Anime & Manga > Slam Dunk
Ricorda la storia  |      
Autore: Cioppys    23/03/2019    4 recensioni
[SenMit]
“Abbi fiducia in me” erano state le sue parole. E lui ci aveva provato, con pessimi risultati.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akira Sendoh, Hisashi Mitsui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer
Tutti i personaggi di Slam Dunk appartengono al grande, mitico e immenso Inoue-sensei.

Sproloqui di un’autrice
Buffo come una fan fiction nata per essere una commedia sia diventata un concentrato di angst! Cioè, non era questo l’obiettivo quando avevo iniziato a riscriverla, ma chi sono io per mettermi contro la divina ispirazione? Per una volta che giunge, senza grandi sforzi, perché contrastarla? :)
Buona Lettura!

~ * ~ * ~ * ~

 

Abbi Fiducia in Me
di Cioppys

 

Era patetico, con quella sciarpa blu che gli copriva mezza faccia, mentre, infagottato nel proprio giubbotto ma con gli iconici capelli in bella vista, si sporgeva oltre l’angolo del palazzo con fare sospetto. Più di un passante gli lanciò un’occhiata e, presto o tardi, qualcuno avrebbe allertato il poliziotto della koban, situata poco avanti. 
Era patetico, e Sendoh lo sapeva bene. Eppure, pedinarlo, era la sua ultima spiaggia, l’ultima soluzione disponibile per capire cosa stesse succedendo tra loro. Che altro avrebbe potuto fare quando le sue chiamate cadevano nel vuoto, una dopo l’altra? Quando, in risposta ai suoi innumerevoli messaggi, non riceveva che dinieghi e patetiche scuse?
Quel pomeriggio era uscito di casa con l’obiettivo di distrarsi e fuggire dalle mille domande che, da giorni, gli affollavano la testa. Si trovava all’interno di un negozio di scarpe, nel centro di Yokohama, quando lo aveva visto camminare al di là della vetrina, sul marciapiede opposto, in direzione della baia. Non ci aveva pensato due volte a mollare l’articolo che stava acquistando, nelle mani della prima commessa, per precipitarsi fuori, in strada, e seguirlo. 
Erano due settimane che non lo vedeva. Due settimane all’apparenza insignificanti che, però, gli avevano aperto gli occhi su quanto ormai fosse coinvolto in quella relazione, nata per caso, un pomeriggio di fine novembre particolarmente caldo. 
Un sorriso amaro gli increspò le labbra, mentre raggiungeva l’angolo successivo, dietro cui il suo ragazzo era appena scomparso. Era dolce e al contempo aspro il ricordo di come, un incontro casuale in libreria, alla fine dell’estate, si era evoluto in un legame tanto profondo… almeno da parte sua. Era stata la curiosità, quella domenica di settembre, a spingere Sendoh ad invitare Mitsui a mangiare qualcosa insieme. Voleva conoscere i dettagli della partita contro il Sannoh da uno dei diretti partecipanti. Non avrebbe mai immaginato che la conversazione potesse spingersi oltre tale argomento, o protrarsi per più di una decina di minuti. Quando la sera, con le sue mille luci al neon dei negozi e quelle a led delle automobili, che sfrecciavano oltre la vetrata davanti a cui erano seduti, li aveva costretti a salutarsi, Mitsui gli aveva chiesto in prestito il cellulare. 
«Chiamami se ti va di parlare ancora… o, perché no, di fare due tiri insieme…» gli aveva detto, porgendoglielo indietro, dopo aver memorizzato il proprio numero. 
Sendoh quel numero l’aveva chiamato il giorno successivo, e quello dopo ancora, e ancora, fino ad impararlo a memoria. Avevano iniziato a sentirsi almeno una volta al giorno, a vedersi ogni week-end – a volte di sabato, a volte di domenica, a volte entrambi i giorni – e, scuola e club permettendo, anche una o due volte in settimana. Non abitavano vicino, ma nemmeno troppo distanti da non potersi permettere il viaggio che li portava ad incontrarsi più o meno a metà strada, o, sempre più spesso, col passare del tempo e l’approfondirsi della conoscenza, l’uno a casa dell’altro. 
Era stato Sendoh il primo ad invitare Mitsui nella piccola dimora in cui viveva solo con la madre, dopo che i suoi avevano divorziato, cinque anni prima. Come di consueto, quel sabato si erano incontrati al campetto di basket, non lontano dal Ryonan, dove erano stati sorpresi da un improvviso temporale. Bagnati fradici e con nulla di asciutto addosso, Sendoh aveva proposto a Mitsui di passare a casa sua per un cambio. 
Era stato allora che, tramite uno specchio situato nell’angolo della stanza, Sendoh aveva notato gli sguardi languidi con cui Mitsui lo fissava quando era sicuro di non essere visto. 
Dopo quella prima volta, Sendoh aveva percepito in altre occasioni la sensazione di occhi che lo scrutavano a fondo, mentre erano insieme. Aveva quindi iniziato ad interrogarsi sulle ragioni che spingevano Mitsui ad osservarlo di nascosto, arrivando presto alla conclusione che potesse avere quel genere di interesse nei suoi confronti. Più che disgusto, aveva provato disagio nel realizzare che, il suo più recente amico, nonché quello che frequentava con più assiduità,  potesse essere attratto da lui.
Soprappensiero, Sendoh fu costretto ad un brusco dietro front, quando Mitsui tornò all’improvviso sui suoi passi, rischiando di coglierlo in flagrante. Per sua fortuna, si fermò dopo qualche metro ed entrò in un negozio di abbigliamento sportivo. Sendoh si avvicinò di soppiatto alla vetrina e sbirciò all’interno. 
Fermo al centro del negozio, al momento privo di clienti, Mitsui si guardò intorno prima di avvicinare l’unica commessa presente. Questa ascoltò la sua richiesta, poi si sporse nel retrobottega, da cui, un attimo dopo, uscì un bel ragazzo sui venticinque anni. Aveva lunghi capelli bruni, annodati in una coda bassa, ed era abbastanza alto da cingere, con un braccio, le spalle del suo ragazzo, a cui sussurrò qualcosa nell’orecchio. 
Qualcosa di malizioso, pensò affranto Sendoh, vedendo come la faccia di Mitsui divenne paonazza all’istante. Era un’espressione che gli aveva visto pochissime volte in quei due mesi insieme, capace tuttavia di fargli rimbalzare il cuore in gola. Scoprire che la mostrasse tranquillamente anche ad altri, lo demoralizzò.
Il bruno scoppiò a ridere di gusto. Poi, sempre tenendolo stretto per le spalle, trascinò Mitsui nel retrobottega con un gran sorriso. Quando la porta si chiuse dietro di loro, Sendoh restò a fissare l’uscio per un buon minuto prima di incamminarsi, a passo sostenuto, in direzione della stazione. 
Chi è quel ragazzo?
