Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Ricorda la storia  |      
Autore: Itzi    02/04/2019    2 recensioni
||Spoiler capitoli 220, 221 e 222||
Sinceramente? Quella era la cosa meno strana che avesse sentito quel giorno.
Non ci voleva certo un genio per capire che Shigaraki Tomura, un ragazzetto pallido e ritorto come il ramo bruciato di un albero, avesse più di un disturbo mentale a deviargli il cervello; bastava vedere come andava conciato in giro. Perciò sì: la notizia che quelle discutibili mani mozzate - che si trascinava appresso ovunque - fossero un tempo attaccate a dei corpi molto vivi non era per nulla sconvolgente; e l’unica reazione che ebbe il suo corpo fu quella di spostare il peso da un piede all’altro.
|| Dabi e i suoi pensieri divaganti durante l'incontro con il Dottore! ||
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dabi, Shigaraki Tomura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Ehy Creep, this is so fucking weird”
 
 
 
Sinceramente? Quella era la cosa meno strana che avesse sentito quel giorno.
            Non ci voleva certo un genio per capire che Shigaraki Tomura, un ragazzetto pallido e ritorto come il ramo bruciato di un albero, avesse più di un disturbo mentale a deviargli il cervello; bastava vedere come andava conciato in giro. Perciò sì: la notizia che quelle discutibili mani mozzate - che si trascinava appresso ovunque - fossero un tempo attaccate a dei corpi molto vivi non era per nulla sconvolgente; e l’unica reazione che ebbe il suo corpo fu quella di spostare il peso da un piede all’altro.
            Era disgustoso? Indubbiamente; ma ormai Dabi era venuto a patti con il fatto che, a furia di passare anni tra vicoli marci e rifugi per senzatetto, il suo concetto di “schifoso” si fosse evoluto ad un livello tutto nuovo, permettendogli di sopportare cose che un tempo gli avrebbero dato il voltastomaco all’istante.
            O, forse, era semplicemente masochista, e la vita su strada aveva solo accentuato di più quella sfumatura disturbante del suo carattere. Come quando da bambino fissava affascinato la miriade di bolle e vesciche che si formavano sulle sue mani; per poi bucarle con le unghie una per una, tormentando così tanto la pelle che alla fine le cicatrici rimanevano pallide e in rilievo, marchiate a sangue sui suoi palmi.
            Nemmeno il fatto che, a quanto pareva, lo Stramboide avesse ammazzato tutta la sua famiglia quando ancora non raggiungeva nemmeno il metro d’altezza lo scompose più di tanto.
            Prevedibile.
            Nessuno che fosse stato sano di mente si sarebbe mai messo in testa di voler distruggere il mondo da un giorno all’altro; tanto più dopo aver passato un’infanzia banale e piatta. Visto gli individui che facevano parte della League of Villains – un’accozzaglia di disturbati dalla dubbia moralità – non c’era da stupirsi che il loro capo portasse il fardello di una storia tragica ai limiti dell’assurdo.
            Ah, e poi scopavano da mesi, ergo, Shigaraki non poteva essere normale a priori: in tutta la sua vita Dabi aveva attirato la gente più strana e fottutamente inquietante che potesse esserci; e tutte le volte si stupiva di come i suoi standard si adattassero a ogni nuova stranezza con cui veniva in contatto. Al momento, gli risultava difficile credere che ci fosse qualcuno messo peggio dello Stramboide, ma era pronto a ricredersi.
            Socchiuse leggermente gli occhi, per nulla interessato al dibattito in corso con quel dottore psicopatico di cui non riusciva a vedere nemmeno la figura, visto quanto era lontano. Il laboratorio gli faceva venire la nausea, insieme alla puzza di marcio e sostanze chimiche che tenevano in vita i Noumo nelle loro capsule di vetro. Durante il teletrasporto aveva battuto il fianco, che ora pulsava fastidiosamente ricordandogli quanto fosse fragile il suo corpo. Sentiva la faccia tirare lungo la linea sbrindellata delle sue cicatrici, e aveva la sensazione che anche solo pronunciare una parola qualsiasi sarebbe stato sufficiente a farlo sanguinare: aveva cambiato le graffette due settimane prima, perché ormai i vecchi buchi si era allentati tutti minacciando di scoprire pelle, sangue e muscoli; e ancora faceva fatica a parlare e mangiare. Persino guardare storto Shigaraki, riservandogli il solito sorriso da schiaffi, era doloroso, ma sinceramente era disposto a sorbirsi di tutto pur di dargli fastidio.
            (Conferma del fatto che sì, era davvero masochista.)
