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Autore: Erisachan    21/07/2009    1 recensioni
Domenica.
Le domeniche sono un giorno strano, lo sono quando sei libero dagli impegni, quando puoi stravaccarti sul tuo divano rigorosamente in pelle nera e bearti del silenzio che annunciano i negozi chiusi, le strade vuote, il silenzio tipico delle piccole città in una giornata d'estate.
Sono le grandi città quelle che subiscono il supplizio del rumore anche di domenica, ma anche lì cambia qualcosa, cambiano gli scopi, non le chiacchere, che quelle restano sempre uguali, non dipende dai giorni, ma non si va più in giro per lo sfrenato bisogno di consumismo che sembra ormai aver preso possesso del globo, la domenica si cammina rilassati,
ci si perde nelle parole che si vuotano come fiumi dalle bocche della gente, la domenica si portano a spasso i bambini, ci si bea dei loro giochi e dei loro sorrisi, si passeggia mano nella mano con il proprio fidanzato,
ci si infila la tuta e si va a correre con la sola compagnia della musica che esce dal tuo fidato iPod, si cammina lenti di domenica, ci si bea delle piccole cose che negli altri giorni, la fretta, non ti permette di notare.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Brian Molko non mi appartiene (per ora....mai dire mai!) Valeria invece sì ù.u, non intendo fornire una trasposizione veritiera dei fatti accaduti e niente di tutto questo è a scopo di lucro.
Questa storia è uno spin off di una fic di nainai "Centrefolds" che è stupenda e dovete assolutamente leggere! ò.o
Detto questo vi lascio alla lettura!





Falling Away With You





Domenica.
Le domeniche sono un giorno strano, lo sono quando sei libero dagli impegni, quando puoi stravaccarti sul tuo divano rigorosamente in pelle nera e bearti del silenzio che annunciano i negozi chiusi, le strade vuote, il silenzio tipico delle piccole città in una giornata d'estate.
Sono le grandi città quelle che subiscono il supplizio del rumore anche di domenica, ma anche lì cambia qualcosa, cambiano gli scopi, non le chiacchere, che quelle restano sempre uguali, non dipende dai giorni, ma non si va più in giro per lo sfrenato bisogno di consumismo che sembra ormai aver preso possesso del globo, la domenica si cammina rilassati,
ci si perde nelle parole che si vuotano come fiumi dalle bocche della gente, la domenica si portano a spasso i bambini, ci si bea dei loro giochi e dei loro sorrisi, si passeggia mano nella mano con il proprio fidanzato,
ci si infila la tuta e si va a correre con la sola compagnia della musica che esce dal tuo fidato iPod, si cammina lenti di domenica, ci si bea delle piccole cose che negli altri giorni, la fretta, non ti permette di notare.

