Anime & Manga > Death Note
Ricorda la storia  |      
Autore: LadyVale94    23/07/2009    10 recensioni
“Mi chiamo Teru Mikami, e sono il profeta di Dio.”
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teru Mikami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Desidero dedicare questa fan fiction a Emily, una mia cara amica che mi è stata vicina in diversi momenti difficile e che ha sempre trovato la buona volontà per sopportare le mie manie. Grazie.

 

Cane, Profeta e Messia

 

“Mi chiamo Teru Mikami, e sono il profeta di Dio.”

Aizawa posò una mano sulle sbarre della cella, scosse la testa e esalò un profondo sospiro:

“Da quanto va avanti così?”

“Da stamattina. “

“Quell’uomo è un pazzo.”

“Bah, a me fa solo pena … mi – mi chiedo quanto sia davvero responsabile del suo operato …”

“Non dire idiozie, Matsuda! Quell’essere è un pluriomicida, uno psicopatico e …”

“… Questo lo so anch’io! Ma guardalo, dannazione!”

L’uomo sospirò ancora: “Non ne ho voglia, Matsuda” disse in un filo di voce.

Il compagno gli piantò in faccia due occhi severi, così innaturalmente duri sul suo volto ingenuo da costringere Aizawa a ritrarre i propri alle mattonelle lerce del pavimento.

“Davvero, lasciami in pace.”

 

Matsuda era uno sciocco - pensò Aizawa -  non era né il momento né la circostanza per giocare al ‘buon samaritano’.

Certo, anche lui non poteva negare di provare pietà per quell’uomo; ma si trattava di un tipo completamente diverso di compassione, la stessa che avrebbe potuto muoverlo a interrompere le sofferenze – e il miagolio straziante -  di un gatto in agonia; o ancor peggio a schiacciare una mosca alla quale si erano spezzate le ali per non vederla strisciare inerme accanto al proprio piede.

Non era misericordia, la sua; quanto piuttosto una viscerale repulsione verso i latrati sofferenti di una bestia chiusa in gabbia; una repulsione tale da spingerlo a desiderare di strangolarlo con le sue stesse mani, pur di poter così togliersi dai piedi lui e la sua disperazione ingombrante.

 

“Mi chiamo Teru Mikami, e sono il profeta di Dio.”

Aizawa strinse la presa intorno alle sbarre, con una violenza tale da avvertire il gelo doloroso del metallo penetrargli fin nelle ossa: era snervante, semplicemente snervante.

Matsuda incassò profondamente la testa nel soprabito, senza riuscire a trattenere un sorriso quasi beffardo:

“Guarda che anche se non lo vuoi vedere, è proprio lì.”

 

Già, Mikami era proprio lì, a pochi passi da loro:

Rinchiuso nella sua cella 2x2, in ginocchio, con le braccia protese verso l’alto e le mani volte a stringere l’aria con la stessa spasmodica, ammirata cautela che si sarebbe riservata ad un cimelio di cristallo. 

Secondo le norme igieniche, Mikami era stato rasato e questo, se possibile, rendeva i suoi tratti sfatti ancor più grotteschi nella loro gioia delirante.

La cosa più impressionante era che sorrideva; gemeva di piacere tra le lacrime, come preso da un’eccitazione  troppo grande per essere trattenuta nei lombi e soffocata dai  singhiozzi.

Avvolto negli stracci luridi della galera era di una magrezza spaventosa, tanto più che erano giorni che non toccava cibo e il deperimento fisico aveva preoccupato persino i medici, i quali temevano non sarebbe arrivato vivo all’esecuzione.

Ridotto così ---- con più barba che capelli, con gli occhi vorticanti e dilatati fino all’inverosimile, con il corpo smagrito in preda a spasmi convulsi per la posizione che manteneva ormai da ore; Teru Mikami non era che la caricatura del brillante magistrato d’un tempo, anzi, addirittura il suo stato nello ‘Yellow Box’ al confronto dava di lui un’immagine lusinghiera.

