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Autore: NPC_Stories    14/04/2019    4 recensioni
Lady Freya, figlia del capoclan più importante della Foresta di Mir, è una stregona incapace di controllare i suoi poteri. Sua madre la conduce ad Evereska, una città elfica rinomata per il controllo delle arti magiche, nella speranza che i migliori maghi elfi possano aiutarla a sviscerare quel mistero.
Le conseguenze di questo viaggio sono davvero imprevedibili.
.
Piccolo prequel di Non era amore ma almeno era Amyl, che racconta di come Freya e Aphedriel si sono conosciute.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1360 DR: La caccia della poiana


L’inverno era impietoso nel nord. Questo Freya lo sapeva, gliel’avevano detto. Ma un conto erano i racconti, un conto era viverlo sulla propria pelle.
“Mamma” piagnucolò infastidita, chiamando la donna che camminava davanti a lei “mi lanci di nuovo quell’incantesimo che protegge dal freddo?”
Sua madre, la saggia e paziente druida Merildil, buttò gli occhi al cielo senza nemmeno girarsi a guardare la giovane elfa.
“L’ho fatto stamattina, Freya. L’effetto dell’incantesimo durerà fino a domattina. Non senti davvero freddo, è una tua impressione.”
“Ma le punte delle mie orecchie si stanno congelando!” protestò ancora.
“Metti un cappello” le consigliò la druida, aspettandosi già di sentire lamentele come un cappello schiaccerebbe la mia bellissima acconciatura. Tipico di sua figlia. Invece…
“Indosso già un cappello!”
Questo, Merildil non se l’aspettava. Si girò di scatto, abbracciando con lo sguardo la figura tremante della ragazza. Freya si era data da fare, davvero. Era intabarrata nei suoi caldi abiti da viaggio e indossava un cappello e il cappuccio del mantello. Il suo famiglio, una poiana dalle piume brune-rossastre, non sembrava altrettanto infastidito dal freddo, e si stava godendo le frizzanti raffiche del nord volteggiando sopra le loro teste.
Merildil sporse una mano e toccò il naso di sua figlia: era un buon indicatore, la punta del naso era sempre la prima parte di lei a congelarsi alla minima brezza, fin da quando era bambina.
“Per tutte le querce!” sussurrò. “Non mentivi, hai freddo davvero.”
“Te l’ho detto!”
Merildil aggrottò la fronte in segno di preoccupazione. Non era adirata con sua figlia, ma con la situazione in generale.
“Proverò a usare di nuovo l’incantesimo su di te, ma in ogni caso non preoccuparti tesoro, siamo quasi arrivate. Presto saremo nella valle di Evereska, dove il tempo atmosferico è controllato con la magia. Il clima sarà certamente più mite."
“Non potevamo arrivare direttamente nella valle con la magia?” protestò Freya per l’ennesima volta, mentre sua madre la circondava di nuovo con un incantesimo protettivo.
“Non ci si materializza nella valle di Evereska con la magia, senza invito” la rimproverò l’elfa più anziana, con pazienza. “Siamo qui in cerca di aiuto, non insulteremo la loro etichetta.” Spero, aggiunse nella sua mente. Sua figlia era uno spirito libero e una testa calda, pessima accoppiata per una giovane incantatrice, ancor più pessima per qualcuno in missione diplomatica.
Cominciò a nevicare, e le due elfe accelerarono il passo.

Due giorni dopo, Freya guardava il panorama della valle dalla finestra della sua stanza. Lei e sua madre erano ospiti all’Accademia della Magia, una torre al confine meridionale della città, e la loro camera era benedetta da un panorama mozzafiato sulla vallata. A qualche lega di distanza si vedevano le sommità delle colline che avevano attraversato per giungere lì.
Nonostante nel mondo esterno fosse inverno, la valle di Evereska era una meravigliosa distesa di verdi praterie, campi coltivati, vigneti e boschi di fogliablu e altri magnifici alberi. I fogliablu erano particolarmente amati, notò l’elfa dei boschi, perché reagivano bene alle sollecitazioni magiche e si prestavano ad essere piegati in forme artistiche dai maghi di Evereska. Non solo le fattorie, ma anche alcune vie cittadine erano abbellite da quegli splendidi alberi.