Ma la domenica è un giorno strano come dicevo prima, perchè stravaccato sul divano, la radio a diffondere la tua musica preferita, hai il tempo di pensare e molto spesso i pensieri ti portano ai ricordi.
Allora torni a quel ragazzino che eri, torni a pensare che sembravi davvero uno sfigato e che uno sfigato dopotutto lo eri, torni ai tuoi genitori, alla faccia che hanno fatto quando hai annunciato che volevi frequentare la scuola di Londra e che non avresti ceduto a nessun'altra proposta, ragionevole o meno che fosse.
Ti ricordi di quella scuola appunto, che eri ancora lo stesso sfigato quando hai iniziato a frequentarla, ti ricordi della gente che hai incontrato, di quella strana ragazza che ti aveva adottato e ti teneva come cucciolo da esposizione prima, come amico, confidente e forse porto sicuro dopo, che poi un porto sicuro tu non lo fossi e non lo sei mai stato, poco importava.
Ti torna in mente Tristan e il ribollire di qualcosa dentro ogni volta che lo vedevi, che tu le illusioni non te le sei mai fatto, l'hai sempre saputo che ti piacevano i ragazzi, quindi non era quello a sorprenderti, era la voglia mai provata di fare qualcosa per attirarne l'attenzione,
quindi ti ricordi della decisione di cambiare, della voglia di sporcare le tue labbra di rosso e macchiare gli occhi di nero, la voglia di fasciarti in vestiti che non ti saresti mai immaginato ti stessero così dannatamente bene,che non avresti mai immaginato ti dessero quell'aria da puttanella che piaceva tanto a chi ti copriva di lussuria con un solo sguardo.
Ma che quelli sguardi tipicamente maschili ti sarebbero piaciuti, che avrebbero alimentato il tuo ego, lo sapevi, che puttana ti piaceva sentirti, ma puttana dopotutto ancora non ti piaceva esserlo.
Sapevi che il secondo sguardo che ti rivolse Tristan era diverso da quello che aveva gettato sullo sfigato in cui era incappato a una festa alla quale non aveva davvero bisogno di partecipare, lo sentivi diverso ora, perchè c'era curiosità che prendeva il posto dell'indifferenza e c'era la voglia a prendere il posto dell'invisibilità di cui ti aveva coperto.
Sapevi che ti avrebbe scopato e che per lui non sarebbe stato più di quello, così come eri consapevole non sarebbe stato lo stesso per te,
ma dopotutto eri ancora uno sfigato con degli abiti diversi e con il viso sporco di trucco appariscente, quindi dovevi cascarci per forza, dovevi sbatterci la testa e sapere che prima o poi, dei bendaggi ti saresti occupato.
Quello che invece non ti aspettavi, era l'incontro con qualcuno che dopotutto non ti serviva, che non avevi nemmeno cercato, ma che ti era piombato addosso quando ormai credevi che le cose, addosso, non ti sarebbero più cadute.
Perchè a 20 anni, di ragazzi te ne sei scopati abbastanza da credere che in fondo, non hai davvero bisogno di provare altro, sei contento di quello che hai o almeno te lo fai bastare, che porsi continuamente delle domande non è comodo e non è nemmeno facile.
Ma la vita è quello che è, e si sa, è quando senti di avere delle certezze in quel marasma che ti avvolge che il destino decide di farti cadere qualcosa e distruggerle in un colpo solo.

Quello che mi cadde addosso prende il nome di Valeria, una donna sì, per questo le mie certezze sono andate distrutte, per una donna, che in fondo potevo pure aspettarmelo se ci penso bene.

Fu in uno dei miei soliti giri per negozi di musica che la incontrai, a quel tempo mi ero fissato con il piano, sapevo suonarlo, perciò desideravo comprarne uno, prima dovevo solo guadagnare abbastanza soldi per potermelo permettere.
Mi accontentavo di girare i negozi, di accarezzare i tasti bianchi e sperare in una di quelle rare occasioni fortuite in cui il proprietario decideva che potevo suonarci qualcosa, che era un sacco di tempo che nessuno lo usava e una palpatina non gli avrebbe fatto male.
In quei casi il proprietario in questione era il classico uomo di mezza età represso sessualmente che la palpatina voleva darla a me, ma in fondo poco importava, di tipi così era pieno il mondo e non spettava comunque a me soddisfarli tutti, quindi mi limitavo a elargire falsi sorrisi approfittandomi di un'altrettanto falsa gentilezza.
Ma torniamo a noi, stavo dicendo che fu in una delle mie escursioni che la conobbi, stava chinata ai piedi di un violino, ginocchia contro il grembo, viso poggiato di lato e il broncio più carino che avessi mai visto a decorarle il viso (forse già il fatto che mi si disegnò nella mente la parola "carino" doveva darmi un minimo di allarme, ma così non fu).
Per conto mio mi limitai ad osservarla per pochi istanti, poi tornai a dedicare la mia attenzione allo strumento che ormai era diventato più un ossessione che un diletto, mi sedetti sullo sgabello senza schienale che si trovava di fronte ai tasti e sbirciando il banco per assicurarmi che ci fosse il solito commesso presi a muovere veloci le dita su di essi muovendoli in una melodia improvvisata alla buona,
non mi interessava colpire nessuno con la mie capacità, non andavo lì per questo, chiudevo gli occhi e lasciavo che le note entrassero occupando lo spazio riservato ai pensieri.
Valeria era piccola, era più bassa di me, che di certo alto non sono, aveva gli occhi scuri tanto da sembrare neri e capelli castani che le ricadevano lunghi sulle spalle magre, a pensarci bene non era certo una gran bellezza,
era piuttosto quel tipo di persona che definisci affascinante. E lei affascinante lo era in un modo solo suo.
Mi ascoltò per tutto il tempo senza disturbarmi una sola volta, quando staccai le mani dal piano sollevando le palpebre scorsi le sue ancora chiuse dietro un espressione così seria che mi mise paura.

