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Autore: MissRosalie42    18/04/2019    1 recensioni
Cosa è successo dopo la rissa di mercoledì?
Un incontro tra i Contrabbandieri e quelli di Villa, la mattina dopo il disastro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Giovedì 18 aprile
12:31
Casa di Gio
 
Martino era seduto sul letto di Giovanni. Teneva le mani in grembo e se le strofinava. Erano piene di graffi, dovuti a una caduta della sera precedente. Aveva anche una benda ad un angolo della bocca, dove gli avevano spaccato il labbro, e una su una tempia, dove quando era stato colpito lo avevano preso con un anello o un bracciale, chissà. E poi aveva due lividi enormi, sulla pancia e su un fianco. La sera prima, quando era andati tutti al pronto soccorso, Giovanni aveva insistito affinché gli facessero tutti i controlli possibili e immaginabili. Continuava a gridare in faccia a infermiere e dottori che Marti e Luchino potevano avere un’emorragia interna e che potevano morire e che dovevano visitarli il prima possibile. Martino non lo aveva mai visto così spaventato.
Gio stesso le aveva prese, e parecchio. Gli avevano rotto il naso, che adesso aveva una fasciatura per cui in altre circostanze Marti e gli altri Contrabbandieri lo avrebbero preso in giro. E anche se non li aveva visti, Martino era sicuro che avesse parecchi lividi pure lui.
La rissa era andata avanti per le lunghe. Lui avrebbe detto ore, anche se in realtà erano stati pochi minuti. Dopo essere stato consegnato nelle mani di Luchino, mentre si allontanava, era stato raggiunto e colpito di nuovo, e così anche l’amico. Marti strinse gli occhi al doloroso pensiero di Luchino che veniva preso a calci, disteso per terra accanto a lui. In quel momento erano stati in tre contro due, e se non fosse intervenuto Chicco Rodi chissà come ne sarebbero usciti.
Martino alzò lo sguardo e vide Giovanni ancora intento a cercare una felpa pulita nell’armadio. Gli guardò le mani: aveva le nocche livide e rosse.
“Chi è?” domandò Gio, piegandosi con fatica per cercare nei cassetti.
Marti cadde dalle nuvole. “Cosa?”
“Il mio cellulare.” Gio si voltò a guardarlo. “Mi è arrivato un messaggio. Tutto a posto, zì?”
“Sì, scusa, ero solo sovrappensiero.”
Martino prese il telefono del migliore amico. “È Elia. Sono qua fuori.”
“Perfetto” commentò l’altro, tirando finalmente fuori una felpa blu e infilandosela con cautela.
Sì, aveva decisamente qualche livido nascosto sotto la maglietta.
 
Uscirono di casa e percorsero le scale del condominio in un silenzio pesante. Solo quando furono sul pianerottolo davanti al portone Martino fermò Gio tirandolo per una manica con delicatezza.
“Non me lo merito” gli disse, incapace di guardarlo negli occhi.
“Cosa?” domandò Gio, ma con tono di voce stanco e rassegnato, perché sapeva bene dove l’amico volesse andare a parare.
Martino non fu in grado di rispondere subito, dovette prima raccogliere altro coraggio.
“Non mi merito te” rispose infine.
“Non dire stronzate.”
“Io ti ho rovinato la vita” confessò Marti con voce spezzata, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo.
“È solo un naso rotto, zì. Mi torna a posto.” Gio accennò un sorriso e gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
“Non parlavo di questo. Ma di Eva.”
Scese di nuovo il silenzio.
“Ti ho perdonato” disse poi Gio.
Martino era sorpreso. “Sai cos’è successo?”
Giovanni annuì. “Testuali parole di Eva ubriaca a casa di Incanti: Martino era innamorato di te e ci ha fatti mollare.”
Quel poco colore che era rimasto sul viso di Marti sparì all’istante. “Gio… io… mi dispiace. Mi dispiace veramente. Però non ero in-… cioè…”
Gio rise di fronte all’espressione terrorizzata dell’amico. “Poi ho ricostruito i fatti in maniera un po’ più precisa. Sei stato uno stronzo, ma ti ho perdonato, zì. Tutti facciamo stronzate prima o poi, non mando a fanculo una delle persone più importanti della mia vita solo per aver commesso un errore. E comunque io ed Eva avevamo già tanti problemi, ci saremmo lasciati lo stesso.”
Quella era l’ultima risposta che Martino si aspettava, così rimase in silenzio, senza sapere cosa replicare.
“E comunque anche a me dispiace” continuò Gio. “Avrei dovuto capire prima quello che provavi e parlartene, invece ti sbattevo in faccia tutto quello che mi succedeva con Eva. Non dev’essere stato bello.”
“Non è colpa tua se non lo avevi capito” disse Martino, abbassando lo sguardo, imbarazzatissimo.
Gio gli sorrise e poi si avvicinò per abbracciarlo. Marti ricambiò la stretta, e quando si separarono avevano entrambi il cuore più leggero.
 
