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Autore: rosy03    04/05/2019    4 recensioni
*Seconda Classificata al contest “Venti cartelle per un contest” indetto da Ghostmaker sul forum di EFP*
*Storia partecipante al contest "Il mio Babbo Natale Segreto" indetto da Claire roxy sul forum di EFP*
|| • Jacklyn sa di essere una persona disastrata, ma non è neanche lontanamente stupida e questo David Blackwood pare proprio non capirlo. Quando i loro genitori vengono invitati come coppia al matrimonio di una vecchia amica del padre di lei, Jacklyn è costretta a parteciparvi, ovviamente.
Ma mai avrebbe sospettato di un 'complotto' così ben ardito da parte di alcuni Cretini che, nonostante tutto, in fondo le volevano davvero bene... per questo successe quello che successe.
E Jackie non poté che... prenderla con filosofia... più o meno.

• || Storia revisionata il 15/12/20 ||
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'JACK'
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La Paranoica e Lo Stronzo
 


 
«La prima volta che ti ho vista...»
«Mh?»
«Neanche mia nonna si veste in quel modo ridicolo.» 
 
 


 
 
Jacklyn si guardava attorno con un cipiglio che era un amore guardarla. Suo fratello Samuel aveva deciso di starle strategicamente lontano perché era ancora troppo giovane per morire e anche perché, a differenza di Ashton che non aveva recepito con altrettanta arguzia il messaggio, lui era intelligente.
Per l’appunto e senza alcun preavviso, il maggiore dei tre quasi le si lanciò addosso circondandole le spalle con il braccio, un’espressione gioiosa in volto, roba che avrebbe potuto farla vomitare.
«Ehilà!» esclamò e quasi la mandava a faccia in terra, già che c’era poteva direttamente gettarla nella meravigliosa fontana davanti alla quale erano appena passati. «Qui c’è davvero un sacco di gente!»
Lei lo guardò, un’espressione indecifrabile. «È un matrimonio.»
«Britney ama questo genere di cose.»
«Già» disse soltanto, mogia.
Ashton ridacchiò ma non aggiunse altro. Si limitò a osservare il resto degli invitati, trattenendo a stento le risate: c’era chi a stento riusciva a tenere a bada i propri pargoli, chi minacciava di metter via i tacchi e andarsene in giro in ciabatte e chi, beati loro, avevano trovato il modo di aggirare il cameriere messo a mo’ di palo davanti al buffet riuscendo a rubare qualche tartina.
La sala che Britney aveva scelto per il ricevimento era immensa, aveva le pareti d’avorio e grandi quadri rinascimentali ad abbellirle. C’erano poi piante, fiocchi, dal soffitto pendeva un lucente lampadario di cristallo e dalle vetrate era possibile ammirare il romantico roseto che circondava l’intera struttura. Sembrava l’ambientazione perfetta per un romanzo fiabesco del Rinascimento europeo. E a Jacklyn non piaceva neanche un po’.
Era tutta intenta a osservare con malcelato sadismo un bambino che cercava di arrampicarsi su una pianta d’edera facendo venire un colpo a sua madre, quando sentì la voce di suo fratello giungerle all’orecchio.
La indicò col mento e disse: «Ti sta bene.»
Jacklyn inarcò le sopracciglia, come se avesse detto la più grande boiata del secolo e scosse la testa. Quell’abito smanicato di pizzo verde non era neanche suo, ma di Stephanie. E Riley si era più che divertita ad aggiustarlo sulla lunghezza, ad abbinarci i giusti accessori, le giuste scarpe... si era persino svegliata alle cinque del mattino per sistemarle i capelli.
«Dico sul serio, ti sta bene.»
Gli angoli della bocca guizzarono vero l’alto ma Jacklyn roteò gli occhi e storse il naso per evitare di farglielo notare, poi alzò lo sguardo su di lui. «Anche tu stai bene.»
Suo fratello ampliò il sorriso e si allontanò di qualche passo per fare una giravolta su se stesso, da vero pavone qual era. «Sono magnifico, altroché!»
Non poté che dargli ragione. Mentalmente.
Fino a qualche anno prima Jacklyn avrebbe dato un braccio pur di assomigliarli. Assomigliare alla mamma, avere i suoi brillanti capelli biondi, la sua pelle che d’estate diventava perfettamente bronzea nonostante si ostinasse a non usare la crema solare.
Al contrario, lei era una mozzarella ambulante, ragion per cui ogni minimo raggio solare poteva abbrustolirla come una bistecca sulla griglia.
