Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: l_s    22/07/2009    3 recensioni
Ho scritto questo racconto qualche mese fa, ma lo pubblico solo ora. L'ho sempre classificato come uno "scuro racconto introspettivo", e sono curiosa di vedere che ne direte voi...
La osserva con aria truce, di sfida, girandole intorno. E' minaccioso, acquattato come un felino che terrorizza la sua preda. E la donna, eternamente attonita, è bellissima nella sua pelle candida, divinamente ornata dall'elegante abito nero. Uno sguardo di spavento incerto. Un accenno di orrore che incrina appena lo spettacolo sospirante delle labbra vermiglie. Un'invisibile ruga ch'egli ha con tanta inclemenza svelata. Tutto lamenta ai suoi orecchi una sfida, ironicamente invita ad uno squarcio.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'Artista

Mentre mi accingo a narrarvi l'angusta vicenda di un uomo che la Natura aveva condannato ad avere troppo, insorge lievemente nel baratro della memoria una frase in cui egli fermamente credeva, e tuttavia non so se la pratica che si concesse lo soddisfò e infine ritenne portato a termine il suo impiego in questo squallido luogo, o se semplicemente si pensò sconfitto e, messo alle strette dai Barbari, preferì che le loro mani profane non lo toccassero. In ogni caso, so di certo che, scolpita sulla porta della sua anima, recava una frase di Oscar Wilde.
"Possiamo raggiungere la perfezione per mezzo dell'arte, e soltanto con l'arte; l'arte, e nient'altro che l'arte, può offrirci un rifugio contro i sordidi pericoli dell'esistenza."
Non so se quella perfezione la raggiunse mai. So di certo che tutto il mondo, se lo conoscesse, lo chiamerebbe

L'Artista


La osserva con aria truce, di sfida, girandole intorno. E' minaccioso, acquattato come un felino che terrorizza la sua preda. E la donna, eternamente attonita, è bellissima nella sua pelle candida, divinamente ornata dall'elegante abito nero. Uno sguardo di spavento incerto. Un accenno di orrore che incrina appena lo spettacolo sospirante delle labbra vermiglie. Un'invisibile ruga ch'egli ha con tanta inclemenza svelata. Tutto lamenta ai suoi orecchi una sfida, ironicamente invita ad uno squarcio.
Ed è un attimo: scatta in avanti, verso la tela, e con pennellate convulse la sporca di sangue vivo. Crudele. Definitivo. Incurante (o forse no?) degli occhi pallidi che giurano vendetta. Li fissa. Temibile. Inespressivo. Scarabocchia furiosamente una firma in un angolo del dipinto.
Un pennello cade, con un tonfo.
Un urlo, e l'artista si accascia al suolo, gemendo e dimenandosi disperato, le mani tentano di dar conforto al cranio malato, lo stringono e quello si dibatte come un uccello in gabbia, ma loro rafforzano la presa, stringono, tentano di sedare la rivolta interna.
Finché, lentamente, i singhiozzi non smettono di agitarsi nel suo petto. Senza fretta, si calma. Si tira su a sedere.
Febbrilmente cerca nei vestiti sgualciti l'accendino. Lo trova e si accende una sigaretta con mano inferma.
Si lascia lavare i polmoni da quella nebbia confortante, espira fremendo, inspira tremando.
Piano, piano si alza e volta le spalle al quadro, ma no, no, gli sovviene che c'è qualcosa di incompleto, qualcosa ancora da fare. Torna indietro.

E forse quelle bruciature di sigaretta negli occhi dell'amata vittima possono parere una violenza di villano, ma, fidatevi, non è andata così.

Ricordo ancora quel giorno in cui lo vidi, e così, distrattamente, mi raccontò la sua vita.
Con noncuranza, strascicava le parole in un affascinante Francese, mi diceva che vita, per lui, era sinonimo di arte, che non sarebbe mai, mai vissuto se l'Arte non si fosse donata a lui con così tanta irreversibile decisione, con tale ostinazione da scoraggiare ogni protesta.
Gli obbiettai che Wilde aveva detto che tutta l'arte è perfettamente inutile.
< A cosa serve la vita? > mi chiese.

