi e quando mi girai vidi il volto pieno di rabbia di mio padre “È stato quel Teach, vero?” ringhiò il mio ragazzo pieno di rabbia “Siamo quasi sicuri di sì” confermò l’uomo alla porta “Ace, ti vieto di andarlo a cercare. Non voglio che anche tu finisca come Thatch” ordinò il vecchio “Ha ucciso uno dei tuoi! Come posso lasciarlo andare via?” urlò il giovane arrabbiato oltre ogni limite “Ho un brutto presentimento sulla faccenda, non voglio che anche tu ci vada in mezzo” provò a convincerlo “Non mi interessa. Thatch deve essere vendicato” Ace sciolse l’abbraccio e corse fuori dalla stanza lasciandomi da sola. Atmos si avvicinò e mi asciugò le lacrime “Tornerà, stai tranquilla” mi consolò, ma senza successo “Non posso aspettare, devo riportarlo indietro” mi alzai di scatto e corsi verso la porta “Tu no!” urlò mio padre alzandosi dalla sedia su cui era seduto “Non posso permetterti di fuggire così!” mi girai con un’espressione preoccupata “Mi dispiace papà, non lo lascerò solo” e andai a cercarlo fuori.

 

Trovai Ace dopo parecchio tempo che stava camminando ormai quasi nel centro della città “Ace!” lo chiamai. Si girò stupito “Cosa ci fai qui? Ti ha fatta venire il vecchio?” lo abbracciai stretto “Sono scappata io. Non potevo farti fare tutto questo da solo” il mio ragazzo si divincolò e mi allontanò da lui preoccupato “Sei importante per l’organizzazione, torna indietro” non mi spostai di un millimetro, rifiutandomi di ascoltare il suo consiglio “Non senza di te!” urlai risoluta “Io non tornerò prima di aver ucciso quello stronzo, ora torna a casa!” mi prese con forza un braccio. Provai a divincolarmi “Voglio solo che non ti uccidano, non potrei mai crescere nostro figlio da sola” dissi con un filo di voce. Si bloccò “Che hai detto?” chiese incredulo. Non avrei voluto dirglielo così, non era il momento giusto, ma ormai la frittata era stata fatta “Hai sentito bene” lasciò andare il mio braccio e mi abbracciò “Da quanto lo sai?” la sua voce era tremante, così come il suo corpo che non riusciva a nascondere la paura e l’emozione “Ieri sera. Erano un paio di settimane che avevo i dubbi, e ieri ho avuto il coraggio di fare il test. Sono a tre settimane” mi strinse forte a sé e io ricambiai l’abbraccio per tranquillizzarlo “Mi stai rendendo l’uomo più felice del mondo” sussurrò al mio orecchio “Ho solo paura che non sarò un buon pare” gli baciai una guancia “Devi solo essere più razionale nelle tue scelte. Sarai un ottimo padre”. Mi prese per mano, tornando indietro “Cosa fai?” chiesi presa in contropiede “Ti porto a casa, non verrai con me” il tono era duro, niente al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea, lo conosceva troppo bene “No Ace! Io voglio stare con te! Voglio aiutarti!” gridai tentando di scappare alla stretta ferrea del mio ragazzo “Non con mio figlio dentro di te, te lo scordi!” ribatté girandosi lui guardandomi negli occhi “Fino a prova contraria io sono il tuo capo, non puoi trattarmi così” provai ad utilizzare la mia carta migliore in quel momento, che di solito funzionava e lo faceva rinsavire “Non mi interessa, non puoi lottare, per cui non mi sei d’aiuto!” vidi anche quella flebile luce spegnersi, così come le mie possibilità di convincerlo “Mollami subito o io-” “ACE!” un urlo ci bloccò.