Elia, Luchino, Edoardo, Federico e Chicco erano seduti sui blocchi di cemento nel cortile accanto al palazzo di Gio, e fumavano una sigaretta ciascuno, tranne Luchino ed Edoardo, che ad un certo punto la sera prima erano stati entrambi presi per il collo e avevano ancora dolore alla gola.
Anche gli altri erano messi male. Tutti avevano lividi sotto i vestiti e Canegallo si era rotto di nuovo il naso, una cosa in comune con l’altro uomo nella vita di Eva, e Rodi aveva un gomito slogato. Elia, come Marti, aveva un labbro spaccato, ma anche una mano fasciata.
Quando Gio e Marti li raggiunsero ci fu un giro di saluti veloci, poi Edo prese la parola.
“Abbiamo i nomi” disse. Lanciò uno sguardo a Chicco Rodi, che gli diede un foglio di carta, e lo passò a sua volta a Giovanni.
Marti si sporse oltre la spalla di Gio per leggerli.
“Non erano così tanti” commentò Gio.
“Qualcuno di loro ieri sera non c’era, ma fanno comunque parte della stessa banda” rispose Edoardo.
Si guardarono tutti negli occhi in silenzio.
“Quindi? Che si fa? Denunciamo?” domandò Luchino con voce roca.
Ancora silenzio.
“Se li denunciamo è un casino pure per noi” mormorò Gio.
Martino aveva gli occhi lucidi e pregò di non mettersi a piangere davanti a tutti. Non era mai stato così sconsolato in tutta la sua vita. Cosa sarebbe successo adesso? Non sarebbe più potuto uscire di casa perché bande di omofobi gli avrebbero teso degli agguati come quello della sera precedente? Lui e Nico avrebbero dovuto nascondersi?
Giovanni guardò Marti negli occhi. “Tu che vuoi fare?”
Martino deglutì, nervoso. “E voi?” chiese, guardando gli altri, uno ad uno.
“Senti” disse Federico, incrociando le braccia e facendo una smorfia di dolore. “Da quello che siamo riusciti a capire, non hanno intenzione di fare altro. Volevano solo pareggiare i conti per essere stati cacciati via l’altra volta. Adesso sono a posto. Però se vuoi denunciarli, noi veniamo con voi” concluse, dando per scontato che gli altri tre Contrabbandieri avrebbero appoggiato la decisione di Martino e lo avrebbero accompagnato testimoniando sull’aggressione.
“Sì” aggiunse Edoardo. “Ne abbiamo parlato venendo qua. Però noi tre siamo maggiorenni, quindi è un casino. Se decidiamo di fa ‘sta cosa, la portiamo come autodifesa, e dovete spalleggiarci.”
“Chiaro” commentò Gio.
“Comunque, è la verità” disse Elia.
Martino guardò proprio lui. Anche Elia era già maggiorenne. Non voleva mettere nei casini i suoi migliori amici.
“Forse avreste dovuto limitarvi a chiamare le guardie e tenervi fuori dai guai” mormorò, strofinandosi gli occhi.
“E lasciare che nel frattempo ti massacrassero di botte?” lo aggredì Gio, incazzato. Era dalla sera prima che lottava contro il senso di colpa del migliore amico.
“Non è nel nostro stile” sorrise Chicco Rodi.