La domanda rimbalzava frenetica nella sua testa mentre il treno viaggiava verso casa. Si pentì di aver assistito a quella scena: ai suoi occhi di “fidanzato ufficiale”, il gran sorriso con cui lo sconosciuto aveva portato Mitsui in un luogo appartato, non aveva nulla di rassicurante. 
Sommerso da mille dubbi, Sendoh si accorse di aver mancato la propria fermata quando, ormai, il treno ne aveva fatte altre quattro. Restò su, non avendo poi questa gran voglia di tornare a casa, a deprimersi sul letto. Scese alla stazione che usava ogni mattina per raggiungere la scuola, ma i suoi piedi lo portarono nella direzione opposta, lungo una stradina che passava tra le diverse case unifamiliari che componevano in modo variegato il quartiere. L’odore del mare, situato alle sue spalle, si affievolì appena mentre procedeva verso l’entroterra. 
Sbucò in un piccolo parco giochi che, complice la temperatura non proprio mite, era deserto. Sendoh si sedette sulla stessa altalena che aveva occupato una quindicina di giorni prima, quando, al termine della consueta partitella, disputata in un campetto non lontano da lì, Mitsui gli aveva detto di dovergli parlare. 
«Non so se potremmo vederci nelle prossime settimane…» aveva esordito, aggiungendo poi che sarebbe stato difficile anche sentirsi per telefono. 
Alla sua ovvia richiesta di spiegazioni, Mitsui aveva risposto di avere “alcune cose da fare”, senza però entrare nel dettaglio. Era tutto talmente vago che, a Sendoh, era parsa quasi una patetica scusa per rompere con lui.
«No, non è affatto così!» aveva negato Mitsui, stringendo con fermezza le catene che sorreggevano la sua altalena per guardarlo deciso negli occhi. «Solo, abbi fiducia in me…». 
E Sendoh lo aveva fatto… o almeno, ci aveva provato.
Dopo la prima settimana in cui erano riusciti a sentirsi a stento, per brevissimi istanti, la sua insofferenza era cresciuta in modo esponenziale. Sendoh temeva che sarebbe presto esploso, lo percepiva dal costante formicolio delle mani che, anche adesso, non riusciva a smettere di sfregare l’una contro l’altra per il nervosismo. 
Più di una persona si era accorta che, dietro ai suoi soliti sorrisi, si celassero delle preoccupazioni. Tuttavia, solo Koshino aveva avuto il coraggio di chiedergli cosa non andasse… o, forse, era semplicemente stufo di vedere il proprio capitano con la testa costantemente tra le nuvole. Al di là del motivo preciso, Sendoh gli era stato grato per la mano che gli aveva teso, nonostante non se la fosse sentita di prenderla e confidarsi: non aveva nascosto di star frequentando Mitsui, ma non aveva rivelato a nessuno la vera natura del loro rapporto. 
Chissà se qualcuno avrebbe capito la sua scelta di stare con un altro ragazzo, quando aveva schiere di donne, anche più grandi, pronte a soddisfare qualunque sua voglia adolescenziale. 
Cosa mi piace davvero di lui? era stata la domanda che si era posto, subito dopo averlo baciato la prima volta, all’ombra di quel canestro che li aveva visti giocare per ore. Una domanda a cui, lui stesso, aveva faricato a dare una risposta esaustiva, anche quando, quella sera, osservando il cielo stellato oltre la finestra della propria camera, scriveva – e subito cancellava – il messaggio di scuse che avrebbe voluto inviare a Mitsui. 
«Ti masturberai pensando a questo bacio?».
Sendoh si era più volte chiesto a cosa cazzo stesse pensando per uscirsene con un commento simile. Il vivo stupore sul viso di Mitsui lo aveva spinto a dire qualcosa, ma nulla di più cretino sarebbe potuto nascere dalle sue labbra. Non si sorprese che Mitsui avesse reagito, a quelle parole, con un pugno in pieno stomaco, prima di allontanarsi offeso, nonché sconvolto da un’insinuazione che non lasciava dubbi sul fatto che lui sapesse.
Aveva trascorso la notte in bianco, pensando invano a come scusarsi, a come ricucire uno strappo che pareva essere definitivo. Eppure non si era rassegnato, neanche quando, la mattina seguente, era uscito di casa con un’ora di anticipo, per poter essere davanti allo Shohoku prima dell’apertura. La sua presenza era stata il pettegolezzo del giorno, soprattutto tra le ragazze, che non avevano fatto altro che chiedere chi fosse il bel studente, proveniente da un’altra scuola, che aspettava qualcuno fuori dai cancelli.
Mitsui era arrivato a capo chino, sbucando da una stradina secondaria. Dalla ressa all’ingresso, si era subito reso conto che stava succedendo qualcosa e, appena aveva scorto la capigliatura a punta di Sendoh, aveva velocemente girato i tacchi. Sendoh si era fatto largo tra un gruppo di coraggiose ragazze, che stavano tentando un approccio, e l’aveva seguito. Una corsa folle, che era finita in un vicolo dietro la stazione, dove Sendoh aveva bloccato la sua preda ansante contro il muro di un palazzo. 
«Mi dispiace» gli aveva ripetuto cinque volte, tenendo la testa abbandonata sulla sua spalla. «La verità è che mi piaci… mi piaci tantissimo…».
Era stata la sua prima dichiarazione in assoluto. Banale, forse, e imbarazzate di sicuro, ma sincera. Tuttavia, in quel frangente, non importava molto come fosse giunto al traguardo, ma l’averlo tagliato. 
L’altalena cigolò quando Sendoh si alzò di scatto, nel goffo tentativo di scappare dal ricordo del bacio che si erano scambiati dopo. Come se potessi, pensò, incamminandosi mesto verso la stazione. 
Giunse a casa, a sera ormai inoltrata, dove trovò sua madre ad aspettarlo dietro la porta. 
«Finalmente!» esclamò puntando stizzita le mani sui fianchi. Era incredibile come, una donna minuta come lei, potesse mettere in soggezione un ragazzone alto un metro e novanta. «Hai la minima idea di che ore siano? Ti ho anche telefonato tre volte!». 
Sendoh estrasse il cellulare dalla tasca interna del giubbotto. Era vero. «Scusa, non l’ho sentito». 
Sua madre sbuffò, scrollandosi di dosso tutta la tensione che aveva accumulato nell’attesa. Poi, lo guardò di sottecchi. «Akira…? E’ successo qualcosa? Sono giorni che sei strano… e triste, non negarlo».
Il suo sorriso di circostanza vacillò per un istante. Sendoh non avrebbe voluto mentirle, ma che scelta aveva? Già parlare di problemi sentimentali sarebbe stato imbarazzante di suo…
La donna intuì che l’argomento non doveva essere semplice, per cui preferì non insistere. Era certa che, se il figlio avesse avuto bisogno, ne avrebbe parlato a tempo debito. 
«Su, vieni, o la cena sarà immangiabile da quanto fredda!».
