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Autore: Spoocky    28/04/2019    5 recensioni
Sequel di "Peace on Earth".
Il tenente James Altham della Royal Navy è ricoverato allo Stonehouse di Plymouth per una brutta ferita ricevuta in combattimento. Stremato dal dolore, ha come unico conforto l'amico Tobias, che gli porta un regalo speciale.
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Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Periodo Napoleonico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'HMS Valiant'
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Buonsalve, rieccomi con l'ennesima storia sui marinai inglesi e le guerre napoleoniche ^^ 
Qualcuno conosce già i due simpatici protagonisti di questa storia, qualcun altro sta per farlo. Spero che le loro (dis)avventure siano di vostro gradimento.
Grazie in anticipo a tutti coloro che si fermeranno a leggere e a recensire.
Un ringraziamento particolare va a 
Saelde_und_Ehre e ad Old Fashioned, senza il cui inestimabile aiuto questa storia sarebbe uscita ben diversa. Grazie, ragazzi! 

A tutti, Buona Lettura ^^ 

James passò bene il giorno di Natale.
Forse perché rassicurato dalla presenza dell’amico al suo fianco, era riuscito ad addormentarsi ed anche a riposare un poco. Addirittura chiese una seconda porzione del dolce offerto ai degenti in onore della festa.
Fu Tobias a procurargliela, circuendo una delle dame di carità che prestavano servizio nel reparto.
Restò accanto all’amico per tutto il giorno, gli parlò, ascoltò le sue sarcastiche lamentazioni, lesse per lui e cercò di prestargli qualunque conforto fosse in grado di offrire, anche una semplice stretta di mano, quando il dolore delle gambe rotte diventava insopportabile.

Per quanto fosse difficile vederlo ridotto in quello stato, non avrebbe voluto essere in nessun altro posto al mondo.
Insistette per metterlo a letto di persona quella sera:  lo aiutò ad accomodarsi sui cuscini e gli rimboccò le coperte. Rimase con lui, in piedi al capezzale, quando il medico arrivò a somministrargli le medicine.
Intontito dall’oppio e sfinito dal dolore, Altham sorrise quando l’amico tirò uno sgabello accanto al letto e vi si sedette.
Tobias gli tenne la mano fino a quando fu sicuro che dormisse. Solo allora prese congedo, sfiorandogli la testa con una carezza.
 

Quando Habencroft tornò allo Stonehouse, la mattina di Santo Stefano, gli infermieri non vollero farlo avvicinare al letto. Temette che fosse accaduto il peggio e sprofondò nello sconforto.
Ma proprio mentre stava per sfoderare gli insulti più oltraggiosi di sua conoscenza contro i due uomini che gli bloccavano il passaggio una voce flebile si fece spazio tra le altre, gemendo piano il suo nome.
Tobias scansò quel muro umano a spallate per correre accanto all’amico, che ora come non mai sembrava avere bisogno di lui.

James aveva la febbre alta.
Giaceva del tutto abbandonato sul guanciale: i capelli castani, lunghi fino alle spalle, erano scompigliati ed intrisi di sudore,  le guance erano arrossate, gli occhi gonfi e lucidi, le pupille ridotte ad uno stelo verde sotto la tumefazione livida delle palpebre. Respirava affannosamente, come se solo tenere gli occhi aperti fosse uno sforzo estenuante, ma aveva trovato la forza di sollevare un braccio e tendere disperatamente una mano nella direzione da cui aveva sentito provenire la sua voce.
Tobias si precipitò a stringerla, crollando in ginocchio accanto alla branda.

“Sei tornato.” Altham aveva appena un filo di voce ma sorrise comunque, tanto fragile nella sua debolezza da commuovere tutti gli astanti.
Tobias sentì la gola annodarsi in un groppo e rafforzò la stretta sulla mano gelida dell’amico accarezzandogli i capelli per scostarglieli dal volto madido: “Non parlare, James: non devi sforzarti. Adesso sono qui, è tutto ciò che importa.”
Impossibile dire se la contrazione delle dita di Altham sulle sue fosse dovuta ad uno spasmo o ad un gesto deliberato. Il ferito chiuse gli occhi e rabbrividì, sopraffatto dal dolore.
Habencroft continuò ad accarezzarlo e a ripetere sotto voce: “Sono qui, James. Non aver paura: non ti lascio. Sono qui. Sono qui.”
 

