Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |      
Autore: Yoshiko    26/04/2019    5 recensioni
Trenta secondi prima il centro sportivo era tutt’intorno a Mark, con il piacevole tepore dei riscaldamenti, la luce artificiale a illuminare le pareti bianche e spoglie che necessitavano in alcuni punti di una nuova tinteggiata. Ora invece di trovava fuori, in balia del gelo della notte, a causa dell’inghippo in cui lo aveva trascinato Ross. Quella serata lui l’aveva immaginata totalmente diversa, certo non da trascorrere in compagnia di una tizia che neppure conosceva. Tanto per cambiare, la colpa di tutto era di Benji e della sua balorda idea di appartarsi con Amy nella stanza accanto sotto gli occhi di Julian e davanti all’obiettivo di una vecchia macchinetta fotografica finita tra le mani più sbagliate in cui sarebbe mai potuta capitare: Bruce Harper, la curiosità, la molestia, l’indiscrezione, la seccatura fatta persona.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Time'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’appuntamento di Mark
Snow Time – Back Stage



Un istante e fu fuori, nel freddo e nell’oscurità della notte.
Trenta secondi prima il centro sportivo era tutt’intorno a lui, con il piacevole tepore dei riscaldamenti, la luce artificiale a illuminare le pareti bianche e spoglie che necessitavano in alcuni punti di una nuova tinteggiata, l’ironia molesta e il divertimento fuori luogo dei compagni, sempre pronti ad assaporare qualsiasi novità. L’inghippo in cui lo aveva trascinato Ross, a ben vedere, rappresentava per loro davvero una succulenta novità. Nessuno lo aveva mai visto alle prese con una ragazza. O meglio, si corresse. Soltanto una manciata di loro e le uniche prese con cui recentemente si era cimentato erano le bizze di Jenny, la fidanzata di Callaghan, che per quindici lunghi giorni gli si era incollata addosso, nominandolo suo personale angelo custode a tempo pieno. In quelle due settimane la ragazza aveva avuto il buonsenso di tenersi stretto Philip, ma nello stesso tempo e con un’abilità senza pari, aveva ficcato Mark in situazioni al limite dell’imbarazzo e sull’orlo del litigio con quell’imbecille del suo fidanzato. In tutto ciò Price, ogni volta che gli era stato possibile, aveva sempre, sempre trovato il modo di infilare le sue opinioni non richieste peggiorando le cose.
Indossò la giacca che teneva appesa su una spalla, agganciata al dito del braccio destro piegato contro il torace, perché il freddo cominciò a farsi pressante. La ragazza che Julian aveva rimorchiato per lui camminava alle sue spalle senza dire nulla, lasciandolo trastullarsi nel malumore. Solo il suono dei tacchi che picchiettavano sul selciato gli ricordava la sua presenza. In quel momento Mark aveva troppo da riflettere e troppo da recriminare contro tutto e contro tutti per interessarsi a lei.
Price, dunque. In qualsiasi rottura di palle fosse capitata al sottoscritto durante le due settimane trascorse a Shintoku, Price in qualche modo era riuscito sempre a ficcare lo zampino. Anche questa volta, tanto per cambiare, era indirettamente causa del “piccolo” problema, del “minuscolo” contrattempo – sì, meglio sminuire – in cui si era trovato invischiato quella sera. Lui e la sua balorda idea di appartarsi con Amy nella stanza accanto sotto gli occhi di Ross e davanti all’obiettivo di una vecchia macchinetta fotografica finita tra le mani più sbagliate in cui sarebbe mai potuta capitare: Bruce Harper, la curiosità, la molestia, l’indiscrezione, la seccatura fatta persona.
Altri passi verso la notte, verso le temperature rigide di un inverno che quell’anno non faceva sconti a nessuno, e lui in Hokkaido lo aveva imparato bene. Ben coperto dalla giacca a vento, sentiva stilettate di gelo colpirgli le guance, le orecchie e il collo. Sollevò gli occhi verso la volta nera di un cielo che aveva inghiottito le stelle, perché quella notte il freddo doveva essere totale, niente poteva distrarre l’oscurità dal far scendere il termometro sotto lo zero e replicare anche a Saitama, a due passi da casa, il freddo che aveva patito nel nord più sperduto del Giappone.
