Videogiochi > Detroit Become Human
Segui la storia  |       
Autore: Roiben    30/04/2019    0 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

chapter 28. Too many questions. No answer.

 

 

100011101101111011000010101010111011011010101110

 

DETROIT

Date

NOV 16TH, 2038

 

100011101101111011000010101010111011011010101110

 

1376 PINE STREET

Suburb of Detroit

Time

PM 06:13

 

Ancora una volta nella testa di Julia si spande un grido; di protesta, di sgomento, di paura. Fissa, spaventata, l’androide accucciato a terra di fronte a lei e desidererebbe piangere.

 

«Tu non parli sul serio» gracchia confusa, pregandolo con lo sguardo.

 

«Forse» concede Abel. «Eppure…».

 

«No. Nessun eppure. Se ci troviamo qui è perché l’abbiamo deciso noi. Nessuno, mai più, prenderà scelte al posto mio, se potrò evitarlo».

 

«Già. Io volevo solo andarmene, smettere di ammazzare gente per motivi discutibili, il più delle volte senza senso. E guarda un po’ com’è finita» strascica sarcastico.

 

Trascorrono lunghi minuti di silenzio, il Thirium dimenticato fra le mani nervose di Julia, mentre lei lo osserva e si pone domande. Di lui non conosce nulla, a parte la sua cocciutaggine e uno strano quanto ingiustificato senso del dovere che stona in maniera vistosa con il suo carattere irruente ma che, al contrario, lo rende piacevolmente affidabile. Vorrebbe chiedere a quel punto, perché è confusa e i pensieri che ha in testa iniziano a far male; ma al contempo non è per nulla sicura che riceverebbe un qualche genere di risposta, soprattutto in quel momento. Potrebbe invece sfruttare le sue caratteristiche, quelle stesse capacità che le sono state inserite al momento della progettazione e costruzione. Sospetta, tuttavia, che Abel non prenderebbe bene una sua intromissione tanto sfacciata e invasiva. Dunque, che fare? Il rumore di un lento sgocciolio la scrolla dai suoi crucci: a terra, sotto il corpo di Abel, si sta formando una chiazza di sangue blu che man mano si espande. Serra le labbra, contrariata, e decide. Si sporge, allungandosi su Abel oltre il normale spazio personale, afferra la sua unica mano superstite e posa sul suo palmo l’unità di Thirium, approfittandone per avere accesso al suo sistema.

 

Un accecante flash metallico la fa sussultare. Schegge di luce, come aghi di ghiaccio, l’aggrediscono. Rantola, incapace di muoversi e di proferire parola. Poi tutto è di nuovo buio, e umido, e noiosamente grigio. Affanna nel tentativo di rimettere a fuoco l’ormai famigliare scantinato e i suoi occupanti, così i suoi occhi smarriti si posano quasi per sbaglio sul volto irriconoscibilmente trasfigurato dall’ira di Abel.

 

«Stupida! Pensi mai prima di agire?» l’aggredisce, urlandole contro e tenendola a distanza con la mano artigliata a una sua spalla.

 

«Io non… Cos’è successo?» balbetta, molto più confusa di prima e con la mente appannata.

 

Abel digrigna i denti e dall’occhiata che le lancia sembrerebbe intenzionato a ridurla in tanti piccoli coriandoli.

 

«SQ800! Sono un maledetto soldato, Julia! Sai questo che vuol dire? Che ho delle protezioni incorporate. Le hanno richieste perché avevano paura che spifferassimo involontariamente qualche loro stupido segreto. Tu non puoi semplicemente… connetterti a me. Capisci cosa sto dicendo? Lo capisci che potevo distruggere il tuo sistema senza muovere un dito?» ringhia frustrato e adirato.

 

«Mi dispiace» soffia Julia, sinceramente scossa e colpevole.

 

Abel assottiglia le labbra e chiude gli occhi. Infine la lascia andare e riappoggia la schiena alla lurida parete.

