Fanfic su artisti musicali > Queen
Ricorda la storia  |      
Autore: _Lisbeth_    02/04/2019    9 recensioni
Maylor (2001).
"- Bri, devo andare a lavoro. – aveva poi detto tra una risata e l’altra, sentendo un sospiro come risposta.
- Va bene, okay. Come vuoi, lascia pure il tuo povero ragazzo da solo.
Quelle parole fecero ridere il più piccolo, che gli accarezzò i ricci. – Torno presto. Non avrai nemmeno il tempo di lamentarti che sentirai bussare alla porta. – si avviò poi verso la porta, mentre Brian si sedeva a gambe incrociate sul letto.
- Rog. – si sentì chiamare. Si voltò. – Sì?
- Ti amo.
Il biondo sorrise teneramente. – Ti amo anch’io."
La storia tratta tematiche delicate e fa riferimento ad eventi realmente accaduti, non ha assolutamente lo scopo di essere offensiva o turbare chi legge.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
And still I hear his own sweet song.
 
Brian rise, lasciò un piccolo bacio sul naso del suo compagno e gli accarezzò una tempia con il proprio dito indice, perdendosi in quei grandi, chiari e dolci occhioni azzurri in cui vedeva riflesso tutto il proprio amore.
Erano sei anni che stavano insieme, da quando il suo Roger aveva appena ventun anni e lui ventitré. Si ricordava di quel ragazzino ribelle, con i capelli più corti rispetto a quel momento, un po’ più immaturo, dal sorriso luminoso e, a volte, un po’ provocatorio.
E Brian aveva amato tutto di lui, quando lo aveva visto per la prima volta, nella città in cui entrambi vivevano prima di trasferirsi a New York.
Lo ricordava così bene, era il 1995 e lo aveva visto lavorare in quel piccolo ristorante, come cameriere. Ciò che lo aveva colpito di più, la prima volta, erano stati i suoi occhi. Grandi e vispi, chiarissimi, dalle lunghe ciglia chiare. Sembravano scrutare ogni cosa per capirne e captarne qualsiasi particolare, anche il più piccolo, il meno importante.
Lui, appena uscito dall’Università in cui studiava fisica, stava morendo di fame. Ed entrare lì dentro, in quel ristorante, era stata forse la cosa migliore che gli fosse capitata.
Si era seduto sul primo tavolino che aveva visto, stanco morto, affamato e assetato. Mentre aspettava che qualcuno passasse a prendere la sua ordinazione, aveva iniziato a battere il piede per terra nervosamente, mentre lo stomaco gli brontolava come non mai.
E in quel momento lo aveva visto. Era lì, appena uscito dalla cucina, con un blocchetto giallo in mano, che sbuffava. I capelli biondi erano spettinati, disordinati, l’aria un po’ stanca o nervosa. Lo aveva intenerito, in quella divisa da cameriere. Gli era sembrato di sentirlo urlare contro qualcuno, forse il suo capo o un collega.
Quando lo vide avvicinarsi al proprio tavolo notò che avesse un ciuffetto biondo e ribelle davanti gli occhi, che cercava in continuazione di spostarsi dal viso, senza risultato. All’ennesimo sbuffo, facendo scattare la penna, aveva guardato Brian negli occhi, sforzandosi a sorridere. – Cosa posso portarle?
Aveva una voce sottile, acuta, gracile.
- Va benissimo un’insalata. – gli rispose, rizzando la schiena e sorridendo. Vide il ragazzo aggrottare la fronte, mentre appuntava sul blocchetto ciò che gli era stato detto. – E basta?
Non gli era mai capitato che qualcuno glielo chiedesse, in un ristorante. – Sì, grazie.
- Ne è sicuro?
- Come mai tutta questa insistenza… - diede un’occhiata al cartellino che il ragazzo aveva attaccato alla propria divisa verde. – Roger?
Vide il ragazzo tossicchiare, mettere in tasca il block notes. – Ah, niente. E’ che l’insalata costa poco e il mio capo poi picchia la moglie per la frustrazione di aver guadagnato poco.
Brian sussultò. – Che?!
- Sto scherzando. Non ce l’ha nemmeno, una moglie.
Il giovane studente universitario sospirò, in un certo senso sollevato.
- Taylor! – sentì urlare dalla cucina. Vide poi Roger sbuffare, gridando a sua volta: - Sto arrivando, Cristo santo!
Brian aveva sorriso, divertito.