Tutta quella bellezza però non poteva evitare di ricordarle che non si trovava a casa sua. I fogliablu non erano comuni nei territori meridionali, era praticamente impossibile trovarne qualcuno a sud dell’Amn.
Peccato. Sarenestar sarebbe così bella, se avesse questa varietà di colori.
Un’altra cosa a cui non era abituata era vedere campi coltivati e vigneti. La sua gente non sfruttava il territorio in quel modo, e sotto sotto l’idea le faceva storcere il naso. Era una cosa da umani, gli elfi avrebbero dovuto vivere nei boschi. Non in case di pietra, circondati da natura addomesticata.
Chissà cosa ne pensa mia madre di tutto questo, si chiese, sporgendosi un po’ di più dalla finestra. Il davanzale di pietra era freddo sotto le sue braccia nude. Era tutto sbagliato, tutto. Il legno con cui costruivano le case a Sarenestar non era mai freddo al tatto. Era vivo, o comunque organico.
Nella sua foresta natia, i druidi più capaci riuscivano a piegare il legno vivente per ricavarne delle case, ma la gente normale usava legname abbattuto e tagliato. Non era considerato un peccato, perché la foresta aveva continuo bisogno di cure, e abbattere gli alberi vecchi per far spazio ai nuovi faceva parte del ciclo della vita. Non si spezzava mai nemmeno un ramo senza il parere di un esperto, naturalmente.
Qui sono troppo… civilizzati. Pensò quella parola quasi con disgusto. Pensavo che mi sarebbe piaciuto staccarmi dalla realtà statica e provinciale in cui sono cresciuta. Ma quello che ho trovato qui è troppo lontano dalla nostra vera natura!
In quel momento, la sua poiana Piper atterrò davanti a lei, arruffando le piume con aria molto soddisfatta di sé. Freya le accarezzò la testa con un dito, godendo di quel contatto familiare. Era come se Piper fosse la sua unica ancora in quel mondo alieno.
Poco dopo, un altro rapace si posò sul davanzale della sua finestra. Era un corvo, il più grande che avesse mai visto. Probabilmente era un animale addestrato, perché aveva una piccola pergamena legata ad una zampa. Tese la zampa verso l’elfa.
Piper si spostò di lato, come se fosse disgustata da quel comportamento servile, ma Freya non se ne accorse nemmeno. Era troppo intenta a cercare di sciogliere il minuscolo nodo che teneva legata la pergamena alla zampa. Alla fine si arrese e decise di sfilare la pergamena lasciando il laccetto di cuoio dov’era.

Sul foglio qualcuno aveva scritto, con calligrafia minuta e perfetta:
Per la seconda volta sono costretta a chiedervi di tenere sotto controllo la vostra poiana. Ha nuovamente attaccato il mio famiglio, un innocuo scricciolo, rischiando di togliergli la vita. Ho riferito l’incidente al Magnifico Rettore, che vi farà avere una lettera di diffida. Non è il comportamento che auspichiamo dai nostri ospiti.
Possano le stelle benedirvi con la saggezza,
Terza accolita Aphedriel Presrae


Freya lesse il messaggio. Lo lesse una seconda volta, per sicurezza. Continuava a non avere il minimo senso, per lei.
Andò alla sua scrivania e recuperò inchiostro e pennino.
Mi rincresce, virtuosissima signora, che la mia poiana stia seguendo la sua natura dando la caccia a volatili più piccoli di lei. Ma è una maledetta poiana, fa quello che fanno tutte le bestie della sua specie, non so che avete nella testa voi maghi che pretendete di addomesticare i rapaci. Tieniti il tuo scricciolo in tasca e vedrai che non succederà più.