            Riportò svogliatamente l’attenzione verso lo Stramboide, che aveva ficcato le mani all’interno delle tasche del cappotto quasi con rabbia. A Dabi non serviva vederlo bene per capire quanto fosse irritato dalle parole del vecchio, lo capiva dalla piega che la schiena aveva preso, dal modo in cui stava sicuramente arricciando le labbra sforzandosi di ingoiare una rispostaccia.
            Aaah, quanto era cresciuto dal quel punto di vista, a momenti rischiava di commuoversi. Non che adesso lo Stramboide non si comportasse da bambino viziato, anzi; ma almeno aveva la decenza di farsi venire meno crisi isteriche e di rispondergli male solo la metà delle volte in cui gli rivolgeva la parola. In compenso le minacce di morte non erano diminuite – specialmente quelle nei suoi confronti, specialmente quando lo facevano – ma era pur sempre qualcosa, e lui non aveva certo chissà quali alte aspettative nella vita.
            Poi successe. Dabi, oltre al masochismo, probabilmente soffriva anche di iperattività, perché di tutte le informazioni (importanti) che gli stavano venendo riferite, il suo cervello si soffermò sulla più patetica. Un commento sarcastico che doveva scatenare qualche reazione sul viso di Shigaraki probabilmente, un rimprovero per niente celato su quanto fosse ancora una nullità in confronto a AFO, che però indugiò qualche secondo di più tra la massa di pensieri sconnessi che gli affollava la mente.
            Shigaraki aveva vent’anni.
            Venti.  
            E questo voleva dire che era più piccolo di lui di cinque anni, quasi sei.
            Questa consapevolezza lo stranì. Aveva sempre pensato che, in qualche modo, potessero essere coetanei. Le cicatrici e le occhiaie lo invecchiavano sicuramente, ma non così tanto da dargli l’impressione di star parlando con qualcuno di così giovane.
            In realtà quei cinque anni, quasi sei, non erano molti, lo sapeva; eppure una parte di sé non riusciva a staccarsi dall’idea che ci fosse qualcosa di… Sbagliato? Innaturale? Come se la sola idea di una tale differenza d’età fosse inconcepibile a prescindere.
            Aveva vent’anni, un solo anno in più rispetto a suo fratello che ora aveva iniziato l’Università, studiava medicina e si era fidanzato con una ragazzina magra con i capelli a caschetto.
            Non sapeva perché la cosa lo stesse turbando tanto. Shigaraki rimaneva lo stesso deviato mentale di sempre, che avesse la sua età o meno. Eppure adesso c’era qualcosa che glielo faceva vedere con occhi diversi.
            Aveva sempre avuto un attaccamento quasi morboso ai suoi fratelli, se ne era accorto appena era scappato di casa: un pensiero per Fuyumi, Natsuo e il piccolo Shoto c’era sempre; anche quando lo stomaco gli faceva così male dalla fame che sembrava si stesse digerendo da solo, anche quando i muri lerci dei vicoli cominciavano a puzzare di carne bruciata a causa del suo quirk. Più di una volta si era ritrovato a cercare qualsiasi informazione su di loro, dalle interviste a suo padre ai profili social e sì, era arrivato addirittura a  spingersi verso i cancelli di una scuola, con aria indifferente, per constatare se effettivamente Natsuo fosse diventato alto come gli ripeteva ogni volta che lo misurava sullo stipite della loro stanza.
            (Spoiler: sì. Era cresciuto un sacco in poco tempo, il viso gli si era fatto più squadrato, ma l’espressione era rimasta la stessa di quando erano bambini, e lui osservava con aria indolente il suo piatto di verdure lesse.)
            La prima volta che aveva visto Shigaraki aveva pensato che fosse disgustoso, inquietante, con quei vestiti che celavano male un corpo magrissimo e un arto mozzato sulla faccia. Poi si era reso conto che era giovane, e che aveva i capelli azzurrognoli chiari come il suo fratellino rompiscatole.
            La verità era che, nonostante ci provasse, Dabi ancora non era riuscito a lasciarsi la sua vecchia vita alle spalle. Per anni aveva coltivato un rancore che ora gli scuoteva le ossa, gli bruciava il sangue; ma se da una parte bramava vendetta – la prova concreta che non aveva sprecato tutto quel tempo per nulla, la conferma che le sue scelte erano state giuste – dall’altra non poteva fare a meno di immaginare quale reazione avrebbero avuto i suoi fratelli.
            Perché era solo questione di tempo, lo sapeva, prima che la verità venisse a galla. Con Shoto ci era andato vicino, ma il ragazzino non aveva detto nulla che potesse tradire qualcosa in più, quando si erano scontrati. Comprensibile, probabilmente non si ricordava nemmeno la sua faccia; forse sapeva a malapena il suo nome.