“Siamo spiacenti, dottore: non siamo riusciti a fermarlo.”
“Non importa, lo conosco. No, no: non scomodatevi, tenente. E’ un bene che il tenente Altham abbia vicino qualcuno in questo momento. Siete un suo amico, non è vero?”
“Fratello…” ansimò il ferito dal letto.
Il dottor Woodward sorrise dolcemente e gli appoggiò una mano sulla fronte, per sentirne la temperatura: “Come vi sentite, James?”
“Ho freddo. Fa molto male.”
“Shh. Non ti agitare.” Tobias tirò indietro i capelli dell’amico con una carezza per tranquillizzarlo, ma quando si rivolse al medico il suo sguardo era perso e spaventato: “E’ molto grave, dottore?”
“Lo vedremo subito. Continuate a parlargli e tenetelo stretto: devo controllare le ferite e non sarà piacevole.” Strinse la spalla del ferito “Coraggio, James. Non ci vorrà molto.”
Altham voltò la testa in direzione dell’amico e gemette piano.
Habencroft gli raccolse le mani sul petto e gli pose le proprie sulle spalle: “Non preoccuparti, fratello: lo affronteremo insieme. D’accordo?”
Un cenno tremante del capo.

I siti delle fratture erano dolorosissimi già di per sé ma l’infiammazione e la febbre rendevano anche solo il contatto delle lenzuola intollerabile. Altham gridò di dolore quando Woodward sciolse le bende che gli avvolgevano le gambe, ma toglierle fu solo l’inizio.
Sotto le mani impotenti di Habencroft, tremò violentemente ed inarcò la schiena, urlando con tutto il fiato che aveva, perché il pus filtrato dalle suture aveva fatto aderire le garze e staccarle fu un tormento atroce.

“Basta.” Singhiozzò “Fermatevi, vi prego.”
“Non potete dargli del laudano?” implorò Tobias, sopraffatto dal vedere l’amico in quello stato.
“Non finché non capisco cosa stia succedendo.” Spiegò il medico, mortificato “Per quanto possa sembrarvi assurdo, il dolore in questo momento è un ottimo segno: significa che la carne è viva e non in gangrena. Non c’è traccia di corruzione, infatti. E non emana cattivo odore.”
“Beh, insomma!”
“Fidatevi, tenente: se ci fosse anche solo un principio di cancrena sareste in preda ai conati. Quello che sentite è il normale odore di una ferita in via di guarigione.”

Woodward tastò con la massima delicatezza possibile le suture lasciate dal chirurgo di bordo quando era intervenuto per ricomporre le ossa rotte. Per quanto leggero, il suo tocco provocò nel suo paziente una sofferenza insopportabile: brividi violenti lo scossero da capo a piedi, le mani si avvinghiarono a quelle dell’amico e la testa sprofondò nel cuscino impregnato di sudore.
“Povero figliolo! Mi dispiace infinitamente ma è necessario: devo capire di cosa si tratta.”
“Coraggio, James: sei forte. Sei più forte di me e di chiunque altro in questo ospedale. Puoi farcela!”
“Toby…”
“Sono qui, fratello mio. Resisti.” Tobias si portò al petto le mani dell’altro e le baciò entrambe prima di stringerle di nuovo. “Resisti.”
“Mi sento morire.”
“E’ la febbre. La febbre ed il dolore. Presto starai meglio.”

Per nulla indifferente a quell’agonia, Woodward terminò il proprio scrupoloso esame il più rapidamente possibile.  Rinnovare le medicazioni fu un tormento quasi altrettanto atroce ma venne portato a compimento con altrettanta efficienza e celerità.
Il medico stese con la massima delicatezza il lenzuolo sulle gambe martoriate del tenente e si chinò su di lui, appoggiando di nuovo il palmo sulla sua fronte bollente: “Nulla di grave, James. Lodevole pus, nient’ altro che lodevole pus, come ci si aspetta in questo stadio della guarigione. E le ossa sono nella posizione giusta. Vi aspettano dei giorni difficili ma vi rimetterete completamente. Adesso vi diamo della corteccia di china per abbassare la temperatura e del laudano per il dolore. Poi potrete riposare.”

