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Autore: The Blue Devil    24/03/2019    2 recensioni
Questa è la prima avventura dell'agente di polizia Kaori Tanaka... e l'avversario è molto particolare...
Dal testo:
Caddero a terra insieme e la ladra si ritrovò seduta a cavalcioni sull’altra: per alcuni istanti, lunghi un’eternità, le due ragazze si guardarono negli occhi e a Kaori mancò il respiro.
«Che mi succede? Perché mi sento così... strana?», pensò Kaori che, quasi senza accorgersene, aveva poggiato le mani sulle cosce di Purple: anche se c’era il latex, fra la pelle di lei e quella dell’altra, quel contatto ebbe l’effetto di una scarica elettrica.
Ripresasi, Kaori rovesciò la situazione, trovandosi lei a cavalcioni dell’altra: d’impulso le afferrò la gola a due mani e strinse:
«Ma che volevi fare? Credevi davvero di potermi sopraffare così facilmente?».
Riuscendovi a fatica e tossendo, per la stretta di Kaori, Purple mormorò:
«Devo dirti una cosa...».
«Sentiamo».
«Ti si vedono le mutandine...».
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il soggetto è mio, originale, e quindi il © mi appartiene in toto.

Buona lettura
 

HAI! WATASHI WA KEISATSUKAN NO TANAKA KAORI DESU!
(Sì! Sono l’agente di polizia Kaori Tanaka!)

