Fandom:
Fullmetal Alchemist
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: Roy Mustang, Edward Elric, Mustang Team,
RoyxEd
Tipologia: One-shot
Genere: Sentimentale, Hurt/Comfort
Avvertimenti: Shonen-ai, What-If
Note: One-shot spin-off
della mia “Go the Distance”, è possibile
leggerla anche senza la lettura della
fic principale.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto
ciò che deriva dalla
trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi
appartengono.
SENZA
GUARDARSI INDIETRO
“Credo
che abbia alcune costole rotte, ma non so
quante.”
“Ha
preso una scarica di proiettili nel petto, è
già tanto che respiri ancora.”
“Mi
sembra di avere qualcosa che mi perfora la
carne…”
“Stai
sdraiato, Edward. Andrà tutto bene.”
“Sono
arrivati i soccorsi!”
“Siamo
qui!”
Sotto
quel tiepido tramonto di primavera, nel
piazzale del Quartier Generale ancora fumante per le esplosioni, le
camionette
dell’Esercito di Amestris arrivarono con gran stridore di
freni sul lastricato:
in una cacofonia di suoni, militari e soccorritori circondarono il
gruppetto di
soldati ancora tra le rovine, i quali facevano baluardo attorno al loro
compagno ferito, armi in pugno e pronti a sparare per proteggerlo e
proteggere
sé stessi al bisogno.
Mentre
gruppi di soldati si affrettavano a mettere
in sicurezza quello che restava del porticato che cingeva la piazza
come un
abbraccio, lo scrigno formato dai corpi della squadra del Fuhrer si
aprì,
permettendo il passaggio della squadra medica in mezzo a loro, dove vi
era
disteso il Fullmetal Alchemist, il cui viso era trasfigurato in
un’espressione
sofferente; non c’era sangue attorno a loro, ma la divisa del
più giovane era
crivellata di colpi.
Con
le mani alzate, Alex Louis Armstrong si fece
avanti, incrociando lo sguardo del Colonnello Hawkeye, segnata sulle
guance da
tracce di polvere da sparo e i capelli sporchi e pieni di detriti: i
suoi
compagni non sembravano messi molto meglio, le loro uniformi erano
ugualmente
sporche e strappate ma nulla faceva pensare che fossero feriti.
Una
piccola benedizione.
“Riza-san,
com’è la situazione?”
“Abbiamo
messo in sicurezza il perimetro, la
squadra di Mitter ha portato via gli attentatori ma Edward non poteva
essere
mosso prima del vostro arrivo, Generale Armstrong.”
“È
vero che ha preso una scarica di proiettili
addosso?”
“Confermo,
si è lanciato davanti al Fuhrer per
proteggerlo.”
“Immaginavo…
Il Fuhrer non è molto felice della
cosa, Riza-san.”
“Lo
sospettavamo, signore. Come sta?”
“Quando
l’ho incontrato al Parlamento era appena
stato medicato al braccio, un graffio, a suo dire. Mi ha incaricato di
venire a
darvi supporto e ha aggiunto che cercherà di raggiungerci
all’Ospedale Centrale
ma prima deve sistemare alcune cose.”
“Sarebbe
potuto finire in un massacro… Ora l’unico
che rischia una lavata di capo è soltanto Edward, almeno
stavolta non finiremo
arrosto.”
“Ehi,
smettetela di parlare come se non fossi qui.
Jean, ricordami di n-non coprirti più quando vai a fumare
senza permesso.”
“Tenente
Colonnello Elric, mio giovane Edward. Non
vorrei essere al tuo posto.”
Con
uno sbuffo dolorante, Edward si lasciò cadere
all’indietro, limitando al massimo i movimenti e cercando di
respirare il più
piano possibile per non esacerbare il dolore causato dalle costole
malridotte
dall’impatto dei proiettili contro la protezione che
indossava sotto la divisa.
Certo, non era morto e ne era ben felice, ma le staffilate che provava
in quel
momento erano insopportabili.