Ci girammo allo stesso momento per vedere Rufy che ci salutava sorridendo. Mi divincolai dalla stretta del mio ragazzo per andare a salutare quel bambino che non vedevo da dieci anni. Era diventato più alto di me e si vedeva il frutto degli allenamenti dalla canottiera “Rufy!” lo abbracciai stretto. Rimase interdetto inizialmente, ma poi ricambiò “Non sapevo ci fossi anche tu con lui. È bellissimo rivederti dopo tanto tempo!” entrambi eravamo veramente contenti, era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che ci eravamo visti “In realtà è lui che è con me, io sono il capo” si avvicinò anche il mio ragazzo che andò a tirare una poderosa pacca sulla schiena al fratello “Da quanto tempo non ci vediamo Rufy! Ho visto che ti sei fatto un bel giro di amici” guardò i suoi amici e fece un piccolo inchino “Grazie mille per prendervi cura di mio fratello e scusatemi per tutti i guai in cui vi mette” tutti ricambiarono “Non è un problema” e partì un mormorio tra loro “Che gentile” una ragazza dai capelli arancio si commosse “Non mi aspettavo queste buone maniere” un tipo biondo sussurrò interdetto “Non sembrano neanche fratelli” scosse la testa un ragazzo dai capelli verdi “Quasi mi commuovo, non è per niente come quello scemo di Rufy” risi forte “Quante ne hai combinate per far commuovere i tuoi compagni per Ace?” il moretto fece spallucce sorridendo. Guardò me e Ace “Cosa state facendo?” chiese curioso avendoci visto litigare in mezzo alla strada “Stiamo dando la caccia ad un uomo chiamato Teach. È un informatore della polizia e ha ucciso uno dei nostri compagni. Sophie però stava per tornare a casa che non mi può seguire” Rufy rimase perplesso “Perché?” il mio ragazzo mi strinse a sé e mi baciò sui capelli “Beh, a quanto pare stiamo aspettando un bambino” sorrise contento. Il più piccolo strabuzzò gli occhi e ci guardò con la bocca aperta “Sto per diventare zio?” annuimmo. Ci abbracciò felice “Ragazzi che notizia! Allora questo ti farà diventare più responsabile Ace?” il mio ragazzo rise “Come se non lo fossi già abbastanza, ho tirato su te!” rimanemmo lì a chiacchierare per un pochino. Rivedere Rufy dopo tanto tempo fu un’emozione, raccontammo la nostra vita, lui ci parlò delle sue avventure e ci presentò per bene ai suoi compagni. Dopo un po’ ci dovemmo salutare, ma il più piccolo era troppo felice per la notizia che gli avevamo dato e non riusciva a lasciarci andare “Scrivetemi quando succede, voglio esserci. Non vedo l’ora di tenere in braccio mio nipote” Ace lo bloccò subito “Io non ti do in braccio mio figlio, chissà cosa gli combini” fece finta di proteggermi da lui che scoppiò in una gran risata. Lo abbracciai stretto “Mi raccomando, stai attento. Qui non è come a Goa, fidati di pochi e evita di fare casini” mi voltai verso il gruppo di ragazzi “Proteggetelo, vi prego” il ragazzo dai capelli verdi chiamato Zoro mi sorrise “Lo faremo, sta tranquilla” lo ringraziai e finii di salutare Rufy.

 

 