 
Finalmente Kaori ce l’aveva fatta! Ora era un’agente di polizia a tutti gli effetti; era stata dura ma, alla fine, quella benedetta Accademia l’aveva terminata! Cercava di vedersi, specchiandosi in una vetrata, ma, data l’oscurità, riusciva a vedere ben poco; ma sapeva di essere bellissima con la sua uniforme – quella classica della polizia giapponese con il cordino sulla spalla – nuova di zecca, giacca e gonna corta, le calze bianche, le scarpe coi tacchi ma, soprattutto, con la pistola nella fondina.
Stava ancora tentando di rimirarsi quando, all’improvviso, intravide un’ombra sfrecciare fulminea, giù nel salone.
«Cos’era quella? Non dovrebbe esserci nessuno nella villa», pensò.
Allarmatasi, fece correre la mano alla fondina e, apertala, ne estrasse la pistola; tenendola con due mani, con la canna rivolta verso l’alto e sempre cercando di vedere qualcosa, andò alla porta e, lentamente, la aprì; ora si trovava sul ballatoio e aveva una perfetta visione di tutto il salone sottostante. Guardò a destra, a sinistra, in alto, in basso: niente.
Sempre guardinga, scese nel salone e, stavolta, l’ombra le passò velocissima proprio davanti. Cominciava ad aver paura, ma non doveva, ora che era una vera agente.
D’un tratto si materializzò davanti ai suoi occhi, a circa cinque o sei metri di distanza da lei, la silhouette di una ragazza.
Kaori si spostò di lato e perse qualcosa senza neanche accorgersene; un raggio di sole filtrante dall’esterno, illuminò la misteriosa silhouette: dentro una tutina di latex viola, molto aderente, si muoveva, flessuosa, la figura di una ragazza dal corpo perfetto; la tutina, nella parte superiore, terminava con una generosa scollatura – che rivelava, agli occhi di chi la guardava, anche gran parte della schiena – dalla quale facevano capolino due seni di ragguardevoli dimensioni; nella parte inferiore, andava ad infilarsi in un paio di stivali – sempre in latex e sempre viola – con un tacco leggero; una cascata di capelli castani ondeggiava ad ogni suo movimento.
La giovane poliziotta rimase a bocca aperta, incantata da quella visione spettacolare, ma, appena ripreso il controllo di sé, osservatala bene, con il cuore che le saltava in gola, balbettò:
«N-non è possibile! T-tu... t-tu... s-sei... Purple Kitten!».
«Esatto piccola», rispose una voce melodiosa alle orecchie di Kaori, «e, se non vuoi che qualcuno si faccia male, posa quella pistola».
«N-no... ti devo arrestare».
«Avanti fai la brava. Ora tu rinfoderi il cannone e io me ne vado... e siamo tutti contenti».
Per un attimo, la volontà della poliziotta vacillò, ma poi ella disse, decisa:
«Sono una poliziotta! Sono l’agente di polizia Kaori Tanaka. Arrenditi Purple Kitten!».
La ladra fu velocissima: colpì con un calcio il braccio di Kaori, disarmandola, e fece uno scatto per fuggire, ma il tacco di uno dei suoi stivali, andando ad incocciare con l’oggetto perso da Kaori poc’anzi, si ruppe, facendola cadere in terra a faccia in giù.
Anche Kaori fu lesta: in un attimo fu sopra di lei e, bloccatala a terra, premendole un ginocchio sulla schiena, le afferrò i polsi e riuscì ad ammanettarla.
«Non è possibile, maledizione!», esclamò la ladra.
In tutta la sua lunga carriera, nessun anello era mai riuscito a cingere i suoi polsi! Ora, invece... e a riuscire nell’impresa era stata... una mocciosetta? Inaudito!
Anche Kaori esclamò:
«Non ci posso credere! Io, l’agente di polizia Kaori Tanaka, ho catturato Purple Kitten! L’inafferrabile, l’impareggiabile Purple Kitten! E al mio primo incarico...».
Messasi a sedere all’indiana, la ladra le ricordò:
«Non esaltarti troppo piccina... hai avuto solo un gran cu... una gran fortuna. Ma non è ancora finita».
«E invece la tua carriera di ladra inafferrabile termina qui; finalmente sei mia».
«Scusa cara, sono cosa?».
«Ehm... intendevo dire sei mia prigioniera».
«Sì, come no».
La poliziotta recuperò la pistola, che era finita nel vaso di una pianta, e gliela puntò contro, mostrandole anche un distintivo.
«Sei in arresto, Purple Kitten».
«Tesoro, perché mi punti la pistola addosso se mi hai già ammanettata? E perché mi mostri... cos’è... la spilla delle Amiche del... non riesco a leggere il resto», rispose Purple, cercando, nell’oscurità, di leggere cosa c’era scritto sul distintivo.