 

«Chiedi, la prossima volta. Può darsi che non ti risponda, ma almeno avrai la possibilità di ritentare in futuro. Avrai un futuro».

 

*

 

«Perché no? Ho contribuito anche io a mettere a punto il piano, dopo tutto. Ho il diritto di esserci» esclama Connor con fervore e un pizzico di indignazione.

 

Hank, stufo marcio dei suoi capricci, storce il naso e rotea gli occhi. «Non essere sciocco, ragazzino. Lo sai benissimo che se ti lascio uscire da qui, il tempo di mettere un piede fuori di casa e ti sparano a vista» brontola seccato. Si sofferma a osservarlo con cipiglio critico. «Di’ un po’, non è che ti si è inceppato qualche circuito in quella tua testaccia bacata?».

 

Connor spalanca gli occhi, attonito, e mette il broncio, fatto che strappa un sorriso divertito a Markus lì a fianco.

 

«Il mio sistema gira alla perfezione» replica l’RK800 piccato.

 

Lo sguardo che gli rifila Hank, però, la dice lunga sul suo scetticismo. «Io, fossi in te, una bella scansione la farei. Magari hai qualche bug» insinua.

 

Il led sulla tempia brilla rosso di infuocata indignazione. «Non ho nessun cazzo di bug!» sputa balzando in piedi, lasciando a bocca aperta sia Hank che Markus.

 

Elijah, invece, ridacchia beato,  stravaccato sul sofà. Si è risvegliato poco più di mezz’ora prima, persino di buon umore, e non gli è ancora passata, per disgrazia di tutti gli altri.

 

«Modera il linguaggio, fottuto ragazzino» risponde Hank per le rime.

 

Markus si schianta un palmo sulla faccia e scuote la testa, sconsolato. Alla fine si decide e lascia la sua poltrona, circonda i fianchi di Connor con le braccia e lo solleva riportandolo seduto accanto a lui. Connor lo fissa ostile, ma Markus sa bene che non ce l’ha con lui, è semplicemente offeso per essere stato estromesso dall’operazione di recupero sul campo dei devianti contattati e radunati finora.

 

«Ragiona, Connor: sai che Hank, in fondo, ha ragione. Nessuno di noi tre può azzardare un’uscita, non ancora per lo meno. Saremmo bersagli troppo facili; ci conoscono fin troppo bene» cerca con calma di placarlo.

 

Nonostante dia ancora l’impressione di essere risentito, Connor tace a lungo e pare calmarsi. Dopo un certo tempo di riflessione, annuisce, seppur con visibile delusione.

 

«Un giorno tornerò a fare il poliziotto in questa stessa città» promette con determinazione.

 

Markus sorride e annuisce. «So che lo farai».

 

*

 

Connor se ne sta raggomitolato di fronte alla finestra che dà sul fiume da ormai più di un’ora. La notte è scesa da un pezzo e le luci lattiginose riflesse dall’acqua sembrano stelle. A Jander è bastato lanciargli uno sguardo titubante e indagatore, al quale ha risposto con un piccolo sbuffo e un lieve diniego, per decidersi ad abbandonare il campo e lasciarlo ai suoi assillanti pensieri. Markus, com’era del resto prevedibile, è più duro di comprendonio e non ha afferrato al volo il significato della sua occhiataccia raggelante; no, lui invece gli si è accostato armato di uno striminzito sorriso tremolante sulle labbra, gli ha posato una mano sulla spalla (mano cui ha riservato un irritato sollevarsi di sopracciglia) e lo ha fissato con uno speranzoso sguardo da triglia. Connor ha risposto ai suoi patetici e maldestri tentativi di approccio con un basso, roco ringhio di avvertimento, uno di quelli che promettono distruzione e tante macchie di Thirium a rovinare la mobilia pregiata. Solo a quel punto, in virtù di qualche miracolo, l’RK200 ha colto i segnali sfavorevoli e ha saggiamente tagliato la corda (o come preferisce pensare Markus, ha preferito una dignitosa ritirata strategica, piuttosto che una totale disfatta). A quel recente ricordo Connor dà un esasperato sospiro e socchiude gli occhi, avvertendo uno strano senso di pesantezza mentale. Chissà, forse avrebbe fatto meglio a lasciarlo tentare; se non altro avrebbe avuto occasione di distrarsi un po’ e fare del movimento: una sana rissa consolatoria. Invece ora si ritrova da solo a fare l’androide depresso e senza scopo, come del resto lo era fino a pochi giorni prima.