Possano le stelle benedirti con un po’ di buonsenso,
lady Freya che se ne freya delle tue lettere di diffida


Tornò alla finestra, arrotolò il foglietto con mani tremanti dal nervosismo, e lo infilò con cura nel laccetto di cuoio attaccato alla zampa del corvo. L’animale prese subito il volo, stendendo le sue ali nere come la notte a catturare la luce del sole.
Un corvo, notò con fastidio, un uccello del malaugurio per comunicare cattive notizie. L’altra volta aveva mandato un falchetto. Ha scelto un corvo di proposito, è un altro avvertimento.
Oh, be’, se lo può mettere dove dico io, il suo avvertimento. Insieme alla lettera del
Magnifico Rettore delle mie staffe. Tanto non è che starò qui ancora a lungo!
L’incantatrice si allontanò dalla finestra, frustrata, e cominciò a misurare a grandi passi la sua stanza. Avrebbe voluto uscire, sfogare le sue energie in eccesso, fare una lunga camminata, magari fino a una delle macchie di alberi. Sarebbe stato quasi come essere in un bosco vero, forse.
Sua madre però le aveva proibito di andarsene in giro a zonzo senza di lei, come se potesse combinare chissà cosa.
Solo perché ultimamente perdeva un po’ il controllo dei suoi poteri magici… e che sarà mai? Non aveva mai ammazzato nessuno.
Freya si buttò sul suo letto, saltandoci sopra come se avesse voluto punirlo per la sua prigionia, e si ritrovò a fissare il soffitto con odio.

Nel frattempo, Merildil era riuscita ad avere udienza con il professore di Magia Sperimentale. Si trattava di un secondo colloquio. Gli aveva già spiegato, il giorno prima, quale fosse il problema per cui era venuta a chiedere aiuto. Non si aspettava un altro incontro così presto, ed era piacevolmente colpita dalla solerzia con cui i maghi di Evereska si stavano prendendo a cuore la questione.
Probabilmente hanno capito che Freya è un petardo che potrebbe esplodere da un momento all’altro, ragionò, perché non credeva affatto che un mago così importante come un Maestro avesse messo da parte gli altri suoi progetti solo per buon cuore. Nello studio dell’elfo era presente anche un altro Maestro, un collega che si occupava di un argomento complementare: Tradizioni Magiche. Quando le venne presentato, Merildil passò lo sguardo dall’uno all’altro, in una muta domanda.
“Comprendo la vostra sorpresa” il mago più giovane sorrise con indulgenza. Il professore di Magia Sperimentale era un elfo della luna che portava i capelli corti e sbarazzini e aveva occhi chiari come il ghiaccio, ma quel sorriso riusciva a mettere le persone a loro agio nonostante tutto. “Anche i miei studenti credono che io e Maestro Elond non andiamo d’accordo. Ma non c’è ragione, egli è stato anche il mio insegnante, secoli fa: non si può sperimentare nulla di nuovo senza una conoscenza solida delle basi della magia, e quella è da ricercare nelle nostre tradizioni.” Continuò a sorridere, e Merildil rispose a quel sorriso, anche se in cuor suo aveva la sensazione che Maestro Elond, con il suo cipiglio a malapena dissimulato, non condividesse quello spirito di cooperazione. Eppure, era lì.
“Vogliamo aiutarvi a capire come tenere a bada i poteri instabili di vostra figlia.” Interloquì l’anziano elfo del sole. “Ma per farlo dobbiamo prima capire l’origine del problema. Bisogna sempre cercare l’origine delle cose se si aspira ad averne il controllo” sottolineò, e alla druida sembrò quasi che si stesse vantando dell’importanza del suo approccio alla magia. Anzi, di sicuro lo stava facendo.
“Come posso aiutarvi?” Merildil era una druida, ma anche un valido aiuto per suo marito nel gestire gli equilibri politici della foresta di Sarenestar. Era abituata a fare da mediatrice e a riportare le cose su un piano di concretezza, e aveva la sensazione che avrebbe avuto bisogno delle sue abilità con questi due.