"Suoni molto bene" lo disse sollevando lo sguardo a fissarmi, non lessi nessun tipo di interesse fisico, a dire la verità non fui in grado di leggervi nulla nei suoi occhi.

"Grazie" la scrutai sospettoso inclinando la testa nello scimmiottamento del gesto in cui l'avevo trovata quando entrai, mi risparmiai il broncio perchè dopotutto, non mi si addiceva per nulla "suoni anche tu? Ti ho vista prima che osservavi quel violino" lo indicai con un cenno della testa spostandomi leggermente per poterla avere di fronte.

"No, gli strumenti li ascolto"

"Oh"

"Che c'è?" chiese sinceramente curiosa

"Mi chiedevo come mai fossi in un negozio di strumenti allora, sarebbe più indicato uno di dischi"

"Te l'ho detto, io li strumenti li ascolto"

"Non capisco che intendi" percepii le mie sopracciglia corrugarsi e darmi un'aria di puro scetticismo.

"Non hanno bisogno di essere suonati per produrre musica...vieni" mi prese per un braccio trascinandomi verso il violino senza aspettare un mio segno di assenso.
Ci chinammo insieme nella medesima posizione.

"Mike apri la porta per favore"

"Di nuovo con questa storia?" nonostante le lamente il commesso obbedì alla sua richiesta alzandosi dolentemente dalla sedia per raggiungere la porta "ascolta bene" mi disse tendendo l'orecchio verso le corde,
gli occhi verso di me ma non rivolti ai miei, no, non avvertivo nessun interesse da parte sua, me ne stupii ma non lasciai che lo notasse, portai piuttosto la mia testa vicina come mi aveva chiesto di fare.

"E' l'ultima volta che te lo chiedo Mike"

"Con te ormai ho la certezza che siano tutte penultime volte piuttosto" il tintinnio famigliare mi avvisò che la porta era stata aperta, una piacevole brezza serale me ne diede la conferma (a quanto pareva mi ero fermato più del solito).

"Ecco, ora presta attenzione..." si accostò maggiormente invogliandomi a fare lo stesso, avvertii la brezza scompigliarmi i capelli e sentii i suoi frustarmi il viso, poi la sentii, una leggera vibrazione, uno squotersi leggero, quasi impercettibile "Lo senti? Non ti sembra stupendo che possa fare tutto questo da solo? Non ti sembra che sia quasi un miracolo questa musica?" quello che lei chiamava musica era il fischio prodotto dalle corde colpite dal vento, era una melodia che melodia nemmeno era, ma a vederla dai suoi occhi poteva sembrare stupendo, a vederle coi suoi occhi, imparai, lo sembravano molte cose.

"Sai, il violino è il mio preferito" lo disse con un sorriso largo, un sorriso da ragazzina ed io mi ritrovai la parola carino di nuovo stampata nella mente.