Sendoh non aveva questa gran fame, ma non volle dare alla madre ulteriori dispiaceri. Si sedette con lei al tavolo e mangiò quello che riuscì, conversando come ogni sera di argomenti quali la scuola, il basket, il lavoro, le prossime vacanze che avrebbero trascorso dai nonni. Con la scusa di dover finire dei compiti per l’indomani, riuscì a congedarsi subito dopo aver aiutato la madre a sparecchiare. Salì quindi in camera, dove si lasciò cadere di peso sul letto, svuotato di ogni energia. Avrebbe solo voluto chiudere gli occhi, dormire e non pensare più a nulla.
Inspirò a fondo e credette di sentire ancora l’odore di Mitsui. Era impossibile considerando i giorni trascorsi e la certezza che sua madre avesse cambiato le lenzuola almeno tre volte, eppure non riusciva a togliersi dalla testa quella traccia che gli ricordava il muschio fresco. Guardò il cuscino e lo immaginò lì, come quel giorno di tre settimane prima, quando lo avevano fatto per la prima volta. 
Non era stata una cosa premeditata. Quel sabato pomeriggio pioveva e Sendoh aveva proposto di passarlo a casa sua, magari guardando qualche film insieme. Aveva scoperto all’arrivo di Mitsui che la madre sarebbe uscita e rientrata giusto per cena. Neanche quando avevano iniziato a baciarsi con passione, a toccarsi nelle parti intime, avevano pensato di andare fino in fondo, ma il passo da lì al letto era stato breve e naturale, così come confessargli di amarlo dopo aver consumato il loro primo atto.
Sendoh si alzò all’improvviso sui gomiti, mentre un dubbio si insinuava nella sua testa. Possibile che Mitsui non fosse pronto ad avere un rapporto completo? O, peggio, fosse titubante ad impegnarsi in qualcosa di più serio? Sendoh non aveva considerato le conseguenze di una dichiarazione in piena regola, come la sua, e il silenzio di Mitsui, dopo che gli aveva sussurrato “ti amo”, ora gli appariva sotto un’altra luce. Odiava ammetterlo, ma poteva essere stato precipitoso.
Tuttavia, non si sarebbe mai rimangiato quelle parole. 
Col cuore stretto in una morsa, Sendoh abbracciò il cuscino e si distese di nuovo sul letto. Fu così, con ancora indosso gli stessi vestiti della cena, che sua madre lo trovò qualche ora più tardi, quando entrò nella sua stanza, attirata dalla luce che filtrava da sotto la porta. La donna guardò il figlio addormentato e non se la sentì di svegliarlo, non ora che aveva il volto finalmente rilassato. Lo coprì con una coperta presa dall’armadio e uscì spegnendo la luce, con l’augurio che, qualunque bel sogno stesse facendo, potesse durare fino al mattino successivo. 
 
«Siamo amici?».
Era stata una domanda talmente improvvisa, che Sendoh impiegò qualche secondo a reagire. Sollevò confuso la testa dal proprio bento e incrociò lo sguardo serio di Koshino, che era seduto di fronte a lui. 
«Allora?» insistette questi.
Sendoh alzò le spalle perplesso. «Ma certo… perché dovresti-».
«Perché?» lo interruppe Koshino stizzito. Gettò un’occhiata alla classe, semi deserta per il pranzo, per sincerarsi che nessuno dei presenti fosse comunque abbastanza vicino da ascoltare. «Perché tu hai un problema e non ne parli!».
Sendoh si umettò nervoso le labbra. «Kosh-».
Lui lo interruppe di nuovo. «Non ti azzardare a dire che non è vero, che va tutto bene, che non devo preoccuparmi… perché mi preoccupo ancora di più! Sei costantemente distratto, a volte nemmeno ascolti quando ti parlano, e non mangi un cazzo da giorni!» concluse indicando il pranzo, appena spiluccato, che aveva davanti. 
Sendoh osservò sconsolato la distesa verde di broccoli e cetrioli, accanto a cinque grosse fette di carne impanata, che nascondevano, sotto di loro, una montagna di riso bianco. Ora che l’appetito scarseggiava, si rendeva conto di quanto sua madre fosse abbondante nelle porzioni. 
«Sendoh…».
La sua attenzione tornò su Koshino. Da quando lo conosceva – quasi due anni – era la prima volta che lo vedeva in ansia per qualcosa. Doveva proprio avere una pessima cera per preoccuparlo tanto. 
Che fosse giunta l’ora di confidarsi con qualcuno?
Si, ma non troppo, pensò, facendo un bel respiro. 
«Sto frequentando una persona».
«Oh, buon per te!» fece ironico Koshino, prima di sporgersi verso di lui, appena il reale significato della frase prese corpo nella sua mente. «Cosa…? E da quando?!».
Nel notare più di una testa girarsi e qualcuno allungare l’orecchio, Sendoh fece segno all’amico di abbassare il tono di voce. Se la notizia fosse trapelata, entro la fine della pausa pranzo avrebbe fatto tre volte il giro della scuola, con conseguenze poco piacevoli. Essere uno dei ragazzi più ambiti, non era così affascinante come tanti credevano: Sendoh cercava di essere sempre gentile con le ragazze che gli facevano il filo, ma non mancavano i giorni, come quelli che stava vivendo, in cui avrebbe tanto desiderato poterle ignorare pur di sfuggire alle loro continue attenzioni. 
«Quindi?» con un gesto della mano, Koshino lo incitò a parlare. «Avanti, su, racconta!».
«Non c’è molto da dire» Sendoh rimase sul vago. «Stiamo uscendo da un paio di mesi e tutto sembrava andare bene, poi… non lo so: sono due settimane che non ci vediamo, ha sempre qualcosa da fare e ieri… beh, ieri l’ho incrociata per caso, mentre era in compagnia di qualcuno con cui sembrava essere parecchio in confidenza e-».
«E la cosa non ti ha reso particolarmente felice».
Lui sospirò e annuì. «Non so cosa fare…».
«Ok, non sono un esperto» fu la premessa di Koshino «ma forse dovresti semplicemente parlarci…».
«E come?» la sedia scricchiolò quando Sendoh si appoggiò esasperato contro lo schienale. Ma lo aveva ascoltato o cosa? Non riusciva nemmeno a vederlo, come poteva parlarci? Non era qualcosa da discutere per telefono – sempre poi che riuscisse a contattarlo –, voleva guardarlo negli occhi mentre gli chiedeva che stava succedendo. 
Koshino alzò gli occhi al soffitto. A lui sembrava così semplice. «Salta l’ultima ora e piazzati all’uscita della sua scuola… perché non frequenta il Ryonan, giusto?». 
Sendoh si dette del completo idiota. Nonostante avesse già fatto qualcosa di simile, non ci aveva pensato. Galvanizzato da una nuova speranza, sorrise come non faceva da troppo tempo. 
Koshino si sporse sul banco e lo scrutò da vicino. «L’avete già fatto, eh?» sussurrò.