“Dicendoci quando sono iniziati questi episodi, se ci sono stati precedenti, a che età la ragazza ha iniziato a sviluppare poteri magici e… sicuramente ci servirà un’anamnesi familiare.” Spiegò l’anziano con freddezza analitica.
Merildil sospirò e iniziò a raccontare dello sviluppo instabile dei poteri di Freya negli ultimi ottant’anni.

Alla fine del suo racconto, calò un lungo silenzio. I due maghi si guardarono a vicenda, come se non sapessero cosa pensare. Poi il più giovane, Beiro Chaedilen, Maestro di Magia Sperimentale, si schiarì rumorosamente la gola come se fosse in imbarazzo.
“E la ragazza ha… per caso… mostrato instabilità in qualche altro ambito?”
Merildil arrossì furiosamente. “Mia figlia non è pazza!”
“Non ho mai inteso questo, buona signora” l’elfo mise le mani avanti, come per difendersi. “Ma una giovane dai poteri così scoppiettanti, probabilmente è preda di emozioni e passioni altrettanto forti e… incontrollabili?” ipotizzò, e dall’espressione dell’elfa dei boschi capì di avere indovinato.
Le spalle di Merildil si piegarono come se portasse un pesante fardello. “Sì, ora che me lo fate notare, sì. Freya è facile alla rabbia, si infiamma velocemente, si appassiona alle cose e alle persone con la voracità di un fuoco di paglia, consuma tutto quello che incontra e passa oltre. È incapace di pazienza, necessita continuamente di nuovi stimoli e non mantiene a lungo la concentrazione su nulla.”
I due elfi si scambiarono di nuovo uno sguardo preoccupato. L’elfo della luna saettò con gli occhi da Merildil al collega, come per suggerirgli di dire qualcosa anche lui, ma l’elfo del sole finse con nonchalance di non aver capito. Il mago più giovane ora sembrava ancora più in imbarazzo.
“E la causa di questo potrebbe...?” Beiro Chaedilen tossicchiò, guardando un’ultima volta il mago più anziano con aria di supplica, ma quello continuò a ignorarlo. “Lungi da me… indagare con interesse personale su una questione tanto delicata ma… lady Merildil, è possibile che vostra figlia soffra di frustrazione dovuta a una prolungata astensione?”
La druida lo guardò senza capire.
“Astensione da cosa? Quella benedetta ragazza fa tutto quello che le capita per la testa. Non crede che l’autocontrollo sia una virtù.”
“Ah… ma forse… voi, come genitori, siete un po’ troppo poco permissivi?” Ipotizzò ancora lo studioso.
“Poco permissivi!” L’elfa corrugò la fronte. “Ma proprio per niente, tenere a freno quella ragazza è come cercare di mettere le briglie a un kelpie. Ci abbiamo rinunciato da anni.”
“E… ehm…” l’elfo adesso aveva intrecciato le mani sulla scrivania e si guardava con insistenza la punta delle dita. Maestro Elond invece passeggiava per la stanza, tradendo un certo nervosismo.
“Oh, per tutti i Seldarine!” esplose l’elfo del sole. “Lady Merildil è una druida, Beiro, penso che sia abituata a certi discorsi.”
“Quello che stiamo cercando di chiedervi” l’elfo pallido fulminò il collega anziano con lo sguardo “è se vostra figlia soffra per caso di frustrazione sessuale.”
La domanda fu accolta da un silenzio sbigottito. Merildil sbatté gli occhi un paio di volte, incredula.
“Dèi di Arvador, no. Mia figlia è ben oltre l’adolescenza, è una giovane adulta, assolutamente libera di fare quello che vuole. Se volesse saltare da un amante all’altro senza toccare per terra, nessuno nella nostra comunità la dissuaderebbe dal farlo. Noi elfi dei boschi non abbiamo di questi tabù, onoriamo la fedeltà coniugale ma le ragazze nubili sono svincolate da qualunque obbligo morale.”
“Ah, certo. Sì, lo immaginavo” balbettò Maestro Chaedilen. “Ma allora l’origine dell’instabilità della fanciulla va cercata nella storia della sua famiglia. Ha degli antenati stregoni, come lei? O magari maghi?”