Si lanciò un’occhiata alle spalle, verso il centro sportivo che si faceva via via più distante mentre si allontanavano. Nessuna traccia dei compagni a spiarlo dietro alle finestre illuminate dell’edificio del dormitorio. Avevano già dimenticato la sua assenza, forse erano tutti sotto le coperte per concedersi il meritato riposo. Nel voltarsi stizzito per riprendere il cammino, sdrucciolò sul marciapiede gelato. Fu un guizzo appena maldestro, riacquistò l’equilibrio con l’eleganza di chi aveva persino imparato a pattinare sul ghiaccio, senza dare a vedere che era stato lì lì per spalmarsi sul selciato.
Il silenzio di una strada buia e totalmente deserta lo indusse a guardarsi intorno mentre continuava a procedere a casaccio. Non c’era un granché da quelle parti dove poter trascorrere  qualche ora con una compagna che non aveva scelto. A proposito, dove si era cacciata? Si fermò sotto un lampione, dandole il tempo di raggiungerlo. L’aria era talmente ghiacciata che la luce bianca si rifrangeva su una miriade di cristalli che turbinavano smossi dal vento. Quel chiarore lunare, unito a un’improvvisa curiosità, gli diedero modo di osservarla con più attenzione e registrare per la prima volta tutti quei particolari a cui pochi minuti prima, davanti all’ingresso del centro sportivo, si era rifiutato di far caso. Rispetto al primo sguardo sbrigativo e scontento che le aveva concesso nel pomeriggio al bar, trovava la ragazza diversa, cambiata. In una parola, migliorata. Adesso indossava una gonna di jeans che le arrivava al ginocchio sopra un paio di morbidi stivali col tacco. Notò gli orecchini che brillavano ai lati del viso e, sotto un maglione giallo limone, la camicetta troppo aperta su una scollatura che la sciarpa, tirata dietro le spalle, lasciava scoperta. Lui, al solo guardare tutta quella pelle esposta alla notte, sentì un brivido di ghiaccio percorrergli la schiena.
-Com’è che ti chiami?-
-Sally.-
Reputandosi a posto con le presentazioni, Mark proseguì in silenzio al suo fianco fino all’angolo della strada e solo quando si fermarono a un semaforo tornò a rivolgerle la parola.
-Che si fa?-
-Va bene se andiamo a casa mia? Qui intorno non c’è niente, neppure un locale dove bere qualcosa.-
Figurarsi se non andava bene. Una serata tra le mura domestiche lo avrebbe dispensato dal tirar fuori il portafoglio, nonostante fosse deciso a farsi rimborsare l’indomani da Ross ogni spesa extra di quella serata.
Attraversarono la strada deserta di un quartiere silenziosissimo a quell’ora di sera, in un inverno che si stava rivelando così rigido che da tutto il freddo patito quell’anno sarebbe riuscito a scongelarsi soltanto ad agosto. Incoraggiata dal suo assenso la ragazza tentò di intavolare una seppur scarna conversazione.
-Anche se lavoro nel centro sportivo dell’Urawa, non sono una fan di calcio. Tu chi saresti?-
-Hai chiesto di uscire con me e neppure mi conosci?-
-Il tuo amico era talmente interessato a quelle foto che poi… chissà che cosa c’era da vedere…- lo fissò improvvisamente curiosa -Qualcosa che ti riguarda?-
-No, io non c’entro niente. Nelle foto c’era la sua ragazza che faceva qualcosa con Price. Quello con il cappellino. Il portiere con la puzza sotto al naso. Quindi? Perché hai scelto me?-
Lei lo guardò e lo valutò critica, come aveva fatto anche al bar prima di proporlo a Julian come merce di scambio.