Le
voci attorno a lui aumentarono di numero e, tra
quella di Riza che dava ordini e quelle degli altri soldati che
gridavano da
una parte all’altra della piazza, Edward riconobbe quella del
medico di campo,
giovane sergente da poco in ruolo, che gli parlava piano e con tono
rassicurante: “Signore, ora aprirò la casacca
della divisa per esaminare le
costole, mi dispiace per le mani fredde.”.
“Vada,
non si preoccupi.”
Ben
presto, l’aria fresca della giornata che stava
per finire gli accarezzò la pelle nuda, facendolo
rabbrividire, mentre mani leggere
gli sfioravano il busto, anche un brevissimo contatto gli causava
dolore: “Ha
almeno due costole rotte, dobbiamo portarlo all’Ospedale
Militare, in queste
condizioni non riesco a capire se ci sia un’emorragia
interna.” disse questi,
rivolgendosi al Generale con espressione severa da dietro gli spessi
occhiali
verdi, “Portate qui una barella!” gridò
poi, voltandosi verso i compagni a poca
distanza da loro.
Cinque
membri della sua squadra si affrettarono a
raggiungerli con la barella richiesta: Breda e Falman fecero spazio ai
colleghi
per permetter loro di caricare Edward in sicurezza mentre Riza, accanto
a Jean,
teneva la pistola pronta in pugno, nel caso qualche altro pericolo
piombasse su
di loro, approfittando del loro essere concentrati sulle procedure di
soccorso.
Con
un lamento strozzato, Edward si sentì sollevare
da terra e depositare sulla scomoda barella: con lo sguardo annebbiato,
osservò
il cielo che rapidamente si colorava di viola e si impose di
concentrarsi su un
punto sopra di sé, andava tutto bene, era poca roba in
confronto
all’alternativa.
Il
viso di Falman apparve nel suo campo visivo, con
le sopracciglia aggrottate e l’espressione severa:
“Edward, non addormentarti,
mi hai capito?”
Lui
annuì debolmente, allungando la mano a
stringere un lembo della divisa:
“D-Dov’è Al? Non avvertite Winry, non
ancora,
a-almeno.”
Nonostante
Vato sapesse che, molto probabilmente,
ci aveva già pensato il Fuhrer, annuì:
“Alphonse deve essere anche lui
all’Ospedale, ti starà sicuramente
aspettando.” dichiarò con convinzione,
affiancando la barella fino all’ambulanza; con un movimento
fluido, salì a
propria volta, accomodandosi accanto alla testa del tenente colonnello,
i cui
occhi socchiusi e le guance pallide non erano granché
rassicuranti.
Riza,
con ancora la pistola in pugno, si affacciò
dal portellone ancora aperto e fissò il compagno:
“Prenditi cura di lui, noi
arriviamo appena possibile.” affermò.
“Non
c’è bisogno di dirlo, lo affiderò
soltanto al
Comandante e a nessun altro.”
Hawkeye
annuì, per poi spostarsi per permettere ai
soccorritori di chiudere il portellone; mosse un passo indietro,
venendo
circondata dal resto della squadra, e assieme osservarono la
camionetta-ambulanza allontanarsi a sirene spiegate diretta
all’Ospedale.
Tra
le macerie ancora fumanti, rimasero in piedi,
stretti gli uni agli altri, mentre nella loro mente si ripeteva la
scena a cui
avevano assistito solo poco tempo prima, in un loop angosciante che
mozzava il
fiato nei polmoni.
§§§
“A
morte
l’usurpatore!”
Un
grido
nel piazzale immerso nel silenzio delle celebrazioni
dell’Anniversario della
Liberazione di Amestris e un uomo che si slanciava al di là
del cordone di
sicurezza installato dai militari.
Un
uomo
che, rapido, correva verso il basso palchetto posizionato nel mezzo
mentre i
suoi compagni, dietro le colonne, avevano acceso le micce delle bombe.
“Alzate
gli scudi!”
L’attimo
prima che le esplosioni sconquassassero l’aria, una barriera
traslucida si era
alzata sui soldati e sui civili presenti, proteggendoli dai detriti,
mentre
Alphonse Elric – capitano della Squadra di Difesa Alchemica
– coordinava i
propri uomini per limitare al minimo feriti e, Dio non volesse, morti.