Stremato dal calvario ed inebetito dalla febbre alta, James capì solo che per il momento non gli avrebbero più fatto del male. Ne fu talmente sollevato da scoppiare in lacrime: “Grazie. Grazie infinite.”
L’amico gli accomodò la testa sul cuscino: “Stai giù, James. Tranquillo, cerca di dormire un po’: sei sfinito.”
Woodward somministrò i farmaci e Tobias fece bere all’amico un bicchiere d’acqua.
Altham crollò in poco tempo, il capo febbricitante piegato su una spalla, mentre Habencroft gli accarezzava i capelli.

“Permettete una parola, tenente?”
Habencroft si allontanò a malincuore dal capezzale dell’amico per seguire il medico in un angolo appartato.
“Ho mandato un infermiere a prendere l’acqua e vi faremo avere anche qualche asciugamano. Avete mai assistito un ferito, o un malato, febbricitante?”
“No, dottore.” Di solito era James ad occuparsi di lui, non era mai capitato il contrario, prima d’ora.
“Dal vostro punto di vista, non sarà difficile: dovrete fargli degli impacchi freddi sul viso, sul collo e sui polsi per alleviare la sua sofferenza ed aiutare ad abbassare la temperatura, i farmaci faranno il resto. Sarò franco, tenente: secondo il regolamento dovrei cacciarvi fuori, ma in tutta coscienza non mi sento di lasciarlo da solo. Gli infermieri passerebbero a controllarlo ogni tanto, ma il vostro amico ha bisogno di assistenza continua. ”
“Se la caverà?”
“Tra la febbre ed il dolore ha davanti dei giorni durissimi. Per ora la situazione è sotto controllo, e per esperienza mi azzardo a credere che lo rimarrà, ma non si può escludere che peggiori. Allora ci saranno delle decisioni da prendere.”
Il medico s’interruppe, come se non sapesse come proseguire e Tobias inghiottì amaro, temendo che fossero confermate le sue peggiori paure:  “Che… che genere di decisioni? Dottore?”
Woodward si limitò a sospirare profondamente, scuotendo il capo.

Il giovane si sentì impallidire: “Potrebbe perdere le gambe, vero?”
“Non è così semplice.” Ammise il chirurgo “Sempre che si debba arrivare a tanto, potrebbe essere troppo debole e non sopravvivere all’intervento. Avete sentito il suo povero cuore? Batte già velocissimo! Non credo reggerebbe lo sforzo, e neppure una copiosa emorragia.  Per non parlare del dolore, che nonostante l’oppio sarebbe tremendo: ha già patito l’inimmaginabile. Lo ha salvato la sua tempra morale: un uomo più fragile sarebbe già morto.” Sospirò di nuovo e forzò un sorriso “Ma come vi dicevo, tenente, sulla base della mia esperienza dovrebbe rimanere stabile. Tra qualche giorno si sfileranno le suture e puliremo le ferite. Poco a poco, scenderà anche la febbre e si riprenderà del tutto. “
“Credete che possa tornare in servizio?”
“Tutto dipende da come guariscono le fratture: ci vorrà ancora qualche settimana perché si rinsaldino. Seguirà una lunga convalescenza, e molto probabilmente dovrà aiutarsi con un bastone, ma è ancora giovane, forte, e anche molto testardo. Dico bene?”
“Non avete idea!” Sorrise Tobias, ricordando tutte le lavate di testa che si era preso dall’amico.
“Proprio così, tenente. Proprio così. Sono sicuro che non ci pentiremo di avergli dato fiducia.” Woodward gli appoggiò una mano sulla spalla “Non vi tratterrò oltre: il vostro amico ha bisogno di voi. Stategli vicino in questi giorni, mi raccomando: parlategli, toccatelo, magari portategli anche qualcosa di buono da mangiare. Sono piccole cose ma vi assicuro che, sul lungo periodo, fanno la differenza.”
 

Habencroft vegliò sul ferito per due giorni e due notti.

Il dottor Woodward veniva a somministrare i farmaci mattina e sera. Cambiava le medicazioni e puliva le ferite in entrambe le occasioni.
Per James era atroce: ogni volta urlava e si agitava il più possibile, tentando senza successo di sottrarsi a quel tormento. Tobias poteva solo accarezzargli il viso e tamponarlo con la pezza bagnata, parlandogli piano per cercare di lenire almeno l’angoscia di quel momento, ma il suo aiuto era insufficiente e le medicazioni lasciavano il ferito spossato all’inverosimile.

