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Autore: Federico    22/07/2009    1 recensioni
Da sempre gli uomini credono di vedere creature che non dovrebbero esistere o dovrebbero essere estinte da tempo...Ma se dietro le leggende ci fosse qualcosa di vero? In quest Au ambientata ai giorni d'oggi in ogni capitolo un personaggio si metterà sulle tracce di una "leggenda" per sfatarla o confermarla.Leggete e fatemi sapere se vi piace, ciao!
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Sulle tracce dei mostri'
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Nel regno delle leggende

 

Kisame- Nel buio degli abissi

 

Oceano Atlantico, Isole Bahamas, luglio 2005

Seduto a un leggero tavolino di plastica, Kisame Hoshigaki, celebre biologo marino specializzato in crostacei e molluschi, si stava tranquillamente rilassando.

Sebbene sembrasse in vacanza, si stava preparando a un’impresa epocale, almeno per la sua disciplina.

Aveva appena terminato di consultare svariate mappe della zona e si stava ristorando sorseggiando un’aranciata e leggendo una rivista scientifica che ormai conosceva a memoria.

Si trovava sulla propria nave per ricerche, un gioiello tecnologico lindo e veloce, dallo scafo bianco, che da anni lo seguiva fedelmente in avventure dai ghiacci dell’Antartide ai coralli dei Caraibi, alla ricerca di forme di vita elusive e affascinanti, in molti casi sconosciuti.

La ciurma gli era devota e lo considerava un padre, oltre che un luminare nel suo campo.

“Fa caldo, no?” domandò per attaccare bottone rivolto ai tre uomini posizionati ai lati del tavolo.

Il comandante, un uomo sulla sessantina alto, abbronzato e ornato di gioielli, originario delle isole,

che aveva visto di tutto i giro per i sette mari, chiese: “Su cosa indagherete stavolta professore? Cosa cercate nel nostro arcipelago che non abbiate ancora studiato?”.

Il mozzo Johnny, un giovanotto dalla voce trillante e i capelli a spazzola, aggiunse: “Vi dedicate ancora ai calamari giganti? Mi piacerebbe tanto vederne uno!”.

“Ma no, quelli sono troppo sfuggenti, in vent’anni non ne ho visto neanche uno vivo:

li lascio ai colleghi più giovani. Ma sono venuto sin qui per mettermi sulle tracce di un’altra leggenda. Capitano, non è la prima volta che vedete queste immagini, vero?” rispose enigmatico il biologo aprendo la rivista e appoggiandola al centro del tavolo”.

Sotto la scritta a caratteri cubitali: “IL POLPO PIU’ GRANDE DEL MONDO: REALTA’ O TRUFFA?”campeggiava una foto in bianco e nero di scarsa qualità in cui si scorgevano alcuni uomini dai larghi cappelli in posa accanto a quella che sembrava un’immensa massa di carne in decomposizione arenata su una spiaggia sabbiosa e vagamente simile a un cefalopode.

Il comandante annuì in silenzio.

“Da secoli i naviganti raccontavano, più o meno consapevolmente, di kraken e piovre giganti che attaccavano i vascelli. Ma a quanto sembra non si trattava solo di miti, perché nel 1896 a St. Augustine, in Florida, si spiaggiò quella che vari esperti in materia ritennero un nuova specie di polpo abissale enorme. E non sembrava essere il solo visto che creature simili sono comparse nel 2003 in Cile, e anche alle Bermuda, in Australia e in Nuova Zelanda”.

“Se non mi sbaglio tuttavia molte di quelle carcasse sono state riconosciuti come resti di capodogli o squali” replicò il primo ufficiale dubbioso.

“Se come ritenete voi non so riconoscere uno squalo o un capodoglio quando me li trovo davanti non mi sarei iscritto all’università, non vi pare?” controbatté Kisame, quindi continuò: “D’altronde, qui tutti conoscono la leggenda dei lusca e voi me lo potete confermare comandante”.

“Già” annuì l’uomo. “Alle Bahamas si dice che i lusca siano piovre talmente grandi da bloccare le imbarcazioni  e che abitino nelle grotte sottomarine, ma non ho mai prestato credito a queste storie”.

“Ma io invece credo fermamente che sotto che quei vecchi racconti si nasconda un minimo di verità, e proprio per questo scenderò nelle caverne” annunciò fiero lo scienziato.

“Avete fatto preparare il batiscafo?”.

Ottenuta risposta affermativa, si spostò a poppa, dove da una gru pendeva un minisommergibile, dallo scafo snello e affilato e dagli oblò rafforzati, capace di scendere fino a 5000 metri di profondità e che aveva già funzionato egregiamente in numerose spedizioni.