Kaori dette un’occhiata a ciò che teneva in mano, sgranò gli occhi, e velocemente ripose l’oggetto in una tasca.
«Non importa», sussurrò la poliziotta, «Sei in arresto lo stesso».
«Comunque l’arresto non è valido... esco quando voglio».
«È valido».
«No».
«E invece sì, e smettila».
Purple alzò gli occhi al cielo e le disse:
«Non vale se non mi reciti i miei diritti».
«Tu sei una criminale, non hai diritti».
«Ma che poliziotta sei? Mi devi dire che ho diritto ad un avvocato, a restare in silenzio e bla, bla, bla... quelle cose lì, altrimenti esco subito».
Kaori ci pensò su e poi, ricordandosi la procedura, a fatica, le recitò i suoi diritti.
«Ora devo chiamare la Centrale».
Si cercò qualcosa affannosamente nelle tasche, borbottando, ma non trovò l’oggetto che stava cercando.
Purple la ragguagliò, indicandole con lo sguardo un oggetto sul pavimento:
«Cercavi quello? La causa del tuo gran cu... della tua gran fortuna».
«Lo so ho un gran bel sedere, grazie... sì, il mio cellulare... maledizione è distrutto».
«E tu chiameresti la Centrale con quello? Usa la trasmittente».
«Non ce l’ho».
Purple alzò gli occhi al cielo per la seconda volta, e le disse:
«Non ce l’hai? Ma che poliziotta sei? Io ce l’ho un cellulare...».
«E dov’è?».
Abbassando la testa, Purple le fece capire di averlo lì, tra i "meloni"; Kaori allungò una mano, ma l’altra fece l’atto di mordergliela.
«E no carina, mi vuoi toccare? Ma ti pare che se io avessi un cellulare te lo direi?».
L’agente Tanaka desistette dal proprio intento, fece alzare la "criminale" e la spinse fuori dalla villa.
Purple tentò di convincerla a lasciarla andar via, adducendo di avere un appuntamento, ma senza riuscirvi. Quindi si giocò l’ultima carta:
«Senti, ti do metà della refurtiva se mi lasci andare: liberami, prendo ciò che mi serve e ti do il resto; è un buon accordo, no?».
«Tu sei matta! Ti libero, metti a segno il colpo e poi mi dai metà della refurtiva? Forse non l’hai capito ma io...».
«... sono l’agente di polizia Kaori Tanaka... lo so, ma che palle!», le concluse la frase la ladra.
Kaori proseguì:
«Sono onesta io, rispetto la legge e non tengo alle cose materiali...».
«Peccato, perché volevo offrirti qualcosa che ha molto più valore, qualcosa di inestimabile e unico».
«E cosa sarebbe?».
«Beh, il mio corpo è ovvio... ho notato come mi guardi da circa mezzora».
La poliziotta arrossì prepotentemente e nella sua mente si materializzò l’immagine di una splendida Purple Kitten, semi svestita, scodinzolarle intorno, a quattro zampe, come una gattina; Kaori era indubbiamente attratta da quella creatura, e se non fosse stata una fuorilegge...
Si affrettò a scacciare quell’immagine e sbottò:
«Ti ho detto che sono onesta, io».
«E che c’entra? Sei arrossita, lo sai? E prima volevi infilarmi una mano fra le tette... Ma hai detto che non t’interessano le cose materiali, mmh... però si può sempre rimediare».
«E come?», chiese Kaori, curiosa.
«Se non vuoi il mio corpo – e di questo dubito fortemente – ti posso regalare... il mio cuore! Come vedi non è una cosa materiale...».
A quell’idea, Kaori arrossì nuovamente, forse più di prima, ma la risata argentina di Purple la riportò alla realtà.
«L’hai fatto di nuovo... sembri un peperone».
«Basta! Comunque ho la macchina; è la tua moto, quella?», le chiese Kaori, indicando il mezzo menzionato.
Purple annuì, e l’altra le tagliò le gomme.
«Per sicurezza, non si sa mai, potresti avere dei complici qui intorno».
«Tranquilla, lavoro da sola. L’appuntamento è un’altra cosa, non c’entra nulla con il furto», puntualizzò la castana.
Ma una brutta sorpresa attendeva Kaori: non trovava più le chiavi dell’auto! Intimò all’altra di restare ferma, lì dove si trovava, e tornò nel salone per cercarle.
Rimasta da sola, Purple fece scivolare in un cespuglio un cellulare – si può immaginare dove lo tenesse – e un mazzo di chiavi; e si mise in attesa.
Dopo dieci minuti, l’altra tornò disperata; poi decise di cercare qualche altro mezzo di trasporto, nei garages della villa o nei campi, ma non trovò nulla. Alla fine disse:
«Vabbè, usiamo la tua moto».
«Che bello, io mi metto davanti e tu mi stringi forte forte; oppure mi togli le manette e ti stringo io...».
Senza attendere risposta, aggiunse:
«Stupidina, hai tagliato le gomme: per sicurezza, hai detto».
«Già, che stupida».
«E poi, pur se trovassi le chiavi, anche tu hai una gomma a terra... puoi sempre cambiarla, però».
«Oh, è vero, non me ne ero accorta. Però non sono capace, poi, da sola...».
«Toglimi le manette e ti do una mano... poi cerchiamo le chiavi».
«Sì, così mi spacchi il cric in testa e te la squagli. Va là».
«Eh, il cric in testa no: sai gli schizzi di sangue e di materia grigia, ammesso che tu ce l’abbia la materia grigia... poi mi sporco tutta la tuta».
«Ora basta, mi hai stufata», urlò Kaori, puntandole la pistola al petto.
«Non ti piacciono più», sibilò Purple, facendo ondeggiare i seni in modo provocante e malizioso.
«Non mi provocare! Guarda che ti sparo».
«Non puoi».
«Sì, che posso».
«No».
«Non voglio farti del male! Voglio solo arrestarti! Perché non ti fai arrestare e basta?».
«Ma ti dico che non puoi spararmi... dammi retta; se non carichi la pistola come fai a spararmi? E se non togli la sicura, secondo te, spara?».
Kaori guardò sotto il calcio e si accorse che non c’era il caricatore; forse Purple se n’era accorta quando gliel’aveva fatta volare di mano: si sa che i gatti vedono anche al buio.
«Acc... rimedio subito».
Kaori inserì un caricatore, tolse la sicura e reinquadrò l’altra nel mirino.
«Anche se l’hai caricata, non hai le palle; non mi sparerai. Mettila via».
«Credi che non sia capace? Guarda che io...».
«No, risparmiami la storia dell’agente bla, bla, bla, per cortesia».
«Ora ti faccio vedere se non sono capace».
 La poliziotta puntò l’arma su un muretto e si preparò.
«Ci credo, ci credo, ma non sparare. Mettila via», ripeté la ladra.
Vedendo la determinazione dell’agente, Purple si allarmò e si gettò su di lei, colpendola con una testata nello stomaco: per la seconda volta l’arma volò lontano, mentre Purple gridava:
«Sei pazza, fermati».
Caddero a terra insieme e la ladra si ritrovò seduta a cavalcioni sull’altra: per alcuni istanti, lunghi un’eternità, le due ragazze si guardarono negli occhi e a Kaori mancò il respiro.
«Che mi succede? Perché mi sento così... strana, pensò Kaori che, quasi senza accorgersene, aveva poggiato le mani sulle cosce di Purple: anche se c’era il latex, fra la pelle di lei e quella dell’altra, quel contatto ebbe l’effetto di una scarica elettrica.
Ripresasi, Kaori rovesciò la situazione, trovandosi lei a cavalcioni dell’altra: d’impulso le afferrò la gola a due mani e strinse:
«Ma che volevi fare? Credevi davvero di potermi sopraffare così facilmente?».
Riuscendovi a fatica e tossendo, per la stretta di Kaori, Purple mormorò:
«Devo dirti una cosa...».
«Sentiamo».
«Ti si vedono le mutandine...».
Istintivamente, Kaori mollò la presa al collo di Purple e si coprì le parti basse con le mani: inutile dire che il suo viso andò in fiamme.
Senza darle il tempo di dire o fare altro, la ladra aggiunse:
«Recupera la pistola, stupida... se avessi sparato ti saresti potuta anche uccidere».
Assumendo un’espressione perplessa, Kaori recuperò la pistola, la esaminò e si accorse che la canna era ostruita da terriccio e sassetti.
«È volata nel vaso di una pianta; ho visto che la canna era ostruita quando me l’hai puntata contro. Se avessi sparato avresti anche potuto ucciderti».
«E tu saresti stata libera di andartene...», pensò Kaori, per poi chiedere all’altra:
«Mi hai salvato la vita... perché l’hai fatto? Se fossi morta o mi fossi ferita, tu saresti stata libera di andartene».
Purple avrebbe potuto dirle la verità: perché mi sei simpatica e sei troppo carina per morire in un modo così stupido. Ma optò per una versione diversa:
«Non l’ho fatto per te, l’ho fatto per me; io sono una ladra, non un’assassina, e se tu fossi morta avrebbero accusato me. Tutto qui».
«Ah!», fece Kaori, un po’ delusa.
«Che si fa?».
«Si va a piedi, non c’è scelta».
«Ti rendi conto che ci troviamo in mezzo al nulla? E che il paese più vicino è troppo lontano per arrivarci a piedi? Attendiamo il ritorno dei padroni di casa...».
«Questa ha in mente qualcosa, ma non mi frega», sentenziò l’agente Tanaka.
Poi comunicò all’altra:
«Lo so, ma troveremo qualcosa lungo la via. Temo che, restando qui, potrei avere delle brutte sorprese. Avanti, cammina, che abbiamo tanta strada da fare».
 