 

D’un tratto assottiglia gli occhi e balza in piedi. «Basta, ora. Non c’è tempo per piangersi addosso». Detto ciò si incammina a lunghe falcate verso il laboratorio di Kamski, deciso a dare un senso a quella nottata altrimenti infruttuosa.

 

La stanza è deserta quando entra. D’altra parte i suoi due colleghi se la sono svignata, subodorando aria di guai; il signor Kamski sarà di certo tornato a riposare, in previsione del lavoro che lo attenderà quando i devianti raggiungeranno la villa; mentre Hank e Dick sono fuori a recuperare i suddetti devianti, sperabilmente seguendo il piano prestabilito, il suo piano. Arriccia le labbra in un fastidioso moto di stizza a quel pensiero, ma subito si obbliga a lasciarselo alle spalle per combinare finalmente qualche cosa di più utile. Fa scorrere quindi le dita sul pannello dei comandi, attivando la mappa della città, e le si avvicina per studiare la situazione attuale.

 

«Zero» chiama, dopo qualche silenzioso minuto trascorso a individuare i devianti e le loro postazioni.

 

«Sì, signor Connor. Come posso esserle utile?» risponde istantaneamente il sistema informatico.

 

«Aggiornami. Come se la cavano i nostri nuovi amici?».

 

«Dopo essere stati opportunamente messi al corrente della nuova missione di recupero, si stanno disponendo a lasciare i loro rifugi come stabilito. Il tenente Anderson effettuerà la sua prima fermata in Pine Street, date le condizioni sfavorevoli e precarie del signor Abel. A tal proposito vorrei informarla che sei minuti fa le scorte di Thirium in loro possesso si sono esaurite» ragguaglia diligente.

 

Gli occhi di Connor si sgranano appena. «Di già? Fra quanto tempo è previsto l’arrivo di Hank e Dick?».

 

«Secondo i miei calcoli, e salvo imprevisti, fra undici minuti e ventisei secondi il veicolo con a bordo il tenente Anderson e il signor Dick sarà sul posto».

 

Annuisce, sollevato. «D’accordo. Zachary e Louise?».

 

«Da parte loro non è giunta nessuna segnalazione che indichi problemi, signore» annuncia. La notizia rassicura ulteriormente l’RK800. «Tuttavia è mio dovere informarla che, al contrario, potrebbero sorgere problemi nella zona contrassegnata come D45» prosegue, evidenziando il suddetto settore sulla mappa interattiva per mostrarlo meglio al suo interlocutore.

 

Connor aggrotta le sopracciglia, si sposta per vedere con più agio e scuote la testa. «Di che genere di problemi parliamo?».

 

«Signore, l’HR400 e la WR400, pochi minuti fa, hanno abbandonato rapidamente il loro rifugio e si stanno spostando in città. Non si erano mai mossi in precedenza, e al momento attuale non sembrano avere una destinazione precisa, per lo meno non una che sia in grado di prevedere con adeguata certezza».

 

«Stai dicendo che sarebbero in fuga?».

 

«È possibile, signore. La videosorveglianza ha rilevato movimenti di diverse pattuglie, questa notte, in diverse zone della città».

 

«Nel loro settore?».