Pur
non
aspettandosi un attentato di tali dimensioni, il Comando aveva ricevuto
informazioni circa un attacco di un qualche tipo e per fortuna si erano
preparati di conseguenza.
Nella
confusione di voci ed esplosioni, per un attimo, il Fuhrer
restò immobile, con
l’occhio sgranato, mentre la sua squadra gli si stringeva
intorno per
proteggerlo.
L’attentatore
principale ancora non era stato fermato – sembrava che
nessuno riuscisse a
trattenerlo per più di una manciata di secondi – e
questi continuava la sua
corsa indemoniata, mosso unicamente dal rancore che provava e dalla
sete di
sangue.
In
un
tempo che sembrava dilatato, l’uomo – che Roy
Mustang notò avesse gli occhi
verdi come i prati di Resembool
– balzò infine sul palco,
la pistola in una mano e una corta mitraglietta nell’altra.
In
un
attimo di puro terrore, mentre i soldati cercavano di farsi strada tra
le
rovine per raggiungere il loro Comandante, la squadra del Fuhrer si
trovò
smarrita, in balia di emozioni e paure, davanti allo sguardo allucinato
e
crudele di quello che avevano riconosciuto essere uno di loro, un ex
militare
caduto in disgrazia dopo la dipartita di Bradley, uno dei suoi
fedelissimi.
Davanti
al suo ghigno mostruoso, Mustang sollevò la mano guantata,
pronto a colpire, e
il suo gesto donò nuovo coraggio ai compagni attorno a lui,
tuttavia troppo
tardi; nell’istante in cui si erano riorganizzati, lui aveva
già sollevato
l’arma e l’aveva caricata, puntandola contro il
volto del Fuhrer.
Una
gragnola di colpi venne sì sparata, ma non si
abbatté mai su di loro; nel
pomeriggio assolato, un’ombra si era stagliata sul tavolato
chiaro del palco
mentre la treccia bionda del Fullmetal Alchemist accarezzava
l’aria, muovendosi
forsennatamente. Sotto lo sguardo stupefatto dei presenti, Edward Elric
cadde a
terra, rantolando, e se lo stupore aveva colto anche
l’attentatore, il quale
non aveva calcolato un’eventualità simile,
ciò fu anche la sua condanna.
Approfittando
del suo momentaneo sconvolgimento, infatti, Jean fu veloce a gettarsi
su di
lui, disarmandolo con due calci ben piazzati alle mani, per
immobilizzarlo al
suolo, la mano stretta attorno al collo dell’uomo:
“Dammi una buona ragione per
non strangolarti seduta stante.” ringhiò il
secondo Colonnello, “Dammi soltanto
una ragione per non farlo…”.
Dietro
di lui, il Comandante era inginocchiato accanto a Edward mentre
finalmente i
rinforzi cominciavano a raggiungerli: da ogni lato, salivano militari
con le
armi in pugno che convergevano sull’Alchimista di Fuoco;
alcuni di loro cercarono
di allontanarlo.
“Comandante,
signore, dovete venire con noi.”
“La
squadra di Mitter ha preso tutti in custodia ma dobbiamo portarvi al
sicuro,
non sappiamo se ci possa essere ancora qualcuno in giro.”
“Devo
restare qui.”
“Signore,
stanno arrivando i soccorsi anche per il Tenente Colonnello Elric, ma
voi al
momento siete la nostra priorità.”
Mustang,
ancora inginocchiato, stringeva con forza il polso del più
giovane, incapace di
lasciarlo andare.
“Stupido
Comandante… S-Sto bene, vai con loro.”
“Sei
un
idiota.”
“Non
farmi ridere, cretino. M-Mi fa male ovunque.”
“Ancora
una parola e ti deferisco alla corte marziale.”
§§§
“Comandante,
hanno portato il Tenente Colonnello
Elric all’Ospedale Centrale, la dottoressa Grunwald
è già al lavoro e il
luogotenente Falman è con lui.”