-Per la statura.-
La bizzarra risposta indusse Landers a pensare che se al momento delle trattative con Ross fossero stati presenti Clifford Yuma o Bob Denver, la ragazza non avrebbe chiesto lui. La guardò, incerto sul significato da dare ai suoi criteri di scelta, ma lei preferì non soddisfare la sua curiosità. Mark non se ne crucciò. Era stanco e scontento, la ragazza forse un tantino imbarazzata. Se lo era davvero, lui non poteva farci nulla. Quell’uscita non era stata una sua richiesta.
Gli argomenti di conversazione sembrarono esaurirsi lì. Continuarono a camminare nel più assoluto silenzio, lui non aveva intenzione di conoscerla più a fondo e da quanto poteva capire, neppure lei. Percorsero quindi l’uno accanto all’altra il marciapiede a tratti ghiacciato, dove l’umidità della notte si cristallizzava e risplendeva sotto i fasci di luce dei lampioni che allungavano e sovrapponevano le loro ombre sul selciato. Alzando lo sguardo verso il cielo, dietro i palazzi si ergeva soltanto una fitta oscurità che inghiottiva tutto l’orizzonte e gli edifici più lontani.
Nella desolazione di quella notte invernale incrociarono un solo passante che aveva avuto la brillante idea di difendersi dal freddo ingollando una buona dose di birra. Il suo incedere barcollante lasciò nell’aria un olezzo alcolico, subito disperso da una folata di vento gelato.
Mark ficcò meglio le mani al riparo nelle tasche e pensò che in fondo il ritiro a Shintoku sarebbe potuto andare peggio. L’intraprendenza di Callaghan era stata punita da quel manipolo di teppisti e così anche l’arroganza di Price, tacitata fin dal primo giorno da Jenny e poi annichilita dal siparietto con Amy che gli aveva scaricato addosso le ire di Ross. Julian non sembrava il tipo che dimenticava facilmente. Viziato e pieno di sé com’era, quasi quanto Price, la gelosia doveva essere un sentimento che finora non aveva mai provato e per questo ancora più dirompente. E a dirla tutta, Mark era anche contento che finalmente Amy emergesse dallo sfondo in cui si era sempre tenuta.
L’abitazione in cui Sally lo condusse era un minuscolo appartamento al terzo piano di un edificio piuttosto squallido. Salirono attraverso una scala esterna senza coperture, se non le sue rampe e i pianerottoli, che doveva rappresentare una gioia nei giorni di pioggia. Percorsero una veranda su cui si apriva una serie di porte accomunate dallo stesso materiale, lo stesso colore, lo stesso spioncino, la stessa serratura e la stessa maniglia. Monotono e modesto.
La giovane infilò la chiave e fece scattare la serratura. Poi aprì e nell’ingresso si sfilò le scarpe prima ancora di accendere la luce. Quando l’elettricità illuminò l’ambiente, Mark si ritrovò a piedi scalzi in uno di quegli appartamenti essenziali composti da due camere, un piccolo angolo cottura nella stanza più grande e il bagno. Essenziale. E freddo. Così freddo che i loro respiri si condensavano in nuvolette tanto quanto fuori.
A dire la verità l’interno era molto meglio dell’esterno, non fosse stato per quella sfilza di scatoloni adagiati lungo la parete del minuscolo ingresso e ammonticchiati a occupare ogni spazio disponibile.
-Ho appena traslocato. E ho una libreria ancora da montare.- spiegò lei.
Recuperò il telecomando del climatizzatore, lo accese e un soffuso ronzio si unì al mormorare dei loro respiri. Mark era talmente abituato ad appartamenti piccoli, stretti ed economici che si sentì molto più a suo agio lì di quanto sarebbe riuscito ad adattarsi nel salotto della villa di Price, per esempio.
Lei sembrò leggergli nel pensiero.