Proprio mentre era impegnata a invidiarlo, si accorse di una figura a loro ben nota che camminava spedita nella loro direzione con un sorriso smagliante e una lucentezza negli occhi pari a quella di una divinità. Stephanie era bellissima e nessuno avrebbe potuto sostenere il contrario.
Si avvicinò ai due impalati davanti all’ingresso nel suo svolazzante vestitino dorato, un fermaglio tra i lunghi capelli marroni acconciati in uno chignon e con una generosa scollatura sul davanti.
Non aveva paura di mostrare i suoi punti forti. Jacklyn, al contrario, andava nascondendosi dentro felpe extralarge perché la comodità era la prima cosa.
«Alla fine ci sei venuta» cantilenò la nuova arrivata con un ghigno soddisfatto sulle labbra lucide. «Ti ha obbligata tuo padre?»
Jacklyn incrociò le braccia al petto con sdegno. «Mio padre non c’entra nulla. Sono stata io a cambiare idea.»
«E come mai?»
«L’ha ricattata» intervenne proprio Ashton che non appena si accorse di aver parlato ad alta voce pensò bene di sparire tanto velocemente com'era arrivato. «Vado a vede se il buffet è aperto» disse e corse il più lontano possibile dallo sguardo satanico di sua sorella.
«Comunque» iniziò a dire Stephanie, tirandole una gomitata dritta in un fianco e facendola gemere di dolore. «Lo sai? Non sei affatto male con quel vestito. Pensavo ti avrebbe fatto difetto sul seno e invece scopro che hai delle tette fantastiche! Dove nascondevi tutta quella roba, eh?»
«Piantala» sibilò.
Ma niente, quella continuò: «Non sei il mio tipo ma se lo fossi ci proverei spudoratamente con te, sappilo.»
Jacklyn decise quindi di ignorarla.
Avere a che fare con Stephanie poteva risultare estenuante dal suo punto di vista. Era simpatica, vivace, schietta, disinibita ed era la prima figlia della compagna di suo padre, il che la rendeva una figura impossibile da evitare.
Non che volesse evitarla. Almeno non sempre.
Erano l’una il contrario dell’altra: se Jacklyn faticava a relazionarsi con l’altro sesso, Stephanie poteva vantare una schiera di pretendenti e a nulla serviva specificare che quest’ultima fosse bisessuale, anzi, peggiorava le cose.
«Vado a cercare Sammy» disse Jacklyn a un certo punto.
Più che altro sperava di evitare una conversazione sconclusionata che terminava sempre con lei che faceva la figura della scema o con sempre lei che mandava tutti al diavolo perché Stephanie quando parlava non lo faceva mai a vanvera. Riusciva sempre a tastare i punti giusti e i suoi, di punti, erano già stati messi alla prova troppo a lungo per sperare di sopravvivere a un nuovo attacco.
Può sempre andare da suo fratello, sono così teneri quando bisticciano, pensò ironica.
«Tuo fratello è con i marmocchi della sua età, lascialo divertire.»
Dovette darle ragione. Non aveva senso andare a nascondersi dietro Samuel che di anni ne aveva dieci.
Sarebbe stato imbarazzante e basta.
«Mi sto annoiando.»
Stephanie scroccò un bicchiere di qualcosa dal vassoio di un cameriere che passava di lì senza farsi troppi problemi e, anzi, ammiccò pure. «Io no. C’è un tipo che ti fissa.»
«Uccidilo.»
Come se fosse la cosa più normale del mondo, Stephanie allontanò il bicchiere dalle labbra tinte e alzò la voce per farsi sentire dal suddetto: «Mi spiace, amore, ma è la mia amante!»
Jacklyn alzò gli occhi al cielo ma non aggiunse altro, dopodiché rimasero in silenzio per un po'.
«Ho due notizie» esclamò all'improvviso guardandola con quegli occhi enormi e ben truccati. «Una bella e una brutta.»
«Ti prego, non chiedermi quale voglio sentire prim-»
«Quale vuoi sentire prima?»
Assottigliò le labbra e ingoiò le imprecazioni. «La brutta» sibilò e poi si chiese perché diavolo le desse corda.
«L’antipasto è a base di sushi!»
In un attimo la faccia di Jacklyn cambiò e Stephanie si assicurò bene di stampare quell’espressione in un angolo della sua mente perché vederla così schifata era uno spettacolo.
«E la bella notizia?»
«Ho dato un'occhiata alla disposizione dei posti» cominciò a dire, arricciandosi una piccola ciocca di capelli sfuggiti dallo chignon e facendo una pausa per dare più enfasi a ciò che avrebbe rivelato da lì a qualche secondo. Non riuscì a trattenere un ghigno quanto meno satanico in volto e Jacklyn avrebbe dovuto sapere che quello non era niente di buono. «Sei seduta proprio di fronte a Dave.»
E rise, la pazza.
Ma porca miseria!