E mi domandavo spesso se l'Artista amasse la vita. Da quello che diceva, dalle lacrime invisibili che scorgevo sul suo viso ogni volta che lo guardavo, deducevo tranquillamente ch'egli tristemente la soffriva, come tutti noi a questo margine del mondo. Ma se la vita fosse stata davvero Arte, come avrebbe egli potuto detestarla? Come odiare ciò che ci rende diversi, originali, unici? Come odiare ciò che ci rende belli?
Tuttavia, io non capivo, né sapevo di non capire cosa significhi essere designati da una tale forza.
L'Arte. In fondo, che cos'è l'Arte?
Per lui era una persecutrice. Una bella, elegante, amabile persecutrice, ma pur sempre una persecutrice.
Mi raccontava delle notti insonni, quando i pennelli stridevano e si lagnavano, e il fiato odoroso della sua Padrona gli raggiungeva il collo, eccitando quella linfa tutta particolare che gli scorreva in corpo.
Allora circondava la gola con una sciarpa e serrava gli orecchi con le mani, nella speranza di evitare quelli strilli striduli e strazianti che reclamavano i suoi arti, la sua anima. Tirava le gambe al petto e si piangeva addosso, e si ripeteva che tutto sarebbe passato. Ma non passava, e lui era costretto ad alzarsi e a lasciare che i suoi colori appagassero la potente signora.

Faceva spesso paura ai bambini, l'Artista: aveva barba incolta e occhiaie appesantite dalle lunghe notti passate a dipingere, aveva l'espressione devastata di chi non è mai stato felice. Non che non ridesse mai: spesso, quando gli manifestavo, con la mia consueta goffaggine, il mio apprezzamento per le sue opere, i suoi occhi mi sorridevano, di gratitudine, forse; ma non le sue labbra, perennemente tese in una smorfia di insoddisfazione. Una volta me la spiegò: < Non sarò soddisfatto finché non la raggiungerò, quella dannata perfezione! > disse, facendo a pezzi un dipinto che aveva strenuamente amato.
E, mese dopo mese, era sempre più scontento, paventava che la fine giungesse prima ch'egli avesse potuto dipingere l'opera in cui tutte le altre sarebbero confluite, l'opera dopo la quale tutte le altre sarebbero risultate vane.
Si rifiutava sempre più spesso ai pennelli, crollava sempre più spesso fuori dalla mia porta. Finché un giorno venne da me, ridendo assurdamente, e al mio sguardo attonito spiegò che aveva carpito il suo mistero, aveva svelato il segreto dell'opera eterna, dell'opera ultima, definitiva. E scappò via, come un folle, e, forse, solo in quel momento cedette allo stereotipo dell'artista pazzo.
Il giorno dopo, mi recai a casa sua, sazia d'attesa e colma di speranza per il suo temerario annuncio.
La porta era socchiusa, cosa non troppo strana per il suo spirito distratto. La spinsi, ed entrai. Immediatamente, un odore strano, quasi di ruggine, raggiunse le mie narici. Cosa diavolo aveva usato?

Notai che sul pavimento aveva stampato impronte rossastre che mi conducessero da lui. Le seguii attraverso il piccolo ingresso, poi nel corridoio. Dappertutto regnava un silenzio pressoché innaturale. Che fosse uscito? No, impossibile.
Completamente smarrita, continuai a seguire i segni che lui mi aveva lasciato, e mi lasciai condurre in un ampio salone bianco e rosso, in cui le orme si fermavano.
Il mio sguardo fu immediatamente catturato da un grande cavalletto che, al centro della stanza, metteva in mostra una tela.
Era Lei! Era l'Opera!
Presi a correre, ansiosa, fino a giungere di fronte al quadro.
La mia prima reazione fu uno shock totale.
Chiusi e riaprii gli occhi, tentai di inghiottire il vuoto, cercando di osservare con più lucidità.
Degli occhi socchiusi e vitrei mi guardavano inespressivi dalla tela. Un naso all'insù aveva perso tutta la sua luminosità. Delle labbra secche e pallide si confondevano col bianco malato del viso.
Sapevo ch'era una sua ossessione, la morte. Ma in quel dipinto, fatto solo di un rosso che tendeva al marrone, c'era qualcosa che mi infastidiva.
Abbassai lo sguardo. Due mani che reggevano lo specchio in cui era riflessa l'immagine della ragazza morta.
Deglutii.
Aveva voluto realizzare l'opera dopo la quale tutte le altre sarebbero state vane.
Cosa c'è dopo la morte? Nulla.
Cosa c'è di più clamoroso della morte? Nulla.
Tornai a fissare il quadro.
"E' lo spettatore, non la vita, che l'arte in realtà rispecchia."
L'aveva presa alla lettera.
Deglutii ancora. Guardai i capelli, gli occhi, le sopracciglia.
Quella ragazza ero io.

E appoggiato esangue al cavalletto, la pelle scorticata in più punti, giaceva l'Artista, che con il suo ultimo volere glorificava il mondo. E il suo sorriso sicuro, soddisfatto, appagato, sfidava persino colei che tanto a lungo l'avea sottomesso, ed eroicamente era, beandosi della Tenebra etterna.
 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: l_s