Camminavano da ore e le gambe cominciavano a cedere, quando avvistarono una casa. Più volte Purple aveva chiesto all’altra di fermarsi – con le manette e il tacco rotto era difficile starle dietro, anche se era a lei che toccava star davanti – per fare una piccola pausa, ma Kaori era stata irremovibile; ora l’avvistamento di quella abitazione era considerato, da entrambe, come una chimera da raggiungere a tutti i costi; fossero state nel deserto, avrebbero potuto pensare a un miraggio, ma si trovavano in campagna.
L’irremovibilità di Kaori aveva avuto origine da un fatto verificatosi poco dopo l’inizio della loro marcia: Purple si era gettata addosso a Kaori e, insieme a lei, era rotolata giù per un pendio; la ladra si era giustificata dicendo di aver visto una vipera pronta a mordere la giovane agente e di averla spinta per evitare che ciò accadesse; Kaori, invece, aveva interpretato l’evento come l’ennesimo tentativo di fuga da parte di Purple.
«Non ci sono vipere da queste parti, tranne te!», aveva gridato, resistendo alla tentazione di percuotere l’altra.
«Questa scema mi sta facendo perdere un mucchio di tempo!», aveva pensato la castana, «Ora mi tocca farle anche da balia».
«Guarda, Purple! Chiederemo aiuto agli abitanti di quella casa! Non ce lo rifiuteranno... spero anche di potermi fare un bel bagno. Guarda come siamo ridotte per colpa tua!».
«Bel ringraziamento per averti salvato la vita... per la seconda volta! Le tue parole mi scaldano il cuore», fu il sarcastico commento dell’altra.
Giunte alla porta della "casa", Purple osservò:
«E questa sarebbe la casa i cui abitanti dovrebbero aiutarci? Mi pare inutile bussare e fai attenzione quando cercherai di aprire quella porta!».
In effetti, più che una casa, quella costruzione fatiscente era ciò che ne restava.
Kaori seguì entrambi i consigli di Purple: non bussò, ma spinse leggermente la porta, causandone la rovinosa caduta in terra; un nuvolone di polvere le investì, facendole tossire.
«Altro che bagno! Di polvere, direi... e non puoi dar la colpa a me, stavolta!», protestò la castana.
«E invece il bagno ce lo facciamo ugualmente; sta’ a vedere!».
Kaori perlustrò l’abitazione: in quella che sembrava essere stata una stalla trovò un paio di tinozze; nella cucina raccattò un pentolone, un pezzo di sapone e qualche asciugamano; da un ruscello che aveva notato, prima di raggiungere la casa, attinse dell’acqua; accese – sfruttando le sue conoscenze da scout – un bel fuoco. 
Tutto era pronto per un bel bagno.
«Però, è piena di iniziativa e si dà da fare questa ragazzina», pensò la ladra.
«Lo farò prima io», disse Kaori, trasportando la tinozza, dietro una palizzata, che stava ancora in piedi.
«E non spiare», aggiunse poi.
«Non ci penso proprio; sei tu quella che arrossisce, mica io».
Credendosi al riparo, dietro la palizzata, Kaori si spogliò e si immerse nella tinozza; Purple, avvicinatasi alla palizzata, la poté spiare attraverso una sconnessione tra due assi:
«Però, non è mica male la piccola! Che bei seni e che gambe!».
Notando che la poliziotta aveva chiuso gli occhi e pareva in un altro mondo, Purple formulò questo pensiero:
«Ora potrei facilmente affogarla nella tinozza, togliermi le manette, prenderle la pistola e tornare a recuparare la sua auto; perché non lo faccio? Non mi sarò mica affezionata a questa stupidella che ha osato... arrestarmi?».
Finito il bagno, copertasi con un asciugamano, Kaori preparò quello per l’altra:
«Anche se te lo meriteresti, non posso lasciarti così... sporca».
«Mi togli le manette, tesoro?».
«Manco per sogno».
«E, secondo te, come dovrei fare per spogliarmi e per lavarmi?».
«E che ne so io?».
«Sei proprio una porcellina... mi vuoi spogliare tu... e mi devi anche lavare...».
Kaori, rossa come il sole al tramonto, per un momento, pensò di toglierle le manette, ma aveva troppa paura di lei, benché avesse anche una pistola, per cui ci pensò lei a spogliarla: ma era veramente quello il motivo per cui lo fece? O voleva avere una scusa per toccare quella pelle che pareva di seta?
Fatto sta che, quando l’altra, una volta nella tinozza, le chiese di lavarla, non seppe dirle di no. Quando le sue mani indugiarono sui prosperosi seni di Purple, provò un fremito che la fece trasalire: erano così grossi, pieni, eppure morbidi, allo stesso tempo.
Kaori, che su richiesta dell’altra («Io non ti ho spiata e tu non devi spiare me: sai mi vergogno»), si trovava alle sue spalle, perse il lume, quando si accorse dell’indurimento dei capezzoli di Purple e cominciò ad ansimarle sul collo; Purple girò la testa e, nel momento in cui stava per accadere l’irreparabile, sussurrò alla poliziotta:
«Oh, che mani di velluto che hai... allora ti piacciono ancora, tesoro mio».
Kaori spalancò gli occhi di colpo e ritrasse le mani da quegli "oggetti" tentatori.
Il resto del bagno si svolse senza altri intoppi, anche se la castana ammiccava sempre maliziosamente, provocando la poliziotta, che faceva sforzi sovrumani per controllarsi.
Quando anche lei si trovò avvolta in un asciugamano, Purple sussurrò, con voce roca:
«Sai, adesso non dispiacerebbe neanche a me essere tua!».
«P-prigioniera?», balbettò Kaori, che non aveva perso il vizio di arrossire.
«Certo, sciocchina; che avevi capito?».
Era giunto il momento della cena che fu costituita da bacche e radici, raccolte in giro, condite da un ottimo sakè, trovato sempre nella cucina di quella catapecchia.
 