 
• • •


Durante tutto il pranzo si era sentita terribilmente a disagio e si era data della stupida subito dopo: perché doveva sentirsi Lei in quel modo quando era ovvio che a Lui la cosa non faceva né caldo né freddo?!
Certo che se non avesse avuto la sfiga di trovarselo seduto di fronte sarebbe stato molto meglio, almeno non l'avrebbe visto in faccia ogni qualvolta alzava la testa dal piatto. David, tra l'altro, non sembrava affatto toccato dalla cosa e si comportava come normalmente si sarebbe comportato, guardando chiunque dall'alto in basso.
Jacklyn avrebbe voluto strozzarlo ma poi avrebbe trasformato il matrimonio di quella pazza donna amica di suo padre in un funerale e non credeva l'avrebbe presa bene (Britney non prendeva mai bene niente che c’entrasse con la sua famiglia) e si cucì la bocca. Due volte.
Tra l'altro era nervosa.
Voleva stendere le gambe, okay?! Come avrebbe fatto a stenderle sotto il tavolo se rischiava di sfiorarlo?! Se l'avesse sfiorato se ne sarebbe accorto – si accorgeva sempre di tutto, Lui – ne conseguiva che avrebbe alzato gli occhi per guardarla. Lei non voleva essere guardata da lui.
Odiava il modo in cui la guardava, riusciva a farla incazzare.
«Jack» e infatti. «Smettila.»
Due parole, due singole parole e già i palmi delle mani pizzicavano per la voglia di mollargli un ceffone. Alzò la testa per guardarlo, trovando un paio d'occhi color ambra fissi nei suoi.
Occhi accusatori, ilari; doveva assolutamente smetterla.
«Di fare cosa?»
David mosse il mento indicandola con fare svogliato. «Stai facendo tremare tutto il tavolo.»
Allora Jacklyn si diede mentalmente della cretina, di nuovo, perché qualsiasi cosa facesse finiva sempre col fare una figura di merda davanti a lui e si sentì male quando distolse il sguardo dal suo per potersela ridere sotto i baffi.
Piantò il piede a terra con così tanta violenza che quasi temette di sentire l’eco del tacco contro il pavimento.
«Jackie, non lo finisci quello?» chiese a un certo punto Ashton, alla sua destra.
Rubò il filetto di salmone dal suo piatto senza aggiungere nient'altro e Samuel, seduto dalla parte opposta, ridacchiò allungando una forchetta per racimolare quello che la sorella non avrebbe mai mangiato.
A nulla valse il borbottio del padre che guardava i suoi tre figli come se fossero dei casi persi. «Pa'» fece il maggiore. «Senti un po', ma è vero che tu sei stato amico di Britney al liceo?»
Jacklyn si appuntò mentalmente di dargli un bel regalo una volta arrivati a casa.
Suo padre alzò le spalle. «Altrimenti non mi avrebbe invitato, che dici?»
«E avete frequentato la stessa università?»
«Sto ancora cercando di dimenticare.» borbottò, avendo bene in mente quell’eccentrica parentesi della sua vita.
In verità, Nigel non odiava Britney. Semplicemente non erano compatibili: lui era un pantofolaio, lei una matta fissata con lo shopping; eppure erano rimasti buoni amici.
Purtroppo però, il giorno in cui l’aveva messo al corrente dell’imminente matrimonio lo ricordava terribilmente bene.
Se l’era ritrovata in ufficio con una messa in piega perfetta e le mani fresche di manicure, aveva iniziato uno sproloquio e per diciassette minuti aveva dovuto sorbirsi i suoi strepiti perché quando Britney era felice a livelli stratosferici, Britney gridava.
E mentre le sue orecchie venivano martoriate dai suoi ultrasuoni, Nigel ponderava l’idea di gettarsi dalla finestra assieme ai documenti. Poi lo aveva pregato e minacciato di portare i suoi figli perché li adorava, in particolare il più giovane.
«Britney è pazza» sentenziò saggiamente Samuel. «L'ho vista ridere e piangere allo stesso tempo, non è normale
Sammy non si era mai fatto tanti problemi quando c’era da dire la sua.
Proprio in quel momento Britney raggiunse il tavolo per un saluto, nel suo elegantissimo e pomposissimo vestito bianco e i capelli biondi lasciati sciolti sulle spalle – solo perché le foto erano già state fatte. Senza degnare di uno sguardo gli altri si rivolse proprio a Sammy «Oh, ma che bello che sei! Sembri un vero ometto!»
Il bambino alzò il mento nella sua direzione, finse un sorriso di circostanza e continuò a rimpinzarsi.
«Caspita, Jackie, quel vestito ti sta da Dio!»
Lei si sentì soltanto sprofondare dalla vergogna, suo padre sembrò notarlo ma la chiacchiera impaziente di Britney lo costrinse a dirigere tutta la sua attenzione sulla sposa e per giunta David inchiodò gli occhi sulla sua esile figura.
Fortunatamente tornò a concentrarsi sul cibo qualche istante dopo e Jacklyn poté tirare un sospiro di sollievo.
È peggio di una tortura.
Nel mentre Lucinda, da brava mamma qual era, non se l’era sentita di tirare un piatto in testa al figlio ma sperava che almeno in quell’occasione quei due evitassero di scazzottarsi.
Quando sembrava che tutto stesse andando bene – Jacklyn aveva ripreso a respirare e mangiucchiava le sue aragoste con una quasi assente voglia di vivere – ecco che accadde.
David le lanciò un’occhiata divertita e senza alcun invito riprese il discorso lasciato in sospeso e, rivolgendosi al piccolo Samuel ma continuando a guardare lei, disse: «Anche tua sorella ride e piange contemporaneamente.»
Dopo quell'affermazione successe di tutto: partì un brindisi, suo fratello quasi si strozzò con il pesce e Jacklyn sbiancò.
«Come, prego?»
Stephanie si coprì la mano per non scoppiarle a ridere in faccia. «Dave, piantala.»
«L'altro giorno» cominciò a spiegare con lo stesso sorrisetto che aveva imparato a odiare nei mesi. «Hai lasciato quell'idiota e ti sei messa a piangere. Poi hai cominciato a ridere. E piangevi e ridevi, sembravi posseduta dal Demonio.»
«E tu questo lo sai perché...?»
«Stavo cercando i cracker. Non so se hai notato ma viviamo nella stessa casa. Se non vuoi essere ascoltata per sbaglio rintanati in camera tua, no?»
Avrebbe voluto dire tante cose ma la voce non usciva.
Stephanie, senza farsi vedere da nessuno, infilò la mano sotto il tavolo e diede un pizzicotto sul ginocchio del fratellino come per intimargli di smetterla, dopotutto erano a un matrimonio di amici e non potevano mettersi a organizzare un incontro di judo solo perché i Cretini avevano tempo e salute da sprecare.
Lui, di tutta risposta e in maniera molto matura, la ignorò. Perché lui è superiore.
«Ragazzi, io vado al bagno» intervenne Nigel, spezzando con la sua sola voce l’atmosfera di tensione che si era creata.
Si alzò, guardò sua figlia, David e infine di nuovo sua figlia con un'espressione indecifrabile. «Non uccidetevi» disse e se ne andò, mentre Lucinda continuava a confabulare con la sposa riguardo regali, tacchi scomodi, piselli e quant’altro.
Ashton sospirò abbandonandosi contro lo schienale della sedia. «Sarà una lunga giornata.»