-Piccolo, vero? Questo è tutto ciò che posso permettermi. La paga al bar non è alta e quello che non uso per l’affitto mi serve per l’università.- lo scrutò -Tu guadagni molto, immagino.-
Non era un’accusa ma un dato di fatto e Mark non trovò nulla da ribadire. Del resto la sua risposta non sembrava interessarle. Sally girò intorno agli scatoloni togliendosi il cappotto e la sciarpa e gli fece cenno di accomodarsi su uno degli sgabelli davanti a un piccolo ripiano pieghevole di legno che lei sollevò e puntellò con un piede amovibile sul pavimento. Dopodiché lo guardò, scostando i capelli che le erano ricaduti sul viso mentre si svoltolava dalla sciarpa.
-Ti va una birra?-
Mark avrebbe preferito una coca-cola, ma quella ragazza non era una sua fan, di certo non conosceva i suoi gusti e aveva già tirato fuori dal frigorifero due birre piccole che teneva per il collo.
Annuì, mentre lei le appoggiava sul tavolo e faceva saltare il tappo con un gesto fluido scaturito dalla sua esperienza di barista. Le bottiglie si ricoprirono di condensa che sfumò i colori caldi del vetro. Sally prese anche due bicchieri, ma Mark non le diede modo di versargli la bevanda, preferendo bere direttamente dalla bottiglia.
Mentre la ragazza restava in piedi con la birra tra le dita e lo osservava curiosa ma a suo agio, si tolse la giacca e la appoggiò sullo sgabello accanto, poi tornò ad afferrare la bottiglia e ad assaporare la bevanda gelata a piccoli sorsi. Dopodiché Mark si guardò intorno con fare un po’ assonnato perché erano le dieci e mezza, aveva viaggiato tutta la mattina, si era allenato duramente dopo pranzo e adesso avrebbe voluto essere al centro sportivo in un beato rilassamento, eventualmente e possibilmente sotto le coperte. Invece no. Quello stronzo di Ross prima lo aveva coinvolto nei suoi loschi affari e poi se ne era tirato fuori, inducendolo -  stentava ancora a crederci - a uscire con una tizia che non conosceva e di cui non gli importava nulla. Lanciò un’occhiata agli scatoloni, quasi quasi…
-Per caso ti serve una mano? A montare quel coso… Quella libreria.-
Lei sorrise per la prima volta da quando si erano incontrati.
-Speravo proprio che me lo chiedessi.-
Mark d’un tratto si domandò se non fosse quella la statura a cui aveva accennato poco prima e che l’aveva indotta a sceglierlo al bar tra tutti i presenti.

Un’ora più tardi, oltre alla giacca Mark si era tolto anche la felpa e in maglietta stava montando i lati di un’enorme libreria color miele alta fino al soffitto, che entrava a stento in quella piccola stanza. Dietro di lui la ragazza apriva i cartoni strappando via il nastro adesivo e ripiegava quelli che rimanevano vuoti man mano che Mark montava le parti. Il climatizzatore faceva egregiamente il suo dovere e l’appartamento era piacevolmente caldo. Anche Sally si era liberata di un paio di strati di vestiti e, le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, leggeva le istruzioni, osservava insieme a lui le figure cercando di capire i passi successivi da compiere, e gli dava indicazioni. Le ante con il vetro erano pesantissime ma per Mark fu uno scherzo sollevarle da terra e accostarle ai montanti. Mentre Sally lo aiutava a tenerle in piedi, avvitò le giunture sulle cerniere finché non furono tutte al loro posto.
Quell’imprevisto esercizio fisico a Mark non dispiaceva. Lo teneva sveglio mentre la birra contribuiva a scaldarlo tanto quanto la temperatura della stanza. Dopo la prima, nonostante non fosse un amante di quella bevanda, ne avevano aperta un’altra ciascuno e poi un’altra ancora. Il sudore, il calore e il movimento gli stimolavano la sete e l’alcol aveva di molto migliorato il suo umore. Adesso lui e Sally chiacchieravano spensierati come se si conoscessero da secoli. A dire la verità, l’incontro con quella ragazza si stava rivelando più piacevole del previsto e, nei fumi dell’alcol sempre più fitti, avvertiva quasi il dovere di ringraziare Ross al ritorno in dormitorio, per avergli regalato una serata diversa dalle altre, lontano dalla faccia da schiaffi di Price, dalla petulanza di Harper, gli scondinzolii di Danny, i consigli di Ed, le prese di posizione di Philip e gli ordini di Holly.