Non era mia abitudine stringere amicizie, a dirla tutta trovavo quel tipo di rapporto tra due persone troppo dipendente, e a me non piaceva dipendere dagli altri, sono cosciente che sembra il discorso di un ipocrita se a farlo è uno che si è fatto pagare appartamento e scuola da mamma e papà, eppure, forse proprio per questo, non mi piace.
Dipendere da qualcuno significa dovergli qualcosa, che siano spiegazioni o sentimenti o costanza, non volevo niente di simile da nessuno e non volevo essere costretto a darlo.
Per questo mi limitavo a conoscere la gente in modo superficiale, sì anche a scoparci in modo superficiale, il sesso il più delle volte è la cosa con meno sostanza che ci sia al mondo, trovo ridicolo chi professa discorsi sull'amore, sull'unione di due anime mediante il corpo e sdolcinate del genere, il sesso è semplicemente uno sfogo personale,
un modo di usare l'altro e trarne beneficio comune e a volte è semplicemente quello che ti ricordi vagamente di aver fatto la sera prima, con chi è un mistero che non ti interessa svelare, perchè certe cose è meglio non saperle,
a volte invece è solo uno strumento per riempire un letto vuoto nelle serate troppo fredde per stare da soli.
Ma ero abituato ad essere cercato e desiderato e sognato, per questo quando Valeria si limitò a stringermi la mano, salutarmi e alzare i tacchi verso l'uscita del negozio senza voltarsi indietro ne presentarsi, restai fregato.
Ed è un modo stupido di restare fregati, che si sa, la gente finge indifferenza per attirare chi di attenzioni ne ha tante da non sapere che farsene, conoscevo bene queste tattiche, me ne servivo io stesso.
Il fatto è che lei non fingeva indifferenza, se ne andò davvero senza degnarmi di uno sguardo, camminò voltandomi le spalle intonando una melodia a labbra chiuse.
Per questo stupido motivo presi a frequentare più assiduamente quel negozio, ovviamente mentii a me stesso dicendomi che se ero là era semplicemente perchè era uno dei pochi posti dove mi lasciavano suonare in pace e il commesso era indubbiamente carino.
Ovviamente mi munii di sorriso affabile e lingua veloce per chiedere con la migliore delle facce da culo il nome della ragazza dei violini al suddetto commesso, del quale peraltro, neanche ricordavo il nome, non sapete quanto sia psicologicamente snervante parlare con qualcuno sperando che non ci sia la necessità di chiamarlo col suo nome.

Non si fece vedere per giorni, tanti che pensai non sarebbe più tornata, mi arrabbiai perchè insomma, uno come me si prendeva la briga di aspettare una come lei e quella si permetteva pure di non farsi viva,
il fatto che non sapesse che la stavo aspettando non andava a sua discolpa per quanto mi riguardava.
In compenso continuai a suonare il piano, suonavo melodie senza senso o musiche che ormai potevi solo definire storiche, ma l'importante era farlo, e suonare mi faceva stare meglio,
mi tranquillizzava e riuscivo pure a essere meno stronzo col mio prossimo. Non provai più ad avvicinarmi ad un violino solitario suonato dal vento, avevo paura di non riuscire più a sentirla quella musica e in ogni caso, non sarebbe stato lo stesso.
Sapevo di non essere innamorato, l'amore era qualcosa che non comprendevo e che non mi interessava provare, la mia era più una curiosità, non si può nemmeno definire ossessione,
quella l'ho provata e ti prosciuga nell'animo, fino ad occupare i tuoi pensieri anche quando sei convinto di non pensare affatto.
Ma la trovavo interessante, lo era sotto ogni ombra di dubbio, e per una persona banale come me, (banale perchè il trucco e i vestiti non ti danno originalità, quello è il campo dell'anima), interessante lo era davvero tanto.
Nel tempo che ci separava dal rincontro che sapevo sarebbe avvenuto, mi limitavo a fare le solite cose, giravo per i locali quasi ogni notte, frequentavo la stessa gente e vomitavo giudizi sul mondo, come avevo sempre fatto.
La routine è una cosa rassicurante, una volta che l'hai stabilita ti ci puoi accocolare dentro, perchè è un posto sicuro, una cosa che conosci e che ti sei creato tu stesso, pure con una certa fatica. Quelli che si lamentano delle solite cose sono dei bugiardi,
sono quelli che dicono di volere di più ma non hanno abbastanza palle per andare a cercarselo, perchè la routine come te la sei creata, la puoi anche distruggere, ma ci vuole la forza di volonta e una buona dose di coraggio per farlo.
Quindi io me ne stavo tranquillo, uscivo con i miei amici, bevevo, scopavo e andavo al negozio a suonare e ad aspettare Valeria.