• • • 
 

«È che mi fa incazzare.»
Dall'altra parte del cellulare c’era silenzio, l’unico rumore che Jacklyn poteva sentire era quello del condizionatore acceso. Il dubbio che non la stesse neanche ascoltando la fece strillare.
«Alec?!»
«Eh?»
«Ma mi stai ascoltando?!»
Quello biascicò un «Non proprio» e Jacklyn trattenne l’impulso di togliersi le scarpe e lanciarle contro lo specchio che stava riflettendo la sua immagine più che sconvolta.
Si morse furiosamente il labbro e si aspettò di vederlo sanguinare da un momento all’altro, poi si ricordò con chi stesse parlando e decise di smetterla.
C’era un motivo se l’aveva chiamato.
«Tu sai come farlo smettere. Fallo.»
Lo sentì sbuffare. «Sono a trecento chilometri di distanza da dove vi trovate, Jackie, non posso fare niente. Ignoralo.»
«Lo sto facendo! È lui che non mi lascia in pace!» esclamò, oltremodo furiosa.
«Stai diventando pesante» asserì.
Jacklyn trattenne gli insulti a stento perché trattarlo male non era un’opzione: era da lui che scappava ogni volta che David la trattava di merda, era a lui che chiedeva consiglio, era il suo migliore amico!
Alec era fatto così.
«Come fai a sopportarlo?»
Lui rise dall’altro capo del telefono. «Dove sei adesso?»
«In bagno.»
«Ti sei nascosta in bagno?»
Jacklyn avrebbe tanto voluto negare ma il suo sguardo cadde sul suo riflesso e allora capì di essere decisamente fottuta: era rossa in viso e aveva un’espressione che avrebbe fatto ridere i polli.
Allora confermò la tesi del suo migliore amico e biascicò: «Mi ha fatta incazzare.»
«E ogni volta che ti incazzi scappi in bagno?»
«Non ci sarei neanche venuta se mio padre non avesse così insistito» si lamentò.
Ci fu qualche attimo di silenzio, tant'è che Jacklyn pensò si fosse addormentato e che l’avesse lasciata a parlare da sola.
«Senti, Jackie» iniziò a dire e lei tirò un sospiro di sollievo. «Puoi lamentarti quanto ti pare ma non lo farai scomparire magicamente dalla tua vita solo perché non ti piace, per cui piantala con questi piagnistei.»
Lei tentò di dire qualcosa ma Alec continuò: «Tuo padre e sua madre stanno insieme, punto, e non importa quante volte vi azzuffiate, non cambieranno idea. L'unica cosa che puoi fare è prenderla con filosofia.»
«Sì ma-»
«Niente ma. Ho ragione io.» ridacchiò. «E ora scusami ma devo fare una telefonata importante.»
Jacklyn era allibita.
Migliore amico o no, l'avrebbe strozzato.


 
• • • 

 
Il fatto che sua sorella fosse bisessuale non gli aveva mai creato problemi: gli andava bene fintanto che non incappava in scenette ambigue perché okay, i maschi poteva prenderli a pugni se facevano qualcosa di sbagliato ma le femmine? Lui non era tanto bravo ad averci a che fare.
Ad ogni modo Stephanie non era certo il tipo da porsi troppi problemi, a differenza di qualcuno.
Come riuscisse a essere insopportabile anche quando stava zitta era un mistero ed era da giorni che non dormiva bene, tutto per colpa sua. Di Jacklyn, ovviamente.
A lui non piaceva il modo che aveva di comportarsi. Affatto.
Era ansiosa, le tremavano le mani ogni volta che finivano per battibeccare e odiava quel suo stupido tic come odiava avere qualcuno che puntualmente si intrometteva nelle sue cose.
Quando era nervosa, ovverosia sempre, Jacklyn pestava il piede a terra a un ritmo snervante. Stephanie trovava tutto ciò divertente.
Lei adorava Jacklyn. Passavano notti intere a parlare di Dio solo sapeva cosa e ben conoscendo la mente diabolica di sua sorella più e più volte aveva pensato stessero architettando qualcosa ai suoi danni. Perché Stephanie non era solo matta, ma una matta con un senso dell’umorismo tutto particolare.
Lui, però, non era stupido: quando la vide corrergli incontro come se avesse una mandria di gnu incazzati alle calcagna, David pensò bene di girare i tacchi e scappare, confondendosi tra la folla.
Ma Stephanie lo acchiappò per la camicia, lo strattonò con la delicatezza di un ippopotamo e lo trascinò lontano dalla sala, in un corridoio che sembrava infinito.
Capì che le cose stavano prendendo una piega alquanto fastidiosa quando si fermarono davanti a una porta con su scritto: “GUASTO”.
«Ti assicuro che dopo mi ringrazierai» disse, assolutamente convinta. «Su, entra!»
«Che cosa stai facendo, Steph?»
Lei sorrise. «Io? Assolutamente niente, fratellino. Ora tu entri e chiarite. Non so cosa abbiate da chiarire ma fatelo, possibilmente senza pestarvi o giuro che la prossima volta che mi chiedi un favore non solo ti mando a quel paese ma ti faccio pure la ceretta in posti che tu neanche puoi immaginare! E stai sicuro che non sarò io quella imbarazzata. Ti ho cambiato i pannolini innumerevoli volte, so com’è fatto il tuo pene.»
Avrebbe voluto vomitare, ma lei non gliene diede il tempo perché lo spintonò in quella stanza chiudendogli la porta alle spalle con un sonoro tonfo. Poi sentì la chiave girare nella toppa, vide la persona che fino a qualche istante prima se ne stava bellamente in piedi davanti allo specchio e che ora lo fissava sbalordita; e David si sentì morire.
«Buona fortuna!» esclamò Stephanie, per poi gongolare via.
Lui non sembrava particolarmente allibito ma lo era. Di tutt'altro avviso era Jacklyn che, tra le altre cose, era davvero esilarante da guardare: gli occhi a palla, rossa come un pomodoro, le braccia abbandonate lungo i fianchi slanciati, la bocca letteralmente spalancata.
Riuscì soltanto a dire: «Chiudila o ci entreranno le mosche»
Lei sembrò sbloccarsi di colpo e tirò un pugno al lavandino.
«Ma porca la miseria...» si portò poi la mano alla bocca con l’intenzione di strapparsela a morsi. «Cosa cazzo ci fai qui?!»
Lui alzò le spalle e come al solito ignorò per puro amor proprio il suo linguaggio da scaricatore di porto. Non disse niente, soltanto si lasciò sfuggire un sorrisetto ilare quando Jacklyn si lamentò per essersi fatta male alla mano.