Il pensiero che lui lo immaginasse in compagnia di una donna, fece arrossire Sendoh. Chissà se fosse stato ancora così curioso se avesse saputo che, la persona di cui stavano parlando, era un uomo. 
«Merda, che invidia!» brontolò accasciandosi sul banco. «La voglio anche io una ragazza…».
Sendoh rise. «Tu vuoi solo scopare…».
«E anche se fosse?» grugnì lui, alzandosi in piedi appena sentì il primo rintocco della campanella che preannunciava la fine della pausa pranzo. Non voleva arrivare tardi in classe, non quando, ad attenderlo, c’era il “simpatico” professore di giapponese. «Domani voglio sapere com’è andata!». 
Sendoh salutò l’amico e si mosse come suggerito: spalleggiato da un compagno di classe, a cui avrebbe ricambiato il favore presentandogli una kohai, sua fan, che gli piaceva, lamentò una falsa anemia che, dopo una veloce passata in infermeria, gli permise di uscire con quaranta minuti di anticipo. Sicuro di avere tempo sufficiente per raggiungere lo Shohoku prima del termine delle lezioni, si dovette ricredere quando, entrato in stazione, vide il treno, che doveva prendere, lasciare la banchina in quel preciso momento. 
L’inconveniente gli costò caro. Lo capì percorrendo la strada che portava al liceo del suo ragazzo, appena incrociò i primi studenti che camminavano nella direzione opposta. Il timore di non riuscire ad incontrarlo, si trasformò in certezza quando giunse di fronte ai cancelli, che si aprivano sul cortile ormai semi deserto: il grosso degli studenti, non impegnati nei club, sembrava essersene già andato… e Sendoh sapeva che, il mercoledì, il club di basket non aveva gli allenamenti.  
«Dannazione!» imprecò sottovoce. 
Qualcuno gli si avvicinò alle spalle. «Credevo di aver visto male… e invece sei proprio Sendoh».
Non era una voce famigliare – Sakuragi era inconfondibile, Rukawa non avrebbe parlato tanto – ma, alla vista, non ebbe problemi a ricordarsi chi fosse. 
«Kogure, giusto?».
Lui annuì e sorrise. «Sembri alla disperata ricerca di qualcuno…».
Sendoh si raddrizzò per darsi un contegno. Sapeva che era un buon amico di Mitsui, ma non aveva idea di cosa gli avesse raccontato. Era a conoscenza del fatto che si frequentavano? Come amici? O come amanti?
«Se corri verso la stazione della monorotaia, dovresti raggiungerlo» disse Kogure, indicando a nord. Non specificò di chi stesse parlando, come se non ce ne fosse bisogno. Che sapesse più di quanto Sendoh credeva? «Quando gli ho chiesto dove stesse andando, così di fretta, mi ha risposto a Yokohama».
«Yokohama?» ripeté Sendoh. Possibile che dovesse incontrare il ragazzo con cui l’aveva visto domenica?
Kogure alzò le spalle. «Non so cosa stia combinando, ma lo vedo uscire di buon passo ogni giorno, appena terminano le lezioni… e ora vai, o sarai venuto fin qui per nulla».
Sendoh non se lo fece ripetere. Lo ringraziò con un leggero inchino della testa, poi si allontanò di corsa. Macinò a tempo di record il chilometro scarso che lo separava dalla meta indicata e, prima ancora di passare i tornelli, individuò la persona che cercava in cima alla banchina, posta a sei metri di altezza. Dal lato opposto, la monorotaia uscì dalla galleria e si accinse ad entrare in stazione. Sendoh fece i gradini due alla volta per salire sul convoglio prima che le porte si chiudessero. Fu fortunato: la persona che lo seguiva, a pochi passi di distanza, rimase incastrata tra le due ante, all’altezza del bacino, tra lo stupore e lo sdegno degli altri passeggeri.
«Smettila di guardarmi come un’idiota e aiutami!» inveì Koshino, allungano un braccio nella sua direzione.
Sendoh gli afferrò la mano e lo tirò all’interno del vagone, permettendo così alle porte di chiudersi. 
«Ero curioso» si giustificò poi, quando gli chiese cosa stesse facendo lì. «Insomma, questa ragazza deve essere uno schianto per averti ridotto peggio di uno straccio… l’hai conosciuta tramite Mitsui?». 
Domanda ovvia, considerando che era il suo principale contatto allo Shohoku, la scuola in cui si era recato seguendo il suo suggerimento. Peccato che la situazione fosse completamente diversa da quella che Koshino immaginava. Sendoh incrociò le dita e sperò che l’amico potesse accettare la verità che avrebbe scoperto a momenti. 
«Non è proprio come pensi…» sospirò, prima di avanzare lungo i vagoni fino alla testa della treno. 
Fu qui che trovò Mitsui. Appoggiato di schiena alla cabina del conducente, contemplava il panorama al di là del vetro opaco. Aveva l’aria esausta, e poche ore di sonno alle spalle stando ai continui sbadigli che soffocava con una mano. Assorto nei propri pensieri, non si accorse di loro, fermi, in piedi, all’altro capo della carrozza. 
Koshino lo fissò a lungo, in silenzio. «Sei serio?».
Sendoh capiva perfettamente la sua riluttanza, ma si, era serio, come non lo era mia stato in vita sua. Gli fece un sorriso tirato, poi si avvicinò al ragazzo che lo aveva ridotto “peggio di uno straccio”. 
«Ciao».
Al suo saluto, Mitsui sollevò la testa e sbatté più volte le palpebre, non nascondendo la sorpresa di trovarselo lì, di fronte, e nemmeno il nervosismo per l’improvvisata. «Sendoh…? Che ci fai qui? Non avevi scuola?». 
«Non sembri felice di vedermi» constatò lui, con un tono insolitamente duro che mise l’altro sull’attenti. «Io, invece, non desideravo altro…». 
«Io-» Sendoh percepì il terreno sotto i piedi farsi fragile quando Mitsui chinò il capo e sospirò. «Ti avevo detto che sarebbe stato complicato incontrarsi per qualche settimana… e, anche se lo vorrei, adesso proprio non posso-».
«Stai uscendo con un altro?».
La domanda lasciò Mitsui a bocca aperta. «Cosa…?».
«Ti ho chiesto se stai uscendo con un altro» ripeté Sendoh, che improvvisamente sentì la gola secca e un retrogusto amaro salirgli dallo stomaco. Se quella era la ragione per cui si stava allontanando da lui, tanto valeva scoprirlo subito. 
Mitsui lo guardò sconvolto per un tempo indefinito, poi sbottò indignato: «Stai farneticando? Perché è la sola giustificazione che trovo per un’accusa tanto ingiusta!».
«Dove stai andando, allora?» chiese. Non avrebbe accettato risposte vaghe, non stavolta. Mitsui lo capì e andò su tutte le furie. 