L’infezione aveva infiammato le ferite e il dolore delle ossa rotte rendeva le sue gambe sensibilissime alla  minima pressione. Anche solo se si spostava il lenzuolo che lo copriva. 
Quando non perdeva i sensi per la debolezza e la sofferenza, giaceva fissando allucinato il soffitto, stringendo le braccia dell’amico tanto forte da lasciare dei segni. Parlava poco, e non sempre in modo sensato, spesso si scusava o chiamava l’amico, solo raramente riuscì a tenere una breve conversazione.

Tobias lo sentiva tanto caro in quei momenti da non percepire il dolore della sua stretta, comunque troppo debole per fare danni. Lo carezzava e lo accudiva al meglio delle proprie capacità e insistette affinché gli insegnassero a lavarlo, radergli il viso, e provvedere a tutti i suoi bisogni: sarebbe stato meno umiliante per Altham se fosse stato lui ad occuparsene, piuttosto che un estraneo.
Infatti l’amico si abbandonò docilmente alle sue cure, le mani dell’altro ormai famigliari sul suo corpo straziato, il suo volto e la sua voce l’unico sollievo dalla solitudine del dolore.
 

La notte del ventotto fu terribile: la febbre si era alzata ancora, impedendo al ferito di riposare e portandolo al delirio.

Habencroft non chiuse occhio, perché si rese necessario vegliare su Altham per impedirgli di alzarsi o muoversi troppo, ma soprattutto per distoglierlo dai suoi incubi. Nel pieno del delirio, James non riconosceva nessun altro e lo chiamava disperatamente, come se solo la sua voce ed il calore delle sue mani potessero salvarlo da quel calvario.
Tobias stava male nel vederlo così, ne soffriva quasi fisicamente, ma vedendo quanto anche solo una sua carezza fosse preziosa per l’amico si rese conto di non voler essere in nessun altro posto.
 

La mattina del ventinove, James soffriva tanto da respirare a fatica.

Seduto accanto a lui sul materasso, Tobias gli premeva lo straccio sulla testa.
Passando per il giro di visite, Woodward trovò il proprio paziente tanto provato da dover rimandare la medicazione. 
Mandò addirittura a chiamare il pastore affinché fornisse conforto spirituale al ferito.
Tobias stava strizzando la pezza nel catino quando si sentì chiamare.

Gli occhi di James erano gonfi e lucidi per la febbre ma lo sguardo era limpido e la voce debole ma ferma: “Vai a riposare, Tobias.”
“No, non voglio lasciarti.” rispose il tenente, piegando la stoffa e stendendogliela sulla fronte.
“Solo per poche ore: ne hai bisogno.” Fece una smorfia ed aggiunse a denti stretti “Prometto di non morire finché non torni ma, ti prego: vai a riposare.”
“Il nostro amico ha ragione, tenente.” S’intromise Woodward “Non siete d’aiuto sforzandovi più di quanto possiate reggere. Vi fate del male e basta. Andate a riposare: resto io con lui. ”
Tobias sentì la mano fredda e smagrita dell’amico avvolgersi attorno alla sua: “Vai.” Ansimò chiudendo gli occhi “Ci vediamo dopo.”
 

Habencroft si gettò sul letto, sprofondando con il volto nel cuscino, e dormì come un sasso per sei ore filate. Al suo risveglio, erano ormai le due del pomeriggio, chiese acqua calda per radersi e lavarsi, e il pranzo in camera.
Si sciacquò nella bacinella e si cambiò brache, cravatta, calze e camicia.
Stava finendo di abbottonarsi il panciotto quando entrò la cameriera con il suo pasto. Prima che uscisse la fermò posandole una mano sul braccio per avanzarle una richiesta particolare.

“E’ per il vostro amico? Quello che sta in ospedale?”
“Sì. Pensate sia possibile?”
“Ma certo! Però ci vorrà qualche ora. Potrete portarglielo per la cena: sarebbe ancora caldo.”
“Vi ringrazio, Miss Stephens, mettetelo sul mio conto.”
“Non preoccupatevi, signor Habencroft. Lo facciamo volentieri: il signor Altham è sempre così gentile quando alloggiate qui!”
  
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