Mustang
venne strappato ai suoi pensieri dalla voce
di un maggiore che gli si era parato davanti; alzato lo sguardo, lo
vide
sull’attenti, con la mano alzata nel saluto militare e i
tacchi uniti,
ingessato nella propria perfetta uniforme blu ma apparentemente
incurante della
sua, rovinata e sporca; il Comandante annuì e si
alzò dalla sedia in legno e
metallo posta nel corridoio fuori l’ufficio operativo della
guarnigione di
stanza al Parlamento: “Grazie. Altre notizie?”
disse con tono piatto mentre
percorreva a passo svelto il corridoio deserto.
“Gli
attentatori sono stati tutti identificati,
sono in cella in attesa di sue istruzioni. Il resto della sua guardia
personale
era rimasta sul posto ma sono appena partiti per l’Ospedale,
hanno detto che la
raggiungeranno direttamente lì.”
Mustang
annuì e non disse più niente mentre seguiva
il sottoposto verso l’atrio principale del Parlamento, che
trovò occupato da
centinaia di soldati armati fino ai denti: al suo arrivo, tutti si
azzittirono,
facendo largo per permettergli di passare.
Immobili
e sull’attenti, i presenti lo salutarono
rispettosamente, scrutandone il viso rigido e pallido: il Comandante
sapeva a
cosa stessero pensando, sapeva che bramavano vendetta per i loro
compagni
feriti e avrebbero smosso mari e monti per vendicarli – per
fortuna non c’erano
state vittime, altrimenti avrebbe faticato a tenerne a bada la rabbia
– e
punire i responsabili di quell’evento.
Un
Tenente Colonnello uscì dai ranghi e si portò
davanti a lui, ripetendo il proprio saluto: “Signore, il mio
nome è Wegener e chiedo
il permesso di seguirvi.”
Perplesso,
Mustang si fermò; sistemandosi il
mantello logoro sulle spalle, ne osservò i lineamenti duri:
“Per quale motivo?”
Il
giovane ufficiale, dai capelli corti e neri come
l’inchiostro, abbassò lo sguardo per una frazione
di secondo, salvo poi
riprendere il controllo di sé: “Per chiedere il
perdono del Tenente Colonnello
Elric e degli altri feriti, signore. Mio fratello… Mio
fratello maggiore è tra
gli attentatori e spetta a me sistemare le cose.”
Un
brusio nervoso attraversò la folla.
Mustang
restò impassibile.
“Chiedo
il permesso di seguirvi.” ripeté con
decisione il giovane.
Il
brusio si fece più intenso, alcuni in fondo alle
file sembravano agitarsi.
A
sorpresa, però, il Comandante alzò una mano,
riportando il silenzio nell’atrio strapieno; guardando
l’ufficiale davanti a
sé, infine sospirò: “Non è
necessario, non è tua la responsabilità di quanto
accaduto, ragazzo. Tuo fratello ha fatto la sua scelta e ne
pagherà le
conseguenze. Tu non hai colpa e non devi scusarti con nessuno. Sei
consapevole,
però, che ammettere questo tuo legame di sangue con uno dei
responsabili di
quanto accaduto oggi potrebbe portarti guai?”
Con
lo sguardo basso, il Tenente Colonnello annuì:
“Ne sono consapevole. E sono pronto a pagarne lo scotto. Ma
era qualcosa che
sentivo di dover fare. Quando ho saputo che… mi sono sentito
responsabile.”
Per
tutta risposta, il Fuhrer scosse la testa prima
di voltarsi verso i soldati schierati: “Che nessuno di voi
tocchi o importuni
questo nostro compagno, ha dimostrato coraggio e onore in una
situazione così
tragica, per sé, per la sua famiglia, e per il nostro Paese.
Il Tenente
Colonnello Wegener non è in alcun modo responsabile delle
azioni del fratello e
mi aspetto che venga trattato come è sempre stato trattato
finora.”
Mormorii
di approvazione percorsero la folla e, mentre
il Comandante si allontanava verso l’uscita, qualcuno
azzardò anche un
applauso.