Il problema era che la sera prima, quando finalmente carabinieri e ambulanza erano arrivati, gli aggressori si erano dati alla fuga, lasciandoli lì mezzi distrutti e senza nessuno da incolpare. La madre di Marti si era preoccupata da morire, e sicuramente se avesse saputo che aveva i nomi di chi lo aveva aggredito, avrebbe voluto che denunciasse.
“Cosa ne pensa Niccolò?” chiese improvvisamente Edoardo, con sorpresa di tutti.
“Non gli ho ancora raccontato niente…” rispose Martino in un sussurro.
“Glielo devi dì, zì” disse Elia.
“Lo so. Ma non è il momento giusto” replicò, e si guardarono negli occhi con complicità.
In momenti come questo, la malattia del suo ragazzo gli pesava molto. In quel momento avrebbe solo voluto essere consolato e consigliato da lui, e invece non poteva caricarlo di un tale peso.
Edo, Fede e Rodi capirono che c’era sotto qualcosa, sapevano anche che Niccolò faceva molte assenze a scuola, ma non fecero commenti.
“Facciamo che ci penso qualche ora e poi vi faccio sapere” rispose infine Martino.
Tutti annuirono e fecero segno di aver capito. Il rosso prese il foglio dalle mani di Gio e se lo mise in tasca, poi guardò i tre ragazzi di Villa negli occhi.
“Mi dispiace per quello che è successo. Grazie per averci aiutato.” Lo aveva già detto tante volte la sera precedente, ma voleva ripeterlo.
“No problem” rispose Edoardo, alzandosi dal blocco di cemento sul quale era seduto e avvicinandosi a Martino. Lo strinse brevemente per le spalle e poi fece lo stesso per salutare gli altri.
Anche Canegallo fece lo stesso, e mentre abbracciava Martino disse: “Salutaci Fares.” Riservò lo stesso saluto a Luchino ed Elia, con Giovanni invece ci fu una stretta di mano.
Chicco Rodi salutò tutti con un po’ più di entusiasmo, soprattutto Luchino. Incredibilmente, dopo la rissa, in attesa al pronto soccorso per ore, avevano stretto amicizia.
Quando quei tre se ne furono andati, Giovanni si lasciò sfuggire un sospiro.
“Che mondo di merda” disse.
“Come va il naso?” chiese Luchino, titubante.
“Come ieri” rispose l’altro, rassegnato.
“…sicuro?”
“Perché?” fece allarmato Gio.
“È sangue fresco quello?” domandò Elia, stringendo gli occhi e sporgendosi verso di lui.
Marti, che era più vicino, controllò con le dita, tastando delicatamente attorno al naso di Gio. “No, è secco” rispose, e Gio sospirò di nuovo, ma stavolta di sollievo.
Restarono in silenzio per un po’, riflettendo su quanto era successo.
“Sono stato proprio un idiota” esclamò poi Martino.
“Ancora?! Non è stata colpa tua, zì!” sbuffò Elia.
Martino sorrise. “Non parlavo di questo.”
“E di che?”
“È che pochi mesi fa avevo il terrore di dirvi che sono gay perché avevo paura che avreste cominciato a trattarmi in maniera diversa o che addirittura mi avreste allontanato, e invece siete qui a farvi menare se mi chiamano frocio.”
Tutti risero, e Luchino si alzò per andare ad abbracciarlo. “Povero Marti” disse, e tutti risero di nuovo, anche se lo aveva detto senza ironia.
“Sì, sei stato un idiota” disse con affetto Gio, poi lui ed Elia si unirono all’abbraccio.
 
Fine
   
 
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