Ci congedammo dal gruppo. Presi per mano Ace “Ora andiamo in centro e vediamo la situazione” non rispose, cominciammo a camminare. Passammo tutta la giornata a chiedere informazioni, girare per la città e a nasconderci dalla polizia. Verso sera tornammo alla base. Ci accolse Izo che tirò un ceffone ad entrambi “Abbiamo passato una giornata intera a preoccuparci! Dove vi eravate cacciati?” Ace aprì la bocca, ma venne subito zittito “Non vi voglio sentire, dovete subito andare in ufficio da nostro padre” fece capolino la testa di Vista da una porta e ci fece segno di andare su in studio. Ci presentammo davanti alla scrivania di nostro padre che a malapena ci guardò “Vi rendete conto che siete fuggiti, vero?” poggiò la penna sul foglio “Che siete andati via nonostante io vi abbia detto di non farlo?” si tirò su poggiando bene la schiena sulla sedia “Almeno avete portato delle informazioni utili?” provai a prendere parola, ma mi bloccò prima il vecchio “Non dirmi niente. Non sono tanto arrabbiato con Ace, quanto con te. Hai delle responsabilità qui, non puoi fare quello che vuoi. Mi hai molto deluso, stasera non uscirai dalla tua camera e non vi permetterò di vedervi per una settimana” provai di nuovo a parlare, ma Ace mi bloccò prima “Padre, lei non c’entra, punisci me” l’uomo di voltò verso il mio ragazzo “Tu non parlare. Rimarrai fuori dalle investigazioni per qualche giorno e poi ti occuperai anche di questo. In quanto a te signorina, non voglio che tu esca da qui. Per la prossima settimana non vedrai nient’altro che la tua scrivania, intesi?” abbassai lo sguardo senza dire niente “Sophie, ti ho fatto una domanda, voglio che tu mi risponda” il tono di voce era parecchio arrabbiato “Va bene” mormorai. Sospirò portandosi le dita alle tempie “Mi avete fatto preoccupare. Ho mandato in giro chiunque a cercarvi” mi avvicinai alla scrivania “Non pensavo vi foste preoccupati così tanto, scusateci” sentii una botta fortissima data alla scrivania e vidi mio padre alzarsi minaccioso “Hanno ucciso Thatch, uno degli uomini migliori che avevo, e tu pensi che io sia tranquillo a lasciarti girare per la città solo con Ace? Come ti salta in mente?” urlò pieno di rabbia. Sentii Ace che si avvicinava e mi abbracciò, trasmettendomi un senso di sicurezza che mi rassicurò “L’ho tenuta fuori pericolo in tutti i modi possibili. So dove andare per evitare brutti incontri, non voglio che le succeda qualcosa” disse a nostro padre guardandolo dritto negli occhi “La dovevi riportare qui subito” il vecchio non era per niente contento e lo stava facendo pesare “Ci ho provato, ma non posso costringerla” ribatté Ace sciogliendo l’abbraccio e avvicinandosi alla scrivania “Non è una risposta accettabile. So anche che è stata poco bene nelle ultime settimane, vorrei che si riposasse” papà incrociò le braccia infastidito “A questo proposito” cominciai guardando Ace che mi fissò stupito “Voglio dirti una cosa importante che ha saputo anche lui poco fa. Preferisco che ti sieda prima di dirtelo” vidi l’espressione perplessa del vecchio che però si sedette senza fiatare, facendomi cenno di continuare “Ecco… stai per diventare nonno” mio padre aprì e chiuse la bocca più volte senza emettere suoni. Lo stupore era visibile “Scusatemi se non ve l’ho detto prima, ma non sapevo come fare e-” venni abbracciata da mio padre, che cominciò a commuoversi. Ricambiai l’abbraccio stringendolo a me, nello stesso momento in cui qualcuno aprì la porta. “Che succede?” chiese Marco confuso “Aspettiamo un bambino” rispose Ace “Come scusa?” l’incredulità era palese nella sua voce “Divento nonno” sussurrò mo padre mentre mi accarezzava i capelli “Ti rendi conto che da adesso tu non uscirai davvero più da qui, vero?” disse commosso mentre mi stringeva di più “Sì, ma non potrei comunque fare di più che semplice lavoro di scrivania” un grande sorriso si dipinse sul mio volto.

La voce girò molto in fretta. Io e Ace fummo sommersi da persone che si congratulavano e a cena si brindò alla lieta notizia. Papà gongolò tutta la serata, la fuga della mattina e la discussione avuta poco prima erano solo un ricordo lontano, nonostante fossero ancora fresche. Dal giorno dopo cominciarono le ronde di ricerca per Teach e i suoi. In una settimana Ace tornò in campo più carico di prima, nostro padre lo fece diventare il capitano delle ricerche, facendolo uscire tutti i giorni e chiedendo un rapporto ogni sera sulle informazioni raccolte.

Arrivò una sera in cui non tornò.

 

 