Una
volta all’esterno, la prima cosa che vide fu
l’immenso dispiegamento di forze a protezione
dell’edificio ma la sua
attenzione era completamente focalizzata su una camionetta con le
portiere
spalancate e sorvegliata da alcuni soldati, in sua attesa.
Accogliendolo
con un saluto, gli ufficiali lo
fecero salire a bordo prima di imitarlo, due dietro con lui e due
davanti; in
pochi secondi, furono tutti a bordo e, un minuto dopo, già
sfrecciavano per le
strade deserte, diretti verso l’Ospedale Centrale.
Il
viaggio, svoltosi nel più totale silenzio,
permise a Mustang di recuperare la propria attenzione e concentrazione,
rendendogli più semplice il focalizzarsi sulla questione che
più gli premeva:
le condizioni di Edward non gli erano sembrate disperate ma una
sensazione di
paura gelida come le nevi delle montagne a ridosso del confine con
Drachma gli
stringeva lo stomaco con violenza.
Ma
dal suo viso non lasciò trapelare nulla, era pur
sempre il Fuhrer, il Comandante Supremo, mostrarsi debole non era
un’opzione:
aveva un dovere come Capo del Paese e, malgrado il suo cuore
appartenesse a
Edward, non valeva lo stesso per la sua persona.
Si
concesse soltanto un sospiro, mentre la sua
mente vagava distratta, assieme allo sguardo, al di là del
finestrino.
§§§
“Signore,
finalmente siete qui.”
Quando
la camionetta si fermò davanti all’ingresso
dell’Ospedale Centrale, Mustang fu sorpreso di trovarsi
davanti a Fury, che gli
sorrideva sollevato, con Hayate II accanto.
“Come
sta?” chiese soltanto, mentre scendeva dal
mezzo.
Kain
annuì, facendogli cenno di seguirlo; gli altri
ufficiali rimasero accanto al mezzo, ritti e con le armi estratte,
pronte
all’uso: poteva andare, sarebbero rimasti loro di guardia.
Roy
fu svelto a salire le scale, quasi a voler
precedere il suo compagno, mentre questi si affannava per tenere il
passo:
“Allora?” insistette il Comandante, sul suo volto
passò un’ombra di
preoccupazione, poteva permettersela, con i suoi uomini non doveva
reprimere le
sue emozioni, non più almeno.
Non
da quando si erano fatti custodi del legame che
lo univa a Edward.
“La
dottoressa Grunwald l’ha fatto portare in una
stanza, ha alcune costole rotte e per un po’ dovrà
stare a riposo ma Edward-san
ha la pelle dura e la lingua lunga, non ha mai smesso di
lamentarsi.” sorrise,
prendendo in braccio il cucciolo per velocizzare la marcia:
“Non ha chiesto
espressamente di lei, ma sappiamo che vederla lo farebbe stare senza
dubbio più
tranquillo, è molto irrequieto.” lo
avvertì, con tono più serio.
Mustang
non disse nulla, si limitò a camminare,
superando l’atrio, alcuni corridoi, seguendo il proprio
istinto di modo che lo
conducesse a Ed; Kain lo seguiva, eventualmente indicandogli
scorciatoie, e fu
proprio dietro l’ennesimo angolo che trovarono il resto della
squadra, in piedi
davanti a una porta bianca, di guardia.
All’arrivo
del Comandante, Havoc si
alzò in piedi da una delle sedie poste contro il muro, Riza
rinfoderò la pistola e
Breda bussò alla porta, che si aprì, mostrando
l’espressione esausta di Falman:
“Signore, per fortuna sta bene.” disse questi con
tono sollevato, “Ho visto un
proiettile passarle accanto a un braccio.”
Con
un sospiro, Roy alzò l’avambraccio fasciato:
“Soltanto un graffio. Fullmetal?”
“Signore,
sta bene, non si preoccupi. La doppia
protezione che portava sotto la divisa ha bloccato i proiettili e ora
riposa.
Ha qualche costola rotta ma si riprenderà in
fretta.”