Da quel giorno, dopo l’Università, era sempre tornato lì dentro. Aveva conosciuto meglio Roger, scoprendo di avere tante cose in comune con il giovane cameriere. Entrambi amavano la musica, in particolare i Beatles e i Pink Floyd. Roger suonava: era un batterista, un chitarrista e un pianista. Di tanto in tanto cantava, ma la sua più grande passione era quella per la batteria e per le percussioni.
Gli disse di studiare biologia da un annetto.
Lo aveva sentito cantare, un giorno. Era la voce più bella che avesse mai sentito, sebbene fosse forte, aggressiva, graffiante. Probabilmente quella voce rifletteva la personalità del ragazzo, il suo carattere. Infondo, da ciò che gli era stato permesso di conoscere, aveva capito che Roger fosse molto istintivo, vulcanico. Un uragano piccolo e biondo di cui lui, man mano che passavano i giorni, si stava inconsapevolmente innamorando.
Una sera, sotto invito di Brian, erano usciti insieme, avevano passato una serata accompagnata dal suono delle loro risate e da quel rapporto che, piano piano, diventava più grande.
Ce n’erano state ancora, di serate passate insieme. E finalmente, nella sera del dodici maggio, sotto alle protettive e splendenti stelle, si erano scambiati il bacio più tenero e dolce che avessero mai potuto dare e ricevere.
Due anni dopo avevano decido di trasferirsi in America, insieme. A New York.
Brian era diventato un giovanissimo professore di fisica e matematica, mentre Roger aveva trovato lavoro tra gli uffici del maestoso World Trade Center.
Quella mattina, in particolare, l’avevano passata tra baci e dolci carezze, dopo una notte d’amore. Erano appena le sei del mattino, e Roger si era alzato presto per prepararsi ad andare in ufficio, mentre per Brian quella era una giornata libera dalla scuola. E proprio mentre Roger, dopo avergli lasciato un piccolo bacio sulla fronte, stava andando via, Brian lo aveva preso per un polso, attirato a sé e baciato, accarezzato. Gli aveva fatto il solletico fino a togliergli il respiro.
- Bri, devo andare a lavoro. – aveva poi detto tra una risata e l’altra, sentendo un sospiro come risposta. – Va bene, okay. Come vuoi, lascia pure il tuo povero ragazzo da solo.
Quelle parole fecero ridere il più piccolo, che gli accarezzò i ricci. – Torno presto. Non avrai nemmeno il tempo di lamentarti che sentirai bussare alla porta. – si avviò poi verso la porta, mentre Brian si sedeva a gambe incrociate sul letto.
- Rog. – si sentì chiamare. Si voltò. – Sì?
- Ti amo.
Il biondo sorrise teneramente. – Ti amo anch’io.
 
- Che ore sono? – chiese Roger, appoggiando le caviglie sulla scrivania e piegando la testa all’indietro, sulla sedia nera. Freddie, che era stato suo collega per tutto il corso di quei tre anni, nonché caro amico, sospirò. – Le otto e mezza.
- Ancora?
- E che vuoi da me? Anche io mi annoio.
Roger sospirò, puntando gli occhi sul proprio computer.
Nello sfondo c’era una foto che ritraeva lui e Brian, in piedi sul prato di Central Park. Una mano del suo ragazzo era appoggiata sul suo braccio destro, il corpo allampanato proteso verso il suo, quelle labbra appoggiate sul suo naso mentre lui rideva. Roger sorrise dolcemente.
- Anche io vorrei poter avere qualcuno da amare come tu ami Brian. – sentì dire da Freddie. Si voltò verso di lui, gli sorrise. – Hai tutta la vita davanti, Fred. L’amore è dietro l’angolo.
- Sì, ma se non trovassi qualcuno adatto a me? Voglio dire, io…
Fu in quel momento che tutte le luci si spensero. Roger vide lo schermo del computer spegnersi e sospirò. – E’ saltata di nuovo la corrente.
- Due volte in una settimana, fantastico.
Un boato. Delle urla. Roger e Freddie si scambiarono uno sguardo colmo di terrore, buttandosi immediatamente sotto la scrivania con i cuori a mille. Un terremoto.
Freddie afferrò il cellulare con le mani tremanti, digitando il numero di emergenza e portandosi il telefono all’orecchio, rispondendo di fretta, balbettando.
Mentre lo sentiva parlare, Roger tossì di colpo. Colpi di tosse forti, quasi disperati. Si alzò in piedi, affacciandosi alla finestra per prendere aria. C’era fumo, tanto fumo. Quello non era un terremoto.