-Prima di andar via me lo lasci il tuo autografo? Se un giorno diventassi famoso, potrei venderlo.-
Lui era già famoso e lei non lo sapeva. Annuì e tracciò la sua firma su una serie di fogli bianchi che la giovane gli porse, palesemente scettica che in futuro quella calligrafia secca e spigolosa avrebbe potuto fruttarle qualcosa.
-Secondo me dovresti provare a venderli già da adesso, se hai bisogno di soldi.-
Sally lo fissò, d’un tratto attirata non più solo dalla carta.
-Davvero?-
Mark fece spallucce.
-Può darsi.-
Da quel momento il comportamento della giovane cambiò radicalmente. Il suo tono di voce fu più ossequioso, i suoi occhi lo seguirono con maggior interesse, il suo sguardo lo analizzò con più attenzione, scandagliando i particolari di quel corpo atletico e muscoloso che si muoveva con forza e agilità all’interno della minuscola stanza. L’interesse di una donna nei confronti del maschio si era improvvisamente risvegliato.

Era passata mezzanotte quando finirono l’operazione di montaggio. La libreria era al suo posto, completa di ante e ripiani. In un riverito silenzio osservarono insieme quell’opera così ben riuscita. Sally sembrava entusiasta mentre Mark, seduto a terra – finalmente c’era spazio in quella stanza – riprendeva fiato e si congratulava con se stesso per l’ottimo lavoro. Poi, mentre si alzava, i suoi occhi caddero sugli ultimi scatoloni rimasti impilati accanto alla finestra. Non li avevano toccati, nonostante la libreria fosse stata montata al completo.
-Quelli sono i libri.- spiegò lei -Ma li sistemerò io con calma nei prossimi giorni.-
Mark annuì mentre si ripuliva i jeans dai minuscoli trucioli di legno che avevano aderito alla stoffa durante il lavoro, all’altezza delle ginocchia.
-Dov’è il bagno?-
Facilissimo trovarlo. Era l’unica porta chiusa. Lei glielo indicò senza dover muovere un passo per fargli strada. Mentre Mark usciva dalla stanza e percorreva quei tre metri che lo separavano dalla porta, si accorse con stupore che gli girava un po’ la testa. Ma non era una sensazione spiacevole, piuttosto di leggerezza, come se si fosse d’un tratto riempita di nuvole e neve. Troppa birra. Sicuramente troppa birra.
Maledetto Price.
In quel momento non aveva nessun motivo per inveire contro il portiere assente ma ciò lo faceva stare meglio, per cui continuò ad insultarlo con monotona ripetizione finché non uscì dal bagno e rientrò nel salotto.
Lei non c’era. Le luci adesso erano spente, a illuminare la libreria solo il chiarore proveniente dalla strada. Le tende della finestra erano rimaste spalancate, oltre i vetri riusciva a scorgere le luci degli appartamenti del palazzo di fronte. E poi il continuo lampeggiare arancione di un semaforo che, a quell’ora di notte, era stato disattivato. Una vettura, giunta all’incrocio, rallentò fin quasi a fermarsi. Lo superò a passo d’uomo, poi aumentò la velocità e sparì dietro l’angolo di un edificio.
Udì il muoversi sommesso della ragazza provenire dall’altra stanza, probabilmente la camera da letto. Il frusciare di una stoffa, il tonfo leggero di un’anta che veniva chiusa. Qualcosa che strusciava sul pavimento e le serrande che venivano abbassate. La luce accesa proiettava un triangolo luminoso nel corridoio.
In attesa che lei tornasse, Mark avanzò verso la libreria e osservò quel mobile così grande che di sicuro nella sua casa d’infanzia non sarebbe mai entrato, complimentandosi con se stesso per il bel lavoro svolto in poco tempo e con la minima fatica. Ora che aveva fatto quello per cui lei lo aveva scelto, poteva salutare e andarsene.