 
• • •

 
«Non parlare. Stai zitto.»
David la guardò come se fosse pazza. «Non ho detto una parola da dieci minuti, Jack.»
Sto respirando a dire il vero.
Picchiettava nervosamente il tacco contro il marmo del bagno, Jacklyn. Avevano cercato in tutti i modi di aprire quella benedetta porta ma era chiusa a chiave. Aveva pure provato a sfondarla, il maschio travestito, ma aveva avuto come risultato solo quello di farsi deridere da lui. Ancora.
«Stai zitto comunque» sibilò.
Eh sì, è veramente impazzita.
«Perché non chiami tuo fratello? Tuo padre? Qualcuno che ci venga a liberare?»
Jacklyn lo guardò malissimo. Se fosse stata un cane a quest’ora gli avrebbe già azzannato la gola. «Ci ho già provato undici volte. Non risponde nessuno.»
Dio che impressione.
«Ti odio.»
David non fece segno di averla sentita.
«Ti ammazzerei» disse.
«Cosa ti frena?»
Jacklyn lo guardò con quei suoi occhietti color verde muschio, lo scrutò per oltre un paio di minuti senza proferire parola ma poi si limitò a dire la prima cosa che le venne in mente, da vera stupida: «Non voglio sporcarmi il vestito.»
Lui inevitabilmente, ghignò. «Paura?»
«Di cosa?» ribatté prontamente.
Gli occhi di David saettarono verso di lei. «Di perdere.»
«Indosso dei tacchi» iniziò a dire sbuffando. «Se proprio vuoi fare a botte aspetta che torniamo a casa, mi cambio e ti concio per le feste.»
Allora successe una cosa strana: David scoppiò a ridere e Jacklyn riuscì a stento a trattenere un lamento di indignazione.
Lui non rideva spesso, non lo faceva mai senza un buon motivo. Le uniche volte che l’aveva sentito ridere così di gusto coincidevano con le volte in cui rideva di lei, quando iniziava a sfotterla o quando si sentiva in dovere di rendere partecipe il mondo intero di una stupidaggine da lei pronunciata con una grossa e sonora risata.
«Smettila» disse, stringendo i denti. Lui la ignoro bellamente. «Piantala, David!»
Si zittì solo per ghignare in maniera oscena. «Adesso mi chiami per nome?»
«Vai a farti fottere.»
«Solitamente mi chiami per cognome o per insulti. Gran passo avanti, complimenti Jack.»
«Tu invece dovresti imparare a chiamare le persone con il proprio nome» lo rimbeccò, incrociando le braccia.
Lui alzò un sopracciglio. «E io che ho detto?»
Voglio ucciderlo. Assolutamente, voglio ucciderlo!
Jacklyn aveva imparato a odiarlo sin dalla prima volta che l'aveva visto tra i corridoi della scuola, aveva passato gran parte del tempo a evitare il suo sguardo altezzoso e poi scopriva che avrebbe dovuto avercelo in casa ventiquattro ore su ventiquattro.
Era stato allora che si era resa conto che quel ragazzo era stato generato per snervarla.
Ricordava perfettamente quando era entrato nel bagno mentre lei stava facendo la doccia, l’unica cosa che si era premurato di dirle era stata una battuta infelice sul suo sedere e poi, al piano di sotto aveva ripreso il discorso con voce annoiata: «Non lo credevo possibile ma a quanto pare sei davvero una femmina, nonostante l’animo da camionista depresso» e lei non ci aveva più visto.
Gli era saltata addosso, i pugni stretti e gli occhi da pazza.
Da lì erano iniziate le liti. Sempre meno frequenti quando i loro genitori erano nei paraggi ma a volte capitava che se le dessero di santa ragione e a lui poco sembrava importare che stesse letteralmente picchiando una ragazza.
Per lui non era neanche una femmina a dirla tutta.
«Invece di prendertela con me hai provato a chiamare qualcuno?»
«Ho lasciato il cellulare sul tavolo.»
Jacklyn sbuffò inviperita e cominciò a camminare avanti e indietro mentre David se ne stava appoggiato con la schiena contro il muro, a fissarla. Avanti e indietro. Avanti e indietro.
«Se non la smetti te le butto quelle scarpe.»
Jacklyn lo ignorò e continuò a fare avanti e indietro.