Dopo tre settimane di ricerche si era abituato a tornare a casa per le sei di sera, in tempo per aggiornare nostro padre, farsi una doccia, parlare un po’ con me e poi andare a mangiare. Verso le sei e mezza notai che ancora non si era fatto vivo. Alle sette andai in ufficio da papà e gli chiesi se avesse avuto notizie “Ancora no, ma sta tranquilla, sono sicuro che starà seguendo qualcuno” mi rassicurò lui, o almeno ci provò. A cena ancora niente, non riuscivo a parlare con nessuno. Marco che sedeva accanto a me notò la mia preoccupazione e mi schioccò un bacio sulla fronte seguito da un bel sorriso caldo che non riuscii a ricambiare. Verso la fine della cena si aprì di violenza la porta della sala da pranzo con uno degli uomini di Ace con il fiatone e pieno di ferite. Mi precipitai verso di lui a sorreggerlo e mi sussurrò un “L’hanno preso. Non abbiamo potuto far niente” prima di svenirmi tra le braccia. Guardai terrorizzata mio padre, che capì al volo la situazione. Si alzò e cominciò ad urlare ordini a tutti quanti, mentre io venivo portata in fretta in camera da Marco. Rimase con me tutta la notte ad abbracciarmi, cullandomi con le sue parole, provando a fermare le mie lacrime. Ci addormentammo dopo molto tempo, venimmo svegliati da uno dei responsabili, Jozu, che venne a portarci notizie “È rinchiuso in una delle centrali di polizia. Siamo venuti a sapere che lo vogliono giustiziare per via dei suoi crimini e inoltre dicono che sia il figlio scomparso di Gol D. Roger. Tu ne sai niente di questa storia?” si rivolse a me che non riuscivo a parlare. Non risposi, mi fiondai in ufficio da mio padre “Vado a prenderlo” gli dissi incurante della riunione che era in corso. Sospirò “Non andrai da nessuna parte, te lo proibisco. Ci stiamo già organizzando” “Jozu mi ha detto che dicono che sia il figlio di Roger, io-” “Lo so già che è suo figlio” mi fermò. Rimasi stupita “Prima di entrare a far parte della nostra famiglia me lo disse con tranquillità, mi chiese anche se mi andasse bene se ti avesse frequentata. Non ho mai avuto problemi a riguardo, non mi è mai interessato di chi fosse figlia la gente che entrava qui dentro” mi sorrise “Lo salveremo, stai tranquilla”.

Da lì in poi, furono giorni di fuoco, io mi occupavo del lavoro normale, mentre papà e Marco organizzavano l’attacco al convoglio che avrebbe portato Ace alla sua morte. Arrivò il fatidico giorno, mi salutarono tutti come se fosse stata l’ultima volta che ci saremmo visti, in particolar modo mio padre. Sapevo che aveva deciso in cuor suo che quella battaglia sarebbe stata la sua ultima, ma faticavo ancora ad accettarlo “Vi aspetterò qui” sussurrai abbracciandolo stretto “Tutti quanti” lui mi sorrise “Ce la faremo bambina mia. Tu stai attenta, mi affido a te” gli diedi un bacio sulla guancia e lo lasciai andare. Li vidi allontanarsi armati fino ai denti, verso una battaglia che sarebbe stata la fine di qualsiasi cosa io amassi.

Appena vidi in televisione della battaglia per le strade contattai Shanks “Pronto?” “State andando lÌ?” chiesi senza presentarmi “Sì, voglio fermare questa pazzia” disse risoluto “Portami con te” non lo domandai, fu quasi un ordine rivolto al mio interlocutore “Sono sicuro che lui ti abbia dato ordini diversi” un sospiro dall’altra parte del telefono. Sapevamo entrambi che se avesse accettato avremmo rischiato molto, l’ira di mio padre si sarebbe riversata su di noi “Shanks, non sono stupida. Lo vedo che è in difficoltà, non supererà la battaglia. Voglio portare lui, i miei fratelli e l’uomo che amo via da lì” lo sentii sospirare di nuovo “Mi farai cacciare nei guai per questa tua decisione” pochi minuti dopo mi passò a prendere. Prima di spegnere la tv, vidi il corpo di Ace accasciarsi a terra. Salii in macchina con il rosso che cominciò a correre per la città, così arrivammo al luogo della battaglia e al momento dell’inizio del mio racconto.

 

 

 

Non riesco ad esprimere a parole cosa significhi guardare la tua vita sgretolarsi davanti ai tuoi occhi. All’improvviso Marco scioglie il suo abbraccio e al suo posto si siedono ai miei lati due ragazzi, uno moro e uno biondo. Mi prendono le mani tra le loro con lo sguardo fisso sul corpo di Ace davanti a noi. “Sempre troppo tardi” sussurra Sabo “Siamo troppo deboli” dice Rufy con tono di scuse. Abbraccio entrambi “Siete perfetti così, neanche la mia famiglia che è la più potente tra le quattro in città è riuscita nel suo intendo” il biondo mi fissa in silenzio. La prima volte che ci vediamo in dieci anni ed è per la morte di una delle persone più care ad entrambi “Rufy mi ha detto di vostro figlio. Ti prometto che verrà protetto da noi, diventeremo molto più forti, non dovrai preoccuparti di niente!” alza un mignolo “Promesso” glielo prendo col mio e si aggiunge anche il più piccolo. Li abbraccio di nuovo “Grazie ragazzi” rimaniamo così per molto tempo, mentre la strada attorno a noi viene ripulita, i corpi spostati e i miei fratelli si ritirano, tranne Marco e Haruta, che mi aspettano mentre parlano con Shanks. Questa battaglia porterà sicuramente delle cicatrici incurabili alla città.