Il tempo di concludere quel pensiero e la sentì aggrapparsi alla sua schiena, aderendogli addosso. I seni morbidi premuti contro i muscoli, le mani che gli circondavano la vita e si riunivano davanti, all’altezza dell’ombelico, le dita intrecciate le une alle altre. Era stata così silenziosa che non l’aveva udita arrivare.
Mark fu colto di sorpresa, ma non perché in fondo non si aspettasse che la serata sarebbe finita in quel modo, anche se la ragazza aveva ammesso di averlo scelto soltanto perché era più alto degli altri, senza sapere neppure chi fosse. Finora il suo interesse sembrava essere stato rivolto ad altro, invece adesso si dimostrava attratta da lui e non soltanto per la sua “statura”. Era un problema? Niente affatto. Quell’abbraccio non gli dispiacque. Era davvero ciò che meritava, dopo una giornata così faticosa e così lunga, che per giunta non era ancora finita. Perché quindi non concluderla precisamente come i compagni – e chissà se anche Sally, fin dall’inizio – si aspettavano che si sarebbe conclusa?
Lei gli sollevò la maglietta sulla schiena e appoggiò il viso contro la sua pelle accaldata. E quando la tirò su ancora Mark alzò le braccia e l’aiutò a sfilarla. La maglia cadde a terra, una macchia bianca in un angolo buio dei tatami. Il ragazzo si volse e furono uno di fronte all’altra. Non incrociò il suo sguardo, che nell’oscurità scorgeva appena. Lo abbassò ai bottoni della camicetta, su cui unì le dita per slacciarli con una fretta dettata dall’orario ma più ancora dall’impazienza. La camicetta di Sally finì accanto alla maglietta di Mark. A seguire ci furono la gonna, i jeans di lui e tutto il resto. Si ritrovarono a terra, senza perdere tempo a baciarsi. Non avrebbero approfondito quella fugace conoscenza, meglio lasciar da parte le smancerie. Comunicavano le loro intenzioni con i movimenti, e si trovavano perfettamente d’accordo. Non c’era bisogno di parlare, i fugaci bagliori dei loro occhi quando venivano colpiti dalla luce dei lampioni della strada erano sufficienti per guidarsi a vicenda.
A pensarci bene se l’era davvero meritata quella notte di sesso, dopo aver sopportato per ben due settimane l’arroganza di Price, le paturnie di Philip e della sua ragazza, gli ordini di Holly, le urla di Patty, la curiosità di Evelyn e quella piattola di Harper. Ecco il ringraziamento. Un ringraziamento che era un suo diritto cogliere a piene mani.
Solo all’ultimo, prima che fosse troppo tardi, Mark allungò una mano verso i propri abiti. Frugando a casaccio, i sensi concentrati sulla giovane e sul piacere scaturito dal contatto con il suo corpo, infilò le dita nella tasca posteriore dei jeans. Trovò subito la raccomandazione che ci aveva infilato Clifford un attimo prima di salutarlo con un sorriso saputo, spingerlo verso la porta e verso la sua tanto meritata serata.

Quando si tirò su, Sally lo guardò con un paio d’occhi sfumati e ancora un po’ liquidi. Seguì i suoi movimenti mentre si vestiva, quasi volesse godere per gli ultimi istanti della vista del suo corpo statuario prima che gli abiti lo celassero del tutto e il ricordo, con il  passare dei giorni, dei mesi e degli anni, si affievolisse fino a cancellarsi.  
-Grazie per la libreria.- gli disse con voce languida, appena un attimo prima che Mark si infilasse le scarpe lì, sulla soglia, e uscisse sul pianerottolo richiudendosi piano la porta alle spalle.
La sensazione di ovatta nella testa era sensibilmente aumentata rispetto al “prima”. Sentiva le gambe pesanti come macigni, le spalle a pezzi e la schiena da buttare. Aveva assolutamente bisogno di ficcarsi a letto. Ma in che modo rientrare nel dormitorio del centro sportivo? A questo non aveva avuto il tempo di pensare.