Già albeggiava quando Kaori si svegliò; si sentiva la testa pesante e stranamente non riusciva né a muoversi, né a parlare; aperti gli occhi e tornata nel mondo reale, si rese conto di essere legata al letto, completamente nuda, e di avere dei pezzi di stoffa in bocca; una calza, probabilmente sua, passatale stretta fra i denti, teneva il bavaglio ben premuto sulla sua bocca.
Si agitò, tentando vanamente di liberarsi, finché non la vide, là, in piedi davanti al letto e... vestita da poliziotta.
«Ti sei svegliata, tesoro? Finalmente; dormivi come un angioletto che non me la sono sentita di svegliarti».
Kaori mugolò qualcosa e Purple osservò:
«Vuoi dire qualcosa? Non ti capisco, ma... forse ti stai chiedendo che diavolo è successo? Ieri sera, dopo cena, mi hai violentata e poi sei crollata... non ricordi? Eh, il sakè è una brutta bestia».
La poliziotta non riusciva a credere alle proprie orecchie e, soprattutto, a ricordare cosa fosse realmente accaduto. Aveva solo un vago ricordo: l’immagine di lei, nel letto, abbracciata a Purple... senza manette?
«Non mi è piaciuto per niente quel che mi hai fatto, sai tesoro? Mi hai arrestata; hai mandato a monte il mio colpo; mi hai fatto perdere un appuntamento importante; e poi questo... violentare una prigioniera indifesa. No, no, così non si fa. Ora dovrai pagare, senza contare che odio le poliziotte... soprattutto quelle così minute: quest’uniforme mi va un po’ stretta».
Prese la pistola e la puntò sull’altra, il cui viso cominciava ad essere rigato dalle lacrime.
«Ho capito: ti concedo un ultimo desiderio; parla, avanti», disse Purple, scostandole il bavaglio.
«I-io, n-non...», cominciò a balbettare la ragazza, tra i singhiozzi, «n-non s-sono una poliziotta».
«E questa cos’è? Carnevale è lontano, mi pare», chiese Purple, indicando con la pistola l’uniforme che indossava.
«E queste?», aggiunse, facendo volteggiare le manette, «Ci giochi col tuo fidanzatino?».
«C-cioè... sto frequentando l’Accademia di Polizia, ma non sono ancora un’agente... sono l’assistente del magazziniere...».
«Fammi capire: sei una stupidella che sogna di diventare agente di polizia, ma, per il momento sei solo una magazziniera; hai fregato le chiavi al tuo capo, o te le ha date in consegna, e hai sottratto una pistola dall’armeria. Dico bene? Se è così, altro che Purple Kitten, qui abbiamo Tanaka Kitten!».
Sempre piangendo, Kaori, confermò:
«S-sì. L’uniforme è un ritiro in lavanderia per un’amica».
«E l’amica, se non erro, abita nella villa in cui ti sei recata per la consegna... e per fare la scema. Ma hai trovato me! Cavolo che sfigata che sei! L’arresto del secolo si è trasformato in un incubo per te. Ma come pensavi di consegnarmi alle autorità? Avrebbero scoperto il furto della pistola e tutto il resto».
«Avrei fatto in modo che trovassero solo te...».
«Beh, abbiamo finito».
«A-aspetta... ieri hai detto che non sei un’assassina, mmh, mmh, mmfh...».
Purple, dopo averle risistemato il bavaglio, senza dimenticarsi di regalarle un bel bacio d’addio prima, concluse:
«Esatto, tesoro, infatti non sarò io ad eliminarti: conosco la zona e di qui non passa mai nessuno e, se accadrà, sarà tra molto tempo; e tu sarai già andata a visitare i tuoi avi. In quanto a me, ora me ne torno alla villa, recupero le chiavi della tua macchina e poi mi arrangio a cambiar la gomma o chiamo qualche amico con il mio cellulare».
In risposta allo stupore disegnatosi sul volto della quasi-poliziotta, Purple spiegò:
«Già, ce le ho io le tue chiavi e il cellulare esiste veramente: era lì dove ti avevo detto; se tu avessi insistito, l’avresti trovato».
Dopo averle posato un tenero bacio sulla fronte e averla coperta con un asciugamano "Sai, non vorrei mai che prendessi freddo...", Purple si avviò, lasciandola disperata a dimenarsi inutilmente, non prima di averle detto:
«Beh, è tempo che vada; stammi bene, eh?».
 