“Non che io sappia” la druida si strinse nelle spalle.
“E allora, perdonate di nuovo la mia scortesia, la vostra famiglia ha forse antenati non… esattamente… di sangue elfico?”
L’insinuazione rimase lì ad aleggiare, non detta. Molti elfi si sarebbero offesi per una domanda del genere. Be’, molti elfi del sole, di sicuro. Merildil e la sua gente però erano persone più pragmatiche.
La druida si batté una mano sulla fronte, dandosi cento volte della stupida.
“Ma certo. Perché diamine non ci ho pensato prima? La madre di suo padre era una houri.”
L’elfa si nascose il viso in una mano, pensando che per tutto il tempo la risposta era stata lì, davanti a loro. Freya discendeva, nemmeno troppo alla lontana, da una ninfa.
Sono così abituata alla bellezza ultraterrena di mio marito che mi sono dimenticata da dove proviene. Si rimproverò in silenzio. Cieca, dannazione. Sono stata proprio cieca.
“Una houri” ripeté lentamente l’anziano elfo del sole. “Una mezza-ninfa. Interessante. Sua nonna o suo padre… hanno dato segno delle stesse intemperanze?”
“No, mai.” Merildil ragionò in fretta, cercando di ricordare. “Lady Aelrie è morta dando alla luce il suo unico figlio, mio marito Fisdril, ma da quello che ho sentito di lei era una persona tranquilla. Fisdril è cresciuto sotto le cure di suo padre e della sua seconda moglie, che gli hanno insegnato le responsabilità di un capoclan. È sempre stato un elfo posato e di buonsenso, perfino solenne. Non capisco quale follia sia emersa nella nostra creatura.”
“Il sangue fatato può essere una questione complessa. Può rimanere latente per generazioni” considerò l’elfo della luna. “Dobbiamo capire in che modo esattamente sta condizionando la vita di vostra figlia. Non abbiamo la certezza assoluta che sia questa l’origine dei suoi poteri…”
“Tuttavia è la cosa più probabile” s’inserì Maestro Elond.
“Infatti. Abbiamo qualcosa su cui lavorare” confermò Maestro Chaedilen. Nella speranza di poter mandare questa ragazza incontrollabile per la sua strada, al più presto.

Il giorno dopo Adamar Elond, Maestro di Tradizioni Magiche, ascoltava con pazienza il canto dei suoi tre allievi prediletti. Stava insegnando loro le basi della magia della voce, necessaria come conoscenza di base per poter sperare di padroneggiare l’Alta Magia Elfica. Non sapeva se tutti i tre sarebbero riusciti ad approcciare quella complessa materia, ma la Tradizione doveva essere trasmessa alle nuove generazioni perché non andasse persa, e quei tre erano la sua migliore speranza fra le due dozzine di studenti che al momento frequentavano l’accademia (tolti dall’equazione gli apprendisti dei primi anni, quelli non contavano davvero, avrebbero potuto lasciare l’Accademia in lacrime o avere un crollo nervoso prima del decimo anno di studi).
Quel giorno però c’era qualcosa che non andava. Aphedriel Presrae, terza accolita dell’Accademia ma prima per quel che riguardava il suo corso di studi, quel giorno non sembrava molto presente a se stessa. Fece ripetere il canto ai suoi allievi almeno quattro volte, ma la concentrazione della ragazza non migliorò un granché.
Una vera seccatura.
Alla fine della lezione, Maestro Elond la prese da parte e le chiese di rimanere per qualche minuto.
“Aphedriel” cominciò, passandosi una mano sul viso. Non era un insegnante morbido, ma conosceva la ragazza e sapeva che era seria e diligente. Non poteva essersi distratta per mera pigrizia, qualcosa doveva averla turbata. “Cosa c’è che non va, figliola?”