 
• • • 
 
 
Ashton voleva davvero bene alla sua famiglia.
Sarebbe morto per Jacklyn, avrebbe spaccato le ossa a chiunque avesse intenzione di fare del male a lei o a Sammy. Vantava uno stoicismo secondo solo a quello di suo padre, niente sembrava scalfirlo – il che era un ossimoro perché Ashton era cerebralmente idiota e impazziva quando adocchiava una qualsiasi mano sul sedere di sua sorella.
Era un ragazzo serio. Praticamente un uomo: aveva ventuno anni, mica cinque!
Eppure, proprio non riusciva a crederci.
Quando David era venuto da lui, cinque giorni prima, Ashton avrebbe voluto strangolarlo. Gliel’aveva confessato.
Gli aveva confessato quella dannata cosa e più ci pensava più rischiava che il cuore gli si fermasse da un momento all’altro.
Che Idiota!
Comunque si era premurato di ingoiare la faccenda e fare come se niente fosse accaduto; era dannatamente bravo in questo. Non poteva intromettersi, non doveva intromettersi in quell’assurda relazione/competizione, altrimenti sarebbe stata Jacklyn a inchiodarlo a una parete.
Perché? Perché la Signorina si vergognava a essere difesa dal proprio fratello quando riusciva a mettere KO chiunque con una mossa di judo. E anche perché altrimenti avrebbe dovuto vedersela con Stephanie.
Ecco. Quello voleva evitarlo.
Stephanie non era una persona normale. Lei appariva dal nulla e incasinava le cose, le disfaceva e le ricomponeva come Sua Signoria comandava e preferiva.
Tornò dal bagno proprio in quel momento, tutta trafelata. «Ehilà!»
«Ehi» rispose, più che altro per educazione.
Non sapeva che dire, cos'altro poteva dire?, a parte: «Tutto ok?»
«Mh? Sì sì.»
Era una situazione strana, impossibile negarlo. Quell’atmosfera non era normale, Stephanie stava nascondendo qualcosa e Ashton ebbe il sincero timore che centrassero i due Imbecilli.
Si guardò intorno e non vide né sua sorella né Blackwood Junior; a quel punto si impensierì davvero. «Dov'è il tuo fratellino scassaballe?»
Stephanie alzò le spalle. «Ah boh!»
Oh no. Oh. No.
«E Jacklyn? L'hai vista?»
«In bagno» disse e ridacchiò.
Ashton la guardò circospetto. «Perché ridacchi?»
«Non sto ridacchiando.»
Storse il naso, gli era venuto il mal di stomaco. «Oh, che stai ridacchiando!» esclamò, con una certa urgenza nella voce.
Lei alzò gli occhi al cielo e cominciò a giocherellare con il suo anello, cosa che non sfuggì ad Ashton che sgranò gli occhi quasi fino a farli uscire dalle orbite. «Non avrai...?»
Stephanie fece la finta tonta. «Mh?»
«Oddio, dimmi che non stanno...»
«Non penso faranno sesso, è ancora troppo presto. Anche se conoscendo mio fratello e la tensione sessuale che si è creata tra quei due abbiamo ben poco da stare allegri. Lo dico perché Britney non prenderà bene che gli invitati facciano sesso nei bagni anziché festeggiare il suo gran giorno. È una donna egocentrica.»
Il cuore di Ashton perse uno, due, tre battiti, la vista gli si annebbiò e la gola si fece improvvisamente secca.
«Mio Dio» gracchiò, impaurito. E le puntò il dito contro, corrucciando le sopracciglia e alzando la voce di qualche ottava. «Non dire mai più una cosa del genere in mia presenza!»
Stephanie ghignò malvagiamente.
«Cosa? Tanto lo sai anche tu che prima o poi faranno sesso. Ti imbarazza la parola 'sesso'?»
«Ti prego
Stephanie ridacchiò ancora dondolandosi sulla sedia.