«E’ così difficile fidarsi di me?» sibilò, ferito, per come non riuscisse a trasmettere un sentimento di sicurezza e tranquillità alla persona a cui si era concesso, come se quell’atto, in sé, non avesse significato nulla. «Pensi che dia il culo a chiunque? Sei proprio uno stronzo!». 
«Non hai risposto alla domanda» insistette Sendoh «e ormai è chiaro che non lo farai, per cui non ha molto senso continuare questa discussione…».
Mitsui incrociò le braccia e tornò a guardare fuori dal vetro, non nascondendo il fastidio che stava provando in quel momento. «Io non capisco neanche perché tu l’abbia iniziata questa maledetta discussione…».
Sendoh lo fissò e si morse un labbro. Era consapevole che ciò che stava per fare avrebbe fatto male, molto male, ma non ce la faceva a continuare a nuotare in un mare di dubbi e sospetti: meglio tornare a riva, al sicuro, piuttosto che affogare… o forse no? Beh, ormai aveva deciso, e nulla lo avrebbe fatto tornare indietro.
«Bene» concluse «quindi non hai nulla in contrario se la chiudiamo qui…».
Mitsui si girò verso di lui come al rallentatore. «Mi stai mollando…?».
Si, Sendoh lo stava mollando, e quando Mitsui lo comprese, l’incredulità venne soppiantata dalla rabbia. 
«Oh, no, non ho proprio nulla in contrario!» fece sarcastico, stringendo con tutta la forza che aveva la sbarra in ferro a lato della porta che, di lì a poco, si aprì sulla banchina di una stazione. «Spero che tu ti sia divertito… e ora sparisci dalla mia vista!» con un cenno della testa, lo invitò a scendere. 
Appena mise un piede sulla banchina, Sendoh sentì il peso del fallimento gravargli addosso. Che avesse sbagliato a mettere Mitsui con le spalle al muro? Forse, eppure non si pentì della scelta, consapevole che non avrebbe resistito un giorno in più in quel mare, a lottare contro le proprie insicurezze. 
Una melodia preannunciò l’imminente chiusura delle porte. Sendoh lo ascoltò senza voltarsi. Seguì il rumore meccanico con cui l’anta destra e sinistra si riunirono al centro, poi quello del convoglio che lasciò la stazione, separandolo, per l’ultima volta, dalla persona che era stata il suo primo amore. Ricordò con amarezza il giorno in cui glielo aveva sussurrato all’orecchio e capì che, quell’intenso sentimento che ancora provava, non sarebbe svanito tanto facilmente come aveva creduto.
«Ehi…».
Sendoh guardò Koshino che, sceso anche lui dalla monorotaia, qualche porta più indietro, l’aveva raggiunto. Era preoccupato, e non del fatto che avesse avuto una relazione sentimentale – e sessuale – con un altro ragazzo. Era preoccupato per il suo stato emotivo, perché aveva capito che Sendoh aveva appena scaricato la persona di cui gli aveva parlato giusto a pranzo. 
«Ti va di andare da qualche parte? Non ho molta voglia di tornare a casa…».
Koshino puntò offeso le mani sui fianchi. «E me lo chiedi anche? Che amico sarei se ti mollassi adesso?».
«Non il migliore» Sendoh sorrise appena e Koshino sperò di avere la forza necessaria per trascinarlo fuori dalla sofferenza che sembrava averlo inghiottito.
 
«Finalmente il mio ometto ha deciso di alzarsi!» la madre gli servì la colazione in tavola appena le sue chiappe toccarono la sedia. «Farai tardi se non ti sbrighi!».
Sendoh annuì con disinteresse, consapevole dell’alta probabilità che aveva di arrivare a scuola e trovare i cancelli già chiusi se non si fosse dato una mossa. A mancargli, però, era la voglia di fare qualunque cosa. In quei giorni, persino basket e pesca apparivano come ingenti impegni piuttosto che grandi passioni. Soffocò uno sbadiglio: sarebbe tornato volentieri a letto, a dormire, a godersi ancora un po’ l’unico momento della giornata in cui non era assillato dal costante pensiero di Mitsui. 
Sua madre uscì di casa, di corsa, dopo avergli dato il consueto bacio sulla fronte e avergli rammentato di non fare tardi, non quella sera: il ristorante era prenotato per le sette e, per una volta, ci teneva ad essere puntuale. Sendoh annuì di nuovo con disinteresse. Non ricordava il motivo per cui sarebbero dovuti uscire a cena e non ci rimuginò più di tanto: saperlo non gli avrebbe cambiato in meglio l’ennesima pessima giornata.
Quando però, sul treno, notò una strana agitazione tra le ragazze, il suo sesto senso si attivò, mettendolo sulla difensiva. Stava dimenticando qualcosa, qualcosa di importante, e forse la cena di quella sera c’entrava eccome.
«Era ora!» sbraitò Koshino, appena lo vide uscire dalla stazione. 
Da quando aveva chiuso con Mitsui, non lo aveva mollato un attimo, conscio del fatto che Sendoh avesse disperatamente bisogno di distrarsi. Tuttavia, prima ancora che lo raggiunse, Koshino si avviò verso la scuola: la campanella sarebbe suonata a minuti e lui non poteva tardare, non quando, alla prima ora, aveva giapponese e il suo simpatico insegnante. 
«Se non ti muovi, ci chiudono fuori!» disse, allungando il passo. «Possibile che tu riesca ad arrivare in ritardo persino il giorno del tuo compleanno?!». 
Sendoh si bloccò sul posto. Ora aveva sia il motivo che lo avrebbe portato a cena al ristorante quella sera, sia il motivo che aveva generato la strana agitazione tra le ragazze. 
C’era stato un tempo in cui aveva trovato divertente essere nato il giorno di San Valentino, quasi fosse stata una premonizione del successo che avrebbe avuto con le ragazze. Purtroppo il divertimento era scomparso quando, in terza media, si era ritrovato con una dozzina di pacchetti tra le mani e altrettante donne a cui dover dar credito, perché incapace di dire “no”. Aveva imparato a farlo l’anno successivo, rifiutando, sempre con la dovuta cortesia, ogni regalo che gli era stato messo sotto il naso. Se non avesse appena posto fine ad una relazione importante, avrebbe vissuto quel giorno con il medesimo disinteresse di allora, invece di dover sopportare, a denti stretti, le dichiarazioni di persone di cui non gli importava nulla.
Il malumore che gli agitava lo stomaco già prima di mettere piede a scuola, aumentò parecchio quando, all’ingresso, si imbatté non per caso in una senpai con cui era uscito più volte in passato.
Inutile negarlo: la prima cosa che ogni ragazzo notava di NomuraRika, era la quarta abbondante di seno. Da come lei lo mettesse in mostra, incrociando le braccia dietro la schiena leggermente inarcata, ne era perfettamente conscia. Rika, tuttavia, non era solo un bel fisico da esplorare – cosa che lui aveva fatto volentieri un paio di volte. All’apparenza gentile e accondiscendente, era in realtà scaltra e caparbia, la tipica persona capace di sfoderare sapientemente i propri artigli quando desiderava ottenere qualcosa. E, da come lo guardava da sotto le lunghe ciglia nere, ciò che ora desiderava pareva essere proprio lui. 