Quando sei consapevole del luogo in cui sai che incontrerai una persona, non ti soffermi a guardarti intorno,
lasci che la gente ti scivoli a fianco classificandoli semplicemente come passanti totalmente inutili per la tua esistenza o in casi fortuiti passanti totalmente inutili per la tua esistenza ma con una gran bel culo,
per questo quando mi sentii afferrare nel bel mezzo del marciapiede mi girai irato prendendo a male parole l'assalitore, o almeno fino a quando non mi accorsi che era proprio Valeria.

"Valeria!" avessi avuto una pala e braccia abbastanza forti per farlo mi sarei scavato una fossa lì davanti a tutti e l'avrei fatto pure velocemente

"Lieta di notare che ti sei informato sulle mie generalità"

"Non mi sono informato l'ho scoperto per caso"

"Per caso? Che, Mike mi stava scrivendo un sonetto decantando le mie lodi ad alta voce durante una delle tue esibizioni di questa settimana?"

"Come fai a sapere che sono stato al negozio?"

"Ma perchè c'ero anche io naturalmente!"

"..." in risposta ebbe solo il mio sguardo corrucciato



"Sono passata ogni giorno a vedere per quanto avresti perseverato nella mia ricerca"

Forse con un pò di allenamento quella buca la potevo anche scavare, magari ci avrei messo lei invece di me, sarebbe stato decisamente più gratificante per il mio ego.

"Non ti stavo cercando"

"Vero, mi stavi aspettando, poco cambia ma se preferisci essere più preciso..."

"Non ti stavo neanche aspettando!"

"Certo...com'è che ti chiami?"



"Brian...."

"Ecco, certo Brian"

"Ma si può sapere che vuoi?"

Attaccare era l'unico modo che conoscevo per uscire dalle situazioni, qualunque esse fossero, attaccare prima di essere attaccati,
mordere prima di venire morsi, uccidere prima di essere uccisi, era l'unico modo di vivere che conoscessi. Fino a quel momento aveva funzionato,
chi volevo stesse alla larga fuggiva all'incrocio col mio sguardo, quelli di cui invece tolleravo la presenza ardivano a resistervi, le persone che amavo ne capivano il significato e lo interpretavano nel modo giusto,
per questo forse erano così poche e sono poche tutt'ora, le persone che amo.
Ricordo Helena la prima volta che mi vide, ricordo i suoi occhi indagatori posarsi sulla mia figura, li ricordo piantarsi nei miei nonostante la sfacciataggine con la quale la stavo fissando,
ricordo che mi sentii spogliato non appena avvertii il primo click della macchina fotografica sulla mia pelle, non mi ero mai sentito così a disagio neppure quando nudo lo ero davvero.
Ma forse è questo che amo di lei, il modo in cui è sempre costantemente, semplicemente lei, non mutevole in base al contesto, non falsa per salvare o distruggere le apparenze,
è così diversa da me che non posso fare a meno di restarne affascinato.
Ma a quanto pare mi sono perso di nuovo nelle mie congetture, vi stavo raccontando una storia ben diversa, che non è una storia d'amore, a dirla tutta non saprei darle neanche una definizione,
forse, è solamente questo, una storia, una storia delle tante che hanno costruito la persona che sono adesso.

Quella volta rispose con un sorriso alla mia sbottata, mani dietro la schiena e naso puntato verso il cielo, mi sembrava una bambina, credo di aver sempre pensato almeno per una volta durante i nostri incontri che fosse terribilmente carina.
Non bella, ma carina, senza la malizia che la bellezza si porta dietro, senza gli sguardi indagatori di chi vuole farti cadere e cerca il modo più profiquo per riuscirci.
Era semplicemente carina, come lo diresti di una bimba che corre per la strada rincorrendo qualcosa che può vedere solo lei in una domenica pomeriggio qualunque.