Aphedriel Presrae era un’elfa della luna, la sua pelle era candida quasi quanto una perla, quindi non poteva fare nulla per dissimulare il rossore che le salì alle guance. Era in imbarazzo per le sue prestazioni mediocri di quel pomeriggio, e anche perché il suo insegnante, che lei considerava un vero e proprio maestro di vita, la stava trattando con condiscendenza. Tutto per colpa di quella là.
“Perdonami, Maestro, la mia mente non è in equilibrio” ammise.
“Allora è un bene che quello di oggi fosse solo un esercizio di vocalizzo e non un vero incantesimo” commentò lui, lasciandole intendere chiaramente la minaccia, anzi, l’avvertimento, sui rischi del praticare l’arte dell’Arselu'Tel'Quess con la mente in subbuglio.
Aphedriel si sentì ancora più miserabile.
“È il mio famiglio, Gwlith. Poco prima che iniziasse la lezione è tornata da me; era di nuovo sfuggita alla morte per un soffio, e solo perché l’ho circondata con un incantesimo protettivo. La maledetta bestiaccia di quell’elfa dei boschi va in caccia di prede senza il minimo rispetto, non importa che siano i famigli altrui! La povera Gwlith si è rifugiata nella mia tasca e ha perso tutta la sua usuale allegria” infilò la mano destra nella manica sinistra, e naturalmente una tunica da maga aveva maniche molto ampie con piccole tasche extradimensionali. Una di esse era un rifugio per il suo famiglio. Quando estrasse la mano, un minuscolo scricciolo blu riposava sul suo palmo, ancora tremante per la brutta esperienza.
“Uhm…” l’elfo del sole avvicinò il viso per studiare meglio l’uccellino, e probabilmente riuscì solo a spaventarlo di più, con il suo lungo naso a becco. “Capisco. Non sei scossa solo perché sei arrabbiata, Aphedriel. Tu hai condiviso la paura del tuo famiglio, com’è naturale, e sei preoccupata delle conseguenze se dovesse morire.”
“Ho provato a farla desistere!” Aphedriel aveva quasi le lacrime agli occhi per la frustrazione. “Ma quella stupida non sente ragioni! Non le importa nemmeno di aver ricevuto una lettera di rimprovero dal Magnifico Rettore!”
Maestro Elond avrebbe sorriso, se fosse stato opportuno. Aphedriel si comportava come un’adulta matura, ma ai suoi occhi era una bambina, e stava dimostrando di avere poca esperienza del mondo reale.
“Lascia che un vecchio mago ti dia un consiglio” le disse, accarezzando con un dito le piume azzurre del suo famiglio. “Sei stata educata a seguire certe regole, a rivolgerti alle autorità e ad onorare il protocollo. Questo è, ufficialmente, quello che anche io richiedo da te. Ma detto fra noi, figliola, trattenere le emozioni e lasciarle macerare non fa bene alla pratica magica. Se tu volessi andare da lady Freya e cantargliene quattro a muso duro, penso che sia io che gli altri Maestri guarderemmo volentieri da un’altra parte.”
Aphedriel lo guardò con tanto d’occhi. Era una possibilità che non aveva considerato. Non si era nemmeno sognata di poterlo fare, o di volerlo fare. Tuttavia, fino a quel momento non aveva mai incontrato una persona irritante come lady Freya, qualcuno che si permetteva di non giocare secondo le regole. Cominciò a pensare a che cosa avrebbe voluto dirle se fosse stata libera di parlare a briglia sciolta.
Per tutti gli Antenati, posso farlo? Posso farlo davvero? Il pensiero era accattivante, ma anche terrificante. Era terreno inesplorato. Dannazione, in questo momento vorrei conoscere molte più parolacce!

Aphedriel si prese il suo tempo. Attaccare verbalmente qualcuno non era nella sua natura. Eppure se pensava all’atteggiamento di quella stregona viziata, le saliva il sangue alla testa.
E certo, non ha mai dovuto sudarsi un bel niente, lei. Figlia di un capoclan, principessa di un mondo barbarico dove simili idiozie sono tollerate… non resisterebbe un minuto all’Accademia! Non capisco nemmeno perché la facciano stare qui come ospite, non potevano scaricarla in una taverna e via?