Sendoh si avvicinò al proprio armadietto, a fianco del quale la ragazza si era opportunamente fermata.
«Ciao» esordì melliflua, osservandolo mentre apriva lo sportello. «E’ da un po’ che non ci vediamo».
«Si, molto» lui la degnò appena di uno sguardo, poi si accorse delle tre scatole accatastate sopra le sue scarpe bianche. Il sorriso, già tirato, scomparve, lasciando Rika dubbiosa. 
«Qualcosa no va?» chiese, pensando di essere gentile. 
Sendoh non rispose, non subito almeno. Sostituì le scarpe che aveva ai piedi con quelle presenti nell’armadietto, non curandosi della scatola che cadde a terra quando le estrasse. 
«Scusami» disse infine, chiudendo lo sportello con un colpo secco, che fece sobbalzare la ragazza «ma, qualunque cosa tu abbia dietro la schiena, non posso accettarlo». 
Rika si irrigidì e cambiò atteggiamento. «Mi stai rifiutando…?».
Sendoh sospirò. «Se la vuoi mettere su questo piano, direi proprio di sì».
Il suono della campanella lo salvò da ulteriori discussioni. Imboccò le scale a sinistra e salì al secondo piano, seguito a ruota da Koshino che, come tanti altri, aveva assistito alla scena in religioso silenzio. 
«Lo sai, vero, che hai appena cerato il pettegolezzo del secolo?» Koshino entrò nella sua classe, incurante dei minuti che trascorrevano inesorabili. «Cioè, hai appena dato il bel servito a NomuraRika, il sogno erotico di ogni ragazzo di questa scuola! E davanti a decine di studenti!».
Si, Sendoh lo sapeva bene, ma non gli importava granché. «Beh, non gli mancherà la scelta quando vorrà consolarsi…».
«E tu? Quando deciderai di consolarti?».
Koshino si rese conto di aver dato fiato alla bocca senza pensare, ancor prima che lo sguardo di Sendoh si incupisse. Gli chiese scusa enne volte, definendosi un babbeo che andava preso a calci per l’indelicatezza che spesso dimostrava nei confronti degli altri. 
«Bene, Koshino… ora che ci hai esposto cosa pensi di te stesso, puoi cortesemente raggiungere la tua classe? Io vorrei iniziare la lezione».
Koshino guardò esterrefatto il professore di matematica, fermo in piedi dietro la cattedra. Quando era suonata la seconda campanella? Il pensiero di avere giapponese lo fece correre fuori tra una marea di risate. Dubitava di cavarsela con un semplice rimprovero e, infatti, passò la prima ora in corridoio, con un secchio pieno d’acqua tra le mani. 
«Dio! Che male alle braccia!» lamentò per la milionesima volta.
Taoka non ci era andato leggero con gli allenamenti e i muscoli, già indolenziti dalla punizione della mattina, erano ora un unico pezzo di marmo. A fletterle, all’altezza del gomito, vedeva le stelle. 
Sendoh non riuscì a non sogghignare, non quando il compagno di squadra continuava a fare avanti e indietro da una fila di armadietti all’altra, scrollando le braccia nel vano tentativo di sciogliere i muscoli.
«Oh! Sono contento di essere almeno divertente!» sbuffò Koshino quando lo vide. Puntò le mani sui fianchi senza pensarci. La smorfia che seguì, precedette l’ennesima e articolata esclamazione di dolore. 
«Scusa» disse Sendoh, non riuscendo tuttavia a togliersi il sorrisetto idiota dalla faccia.
«Non ti scusare… è bello vederti sorridere» imbarazzato da quell’affermazione, Koshino si sedette sulla panca in fondo. «L’espressione seria degli ultimi giorni non ti dona affatto…». 
«Grazie» Sendoh era davvero fortunato ad avere un amico come lui. Raccolse le borse di entrambi. «Andiamo, ti accompagno a casa… conciato come sei, non riusciresti a sollevare una bottiglietta d’acqua!».
«Ah-ah! Spiritoso!». 
Uscirono con calma dalla palestra, ormai vuota, e Sendoh chiuse la porta a chiave.
«Vado a riconsegnarlo in sala professori» disse mostrando a Koshino il mazzo, poi imboccò deciso il vialetto che portava all’edificio principale.
Fu allora che lo vide, appoggiato al muro esterno della palestra. Teneva le mani nelle grandi tasche della felpa dello Shohoku mentre calciava nervoso un sassolino dopo l’altro. I loro occhi si incrociarono e Sendoh sentì lo stomaco contorcersi dal desiderio spasmodico di abbracciarlo. 
Mitsui si staccò dal muro. «Ciao».
«Ciao…» distolse impacciato lo sguardo, non sapendo che altro dire. Perché lo amava ancora così tanto?
«Scusa l’improvvisata, ma visto quanto ho lavorato per comprarlo, mi dispiaceva non dartelo…».
Mitsui estrasse un oggetto dalla tasca e glielo lanciò. Sendoh prese al volo quella che si rilevò essere una piccola scatola dalla forma quadrata. Era avvolta in una carta da regalo di colore blu, come i suoi occhi, e decorata con un fine nastro d’argento. 
«Cosa-» biascicò, preso alla sprovvista.
«Buon compleanno» Mitsui abbozzò un sorriso molto tirato «e buon San Valentino». 
Il cuore di Sendoh batteva così forte che – ne era convinto – lo stesse udendo il mondo intero. Era letteralmente senza parole e, il suo lungo silenzio, venne interpretato come un rifiuto.
Mitsui si strinse sconfitto nelle spalle. «Beh, è meglio che vada… ci vediamo».
Sendoh lo fissò allontanarsi con la coda tra le gambe, ancora stordito da quanto era appena successo. Aveva la testa piena di domande che reclamavano una riposta a gran voce. Cos’era quella storia che avesse lavorato tanto per comprargli quel regalo? Insomma, da quando aveva un lavoro? Non gli aveva mai accennato nulla di simile in due mesi insieme…
Koshino lo tirò con insistenza per una manica. «Si può sapere che stai aspettando? Aprila!».
Guardò l’amico, più impaziente di lui di scoprire cosa contenesse. Deglutì, poi, con mani tremanti, sciolse il fiocco e tolse la carta, rivelando un’elegante scatolina di velluto blu scuro. 
«Sembra una di quelle che danno in gioielleria…».
L’appunto di Koshino mise Sendoh ancora più in ansia di quanto non fosse prima. Cercò di non farsi strane illusioni, eppure non credette ai propri occhi quando, con uno scatto, la scatolina si aprì. Infilato nel centro esatto di un cuscinetto bianco, c’era un anello, una fedina in argento, molto semplice nel design ma non per questo meno bella. Solo quando la tolse, notò che era inserita in una sottile catenina dalla maglia stretta. Fu passandoci sopra col dito che scoprì una piccola iscrizione nella circonferenza interna. Quando la lesse, aveva le lacrime agli occhi. 