 
 • •  
 

«Perché hai detto quelle cose a Mark?»
Era stata lei a rompere quel silenzio tanto assordante.
David dischiuse le palpebre e la guardò solo per poter vedere la sua espressione: era arrabbiata, sì, ma anche sconsolata.
«Gli ho detto semplicemente la verità.»
Jacklyn sorrise ma era un sorriso tirato, non sapeva neanche lei cosa pensare o cosa provare davanti a quella faccia da schiaffi. Sapeva soltanto che era tutta colpa sua se tra lei e Mark era tutto finito.
Tutto quanto.
«Gli hai implicitamente consigliato di lasciarmi!» disse.
«Tu hai lasciato lui, o sbaglio?»
Serrò le labbra in una linea sottile prima di ritrovare il fiato e il coraggio per rispondergli. «Non sbagli» sussurrò, poi aggiunse: «Ma gli hai comunque detto quelle cose orribili. Perché?»
«Gli ho detto la verità, comunque
Jacklyn boccheggiò senza trovare qualcosa di sensato da dire o da tirargli in testa. Era incredula? .
«Quello lì pensava di poterti dire cosa fare della tua vita, cosa è meglio per te e tu cosa facevi? Niente. Credevi di avere il controllo della situazione ma ti sei sbagliata, come sempre» ribatté a muso duro. «Non sei mai stata un asso nelle relazioni di coppia, Jack.»
«Non erano comunque affari tuoi!» esclamò, irritata.
Successe qualcosa, in quell’istante.
Litigavano spesso loro due ma nonostante questo Jacklyn non l’aveva mai visto davvero arrabbiato, neanche quando gli aveva più e più volte rotto l’anima per una stupidata.
La raggiuse a grandi falcate e la intrappolò contro il lavabo, fissando gli occhi dorati nei suoi.
«Sai qual è il tuo problema, Jack? Sei insopportabile e viziata. Sei paranoica a livello patologico, sei una maniaca del controllo e ti incazzi se una fottuta cosa della tua vita non va come dovrebbe andare. Sei una pazza che sclera per ogni minima cosa!» sbottò.
Jacklyn avrebbe voluto rispondergli a tono. Avrebbe voluto dargli una testata e mandarlo al diavolo ma la cosa che più le faceva male era sentire la voce della sua coscienza gridare inascoltata che lo Stronzo aveva fottutamente ragione.
«Sei incasinata, isterica a violenta. Ti arrabbi perché ti guardo! Non ti lasci toccare da nessuno che non siano i tuoi fratelli o tuo padre! Ti fai mille problemi per una stronzata e ti senti in colpa sempre, ogni secondo della tua vita e per qualsiasi cosa! Persino adesso, ti senti responsabile per quel coglione ma devi capire, Jack, che la sua, la nostra vita non ruota attorno a te. Mark sta bene dove sta e tu stai bene dove stai adesso, perché meglio sola che con qualcuno che non ti comprende davvero!» esclamò, tutto d’un fiato.
Jacklyn si morse l’interno della guancia, incapace di parlare.
«Dici che non sono affari miei ma...» si fermò, David. Tirò un lungo sospiro senza staccare gli occhi dai suoi e continuo: «Sei la figlia di Nigel, l’uomo che mia madre ha scelto e non posso farci niente.»


 
 • •  

 
Quando aveva conosciuto Lucinda, non si sarebbe mai immaginato tutto il casino che ne sarebbe successo. Tornò al tavolo con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco e una volta sedutosi, capì che qualcosa era andato storto.
«Dove sono?» chiese, circospetto.
Stephanie e Ashton si guardarono in silenzio, mentre Nigel faceva alternare gli occhi dall'una all'altro, poi sospirò e pregò i Santi che non fosse accaduto quel che pensava potesse essere accaduto altrimenti Britney sarebbe implosa. «Riformulo: dove avete spedito Jackie e David?»
«Colpa sua!» esclamarono entrambi indicandosi a vicenda.
Mentre Ashton se la prese a morte per questa cosa (lui non c’entrava niente, dannazione!), Stephanie alzò gli occhi al cielo con fare melodrammatico. «Non ti preoccupare, sono vivi e vegeti. Ben presto la smetteranno di comportarsi come dei ragazzini!»
Nigel non ne era così tanto sicuro. «Se mia figlia torna con un altro occhio nero scordati che ti presti il mio arco.»
Stephanie spalancò la bocca, oltraggiata.
 

 
• •  
 

«Hai perso la lingua?»
Jacklyn deglutì a vuoto mentre lui la fissava dritto negli occhi, come un lupo. Un lupo incazzato e che sapeva di essere nel giusto.
Questo non poteva sopportare.
Inarcò la schiena all’indietro per mettere una certa distanza tra loro e si sforzò di non lasciarsi sfuggire un gemito quando il bordo spigoloso del lavandino le perforò il fondoschiena.
«Cosa vuoi che ti dica?» chiese, con il cuore che batteva a mille per la vergogna, per la rabbia, per... tutto e lui aveva dannatamente ragione. «Cosa dovrei dirti? Vuoi che ti dia ragione? O-Okay! Sono insopportabile, sono paranoica, sono incazzata e , avere i tuoi occhi addosso mi fa innervosire! Va bene? Sono incasinata e complessata, faccio schifo!» esclamò. «Perché sono una stronza che crede di sapere sempre tutto! M-Ma che ci posso fare io?!»
«Potresti non-»
Ma lei lo interruppe, gridando: «Ma vaffanculo!»
A un certo punto Jacklyn abbassò lo sguardo e mal trattenne un singhiozzo che la fece sobbalzare.
Oh no. Oh no, ti prego, no.
Le alzò il mento con una delicatezza non sua e fu allora che notò gli occhi liquidi, il rossore eccessivo sulle guance e sulle orecchie.
Impercettibilmente le si avvicinò con fare minaccioso. «Non ti azzardare a piangere» disse.
«C-Che?»
Jacklyn aveva le lacrime agli occhi, cazzo!
«Non piangere. Mi fa impressione e lo detesto. Ti detesto. Se ti mettessi a piangere ti detesterei ancora di più.»
Se ci fosse stato Alec se ne sarebbe uscito con un: Ma che enorme stronzata, lo conosceva fin troppo bene.
«Non sto piangendo, sto... sto...» boccheggiò, alla ricerca di aria e di una scusa credibile. Poi una lacrima le sfuggì lungo la guancia e con uno schiaffo lo costrinse a mollare la presa. «Ma tu chi diavolo ti credi di essere?! Sei uno stronzo, non credere di essere tanto migliore di me!»
Aveva preso a strillare. Brutto segno.
«È vero che io sono paranoica ma tu? Sei un odioso menefreghista, ecco cosa sei! Non ti interessa niente, te ne stai sempre per i fatti tuoi e tratti chiunque con superiorità! E l'unica volta che cambi espressione è per sfottere gli altri, o meglio, per sfottere me
Ormai era un fiume in piena.
Aveva pure iniziato a smollargli la camicia, tirandogliela all’altezza dei gomiti e sembrava aver smesso di respirare. Vomitava insulti e contemporaneamente piangeva.
Urlava e piangeva.
«I-Imbecille, stupido idiota che pretende di avere sempre ragione! Non puoi arrabbiarti s-solo perché... e Mark? Tu credi che non sia colpa mia? L’ho lasciato per... per... tu sei un maledetto stronzo!»
E sarebbe andata avanti per ore ed ore ed ore... all’infinito, senza neanche arrivare al nocciolo della questione. Fu David stesso a mettere fine a quell’agonia straziante.
Le loro labbra si scontrarono violentemente e prima ancora di poter dire qualsiasi cosa, la lingua di David aveva già iniziato a spingere contro la sua bocca. La mente le si annebbiò.
 