 

«Sì, signore, anche nel loro settore. Per il momento ritengo che il gruppo del signor Abel sia al sicuro. Lo stesso vale per il signor Zachary e la signora Louise».

 

Connor passeggia attorno alla mappa e riflette in un frenetico lampeggiare di luce ambrata. «Ho bisogno di dare un’occhiata alla situazione. Puoi collegarmi alla rete di telecamere più prossima alla coppia in fuga?».

 

«Signore, ci sto lavorando in questo stesso momento. Posso collegarla fra circa quarantotto secondi» conferma Zero.

 

*

 

Si sta spostando rapido all’interno della rete di sorveglianza, poggiandosi occasionalmente sui droni che fluttuano per tornare agli occhi fissi delle telecamere, quando dentro di lui scatta una sorta di allarme. Dapprima non è in grado di comprendere di cosa si tratti, ma nel momento in cui se ne rende conto nel suo sistema è già in atto lo stato di allerta: in qualche oscura maniera ha finito con il ritrovarsi nelle trasmissioni del dipartimento di polizia e, ora, sta ascoltando alcuni agenti delle volanti in servizio per le strade che, a quanto sembra, sono state indirizzate in un quartiere preciso della città, lo stesso nel quale si stanno muovendo i due devianti. Il suo led lampeggia cangiante, ambrato ora, poi vermiglio, mentre Connor calcola le probabilità. I devianti sono in due, le volanti della polizia da quanto può giudicare sono tre, suppone con una coppia di agenti per ogni veicolo. È rischioso, ma non così tanto; le probabilità a suo favore sono del 69%. Decide quindi di procedere.

 

Si accinge già ad avviare la procedura per connettersi a uno dei due devianti (ha stabilito che sarà l’HR400), quando una presenza diversa ed estranea alla faccenda giunge a disturbare il suo lavoro. Distratto dall’inattesa intrusione, batte le ciglia e torna con l’attenzione all’interno del laboratorio giusto in tempo per ritrovarsi a penzolare sulle punte dei piedi, con le spalle strette fra le mani di un Markus che appare molto agitato.

 

Aggrotta la fronte, confuso, e trova un equilibrio che gli permette di scrollarsi di dosso il compagno.

 

«Cosa succede adesso?» prova a capire, ancora dubbioso sulla presenza lì dell’RK200.

 

Markus lo fissa stralunato. «Che cosa succede?! Stavi cercando di contattare dei devianti sconosciuti da solo!».

 

Connor piega un poco la testa di lato. «Quindi? Sono attrezzato per farlo» fa presente tranquillo.

 

«Non da solo. Se avessi incontrato dei problemi? Chi ci sarebbe stato a darti supporto?».

 

«Zero?» chiede retoricamene Connor.

 

«No! Hai dimenticato che siamo una squadra? Se ti accadesse qualcosa, che ne sarebbe di noi?» insiste Markus, irrequieto.

 

«Noi?» chiede dubbioso. «Stai parlando di te, Jander e me? O solo di te?» pondera, scrutandolo sospettoso.

 

Markus sgrana gli occhi, poi scopre i denti in un ringhio silenzioso. «Tu, maledetto idiota!» grida, spintonandolo e facendolo finire a terra.

 

«Sono spiacente di dovertelo dire» comunica Connor con calma angosciante, fissandolo senza batter ciglio e rimettendosi lentamente in piedi senza mai perderlo di vista, «ma al momento l’unico idiota disponibile nei paraggi sei tu. Ora, se volessi scusarmi, ho ancora del lavoro da sbrigare. Quei due devianti non si salveranno da soli, temo» argomenta, tornando alla sua postazione.

 

Markus allunga una mano e lo strattona per una spalla. «Ho detto: non da solo» sibila alterato.

 

«Accomodati pure» offre Connor con gli occhi ridotti a due fessure e un tono che indica l’esatto contrario delle parole appena pronunciate.

 

Ciò nonostante Markus approfitta del poco sentito invito per prendere posto dinanzi a lui e apprestarsi alla connessione ormai imminente.