Presi a vederla sempre più spesso, la incontravo in posti che nemmeno pensavo frequentasse, ovunque purchè non fosse al negozio, unico luogo in cui mi sarei aspettato di vederla.
Accadeva così spesso che me la ritrovassi davanti all'improvviso che smisi di stupirmi della cosa, mi limitavo a lasciarmi trascinare nel posto che aveva scelto per l'occasione tirandomi addosso gli sguardi scettici e le parolacce di Stef e Stev per l'ennesima mancata comparizione alle prove con la band.
Pensai che mi stesse seguendo, che forse dovevo esserne preoccupato, ma tutto sommato non mi importava il come o il perchè ci incontrassimo, mi bastava che accadesse.

Una volta mi portò su un palazzo, mi trascinò fino alla terrazza grigia in un cielo dello stesso colore, a volte penso che il cielo di Londra non abbia mai conosciuto l'azzurro, o forse sono solo i miei occhi che non sono in grado di vederlo.

"Perchè siamo qui?"

"Perchè è un bel posto, c'è vento e siamo soli, così non devi infastirdisti perchè ti scompiglia i capelli o ti solleva la gonna troppo corta"

"Non mi infastidisce"



"La gonna effettivamente no, le cosce si nota che vuoi farle vedere"

"Mi stai dando della puttana?" lo dissi ridendo, era da tempo che avevo smesso di prendermela.

"Macche, se avessi gambe come le tue probabilmente girerei in mutande" si voltò lasciandosi il parapetto alle spalle, sapevo che gli occhi che mi si puntavano addosso si erano appena aperti, troppo occupati a sentire prima, per preoccuparsi anche di vedere.
Valeria era in grado di sentire con ogni parte del suo corpo, con ogni cellula, ogni goccia di sangue che conteneva.

"Già" mi avvicinai appoggiandomi accanto a lei, dando le spalle al cemento beandomi dell'aria che mi sfiorava la pelle, se non fosse che sarei sembrato troppo cretino perfino a me stesso avrei aperto le braccia per sentire cosa si prova a volare, ma non ero più un bambino, e volare è un sogno riservato a loro.

"Mi stai dando della cicciona?"

"Na, ti davo ragione sulle mie gambe non sulle tue"

"Che granparaculo"

"Già"

Scoppiammo a ridere tutti e due, di quel tipo di risata nata da un sussurro che ti riempie le guance, fino a scoppiare in un ilarità che ti circonda anche il cuore e ti fa tossire per avvisarti che devi respirare se vuoi ridere di nuovo.
Quindi ti fermi, respiri e ti volti a fissare la persona che ti sta accanto per vedere se sta ancora ridendo e quando i vostri occhi si incrociano è inevitabile ricominciare, ma questa volta vi appoggiate l'uno all'altro, le mani a lambire il medesimo braccio per trarne sostegno, le ginocchia piegate a mantenervi alla medesima altezza e lo stesso sentimento a scorrere sulla pelle mischiato al sapore del vento.

"Vero che è bellissimo? Io adoro venire qui ogni volta che il vento è forte, mi piace chiudere gli occhi, aprire le braccia e lasciare che l'aria mi appiccichi la maglia al ventre, mi scompigli i capelli lasciando che mi frustino il viso, lasciando che mi avvolga completamente, proprio come quando voli"

Lei faceva tutte le cose che io avevo paura di compiere, mi portava in posti che parlavano di lei, mi raccontava la sua storia pezzo per pezzo senza chiedere mai la mia in cambio, apriva le braccia al vento e sognava di volare.