Stringendosi la giacca addosso per difendersi dal freddo più intenso che mai lontano dal corpo caldo e accogliente di Sally, scese di corsa le scale del mezzanino. Seppur leggeri, l’eco dei suoi passi riecheggiò nella quiete ghiacciata di quell’interminabile notte. Alle quattro di mattina il cielo era ancora scuro. Nessun chiarore si percepiva a oriente e se all’andata il silenzio era stato assoluto, adesso inghiottiva persino il battito affrettato del suo cuore. Merda se faceva freddo quella notte! Un fugace moto di nostalgia lo riportò per un istante nella stanza che aveva appena lasciato. Poi uno sbadiglio scacciò il ricordo.
Era in piedi da quasi ventiquattrore, come avrebbe fatto a resistere agli allenamenti del giorno dopo… anzi del giorno stesso?! Maledetto Ross! E maledetto Price! Perché intanto il portiere, in qualche modo c’entrava sempre.
Aveva memorizzato la strada all’andata, certo che il ritorno avrebbe dovuto farlo da solo. La via correva dritta e solo una volta, al semaforo, svoltò a sinistra. A passo svelto percorse l’ultimo tratto e finalmente l’edificio del centro sportivo emerse dal buio che lo circondava. Aveva impiegato meno di dieci minuti a raggiungerlo. Costeggiò la recinzione dei campi con gli occhi rivolti all’interno della struttura. Era stanco, spossato, crollava praticamente di sonno e non aveva nessuna idea di come raggiungere la propria stanza.
Il Giappone era il paese più sicuro del mondo e in cima, sui massicci pali d’acciaio che puntellavano la rete, non era affissa nessuna telecamera di sicurezza. Percorse avanti e indietro il lato corto della recinzione e a un certo punto si fermò, valutandone seriamente l’altezza con il naso all’insù e il fiato caldo che si condensava in nuvolette prima di dissolversi nell’aria gelida. Almeno tre metri, forse anche quattro. Al buio trovava difficoltoso farsi un’idea precisa. Sapeva solo che era impraticabile. Doveva cercare un muro o una cancellata perché aggrapparsi alla rete con le dita gelate e stremato com’era non rappresentava uno scherzo da poco.
Corse intorno al perimetro dell’edificio, lasciando perdere i due lati di quel rettangolo occupati dai campi da calcio, dove era chiaro che oltre alla recinzione non avrebbe trovato altro. Il muro in effetti c’era. Era sul retro. Alzò lo sguardo sulla palazzina del dormitorio. Nel punto preciso che aveva scelto, la parete esterna era intervallata da una fila di finestrelle una sopra l’altra, per tre piani. Mark fu quasi sicuro che si trattasse dei bagni. Bene, molto meglio così. Difficilmente qualcuno si sarebbe affacciato da lì, molto improbabile che lo vedessero rientrare.
Spiccò un salto e si aggrappò al bordo del muro, ma le dita ghiacciate persero di colpo e dolorosamente la presa. Ricadde pesantemente sul marciapiede emettendo un’imprecazione. Poi respirò a fondo, radunando le forze mentre si massaggiava la punta delle dita graffiata dall’attrito con la pietra. Accidenti non ce la faceva più! Doveva assolutamente filare a letto al più presto.
Gli restava soltanto da scavalcare quel maledetto muro e raggiungere l’interno. Come, non lo sapeva, ma riguardo la seconda parte del piano aveva grandi speranze che la porta d’ingresso non fosse stata chiusa a chiave. A Shintoku lo scherzo dei fantasmi aveva insegnato a tutti la lezione. Se anche Gamo aveva bloccato la serratura, temendo che qualcuno durante la notte tagliasse la corda per andare a spassarsela, di sicuro Ed o Danny, o addirittura Holly o Philip, ben consci che lui era ancora fuori, avrebbero trovato il modo di riaprire. Ne avevano tutti abbastanza dei rimproveri del mister, era certo che nessuno volesse sentirlo ricominciare daccapo l’indomani. Del resto chi poteva ancora avere energie sufficienti da andare in giro a quell’ora dopo essere stato spremuto come un limone fino all’ultima goccia? Soltanto lui. Gamo sicuramente dormiva, il resto della squadra pure e lui non vedeva l’ora di imitarli.