Tuttavia rimaneva immobile, come congelato nella propria allucinata convinzione di stringere tra le mani il più grande dono che avesse mai potuto sperare di ricevere.

Era rimasto in quello stato così a lungo che ogni suo muscolo si era contratto e rattrappito, e ora il suo corpo quasi vibrava per la tensione degli arti che – sebbene lui non gli avvertisse, troppo assorto nella sua illusione fiabesca – dovevano pesare come macigni.

 Matsuda picchiettò due dita sulla transenna, che emise una nota metallica per tutto il vano, tanto penetrante che persino Mikami roteò un occhio verso la fonte del rumore.

“Le campane! Qualcuno rende lode a Dio! Lode e gloria a Kira!” eruppe in un moto d’esaltazione, crollando all’indietro come un cane a cui qualcuno ha stretto troppo il guinzaglio.

Rantolò per qualche istante, contorcendosi a terra per il dolore delle membra anchilosate;  poi strisciò fino alle sbarre e boccheggiò a lungo in direzione dei visitatori.

“Lode e gloria a Kira!” ripeteva come invasato tra un gemito e l’altro, buttando fuori la lingua e annaspando l’aria come un mastino “Lode a Dio che è sceso tra noi per ripulire il mondo!”

Con grande sforzo si tirò in piedi,  si spolverò i pantaloni della divisa e allungò una mano livida su quella di Aizawa, ancora stretta al metallo: “ Mi chiamo Teru Mikami, e sono il profeta di Dio!” asserì con slancio.

Aizawa, a cui davvero non era più possibile ignorarlo, tentò di ritrarre il braccio, ma scoprì la resistenza di Mikami ben più serrata di quanto lasciasse immaginare un uomo in tali condizioni.

“Lascialo … perfavore.” azzardò Matsuda con dolcezza quasi stucchevole, offrendo la sua con la misericordia di chi allunga ad un cane randagio un pezzo di pane.

Mikami indugiò più del dovuto, squadrandolo con due occhi smarriti e febbricitanti, che strapparono al poliziotto addirittura un singhiozzo commosso.

Aizawa non parve gradire troppo quel quadretto, sicché strappò il braccio dalla presa con tutta la sua forza: tuttavia la mano di Mikami lo seguì fin dove giungeva la sua portata, e mentre sporgeva l’arto aldilà delle sbarre, la camicia scivolò giù dall’avambraccio, rivelando i lividi violacei che,  partendo dal polso, spiccavano fin al di sotto del colletto.

Se li era procurati Mikami stesso, in quello che era stato il più penoso delirio notturno dell’intera settimana: aveva gridato tutta la notte, sbattendo contro i muri in un folle girotondo che l’aveva strappato all’apatia della detenzione.

Dapprima aveva maledetto Light Yagami.  Poi aveva pianto dibattendosi contro le sbarre. Infine aveva preso a minacciare quelli che – a suo dire – lo stavano gonfiando di botte, strillando che Kira sarebbe tornato e li avrebbe uccisi tutti, perché Dio non aveva riguardo per la feccia.

I secondini avevano assistito sospirando a quella scena, che si ripeteva uguale a sé stessa ogni dieci minuti esatti: erano certi che il carcerato stesse fingendo.

E così la sua agonia era diventata l’esaltante teatrino delle guardie di turno, che non avendo altri prigionieri a cui badare (Kira aveva pressoché ripulito le carceri) trovavano quel quadretto un ottimo intrattenimento, o almeno sino a che il detenuto non era crollato inerte sul pavimento.

La mattina si era svegliato steso a fianco della sua branda – nessuno aveva osato toccarlo, neppure per medicarne gli ematomi, ora che la scena della serata non suscitava più ilarità - ; si era inchinato sotto la lampada al neon ed aveva fissato quella luce torpida a lungo, per poi raccogliere da terra un oggetto immaginario che le guardie avevano carpito essere un quaderno.