“Confermo,
signore. Ho parlato con la dottoressa
Grunwald e, nonostante le sue proteste per la scarsa autoconservazione
di
Edward, anche lei ha confermato che non è in pericolo di
vita.”
Riza
guardò il suo superiore con espressione
rassicurante e qualcosa, nello stomaco di Roy, si sciolse, la tensione
sembrava
abbandonarlo e il respiro che non ricordava neppure di aver trattenuto
venne
esalato.
“Può
entrare, se vuole. Noi non ci muoviamo da
qui.” disse Breda, giocherellando con un bottone staccatosi
dalla divisa: “Alphonse
è con uno dei suoi rimasto ferito ma ha detto che
passerà più tardi. Winry-san
verrà con lui.”.
Falman
aprì la porta e uscì, facendo spazio al
Comandante: “Vada.”.
§§§
“Ehi,
cos’è quella faccia? Sembra che tu abbia
visto un fantasma.”
La
voce impastata di sonno di Ed fu la prima cosa
che accolse Roy al suo ingresso nella stanza semibuia; l’uomo
strizzò l’occhio
nel tentativo di accelerare l’abituarsi della sua vista alla
scarsa luce e
distinse – pur se con difficoltà – il
letto in un angolo, letto su cui era
distesa una figura umana.
Avvicinatosi,
notò che la figura umana gli
sorrideva.
Pur
se dolorante e con il petto immobilizzato da
spesse garze, Edward Elric sorrideva e Mustang non sapeva se mollargli
un pugno
o se baciarlo con disperazione e urgenza, lasciando che tutte le
emozioni
negative della giornata lo travolgessero.
Optò
per la seconda opzione, ritrovandosi con le
labbra su quelle di Fullmetal e le braccia sotto il busto del
più giovane,
stretto delicatamente a sé; lo baciò a lungo,
alternando ai baci piccoli
sospiri e carezze sulla schiena.
“Sei
un cretino.” gli sussurrò all’orecchio
il
Comandante, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo;
con difficoltà,
Edward alzò le braccia e lo strinse debolmente,
poggiò la testa contro quella
del compagno e chiuse gli occhi, respirando a fondo: “Dovrei
davvero spedirti
di fronte alla Corte Marziale.”
“Ti
riderebbero in faccia, tecnicamente sono un
eroe dal momento che ho difeso il Fuhrer da un attentato.”
La
risata roca del più giovane strappò un sorriso
anche a lui mentre ciò che restava della tensione della
giornata lo abbandonava
definitivamente, lasciando esausto; dopo aver depositato Edward sul
materasso,
si sedette accanto a lui, osservandone critico il petto fasciato:
“Ti fa male?”
domandò con un filo di voce.
Con
un sospiro, il più giovane abbassò lo sguardo:
“Sono stato peggio.” disse, massaggiandosi la
spalla, “Certo, sono anche stato
meglio.”
Roy
allungò la mano e afferrò la coperta buttata in
fondo al letto per drappeggiargliela addosso: “Ti rendi conto
che saresti
potuto morire?” le parole gli uscirono strozzate.
Fullmetal
scosse la testa: “Non ho avuto molto
tempo per pensare, il mio corpo si è mosso da
solo.” ammise, “Un momento prima
guardavo la schiena di Jean che mi copriva la visuale e quello dopo ero
davanti
a quel tizio.”.
“Edward…”
“È
la verità.”
“Ti
ho visto a terra, Edward. E malgrado non ci
fosse sangue…”
“D’accordo,
fermiamoci qui.” lo interruppe
Fullmetal, cercando di mettersi seduto; un mugolio di dolore gli
sfuggì dalle
labbra e Mustang si affrettò ad aiutarlo; con delicatezza,
lo sollevò di
qualche centimetro per farlo poggiare contro la testiera del letto. Con
un
respiro profondo, finalmente Edward alzò lo
sguardò per incrociare quello del
compagno davanti a sé: “Roy, non l’ho
fatto per disubbidire a un ordine
superiore o qualsiasi altra stronzata ti possa venire in mente.
