Nel
regno delle leggende
Kisame-
Nel buio degli abissi
Oceano Atlantico,
Isole Bahamas, luglio
2005
Seduto
a un leggero tavolino di
plastica, Kisame Hoshigaki, celebre biologo marino specializzato in
crostacei e
molluschi, si stava tranquillamente rilassando.
Sebbene
sembrasse in vacanza, si
stava preparando a un’impresa epocale, almeno per la sua
disciplina.
Aveva
appena terminato di
consultare svariate mappe della zona e si stava ristorando sorseggiando
un’aranciata e leggendo una rivista scientifica che ormai
conosceva a memoria.
Si
trovava sulla propria nave per
ricerche, un gioiello tecnologico lindo e veloce, dallo scafo bianco,
che da
anni lo seguiva fedelmente in avventure dai ghiacci
dell’Antartide ai coralli
dei Caraibi, alla ricerca di forme di vita elusive e affascinanti, in
molti
casi sconosciuti.
La
ciurma gli era devota e lo
considerava un padre, oltre che un luminare nel suo campo.
“Fa
caldo, no?” domandò per
attaccare bottone rivolto ai tre uomini posizionati ai lati del tavolo.
Il
comandante, un uomo sulla
sessantina alto, abbronzato e ornato di gioielli, originario delle
isole,
che
aveva visto di tutto i giro
per i sette mari, chiese: “Su cosa indagherete stavolta
professore? Cosa
cercate nel nostro arcipelago che non abbiate ancora
studiato?”.
Il
mozzo Johnny, un giovanotto
dalla voce trillante e i capelli a spazzola, aggiunse: “Vi
dedicate ancora ai
calamari giganti? Mi piacerebbe tanto vederne uno!”.
“Ma
no, quelli sono troppo
sfuggenti, in vent’anni non ne ho visto neanche uno vivo:
li
lascio ai colleghi più giovani.
Ma sono venuto sin qui per mettermi sulle tracce di un’altra
leggenda. Capitano,
non è la prima volta che vedete queste immagini,
vero?” rispose enigmatico il
biologo aprendo la rivista e appoggiandola al centro del
tavolo”.
Sotto
la scritta a caratteri
cubitali: “IL POLPO PIU’ GRANDE DEL MONDO:
REALTA’ O TRUFFA?”campeggiava una
foto in bianco e nero di scarsa qualità in cui si scorgevano
alcuni uomini dai
larghi cappelli in posa accanto a quella che sembrava
un’immensa massa di carne
in decomposizione arenata su una spiaggia sabbiosa e vagamente simile a
un
cefalopode.
Il
comandante annuì in silenzio.
“Da
secoli i naviganti
raccontavano, più o meno consapevolmente, di kraken e piovre
giganti che
attaccavano i vascelli. Ma a quanto sembra non si trattava solo di
miti, perché
nel
“Se
non mi sbaglio tuttavia molte
di quelle carcasse sono state riconosciuti come resti di capodogli o
squali”
replicò il primo ufficiale dubbioso.
“Se
come ritenete voi non so riconoscere
uno squalo o un capodoglio quando me li trovo davanti non mi sarei
iscritto
all’università, non vi pare?”
controbatté Kisame, quindi continuò:
“D’altronde,
qui tutti conoscono la leggenda dei lusca
e voi me lo potete confermare comandante”.
“Già”
annuì l’uomo. “Alle Bahamas
si dice che i lusca siano piovre
talmente grandi da bloccare le imbarcazioni
e che abitino nelle grotte sottomarine, ma non ho mai
prestato credito a
queste storie”.
“Ma
io invece credo fermamente che
sotto che quei vecchi racconti si nasconda un minimo di
verità, e proprio per
questo scenderò nelle caverne” annunciò
fiero lo scienziato.
“Avete
fatto preparare il
batiscafo?”.
Ottenuta
risposta affermativa, si
spostò a poppa, dove da una gru pendeva un minisommergibile,
dallo scafo snello
e affilato e dagli oblò rafforzati, capace di scendere fino
a
Salutando
l’equipaggio con un
poderoso agitare di braccia, Kisame si arrampicò sul mezzo
e, una volta entrato
all’interno, richiuse sopra di sé il portellone
apposito.
“In
bocca al lupo vecchio mio”
pensò il capitano mentre Johnny tirava una leva e faceva
abbassare il
sottomarino che scomparve sotto la superficie in un turbinare di bolle.