 

“La vuoi piantare?” urlò Aizawa, indietreggiando fino alla parete opposta del corridoio “ Non è un cagnolino ferito, Matsuda! E’ un pazzo omicida che ha servito Kira e …!”

“Kira! Kira! Kira!” scoppiò Mikami con un lampo nello sguardo “Quando viene a trovarmi, Dio? Eh?”

“Kira non è Dio! Lo vuoi capire?! Kira è solo un pazzo, proprio come te!”

“Oh, no! Kira è Dio! E’ sceso in terra per eliminare la feccia dal mondo … e ha scelto me come suo profeta … me, capito? Mi chiamo Teru Mikami e sono il profeta di Dio!”

 “Cazzo! Come puoi non capirlo? Light Yagami è morto. Non era un dio, e tu non sei il profeta di nessuno. “

Mikami lo osservò un istante con il labbro tremante e gli occhi fuori dalle orbite, poi eruppe in una risata pipiante che fece saltare i nervi ad Aizawa.

Questi si lanciò verso le sbarre, lo afferrò per il bavero della camicia e gli sbatté con tanta forza il volto contro l’inferriata che il naso inizio a sanguinare copiosamente.

“Dannazione, Mikami!” singhiozzò senza riuscire a trattenere un moto di frustrazione.

Mikami si asciugò il sangue che colava abbondante con l’orlo della manica,  poi, con voce impastata e nasale, riprese la sua cantilena ossessiva, facendo ciondolare la testa che Aizawa a più riprese scagliava contro le sbarre.

“Smettila, Aizawa. Vacci piano, non merita un trattamento simile.” Disse Matsuda bloccandogli il braccio: per quanto si sforzasse, non riusciva a dimenticare l’espressione docile ed alienata con la quale Teru si era lasciato portare dentro. Non aveva obbiettato, né aveva proferito parola se non ‘grazie’ e ‘scusi’ ogni volta che se ne presentava l’occasione, e con un tono tanto impersonale da farlo sembrare un automa.

 

“Ah no?!” biascicò Aizawa schiumando di rabbia “Dopo che ha tentato di ucciderci, dopo che ha ucciso migliaia di persone in nome di Kira …”

“Kira!”

“Zitto!” sbottò il detective strattonandolo ancora contro la transenna “… davvero secondo te merita un trattamento migliore?”

“S – si è pentito …”

“Ti sembra forse un uomo pentito, questo?! Guardalo, visto che ci tieni tanto! Chi è Kira, Teru Mikami?” concluse rivolgendosi al diretto interessato e mollando la presa.

“Kira è Dio! E io sono il suo profeta!” rispose questi senza la minima esitazione. Con quanto vigore gli concedessero le dita scarne, si appese alle sbarre e sorrise bieco all’indirizzo di Matsuda:

“Che ore sono?” chiese ad un tratto, mentre un’espressione preoccupata gli balenava in volto.

Aizawa e Matsuda si guardarono senza capire, ma quando Mikami ripeté la stessa domanda con maggiore insistenza, Matsuda inforcò l’orologio e rispose: “Le 14 e 35”

“Oh no! sono in ritardo per il lavoro!” piagnucolò Teru con aria sconvolta  “Eppure non mi è mai capitato prima!”

“Oggi non vai al lavoro.”

“Ah no? e perché? Ma certo: deve essere domenica. Allora è meglio che inizi a giustiziare in nome di Kira … carta e penna, carta e penna, perfavore!”

I due poliziotti si fissarono ancora una volta allibiti: “Non credo possa fargli del male.” Osservò Matsuda con leggerezza: estrasse da una tasca del soprabito una penna stilografica sgangherata e un foglietto bianco.

“Ecco.” disse porgendoglieli.