Così rimuginava, per nutrire la sua rabbia mentre procedeva a grandi passi per i corridoi, fino a raggiungere il portone di legno della stanza di quell’odiata piccola peste.
Sbatté un pugno contro il legno tirato a lucido. Avrebbe potuto usare un incantesimo per bussare, o anche per aprire la porta, ma quell’azione fisica la fece sentire subito meglio.
Sfogare la rabbia era un’esperienza nuova. Ed era così… liberatorio.
Una piccola parte di lei, quella che rimaneva sempre razionale nonostante tutto, prese nota della sensazione e riconobbe il pericolo di diventarne dipendente. Non poteva permettersi di diventare una cafona. Tuttavia, per una volta…
“LADY FREYA!” Gridò, sbattendo di nuovo il pugno contro la porta. “Maledetta selvaggia senza cervello! Apri questa porta subito, che se metto le mani sulla tua stupida poiana giuro che la spenno, ci faccio un cuscino, e poi uso quel cuscino per soffocarti!”
Dall’altra parte del portone sentì un rumore di passi leggeri che si avvicinavano, poi una risata di derisione.
“Ah! Che paura, la signorina terza accolita” indovinò. “Sei qui per consegnarmi un’altra lettera di diffida? Perché volevo proprio chiederti di scriverle su carta più morbida e assorbente!”
Aphedriel Presrae era figlia cadetta di una famiglia importante, si potrebbe dire nobile, ed era stata educata al contegno e al decoro. In quel momento avrebbe buttato dalla finestra tutta la sua educazione e anche la sua educatrice. Sbatté un altro pugno contro la porta.
“No, me la sono scritta sulla mano, così se ti prendo a schiaffi forse impari qualcosa per osmosi! Ah, sempre che tu sappia cosa vuol dire!” La provocò con la sua migliore voce da stronza snob.
Intanto dall’altra parte l’elfa dei boschi stava armeggiando con la chiave per aprire la porta. Era evidente che non voleva tirarsi indietro dal confronto. Aphedriel non sapeva che in quel momento la giovane stregona era frustrata da quei giorni di inattività tanto quanto lei era frustrata dalla sua arroganza.
Alla fine Freya riuscì a far scattare la serratura e aprì violentemente la porta, tirandola verso di sé. Aphedriel si lanciò in avanti, perché nonostante la sua rabbia, non voleva usare la magia per una cosa del genere. Non voleva dichiarare guerra alla foresta di Sarenestar, solo prendere a schiaffoni una ragazzina arrogante. Per lo slancio, si trovò addosso a Freya ancora prima di avere il tempo di guardarla in faccia. La afferrò per il colletto e la sollevò sulle punte dei piedi (l’elfa dei boschi era appena un poco più bassa di lei), fissandola con occhi assassini.
“Senti tu, stupida…” incrociò il suo sguardo, e all’improvviso mise a fuoco quello che stava vedendo.
Lady Freya era una bellezza folgorante. Questo non l’aveva previsto, e Aphedriel, che già per sua natura preferiva le donne, perse immediatamente la voce. Diamine, l’elfa dei boschi era quasi sovrannaturale. La maga divenne immediatamente consapevole della vicinanza eccessiva fra i loro corpi. Poteva andare bene nell’ottica di una scazzottata, ma quella dea in forma elfica aveva immediatamente spostato i suoi pensieri altrove, e tutto il suo carico emotivo stava deviando dalla rabbia verso un altro genere di passione.
Aphedriel cercò di fare un passo indietro, destabilizzata. All’improvviso non sapeva più cosa fare. Freya però afferrò le sue mani, impedendole di interrompere il contatto.
La maga venne spinta all’indietro, fino a sbattere la schiena contro una parete, e seppe che aveva perso il vantaggio della sorpresa. Anzi, aveva perso anche la risolutezza, aveva perso tutto. Era frastornata e indifesa davanti all’assalto dell’altra.