***


Una ragazza dai capelli castani, fermò la moto, ne discese e si acquattò tra i cespugli in osservazione: vide un’ambulanza e un’auto della polizia, nei pressi di una catapecchia, dalla quale uscirono dei barellieri e un paramedico che trasportavano una persona. Assicuratasi, sorridendo, che la persona nella barella stesse bene, lanciò un bacio, soffiando, nella sua direzione e rimontò in sella alla moto, sparendo nella campagna.
 
 
DUE ANNI DOPO
 
L’agente di polizia Kaori Tanaka pattugliava fiera le strade della città; quell’esperienza, che non sapeva se definire brutta o bella, avuta con Purple Kitten, l’aveva convinta a finire l’Accademia e a diventare una vera agente.
Nell’armeria della Centrale fu ritrovato il "biglietto da visita" che Purple Kitten lasciava sempre al termine di ogni colpo, il medesimo che fu ritrovato nella villa in campagna e nella catapecchia; quindi, l’inchiesta aperta dalla polizia sul rapimento della magazziniera aveva raggiunto le seguenti conclusioni: Purple Kitten aveva rubato, forse per far sfregio alla polizia, una pistola nell’armeria e poi si era recata alla villa per compiere un furto; lì era stata sorpresa dalla sfortunata Kaori – ivi recatasi per consegnare un’uniforme ritirata dalla lavanderia – e, ingaggiata una lotta con lei, l’aveva sopraffatta; il motivo per cui, poi, l’avesse portata in mezzo alla campagna rimase un mistero. Ma come era stata ritrovata l’aspirante agente? Tramite una telefonata anonima alla polizia, nella quale erano stati forniti tutti i dettagli per raggiungere il posto: la voce al telefono apparteneva a una donna.
L’agente Kaori Tanaka fermava tutte le ragazze che assomigliavano a Purple Kitten, per controllarne l’identità, sperando sempre di ritrovarla.
Un pensiero fisso l’attanagliava da ben due anni:
«Possibile che io abbia fatto l’amore con lei e non mi ricordi proprio nulla? Se fosse vero dovrei averne dei ricordi e invece... ho solo quell’immagine: noi due abbracciate nel letto... devo assolutamente sapere cos’è accaduto realmente quella notte».
Già: doveva assolutamente sapere la verità, ma l’unica a conoscerla era lei, Purple Kitten.
Anche quel giorno fermò l’ennesima ragazza, facendo il solito buco nell’acqua.

All’interno di un caffè, finito di sorseggiare la sua bevanda, una bella ragazza dai capelli castani, che aveva osservato la scena del "fermo" della ragazza da parte della giovane agente, si alzò, andò al bancone a pagare e uscì dal locale. Dopo aver osservato ancora un po’ quella giovane poliziotta, così graziosa e decisa, pensò:
«Agente di polizia Kaori Tanaka, vedrai che un giorno, non molto lontano, sarò di nuovo tua... anzi, tu sarai di nuovo mia... prigioniera s’intende...».
Sorrise, le mandò un bacio alla solita maniera e, con le mani in tasca, si avviò per la sua strada.

 
FINE
 
 
© 2019, The Blue Devil
   
 
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