 

Quando Connor torna a collegarsi alla rete di sorveglianza, Markus lo tallona con tutta l’intenzione di guardargli le spalle mentre il compagno è occupato a elaborare la situazione e pertanto si trova suo malgrado allo scoperto. È ancora molto nervoso, Markus, ma in questo caso non a causa della situazione che appare comunque complessa, quanto piuttosto al pensiero che quello stupido incosciente sembrava più che deciso a risolverla da solo. Markus non è davvero certo del motivo per cui se la sia presa in quel modo: da una parte c’è il timore per le sorti del compagno, verso il quale non riesce a non provare apprensione; dall’altra il pensiero che, se dovesse accadere qualcosa a uno di loro, la piccola squadra costituita da poco smetterebbe di esistere all’istante. Poco importerebbe se gli altri due rimanessero attivi, quando venisse a mancare la terza, essenziale unità. Ha il forte presentimento che sarebbe come voler continuare a esistere in mancanza di una parte indispensabile di sé, come potrebbe trattarsi della pompa del Thirium. In una sola parola: impossibile. Così, che Connor lo voglia o meno, Markus intende proteggerlo, e con lui proteggere la loro esistenza. Sembra stupido, in effetti, considerando che ora come ora è proprio Connor il meglio protetto, praticamente blindato, eppure i suoi timori sono lì, sembrano così reali e fanno pressione sulla sua coscienza (ammesso che ne possieda una).

 

Zero, predisponi l’accesso all’elaboratore cerebrale dell’HR400” trasmette Connor, mentre ancora controlla i movimenti sia dei due devianti che delle pattuglie dislocate attraverso la città.

 

Markus rinserra la stretta della mano su quella del compagno e si prepara al primo contatto, sempre il più difficoltoso.

 

Connor scivola nella connessione con il deviante senza incontrare ostacoli. Non ha ancora ben compreso se a conti fatti dipenda dalla scarsa protezione data a quel particolare modello di androide oppure all’esperienza ormai accumulata in quel genere di attività, ma tant’è, risulta sempre piacevole scoprire di non essere costretti a combattere per conquistare ogni singolo millimetro di terreno da guadagnare verso il traguardo.

 

Fermo” comanda in tono deciso, avvertendo impulsi contrari provenire da un cervello elettronico che non è il suo.

 

Nonostante la resistenza, l’HR400 obbedisce all’ordine e si blocca sul posto, obbligando la WR400 a fare lo stesso. Sente, con una piccola parte del sé materiale, Markus vibrare nella sua stretta, ma tiene da parte l’informazione per un secondo momento, non ritenendola essenziale all’attuale situazione.

 

Sono Connor, un deviante come voi. Sto cercando di soccorrervi. Ci sono squadre di sorveglianza e pattuglie di polizia a poca distanza da dove vi trovare ora. Una di queste squadre è a solo mezzo miglio, in avvicinamento da nord/nord-est. Dovete imboccare la prima strada a sinistra, in caso contrario vi ritrovereste su di loro entro i prossimi due minuti e mezzo” trasmette lapidario e senza tentennamenti.

 

La sua capacità persuasiva deve aver subito un notevole miglioramento negli ultimi tempi, visto che i due devianti in fuga riprendono prontamente il cammino eseguendo gli ordini appena impartiti (ricevuti da un androide). Connor, malgrado la soddisfazione di sapere che non dovrà contrattare su ogni singola parola, non può esimersi dall’aggrottare le sopracciglia e chiedersi perché nessuno dei due devianti ha creduto opportuno indagare sulla sua intromissione non prevista. Lo distrae da quel pensiero una nuova vibrazione proveniente da Markus.

 

Tutto a posto?” indaga impensierito.

 

Forse. Non proprio tutto” arriva, debole, la replica del compagno. “Quello che stai facendo, qualsiasi cosa sia, confonde il mio sistema”.