Poi Freya la baciò, con foga, quasi con violenza… si aggrappò alle sue spalle fragili con la disperazione di qualcuno che sta annegando e si aggrappa a un relitto. Ed era così che Aphedriel si sentiva. Un relitto, in balia della corrente, senza controllo. Come avrebbe potuto sostenere l’altra? Lei stessa non sapeva cosa stava facendo. Ma dopo un secondo non aveva più importanza, perché realizzò finalmente cosa stava succedendo.
Thiramin.
Il pensiero le saettò nella mente e il suo cuore perse un battito, perché Freya non era solo bella. Il contatto con la sua pelle era confortante e naturale come la carezza del sole in primavera, le sue labbra erano come ossigeno. Freya era quello che le era sempre mancato nella vita senza che lei lo sapesse, e ora che conosceva quella sensazione non l’avrebbe mai, mai potuta lasciare.
Thiramin, anima gemella.
Il loro bacio durò un’eternità, eppure troppo poco. Si separarono solo per mancanza d’aria.
“Tu sei…” cominciò la maga, liberando una mano dalla stretta della ragazza per accarezzare il suo viso.
Così. Dannatamente. Perfetto.
“No, tu sei” la corresse Freya. “Tu sei… oh… tutto” mormorò, e la baciò di nuovo. Aphedriel le mise le dita nei capelli, stringendo come se volesse scoprire con le mani quel regalo che il destino le aveva fatto. Freya smise di baciarla sulla bocca solo per scendere ad assaggiare il suo collo, e l’elfa della luna potè tornare a respirare.
“Non… dovremmo… qui…” balbettò, ma continuò a stringere a piene mani i capelli castani di Freya “siamo in un…” corridoio, concluse la sua mente, siamo in un maledetto corridoio. E non me ne importa niente.
“Chissenefrega” mormorò l’elfa dei boschi a un soffio dalla sua pelle. “Vuoi sposarmi?”
Chissenefrega concordò Aphedriel nella sua mente. La mia vita qui, l’Accademia… tutto quello che aveva costruito nella sua vita passò subito in secondo piano davanti alla prospettiva di lasciare andare quell’incredibile scoperta. Perdere Freya, vederla andare lontano in quella sua foresta dimenticata dagli dèi… no. L’amore della sua vita le era caduto in braccio dal nulla, e ricambiava i suoi sentimenti.
Una maledizione, una condanna, una cosa da cui non si può scappare… ma è anche la felicità eterna. Chissenefrega di tutto il resto.
“Sì. Sì! Mille volte sì.” Boccheggiò. Non aveva senso aspettare. L’amore di due thiramin era immediato, ma era incrollabile. Non si sarebbe mai spento.

Freya si allontanò di un passo per poter guardare di nuovo quella splendida elfa, quel miracolo che si era trovata davanti. Non credeva che esistesse davvero l’anima gemella. Aveva sempre pensato che fosse una leggenda. Eppure adesso era davanti a lei, e aveva attraversato mezzo mondo solo per incontrarla. All’improvviso quell’inquietudine, quell’insoddisfazione che si portava dietro da anni, sparì come la fiamma di una candela spenta dal vento.
“Meno male, altrimenti dovrei rapirti” sospirò di sollievo. “E non sarebbe facile rubare una gemma dall’Accademia di Evereska!”
“Oddèi. È così che flirtate voi elfi dei boschi? È tremendo!” scherzò Aphedriel. Ma l’altra non aveva bisogno di provarci, la maga ci era già caduta con tutte le scarpe.
Lo sguardo di Freya si fece oscuro, profondo, predatore. “No, è così che flirtiamo noi elfi dei boschi” ringhiò, reclamando ancora una volta le sue labbra.
Oh, diamine! Aphedriel si sciolse di nuovo, incapace di resistere a quel contatto che era come una droga. Non voglio sposarti, devo sposarti. Magari subito.

Merildil ancora non lo sapeva, ma cinque settimane dopo avrebbe lasciato la città per tornare a Sarenestar, con molte risposte in più e una nuova figlia acquisita.

   
 
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