Salutando l’equipaggio con un poderoso agitare di braccia, Kisame si arrampicò sul mezzo e, una volta entrato all’interno, richiuse sopra di sé il portellone apposito.

“In bocca al lupo vecchio mio” pensò il capitano mentre Johnny tirava una leva e faceva abbassare il sottomarino che scomparve sotto la superficie in un turbinare di bolle.

Appena sott’acqua, il biologo si mise comodo e osservò i pesci tropicali che guizzavano in banchi davanti agli oblò, assieme ai minacciosi pesci martello e agli argentei delfini che ai branchi bazzicavano sul fondale o compivano evoluzioni entusiasmanti a mezz’acqua.

In altri momenti si sarebbe fermato volentieri a riprendere tali incredibili manifestazioni che si aggiravano per l’oceano cristallino, ma adesso aveva una questione ben più importante da sbrigare.

Scese ancora più in profondità fino a raggiungere i cento metri sotto il livello del mare.

Il fondo era disseminato di rocce scure, coralli neri e alghe striminzite, e quella zona era popolato da strani e inquietanti pesci luminescenti con cui però Kisame aveva familiarità.

Accese le luci del sommergibile ed entrò in una grotta che si apriva come un’immensa spaccatura nella roccia, scomparendo inghiottito dall’oscurità.

Con soddisfazione notò che la galleria pullulava di pesci, conchiglie, aragoste e granchi, che costituiscono la dieta tipica di un polpo.

“Bravi piccini, conducetemi dal vostro paparino” commentò ironico.

Il batiscafo proseguiva lungo il tunnel che sembrava non finire mai, ma della fantomatica bestia nessuna traccia.

Il biologo stava per gettare la spugna e imboccare la via del ritorno per perlustrare altre grotte quando la prua del veicolo urtò qualcosa.

Sembrava troppo molle per essere una roccia, quindi diresse la luce verso di esso per investigare.

Per un attimo gli morì il cuore in gola: davanti a lui giaceva una grande massa grigiastra dalla forma sospettosamente familiare.

In un attimo due enormi occhi si aprirono e la “cosa” si sollevò dal fondale scrollandosi di dosso immense nubi di polvere.

Kisame non ci poteva credere: aveva trovato la piovra gigante, il fantasma dei mari, il mostro di St. Augustine redivivo, visto che era indubbiamente un cefalopode colossale quello in cui si era imbattuto.

Ma il compiacimento durò poco.

In un lampo lunghe fruste nere scattarono e in breve il batiscafo fu avvinghiato strettamente da quattro tentacoli, mentre altri ancora frustavano l’abisso o premevano sul vetro di prua imprimendovi l’impronta delle micidiali file di ventose.

Lo scienziato, al colmo della disperazione, spingeva leve e pulsanti, cercando di liberarsi dall’abbraccio, ma per quanto facesse forza il veicolo restava fermo, forse perché il mostro aveva bloccato l’elica con gli arti.

La disperazione si trasformò in terrore quando vide che il polpo aveva rovesciato il capo ed esponeva l’affilatissimo becco, pronto a mordere.

Sudando freddo, ridotto quasi alle lacrime, il professore tirò una leva fino a romperla.

L’animale richiuse la bocca proprio mentre il batiscafo veniva proiettato all’indietro a tutta birra.

Il mezzo senza controllo viaggiava a una tale velocità che fuori dalla grotta si schiantò su una roccia, e su un’altra, e su un’altra ancora, sballottato come una pallina da ping pong.

Fortunatamente non vi furono falle, perché anche da un piccolo buco, a causa della pressione esterna, sarebbe fuoriuscito uno schizzo gelido e potente come un colpo di pistola, ma fortunatamente i danni si limitarono “solo” alla rete elettrica, ai motori e ai comandi.

Riemerso dopo una lunga agonia, il sommergibile viaggiò al deriva per pochi metri, visto che la corrente lo trascinò verso la nave e Kisame poté quindi farsi avvistare con agevolezza.

Una volta a bordo raccontò a tutti la propria incredibile esperienza, e anche se qualche locale era disposto a credere alle sue parole, suscitò un generale scetticismo.

“Nel momento in cui gli sfuggivo sono anche riuscito a scattargli una foto” aggiunse infervorato.

Il comandante la esaminò perplesso, poi disse: “Sarà, ma questo mi sembra tutto tranne che un lusca in carne e ossa” indicando l’immagine che raffigurava una grossa macchia scura in fondo a una caverna tenebrosa negli abissi delle Bahamas.

  
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