Il funerale dei nostri caduti è lungo e solenne, il rosso come forma di rispetto, si è accollato tutte le spese della cerimonia. Abbiamo deciso di farlo due giorni dopo le vicenda. Partecipano tutti, anche i capi delle fazioni avverse a noi. Mio padre era un uomo rispettato, e questo si rispecchia negli omaggi che le persone hanno deciso di fargli. Appena finito il tutto, Shanks si avvicina “Sei sicura di star bene?” annuisco “I miei fratelli sono di grande supporto, poi ho anche Sabo e Rufy che non vogliono sentire ragioni e hanno deciso che i week end li passeranno qui” il rosso sorride e mi abbraccia forte “Allora noi andiamo, ci vediamo presto” mi sussurra all’orecchio “Grazie per tutto Shanks, non saprò mai come sdebitarmi” ricambio l’abbraccio con tutte le forze che mi sono rimaste “Non serve, tuo padre era un uomo che meritava rispetto, nessuno discute su questo” così si allontana.

Passate le settimane, ritorniamo alla vita di tutti i giorni, con le faccende da sbrigare e problemi da risolvere. Lo studio rimane chiuso e vuoto. Senza la figura imponente di mio padre è pressoché inutile, lavoro tranquillamente anche dalla mia camera. L’iniziale preoccupazione dei miei fratelli sul mio stato d’animo era stata presto dimenticata, ora si concentrano molto di più sui traffici che gestiamo e sul mercato nero che teniamo in piedi. Così, siamo tornati ad una vita tranquilla, con la polizia che ci insegue e gli affari che vanno a gonfie vele. “Spero siano fieri di noi” sussurro una sera a Marco mentre mi porta in braccio a letto mezza addormentata “Sicuramente lo sono, sei riuscita a non far sfaldare la nostra famiglia. Sei un piccolo miracolo piccolina” sorrido. È l’unica cosa che conta per me.

 

 

 

 

Cinque anni dopo, Sabo e Rufy giocano con i miei bambini. I gemelli corrono urlando per il salone della nostra base, rincorsi dai due zii che non sanno più come fermarli. Guardo amorevolmente i due bambini, che sono un adorabile misto tra me e loro padre, con una spruzzata di lentiggini sui loro visi, capelli neri come la pece e due paia di occhi verde prato “Anne! Jack! Tornate qui!” li richiamo per evitare che uccidano definitivamente i due ragazzi che, ormai distrutti, erano piegati in due alla ricerca di fiato “Sono uguali a voi due per le energie che hanno” dice Rufy ridendo “Mi sono sempre chiesto una cosa: ma Ace non c’è, prenderanno il tuo o il suo cognome?” chiede perplesso Sabo. Sorrido “Prendono il suo!” dico alzando un dito in tono solenne “Gol D.?” la confusione dei due ragazzi è visibile “No scemi, Portgas D. Sapete che odia essere chiamato con il nome di suo padre” la mia bimba si avvicina con gli occhi pieni di curiosità “Mamma mamma, ci racconti di papà? Com’era?” il maschietto la seguì imitandola “Anche del nonno! Voglio sapere di tutto quello che ha fatto!” disse sempre lui mimando di sparare con la pistola. Ridemmo tutti assieme “Dovete sapere che entrambi sono stati molto coraggiosi” inizio a raccontare storie su storie, finché non si sono addormentati sia i bambini che sono tra le mie braccia, che Sabo e Rufy. Mi zittisco, poggio la testa sullo schienale della poltrona su cui siedo e chiudo gli occhi. Non avrei mai pensato di poter essere così felice nonostante tutto.

   
 
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