Con amore, H.”.
«Porca di quella troia!».
L’esclamazione di Koshino, oltre a riportarlo coi piedi per terra, gli ricordò di non essere solo. Non fece in tempo a chiedere nulla che l’amico gli porse un cartoncino, caduto dalla scatola quando aveva tolto l’anello.
«Non è d’argento!» disse concitato, insistendo che lo guardasse. «E’ d’oro! Oro 24 carati! Sendoh, avrà speso una fortuna per comprartelo!». 
C’erano ancora alcune cose poco chiare, eppure l’unica domanda che ora gli frullava in testa era: sono davvero così importante per lui?
Sendoh strinse nel pugno l’anello e si allontanò di corsa, lasciando dietro di sé un esterrefatto Koshino in compagnia delle loro borse, che aveva abbandonato in tutta fretta a terra. Raggiunse trafelato la stazione dove, un treno, fermo in banchina, stava chiudendo le porte. Non vedendo Mitsui, suppose che fosse salito sul convoglio. Lo cercò disperatamente, scrutando oltre ogni vetro finché poté, ma, già in partenza, aveva capito di avere pochissime possibilità di trovarlo dentro carrozze tanto affollate da non riuscire a scorgere i finestrini opposti. 
«Maledizione!» esclamò deluso, mentre la coda del treno lasciava definitivamente la banchina.
«Sendoh…?».
Convinto di essersi immaginato che lo chiamasse, si girò senza covare nessuna speranza. E, invece, Mitsui era proprio lì, appoggiato al fianco di una colonna, con gli occhi rossi sgranati dalla sorpresa. Sendoh non gli dette il tempo di dire altro: si avventò sulla sua bocca con voracità, chiudendola in un bacio mozzafiato.  
«Stiamo dando spettacolo…» sospirò Mitsui quando notò, lì a fianco, due studentesse coprirsi scandalizzate la bocca con la mano. In realtà non voleva assolutamente che smettesse, ma si rendeva conto di essere a pochi minuti dalla scuola dell’altro.
Sendoh lo prese per mano e lo invitò a seguirlo. Entrarono nel bagno degli uomini, un locale minuscolo con un lavandino, un orinatoio e un cesso alla turca dietro una porta che lo separava dal resto. Era un posto squallido per amoreggiare, ma nessuno dei due sembrava disposto ad aspettare un minuto di più. 
«Perdonami» disse Sendoh al temine dell’ennesimo bacio. «Eri stato chiaro, eppure non ho avuto fiducia-».
Mitsui lo zittì appoggiandogli due dita sulle labbra. «Quando quel giorno mi hai confessato di amarmi, mi hai lasciato senza parole» arrossì imbarazzato e si schiarì la voce. «Mi sono pentito di non averti risposto subito, perché dopo non trovavo mai l’occasione giusta per farlo… poi ho scoperto la data del tuo compleanno e…» sospirò «dovevo dirtelo che avevo iniziato a fare diversi lavori - consegna dei giornali la mattina presto, commesso in un negozio di abbigliamento il pomeriggio, e di alimentari la sera -, ma temevo le tue domande e non volevo rovinarti la sorpresa…».
«Un negozio di abbigliamento?» Sendoh ebbe un dubbio atroce. «Sportivo? In centro a Yokohama?».
Mitsui si accigliò. «E tu come fai a saperlo?».
Avrebbe voluto nascondersi mentre raccontava della domenica in cui l’aveva pedinato. Quando però Mitsui era scoppiato a ridere sulla presunta frequentazione con quel bel ragazzo dai lunghi capelli bruni, non riuscì a nascondere il fastidio che provò nell’essere deriso su qualcosa che lo aveva preoccupato per interi giorni. 
«Ti diverte tanto l’idea?».
«Sendoh, quel ragazzo è mio fratello!».
A quella rivelazione, più che nascondersi, avrebbe voluto buttarsi sotto il treno in transito in quel momento. 
«N-non vi somigliate granché…» biascicò.
«Potrei sempre farmi ricrescere i capelli…».
«Ricrescere…?» Sendoh cercò di immaginarselo. Probabilmente lo avrebbe trovato comunque affascinante, ma adorava troppo quelli corti e sbarazzini che aveva ora. «No, ti preferisco così». 
Mitsui lo tirò a sé per baciarlo. «Come desidera, mio signore».
Le loro labbra si erano appena toccate quando la suoneria del cellulare di Sendoh li fece sobbalzare. 
«La prossima volta lo sfracello contro il muro!» grugnì Mitsui, portandosi una mano al petto. 
Sendoh sorrise felice e gli rubò un bacio prima di rispondere. Dei, quanto gli era mancato!
«Ehi! Non ti sarai dimenticato del tuo migliore amico, vero?!» borbottò Koshino, dall’altra parte.
«Sai che non lo farei mai…».
«Dalla voce mi pare di capire che vada tutto bene…».
Sendoh guardò Mitsui con il cuore gonfio di gioia. «Meravigliosamente».
«Sono contento per te… ora però vieni a prendere le borse e accompagnami a casa!».
Rise, come non faceva da giorni, poi, insieme a Mitsui, ritornò verso il Ryonan.
«Le voci si diffondono in fretta…» mormorò quest’ultimo, a pochi metri dalla palestra.
Stava per chiedergli di che stesse parlando, quando venne investito dall’uragano Koshino.
«Ehi, coglioni!» urlò irritato, appena li vide. «Per caso vi siete sbaciucchiati in mezzo alla strada? Altrimenti non mi spiego come possano arrivarmi certe richieste di chiarimenti» e mostrò loro il proprio cellulare.
Sendoh lesse il testo sulle schermo: era una compagno di classe di Koshino, sua accanita fan, che chiedeva allarmata se fosse vera la diceria, secondo cui, era stato visto poco prima mentre baciava un altro ragazzo. Quando finì, scoppiò in una fragorosa risata, facendo incazzare di brutto Koshino.
«Dio! Solo tu puoi ridere davanti a una simile catastrofe!».
Sendoh gli fece un cenno con la mano di non preoccuparsi. «Se volessi, mi basterebbe negare e nessuno ci crederebbe. Ma sai? Non lo farò» indossò la catenina che Mitsui gli aveva regalato, infilando l’anello dentro il collo della maglietta che portava sotto la divisa. Al contatto con la pelle dello sterno, il metallo si rivelò freddo. Non gli dispiacque, perché era un segnale costante della sua presenza. «Quando qualcuno mi chiederà se sia vero, mi limiterò a sorridere senza rispondere». 
«Sei sicuro?» Mitsui si avvicinò a lui, non nascondendo una certa ansia. «Insomma… non sarebbe meglio stroncare sul nascere certe voci?».