Appena
sott’acqua, il biologo si
mise comodo e osservò i pesci tropicali che guizzavano in
banchi davanti agli
oblò, assieme ai minacciosi pesci martello e agli argentei
delfini che ai
branchi bazzicavano sul fondale o compivano evoluzioni entusiasmanti a
mezz’acqua.
In
altri momenti si sarebbe
fermato volentieri a riprendere tali incredibili manifestazioni che si
aggiravano per l’oceano cristallino, ma adesso aveva una
questione ben più
importante da sbrigare.
Scese
ancora più in profondità
fino a raggiungere i cento metri sotto il livello del mare.
Il
fondo era disseminato di rocce
scure, coralli neri e alghe striminzite, e quella zona era popolato da
strani e
inquietanti pesci luminescenti con cui però Kisame aveva
familiarità.
Accese
le luci del sommergibile ed
entrò in una grotta che si apriva come un’immensa
spaccatura nella roccia,
scomparendo inghiottito dall’oscurità.
Con
soddisfazione notò che la
galleria pullulava di pesci, conchiglie, aragoste e granchi, che
costituiscono
la dieta tipica di un polpo.
“Bravi
piccini, conducetemi dal
vostro paparino” commentò ironico.
Il
batiscafo proseguiva lungo il
tunnel che sembrava non finire mai, ma della fantomatica bestia nessuna
traccia.
Il
biologo stava per gettare la
spugna e imboccare la via del ritorno per perlustrare altre grotte
quando la
prua del veicolo urtò qualcosa.
Sembrava
troppo molle per essere
una roccia, quindi diresse la luce verso di esso per investigare.
Per
un attimo gli morì il cuore in
gola: davanti a lui giaceva una grande massa grigiastra dalla forma
sospettosamente familiare.
In
un attimo due enormi occhi si
aprirono e la “cosa” si sollevò dal
fondale scrollandosi di dosso immense nubi
di polvere.
Kisame
non ci poteva credere:
aveva trovato la piovra gigante, il fantasma dei mari, il mostro di St.
Augustine redivivo, visto che era indubbiamente un cefalopode colossale
quello
in cui si era imbattuto.
Ma
il compiacimento durò poco.
In
un lampo lunghe fruste nere
scattarono e in breve il batiscafo fu avvinghiato strettamente da
quattro
tentacoli, mentre altri ancora frustavano l’abisso o
premevano sul vetro di
prua imprimendovi l’impronta delle micidiali file di ventose.
Lo
scienziato, al colmo della
disperazione, spingeva leve e pulsanti, cercando di liberarsi
dall’abbraccio,
ma per quanto facesse forza il veicolo restava fermo, forse
perché il mostro
aveva bloccato l’elica con gli arti.
La
disperazione si trasformò in
terrore quando vide che il polpo aveva rovesciato il capo ed esponeva
l’affilatissimo becco, pronto a mordere.
Sudando
freddo, ridotto quasi alle
lacrime, il professore tirò una leva fino a romperla.
L’animale
richiuse la bocca
proprio mentre il batiscafo veniva proiettato all’indietro a
tutta birra.
Il
mezzo senza controllo viaggiava
a una tale velocità che fuori dalla grotta si
schiantò su una roccia, e su
un’altra, e su un’altra ancora, sballottato come
una pallina da ping pong.
Fortunatamente
non vi furono
falle, perché anche da un piccolo buco, a causa della
pressione esterna,
sarebbe fuoriuscito uno schizzo gelido e potente come un colpo di
pistola, ma
fortunatamente i danni si limitarono “solo” alla
rete elettrica, ai motori e ai
comandi.
Riemerso
dopo una lunga agonia, il
sommergibile viaggiò al deriva per pochi metri, visto che la
corrente lo
trascinò verso la nave e Kisame poté quindi farsi
avvistare con agevolezza.
Una
volta a bordo raccontò a tutti
la propria incredibile esperienza, e anche se qualche locale era
disposto a
credere alle sue parole, suscitò un generale scetticismo.
“Nel
momento in cui gli sfuggivo
sono anche riuscito a scattargli una foto” aggiunse
infervorato.
Il
comandante la esaminò
perplesso, poi disse: “Sarà, ma questo mi sembra
tutto tranne che un lusca in carne
e ossa” indicando
l’immagine che raffigurava una grossa macchia scura in fondo
a una caverna tenebrosa
negli abissi delle Bahamas.