È stato tutto
istinto, ho visto la mitraglietta e la pistola e ho reagito esattamente
come al
solito. Sapevo che ci sarebbero state delle conseguenze ma avevo
fiducia
nell’armatura che abbiamo progettato io e Al. Non volevo
spaventare nessuno ma
non rimpiango di averlo fatto.”.
Eccolo,
l’orgoglio che permeava ogni singola azione
di Edward, quell’orgoglio così incredibile e al
tempo stesso così irritante che
gli faceva perdere la pazienza una volta sì e
l’altra pure, lo stesso orgoglio
che alimentava l’amore che provava per quella testa calda e
che gli faceva
capire, ogni giorno di più, quanto fosse importante per lui.
Non
poteva cambiarlo - né voleva farlo, in realtà
-, poteva unicamente accettarlo e affrontare qualunque conseguenza al
suo
fianco, dando tutto come anche Edward faceva ogni giorno.
Esasperato,
Mustang scosse la testa, concedendosi
un sorriso: “Non ci si può fare niente,”
ammise con un sospiro, “L’unica
consolazione è che per un po’ resterai
tranquillo.”
“Non
ci conterei troppo, Comandante.” ghignò il
più
giovane, prima che il suo volto si trasfigurasse per un istante in una
smorfia
di dolore.
Dopo
avergli scompigliato i capelli con fare
affettuoso, Roy si appropriò della sedia accanto al letto,
accomodandosi con l’aria
di chi non sembrava avesse intenzione di andarsene tanto presto:
“Riposati,
parleremo dopo di un’eventuale medaglia al valore. Riza e gli
altri sono qui
fuori e Alphonse è con un suo compagno rimasto ferito,
miracolosamente non ci
sono state vittime ed è già qualcosa per cui
gioire. I pochi feriti sono stati
tempestivamente soccorsi e tutti usciranno presto
dall’ospedale.”
“D’accordo.
Immagino che tu abbia da fare, non
voglio trattenerti oltre.”
“Edward?”
“Roy,
sei il Fuhrer, hai un dovere verso questa
nazione, io sto bene, non c’è bisogno che resti
qui. Se ho bisogno, scommetto
di poter contare sugli altri.”
Per
tutta risposta, l’uomo si passò una mano sul
viso, trattenendo a stento una risata: “Cosa
c’è? Guarda che sono serio.”
replicò
Fullmetal piccato, si sarebbe anche alzato se solo Mustang non lo
avesse
bloccato con uno sguardo, “Edward, non
c’è altro posto in cui io debba essere
se non questo. Il Generale Armstrong ha fatto diffondere un messaggio
pre-registrato attraverso la radio e i giornali hanno già
ricevuto la mia ferma
condanna a questo attentato, i prigionieri sono sorvegliati a vista e
nessun
militare se li farà scappare, sono arrabbiati al punto che
si controllano con
difficoltà, figuriamoci se qualcuno possa aiutarli.
Ovviamente ho fatto in modo
di avvertire i familiari dei feriti e anche Glacier e Winry hanno
ricevuto
aggiornamenti per rassicurarle.”
A
Edward scappò un brivido: “Winry mi
ammazzerà.”
“È
molto probabile, consiglio lo sviluppo di un’armatura
total body. Oppure ti consiglio un processo per insubordinazione, le prigioni
sono molto
protette e non le permetterebbero di passare.”
“La
sottovaluti, Comandante dei miei stivali. Sarebbe
capace di attraversare le linee nemiche armata soltanto di una chiave
inglese
se ciò volesse dire punirmi per qualche stronzata che lei
reputa io abbia
fatto.”
“Perché,
non lo è stata?”
“Mi
sto quasi pentendo di averti protetto.”
Un
secondo dopo, entrambi ridevano di cuore, e le
risate di entrambi permearono la piccola stanza semi-buia, mentre la
mano di
Mustang, allungatasi, stringeva con amore quella di Edward.
Non
dissero altro: il mondo esterno era rumoroso e
spaventato, nelle orecchie avevano ancora il suono degli spari ma
– per il
momento – andava tutto bene.
Erano
assieme.