Ogni volta mi portava con se in posti diversi, posti nuovi che non avevo mai visto, posti in cui ero già stato, posti che con lei sembravano totalmente diversi, non per quello che diceva o faceva, era solo il modo di vedere le cose che cambiava quando eri accanto a lei. Cambiava tutto il mio mondo.
Forse mi direte che quello di cui sto parlando è amore, ma vi dico che non è così, magari allora potevo pensarlo e cullarmi nella mia convinzione, ma non col senno di poi, non dopo Helena e soprattutto non dopo Cody.
Facemmo sesso, era nell'ordine naturale degli eventi che accadesse, da stabilire c'era solo a chi toccasse il primo passo.
Ovviamente fu lei a farlo.
Io non sono mai stato bravo in queste cose, neppure quando mi divertivo passando da un uomo all'altro vantandomi delle conquiste, allora mi limitavo a camminare, ad atteggiarmi e aspettare che qualcuno mi guardasse con più malizia di un altro e riuscisse nell'impresa di guidarmi nella sua camera, in auto o al primo angolo di strada per un pompino veloce.

E' strano come le parole escano così facilmente ad anni di distanza dagli eventi vissuti, eppure ricordo che quando mi baciò per la prima volta restai così sorpreso che mi dimenticai perfino di ricambiare,
dal canto suo si limitò a fissarmi di sbieco chiedendomi che avessi da fare quella faccia da perfetto coglione "mi sono limitata ad anticipare i tempi, tanto che l'avresti fatto tu lo sai bene, e ora se non ti dispiace, ne vorrei uno vero di baci" perfino allora pensai che fosse carina.

Vi starete chiedendo come finì, perchè nonostante ci fosse affiatamento e passione doveva finire, come ogni fiamma che brucia, prima o poi la pioggia arriva a spegnerla, senza che te lo aspetti, senza un piano preciso, semplicemente, accade.
Non ci furono pianti isterici e tragici discorsi volti solo a incolpare l'altro, ma mai se stessi, come accade ad ogni separazione.
Passò il tempo e come ogni cosa che sembra amore, ma che amore, non è mai stato, andò oltre, le cose che sembravano interessanti da fare insieme non lo erano più, forse perchè ci eravamo già dati tutto il possibile, forse perchè non volevamo nient'altro, nulla che potesse unirci in modo morboso e malsano, era l'unica cosa che ci accomunava davvero, non volevamo innamorarci, ne io, ne lei.
Tornai alla mia musica, ai miei amici, alle mie scopate, a quello che era la mia vita prima di lei.
Ogni tanto ci incrociavamo per caso, lei mi diceva che sembravo sempre più una donna e io le rispondevo che invidiare gli altri non è carino, poi ci scambiavamo uno sguardo divertito e proseguivamo per la nostra strada.
Ancora non sapevo cos'era l'amore, quello l'ho imparato da Stef, il suo amore vuol dire pazienza,
vuol dire tristezza malinconica come quella che vela i miei occhi ora che racconto e che ha velato i suoi tante volte quando fissava il mio volto, l'ho imparato da Helena, il suo amore significa verità,
così profonda e spaventosa da sembrare un sogno e l'ho imparato da Cody l'unico che riesce a stringermi il cuore in una morsa salda e accogliente con la sua sola esistenza.
Ho imparato che le storie che ti hanno fatto sognare e che pensi che ricordare possa farti soffrire in realtà sono solo pezzi di vita che si riaffacciano alla mente in una domenica qualunque, velandoti gli occhi di malinconia e le labbra di un sorriso con lo stesso sapore.

Ma ora basta riflettere, ora accompagnerò Cody al parco, voglio sedermi su una panchina e guardarlo correre a braccia aperte lasciando che il vento lo avvolga mentre sogna di volare.




Note dell'autrice...che finalmente si decide a postare sta cosa XD è tipo un anno che sta sul mio pc, ma visto che non è che la trovi poi così bella, ci ho messo una vita a postarla. Ringrazio nainai per Centrefolds che quella sì che bella lo è davvero <3
Spero che vi sia comunque piaciuta *-*" Un bacione a tutte!
   
 
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