            Ma Natsuo era tutto un altro paio di maniche, eccome. Gli sarebbe bastata un’occhiata per riconoscerlo all’istante, uno sguardo sfuggente, la foto sbiadita a un notiziario. Avrebbe strizzato gli occhi e fissato con orrore il disastro che aveva in faccia, da bravo aspirante medico, rabbrividendo di quanto grossolane apparissero le sue cicatrici; nella stessa identica maniera con cui osservava le bende e le vesciche che aveva sulle mani da bambino, mentre gli chiedeva se era per quello che non potevano giocare assieme in giardino.
            Glielo avrebbe voluto davvero raccontare, un giorno: dei vestiti rubati nei cassonetti, degli assistenti sociali che lo avevano perseguitato insieme alle suore di una parrocchia, del barbone che dormiva dentro un carrello della spesa. Di come, pochi mesi dopo essere scappato, si era inciso la pelle a sangue con un taglierino rubato in una cartoleria, riflesso nello specchio di un bagno della stazione. Le ustioni si erano cicatrizzate male, bloccandogli il viso e tirandogli la pelle impedendogli di parlare, di bere, di mangiare. Era stato dolorosissimo, ancora più della sensazione di bruciare vivo, eppure si era sentito così libero, mentre il sangue gli sporcava le mani e la mascella tornava a muoversi senza costrizioni.
            Avrebbe voluto parlargli di tutti i patetici tentativi fatti per poter tenere insieme la sua faccia, da ago e filo fino alla spillatrice presa nel vecchio studio di un parroco. Di quanto fosse stato stupido a credere che un paio di graffette avrebbero risolto il problema; finché non si era ritrovato nello studio discutibile di un tatuatore che, preso dalla compassione, aveva tirato fuori una cucitrice cutanea e lo aveva rattoppato alla stregua di una bambola di pezza.
            C’erano i piercing, la sbronza in un bar con delle pareti arancioni, e le migliaia di risse in cui si era cacciato insieme a un altro disgraziato come lui, con il naso a saetta per tutte le volte che glielo avevano rotto. Un’enorme quantità di ricordi sfuggenti, inutili, che però conservava nella speranza di poter raccontare.
            (Patetico, sul serio.)
            Le lamentele di Toga lo fecero ridestare dal suo stato catatonico all’improvviso: ovviamente si era perso il resto della conversazione e ora non aveva la più pallida idea di che cosa stesse accadendo.
            (Era una sensazione molto familiare, perciò reagì rispondendo male alla sclerata e avvicinandosi a Shigaraki.)
            «Ohi, Stramboide.» Shigaraki piegò appena la testa e lui fece lo stesso, quasi di riflesso. «Tutta questa roba è fottutamente inquietante.»
            Non sapeva bene a cosa si riferisse: se al laboratorio di per sé, ai desideri di sterminio di massa, o al fatto che fosse appena maggiorenne e che per mesi avesse trangugiato alcolici di ogni tipo.
            «Me ne vado per conto mio.»
            Trovare nuovi membri non era davvero la sua priorità primaria, ma il nuovo covo faceva davvero schifo e meno tempo ci stava lì dentro, meglio era. E poi, aveva davvero bisogno di dare fuoco a qualcosa per sfogare la sua – probabile – iperattività.
             Shigaraki socchiuse gli occhi, increspando le labbra rovinate impercettibilmente verso l’alto, a confermargli che sapeva benissimo quali fossero le sue motivazioni.
            «Non vedo l’ora di vedere chi porterai.»  
 
 

 
 
 
Ho scritto questa fic durante una notte insonne, reduce dalla lettura degli ultimi capitoli di BMHA che mi sono piaciuti veramente moltissimo!
            Riconosco il fatto che gran parte di questa storia sia solo un’accozzaglia confusa di pensieri e cose poco coerenti; ma avevo davvero voglia di scrivere qualcosa del genere, anche perché Dabi mi è sembrato molto ben preso quando viene a sapere che sì, in pratica AFO ha fatto il lavaggio del cervello a Tomura; come se non potesse concepire il fatto che qualche autorità esterna decida a prescindere la vita che devi vivere.
            Ho seguito la famosa teoria secondo cui Dabi e Touya Todoroki; cosa ormai palesissima perché in questi ultimi capitoli Horikoshi si è divertito a dargli le stesse identiche espressioni di Shoto XD
            Comunque si, non so se effettivamente possa avere venticinque anni, è un numero sparato un po’ a caso considerando che Fuyumi ne ha ventitrè; ma questa è una cosa irrilevante suvvià ahaha.
            Spero vi sia piaciuta, nonostante sia breve. Vi ringrazio per aver letto fino a qui, e avermi dedicato un po’ del vostro tempo, la cosa mi rende felicissima.
            Itzi.    
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Itzi