“Peggio di così.” sospirò Aizawa, poi aggiunse “E’ tardi. Devo andare a prendere a scuola la bambina … tu fai un po’ come ti pare.”

“No, vengo con te.” Incalzò Matsuda, lanciando a Mikami un ultimo sguardo pietoso: questi si era accucciato sotto il faretto, quanto più in prossimità della luce, ed ora scribacchiava frenetico sul pezzetto di carta, fremendo a tal punto che ai due visitatori – che lo vedevano di spalle – parve davvero un cagnolino scodinzolante.

“Cosa pensi stia scrivendo?” chiese dopo un istante di esitazione.

“Non lo so e non lo voglio sapere, forza, andiamo a goderci questo esaltante ‘Nuovo Mondo ’.” rispose  l’altro precedendolo nel corridoio.

 

Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato. Eliminato.

 

 

 

Nate River   Anthony Carter   Stephen Loud   Halle Bullock

Mogi Kanzo   Matsuda Touta  Aizawa Shuuichi  Ide Hideki

 

 

Quanto manca, Mikami Teru?

Era stata una voce terribilmente atona, a chiamarlo per nome, eppure lui avrebbe riconosciuto quel timbro tra mille.

Senza avere il coraggio di voltarsi, allungò una mano al petto e prese a frugare freneticamente nella tasca interna del giubbotto: “Il cellulare … dov’è il cellulare …?”

Non c’è bisogno del cellulare, Mikami … io sono proprio qui, alle tue spalle.

Mikami allora ---- con lo sguardo più incredulo che si potesse immaginare, con le lacrime che colavano sulle gote, con il cuore che si dibatteva contro la cassa toracica con una forza tale da sembrare sul punto si sfondarla ----  si  volse verso la voce: “Dio!” esalò in preda alla commozione.

Sì.

Mikami farfugliò qualche parola stentata, poi si prostrò a terra, appiattendosi a tal punto sul terreno da sembrare una bestia stesa davanti al camino.

Quanto manca, Mikami Teru?

“Sono tutti stati eliminati, Dio!” rispose con slancio, ridendo e piangendo assieme in quello che era un vero e proprio orgasmo “Anche mia madre, che si era messa in mezzo!”

Bravo Mikami. Forza, vieni qui.

“D - davvero posso, Dio?”  balbettò sgranando ancor più gli occhi: alzò un poco la testa, così da vedere distintamente davanti a lui un uomo – giovane e bello quanto ci si sarebbe potuto aspettare da un angelo – abbandonato su un trono bizantino.

Light Yagami annuiva con dolcezza, allungando una mano verso di lui in un gesto caloroso e paterno.

Mikami non si fece ripetere quell’invito due volte, ma zampettò verso il suo Signore senza il coraggio di staccare la fronte dal suolo; una volta che l’ebbe raggiunto gli baciò i piedi sino alla caviglia, sussultando compito e bramoso assieme.

Non così, Mikami Teru. Lasciati accarezzare.

“C – come, Dio?”

Fatti più vicino. Sei il mio profeta, dopotutto.  Ed hai dei capelli così belli …

Mikami boccheggiò per qualche istante, poi si mise in ginocchio e – scoppiando in un pianto commosso – posò la testa in grembo al suo Dio.

Le sue mani indugiarono a lungo, nella ricerca di un appiglio ossequioso; ma quando Light infilò una mano tra le sue ciocche corvine, sino ad accarezzare la cute, queste si allacciarono intorno al suo calcagno.

Rimasero in quella posizione per molto tempo: Mikami sorrideva con i lucciconi agli occhi, sospirando così profondamente che i suoi respiri affioravano di gola sotto forma di fusa appagate.

Ad un tratto la voce sussurrò:

Tu mi ami, Mikami?

“Certo che vi amo, mio Dio!” rispose Teru preso alla sprovvista, passando le braccia attorno a quella gamba amica, e annaspando tra le grinze dei calzoni con una tenerezza trasognata e riverente.