Sendoh gli prese la mano. «Se è ciò che desideri, lo farò, ma vuoi davvero che neghi quello che c’è tra noi?». 
No, Mitsui non voleva. Scosse appena la testa, ma la risposta fu chiara. Sendoh gli sorrise, felice che fossero sulla stessa lunghezza d’onda, e non resistette al frenetico impulso di chinarsi a baciarlo. Per Koshino, che ancora doveva metabolizzare la bisessualità dell’amico, quello stesso amico che – dannazione a lui! – avrebbe potuto avere qualunque donna desiderasse ai suoi piedi, fu uno shock vederlo infilare la lingua in bocca a un altro uomo. 
«Vi prego… non fatelo mai più in mia presenza!» protestò, coprendosi gli occhi con la mano. Voleva bene a Sendoh e non lo avrebbe allontanato per un simile motivo, ma aveva bisogno di tempo. Ignorando il dolore al braccio, raccolse il proprio borsone. «E’ meglio che vada…».
«Kosh-».
«Va tutto bene» lo rassicurò «e poi immagino vogliate stare un po’ soli… o sbaglio?».
Koshino non sbagliava affatto. Sendoh lo ringraziò per essergli stato vicino in quei giorni. Si salutarono con la promessa di vedersi l’indomani mattina, alla solita ora, all’uscita della stazione. 
«E’ un buon amico» disse Mitsui guardando Koshino allontanarsi.
«Sì» confermò «come lo è Kogure per te, suppongo».
L’allusione spinse Mitsui a parlare, conscio che, se non lo avesse fatto ora, sarebbe stato poi: «Lo ha capito da solo che, la nostra, non era una semplice amicizia. Anche lui mi è stato vicino in questi giorni…».
Sendoh si sentì in colpa nel sapere che Mitsui avesse sofferto a causa della sua mancanza di fiducia. Raccolse la propria borsa, ancora abbandonata a terra, promettendo a sé stesso che non avrebbe più dubitato di lui. «Allora, dove vuoi andare?».
Con un cenno, Mitsui indicò il mazzo che aveva estratto dalla tasca. «Sono le chiavi della palestra? E’ un posto tranquillo per… passare un po’ di tempo insieme, non credi?».
Sendoh si guardò la mano e sorrise. Si, era proprio un ottimo posto.
 
«Non ti avevo forse detto di non fare tardi stasera?». 
Sua madre non esitò un secondo a rinfacciarglielo quando varcò la porta di casa, alle sette e mezza passate. 
«Scusami…» bofonchiò Sendoh. 
Sapeva di essere nel torto, ma non rimpiangeva le ore preziose trascorse con Mitsui. Era stato bello ritrovarsi e non avrebbe mai pensato che il sesso, dopo un litigio, potesse essere tanto appagante. Se non avesse avuto impegni, sarebbe rimasto sdraiato con lui su quel materassino blu, nel deposito degli attrezzi. 
La donna sbuffò. «Ho già avvisato tuo padre di prendersela comoda. Ora, però, muoviti e vai a cambiarti!».
Sendoh sorrise e salì in camera da letto, dopo essersi dato una veloce rinfrescata. Il suo atteggiamento allegro dopo giorni di muso lungo, incuriosì la madre, che lo seguì fino al piano superiore. 
«Giornata positiva?» gli chiese mentre si stava vestendo.
Sendoh annuì. «Non potevo desiderare un compleanno più bello».
Senza pensarci, portò la mano allo sterno e strinse l’anello attraverso la maglietta. Quel gesto attirò l’attenzione della donna, che notò allora la catenina per la prima volta. 
«Oh, regali importanti» commentò felice di riavere il figlio sorridente che tanto amava e che, nei momenti più bui del divorzio, era stato il suo sostegno. «Di a Mitsui di passare domani a mangiare una fetta di torta... non se la meriterebbe, ma, grande com’è, ne avanzerà tanta e sarebbe un peccato buttarla, non credi?».
Aveva sempre avuto il dubbio che fosse un’utopia nascondere qualcosa a sua madre, e quando la vide lasciare la stanza, con un sorrisetto scaltro sulle labbra, Sendoh capì che, presto o tardi, avrebbero affrontato un lungo discorso, a metà tra la predica e il pettegolezzo, perché la sua innata curiosità da qualcuno l’aveva pur ereditata. E chissà che, in quel discorso, non sarebbe stato coinvolto persino Mitsui.
Quando però, il giorno successivo, Mitsui venne a casa sua, l’argomento principale fu un altro.
«Cos’è quella faccia stravolta?» chiese sua madre, mentre gli metteva sotto il naso una fetta della torta avanzata la sera prima.
Mitsui si leccò le labbra, pregustando il dolce che gli sarebbe stato servito, di lì a poco. «Ha sottovalutato la potenza delle voci di corridoio» spiegò.
Sendoh si consolò facendo suo il primo boccone.
Quella mattina era stata un incubo. Le occhiate ricevute appena messo piede sul treno, alla stazione vicino a casa, erano state un esile antipasto della baraonda che lo attendeva tra le mura scolastiche. Aveva smesso di ascoltare la domanda – se fosse vero che avesse una relazione con un altro ragazzo – la quinta volta che gliel’avevano posta, mentre cambiava le scarpe all’ingresso, poco prima dell’inizio delle lezioni. Il pellegrinaggio di fan e curiosi, che c’era stato a pausa pranzo, lo aveva evitato nascondendosi negli spogliatoi del club, dove era stato trascinato da Koshino appena questi aveva capito che la situazione era completamente sfuggita di mano. Dalle voci, via via gonfiate col passaparola, sembrava che, Sendoh e Mitsui, avessero fatto sesso su quella banchina, invece di baciarsi.
«Tranquillo: col tempo, le acque si calmeranno» commentò la donna, rimettendo in frigo l’ultimo quarto di torta.
Mitsui osservò la scena perplesso. «Mi scusi, ma… a me niente?» chiese, sicuro di essere stato invitato per dare una mano a finirla.
Lei gli sorrise. «Sai, stanotte ci ho pensato e… non te la meriti per come hai fatto soffrire mio figlio!».
«Cosa? Ma è lui che non si è fidato di me!».
«Ehi»Sendoh sollevò la forchetta col secondo boccone e glielo porse. Mitsui vi ci fiondò sopra senza tante cerimonie.
«Mmm… buona…» mugugnò riaprendo la bocca, in attesa. Non aveva problemi a farsi imboccare come un bambino se ciò avesse significato poterne mangiare una fetta intera.
Sendoh sorrise, trattenendo l’impulso di baciarlo. Dubitava che Mitsui avrebbe gradito lasciarsi andare a certe effusioni di fronte a sua madre, poco importava che lei sapesse e non ostacolasse la loro relazione. Ma doveva solo aver pazienza: una volta in camera, sarebbe stato finalmente soli.

FINE

 

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: Cioppys