Prese Freddie dal polso, trascinandolo fuori con sé. Quello che vide non appena mise piede fuori dalla camera gli fece provare una sensazione di puro terrore, sentì il sangue correre velocemente nelle sue vene.
L’ascensore era inagibile, bloccato. Non riusciva a riconoscere le scale per tutto il fumo che aveva davanti agli occhi e che gli appannava la vista.
Un incendio.
- Pronto? Sono Freddie Bulsara, lavoro al World Trade Center. Non riusciamo a capire nulla, noi… Noi siamo bloccati qui, siamo all’ottantatreesimo piano. C’è tanto fumo, non sappiamo cosa sia successo. – Freddie tremava, ansimava, come Roger. – Vi prego, fate presto. Per favore. Non riusciamo a respirare, fa caldo.
Dopo pochi minuti, Freddie mise giù il telefono. Si sedette sul pavimento, accanto a Roger. Strinse forte la sua mano, tra colpi di tosse.
Non arrivava nessuno.
Un secondo boato.  
Roger aveva i polmoni che bruciavano. Gli faceva male il petto, i suoi occhi erano diventati lucidi per il fumo.
Strinse più forte la mano di Freddie.
Se non fossero arrivati i soccorsi, cosa sarebbe successo? Come potevano arrivare fin lassù, senza scale né ascensore?
Fu solo allora che riuscì a realizzare.
Sarebbe finita. Sarebbe morto. Lui, con i suoi sogni. Così giovane, che aveva amato e vissuto troppo poco.
Ventisette anni. Aveva solo ventisette anni.
Pensò alla sua famiglia, a Londra. A sua sorella e a sua madre che gli dicevano sempre che a loro mancava, a suo padre che gli augurava ogni giorno di migliorare, di vivere bene la sua vita a New York. Gli dicevano sempre che erano fieri di lui.
Pensò alla carriera di batterista mai intrapresa, pensò a Brian.
Brian.
Gli aveva promesso che sarebbe tornato a casa presto.
Gli aveva detto che sarebbe rimasto con lui fino alla fine, qualunque cosa fosse accaduta. Voleva di nuovo guardare i suoi occhi marroni, voleva accarezzare i riccioli scuri, lasciare che le proprie dita s’intrecciassero in quei boccoli morbidi.
Sentì il telefono squillare. Faticò a prenderlo, gli girava la testa. Rispose con un rantolo.
- Roger, amore mio. – Brian piangeva. – Roger, dove sei?
- Non riesco a respirare.
- No, no, ti prego. – i singhiozzi del suo ragazzo gli giunsero all’orecchio, facendogli quasi male. Non era colpa sua. Però stava facendo soffrire Brian. Quando gli aveva promesso che non lo avrebbe mai fatto.
- Ti prego, no. Non puoi. Non devi, Roger.
- Mi dispiace. – riuscì a tossire, sentendo la mano di Freddie allentarsi nella sua. Non voleva nemmeno guardare il suo amico. Sapeva che gli avrebbe fatto troppo male. Le lacrime iniziarono a scendere. – Bri… Bri, fammi una promessa.
- Roger, Roger ti prego.
- Promettimi che continuerai a… - una fitta ai polmoni lo fece tossire più forte. – Promettimi che continuerai ad essere lo stesso di sempre.
- Rog.
- Che continuerai a lottare per ciò che ami.
- Amore.
- Che non perderai quella luce che hai negli occhi.
- Ti prego.
- Per favore. – Roger sentì il cuore rallentare, piano piano. – Per favore, Bri.
- Io…
- Ti amo, Bri. Ti amo.
- Ho bisogno di chiederti una cosa. – Brian singhiozzava sempre più forte. – Ti prego, rispondimi.
- Sono qui. – si accasciò sul pavimento. – Ti sento.
- Vuoi… - i singhiozzi divennero disperati. – Vuoi sposarmi, Roger?
Il ragazzo sorrise, dolcemente. Lasciò che le palpebre gli cadessero sulle iridi azzurre, che il buio lo circondasse. Lasciò l’ultima, piccola e flebile parola nella testa di Brian, con tutto l’amore che poteva riuscire a provare. Era sparita la paura, era andato via il terrore. Sentì la batteria che aveva nel petto fermarsi, esausta, privata di ogni energia.
– Sì.
Non sentì nemmeno l’edificio crollare sotto ai suoi piedi.

 
All dead, all dead,
but I should not grieve,
in time it comes to everyone.
All dead, all dead,
but in hope I breathe.
Of course I don’t believe you’re dead and gone.
All dead.
And gone.
   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Queen / Vai alla pagina dell'autore: _Lisbeth_