E allora perché mi hai tradito?

Mikami spalancò gli occhi, che ad un tratto si riempirono di dolore e sdegno: “Io … tradirvi? Quando …? Mai! Mai, Dio!”

Ti sei sbagliato: guarda l’orologio: mancano ancora alcuni secondi. Quanto manca Mikami Teru?

Riprese Kira, quasi avendo dimenticato l’accusa lanciata poco prima al proprio servitore.

Mikami dal canto suo trasalì, come se si fosse improvvisamente ricordato di una necessità impellente: “37 … 38 … 39 …” sussurrò adocchiando l’orologio da polso.

“ … 40!”

Mikami alzò lo sguardo, bramoso delle lusinghe che Kira gli avrebbe riservato per il suo ottimo lavoro; ma ciò che vide non fu il volto bello ed altero di Light Yagami: un enorme pupazzetto da dita, dall’alto dei suoi tratti gonfi e grotteschi, traballava nel punto nel quale fino ad un attimo prima v’era Dio.

Un istante dopo, Teru Mikami si trovava circondato: una marea di fantocci di polistirolo incombevano su di lui, minacciandolo ogni istante di cadergli addosso.

L’uomo emise un urlo straziato, si rannicchiò a terra cacciando la testa sotto le braccia nel tentativo di proteggersi da uno di questi – un pupazzo albino con gli occhi spenti – che stava crollando su di lui.

Ma non sentì il colpo; solo una mano delicata che si posava sul suo cranio ora rasato, e una pioggia densa e leggera.

Va tutto bene.

“Oh, Dio!” esclamò rincuorato, sbirciando quel volto tanto amato tra le dita tremanti.

Chi è quest’uomo? Non lo conosco.

Disse la voce, rivolta ad un interlocutore che Mikami non poteva vedere.

“Come chi sono?!” gemette Teru con una vocina disperata “Sono Teru Mikami, Dio!”

Non ti conosco.

“C … cosa?”

Davvero, non ti ho mai visto prima d’ora.

Mikami scoppiò a piangere, scrollò il capo e si morse il labbro fino a farlo sanguinare.

Mi dispiace.

No, non era lui a sanguinare. Non se n’era ancora reso conto, ma le gocce che aveva scambiato per pioggia non erano fatte d’acqua.

Col volto deformato dalla disperazione e lordato di sangue, volse apertamente lo sguardo a Kira: con stupore vide che il liquido stillava giù dal suo braccio ferito, visibilmente disarticolato da uno sparo.

Attento, ragazzo … l’acqua è profonda!

Mikami lo guardò sorpreso tra il sangue e le lacrime, poi, abbassando gli occhi, si rese conto di star affondando sempre più in una pozzanghera profonda all’apparenza solo pochi centimetri: ne era ora immerso sino alla cintola, e per quanto furiosamente agitasse le gambe non riusciva ad uscirne.

“Dio! Dio! Non abbandonatemi così!” latrò in preda alla disperazione, vedendo che Kira si era voltato e ora – con le mani nelle tasche e un'espressione distesa – si stava allontanando verso una luce accecante.

Sto ascendendo al cielo, Mikami. Sono Dio dopotutto! Perché non mi segui?

 

***

“Near, Mikami è stato trovato morto in carcere due ore fa.” disse Roger, consegnando al detective un fax.

“E come?”

“Si è suicidato.”

“In che modo?” chiese Near senza abbandonare né il suo puzzle bianco, né la barretta di cioccolato che stava rosicchiando.

“Ha usato una penna stilografica per pugnalarsi al petto. E’ morto dissanguato.”

“Ah.”

“Certo che …” insinuò il secondo Watari guardando il suo protetto con espressione sorniona “ … certo che ci vuole una bella fantasia.”

“Già.”

“A te non ne è mai mancata, o sbaglio?

 Near non rispose.

  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: LadyVale94