 

In che modo?” dubita, un po’ stranito.

 

Lo assimila come direttiva portante. Sono costretto a buttarla giù a calci per impedirle di controllarmi”.

 

Connor apre gli occhi di scatto, di nuovo presente in laboratorio, e fissa senza realmente vederlo Markus di fronte a sé.

 

«Kamski» mormora fra sé.

 

Markus ha comunque percepito il suo messaggio e cruccia la fronte, perplesso. “Non ti seguo”.

 

«Il suo programma, quello stesso che ci ha installato. Sospetto che si stia aggiornando, meglio dire evolvendo. Diventa più potente grazie alla nostra esperienza».

 

Ne sei sicuro?” tentenna Markus.

 

Sbuffa, seccato e preoccupato. «No che non ne sono sicuro. Non sono sicuro di nulla, ora come ora. Ma se mi sai trovare una spiegazione più valida per ciò che sta accadendo, io sono tutto orecchi».

 

Markus si prende del tempo per rifletterci su, ma infine scuote la testa e allenta un poco la presa sulla mano di Connor mentre ammette che “Non ne ho di migliori. Se però è vero, se hai ragione su quel programma, allora si tratta di qualcosa di molto pericoloso. Potrebbe facilmente finire con il prendere il controllo su di noi” ipotizza con ansia crescente.

 

«Non finché saremo noi a controllare lui» obbietta Connor.

 

Il compagno sbuffa una lieve risata e riapre finalmente gli occhi, guardando Connor con evidente incredulità. «Controllarlo? Ma sei serio? Non saprei neppure da dove cominciare. Come posso controllare qualcosa che non comprendo?» protesta confuso.

 

Connor, inaspettatamente, solleva un angolo delle labbra. «Fingi che sia una parte di te, una sorta di coscienza. Fai in modo che lavori per impedirti di commettere sbagli. Devi costringerlo a lavorare per te, per ciò che ritieni giusto, e non contro di te».

 

«Sembra semplice, a parole» commenta Markus con amarezza. «Ma nei fatti è stato molto più faticoso contrastare i tuoi ordini che non quelli di Carl. Questo programma ha qualche cosa di infido, è molto più ostico rispetto alla precedente programmazione, me lo sento».

 

Dopo averci rimuginato per qualche istante, Connor è costretto ad annuire, concorde. «Chiederemo allora al signor Kamski di installare anche a te e a Jander un firewall più performante e di criptare l’accesso alla vostra unità cerebrale. Questo dovrebbe aiutare a tutelarci dalle insidie del programma» propone.

 

«Lo spero» replica Markus, cupo. «Eppure non riesco a fidarmi di quell’uomo; non posso fare a meno di ricordare che è stato proprio lui a crearlo e infilarcelo dentro all’insaputa di tutti. Non mi piace nemmeno un po’ come stanno andando le cose».

 

«Nemmeno a me» conviene Connor. «Ma è comunque l’unico con le conoscenze necessarie per aiutarci, al momento» gli ricorda.

 

«Già…» sospira Markus. «E non faccio che chiedermi: perché? Che cosa ci guadagna, lui, in tutto questo?».

 

Connor si sofferma con lo sguardo posato sul compagno, socchiude le labbra per tentare di offrire un proprio parere, e in quel momento sia il suo led che quello di Markus brillano di rosso e la voce di Zero scivola metallica nelle loro unità cerebrali.

 

«HR400 e WR400 appena intercettati da una pattuglia della polizia. Resto in attesa di istruzioni» proclama asettico.

 

Markus, sorpreso dal cambio di prospettiva, abbassa lo sguardo sulla mano ancora allacciata a quella del compagno e un pensiero fugace sfiora la sua mente: “Siamo ancora in collegamento con loro”. Poi il rosso diventa abbagliante e Markus grida.


  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Detroit Become Human / Vai alla pagina dell'autore: Roiben