Un problema alla volta, Mark, si disse. Raccolse le forze e spiccò un nuovo  salto. Stavolta la presa tenne. Contrasse i muscoli, fece leva sulle mani e si issò con il torace sul muro. Piegò le braccia, appoggiò un ginocchio e poi l’altro. Non si mise in piedi, aveva paura che qualcuno vedesse il suo corpo stagliarsi scuro contro la notte. Accoccolato così, puntellandosi su una mano, saltò giù dall’altra parte e atterrò precisamente a cinque centimetri dai cestini dell’immondizia, puzzolenti e ricolmi di rifiuti. Nel buio non li aveva visti, era mancato pochissimo che ci finisse dentro!
Intorno a lui l’oscurità fu improvvisa, niente a illuminare quel lato un po’ dimesso. E la luce dei lampioni sulla strada si interrompeva poco più in basso, tagliata dal muro di cinta. Quando i suoi occhi si abituarono alla nuova sfumatura di oscurità, girò a destra, costeggiò il palazzo e, svoltato l’angolo dell’edificio, finalmente trovò l’ingresso. Una luce a neon illuminava la soglia, tremolando forse anch’essa per il freddo. Salì di corsa i tre gradini ammantati da uno strato di ghiaccio e abbrancò la maniglia della porta a vetri come un naufrago si getta su un salvagente. Trovandola  aperta, emise un sospiro di sollievo.
Finalmente all’interno, il silenzio che lo accolse fu assoluto e rassicurante. Attraversò l’atrio con passi felpati e imboccò le scale quasi correndo, tanto fremeva di ficcarsi a letto. Raggiunse il primo piano ed esitò nel corridoio, improvvisamente dimentico di quale fosse la camera che gli era stata assegnata. Vi era rimasto dentro talmente poco, giusto il tempo di posarvi i bagagli appena arrivato e poi, dopo cena, per essere costretto dagli amici a cambiarsi per quell’appuntamento che non aveva voluto, ma che tutto sommato non era andato poi così male. Ebbe un flash e si sovvenne. Penultima porta in fondo a sinistra.
La raggiunse con uno sforzo estremo e si fermò davanti all’uscio. Non aveva sbagliato. Strizzò gli occhi alla tenue luce di cortesia del corridoio che gli consentì di individuare con certezza i nomi riportati su un foglio di carta fissato al pannello con il nastro adesivo. C’era anche il suo.
Impiegò un tempo incalcolabile a ruotare la maniglia che minacciava di emettere un rumoroso cigolio a ogni tentativo più deciso. Mark non voleva assolutamente che qualcuno lo udisse, neppure per sbaglio. Quando riuscì a entrare, era coperto di sudore. All’interno lo accolse il tepore della stanza, l’odore del respiro dei compagni, i loro sussurri nel sonno, qualcuno che russava piano. E il buio quasi completo.
Raggiunse a tentoni i letti a castello lungo la parete di destra e trovò il suo. Ne fu certo dopo essersi sollevato sulle punte dei piedi e aver tastato il cuscino, poi il materasso e la coperta. Non lo occupava nessuno. Sì, quello era proprio il suo letto.
Lì dov’era si sfilò la giacca e la felpa. Mentre si spogliava, percepì ancora il profumo di Sally nei propri abiti che prima, adagiati sui tatami, si erano mescolati a quelli di lei. L’indomani avrebbe lavato tutto e gettato un colpo di spugna su quella notte. Così, in maglietta e jeans, perché con quel buio sarebbe stato impossibile ripescare il pigiama da una valigia che non sapeva neppure dove fosse finita, si aggrappò alla scaletta e salì rapido quei quattro pioli. Sotto il suo peso l’intera struttura di legno sussultò e cigolò.
-Mark?- domandò una voce, tra il sonno e la veglia.
-Dormi, Philip.-
E in un attimo finalmente anche Landers fu sotto le coperte dove si addormentò di colpo, come un sasso.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Yoshiko