 
• •  

 
Suo padre e Lucinda chiacchieravano con alcuni invitati al matrimonio, mentre Stephanie aveva adocchiato qualcuno di interessante ed era scomparsa dalla circolazione.
Ashton non sapeva che fare. Si stava annoiando.
E il tavolo era immerso nel silenzio fino a quando Samuel non attirò la sua attenzione.
«Ma quindi a David piace Jackie?»
Rischiò seriamente di strozzarsi con il vino. «Chi te lo ha detto?! E comunque no! Nella maniera più assoluta! No!»
Samuel lo guardò come fosse il peggiore bugiardo della storia. «Guarda che vi ho sentiti, l'altro giorno.»
«A cosa ti riferisci?»
L'altro sospirò affranto. Affranto! «Non sono mica scemo, eh. Dave guarda sempre Jackie. La fissa in maniera strana, un po' come fai tu con Madison, solo con un po’ più d’insistenza, e a proposito salutamela quando vai a trovarla» disse, poi bevve un sorso d'acqua minerale e continuò: «Comunque ne ho avuto conferma quando ti ho sentito strillare.»
Ashton corrucciò le sopracciglia. «E questo che c’entra, scusa?»
L'altro lo guardò con compassione. Con compassione! « Dicevi che nessuno, neanche lui, avrebbe potuto mettere le mani su Jackie e passarla liscia!»

 
«Quella pazza di tua sorella parla troppo»
«E tu tappale la bocca, no?»
«Mh-mh, con cosa?» disse e gli lanciò un’occhiata.
Un’occhiata che Ashton aveva capito fin troppo bene.


 
• •  
 

Dopo un iniziale stordimento e un’improvvisa perdita di equilibrio che l’aveva costretta a reggersi a lui per non scivolare a terra come una povera idiota, Jacklyn lo assecondò.
Cominciò a muovere le labbra sulle sue, allargò inavvertitamente le ginocchia e stranamente le piacque sentirlo gemere dopo avergli morso leggermente la lingua, troppo veloce e troppo audace per i suoi gusti. Non le importava più che fosse uno stronzo.
D’un tratto le parve di vedere le cose in modo chiaro nonostante in quel momento tutto sembrava tranne che lucida. Sentì la sua mano infilarsi sotto la gonna e l’altra salire fino a posarsi sulla sua nuca, spingendola sempre di più contro il suo viso.
E avrebbe continuato. Avrebbero continuato entrambi fino a giungere la via del non ritorno ma contrariamente a quel che pensava fu proprio David a fermarsi.
Si staccò per riprendere fiato e Jacklyn, con la testa che girava, appoggiò la fronte contro la sua e prese a fissarlo come fosse un alieno. Forse si sentiva anche lei un’aliena.
Almeno ha smesso di piangere.
Poi Jacklyn sembrò rendersi conto di tutto e come se si fosse scottata, scostò il viso.
«T-Tu...t-tu...?»
«Sì» disse annuendo.
La voce le si strozzò in gola, deglutì e arrossì di botto, tutto insieme, la cosa era abbastanza divertente. «Tu... p-perché?!» berciò.
«Jack, per l'amor del cielo, 
Lei scosse la testa. «Non ci credo.»
«Credici» disse, leggermente spazientito.
Lei boccheggiò per altri interminabili secondi. «P-Perché...?»
Prima di dire qualsiasi cosa si umettò le labbra, ridendo interiormente quando la beccò a fissare proprio quel punto della sua faccia. «Ti interessa davvero?» chiese, vedendola poco dopo annuire.
«Certo che voglio saperlo. Sei... sei completamente impazzito? T-Tu non puoi... non puoi venire qui e baciarmi quando ti pare!»
Al diavolo il buonsenso.
«Se stai zitta un altro po’ te lo dico.»


 
 • •  

 
«I matrimoni sono una cosa fantastica!»
Stephanie era su di giri e la cosa inquietava non poco tutti quanti.
Gli sposi avevano concesso loro di potersene andare dopo una cerimonia durata fin troppo e c’era chi, come Steph, aveva ancora le energie per elargire al mondo il suo innato buonumore.
Al contrario degli altri, ovviamente.
Nigel e Lucinda avevano capito che qualcosa era successo.
Lei aveva chiamato a rapporto suo figlio mentre lui si era limitato a squadrare la sua dalla testa ai piedi. Finse di non notare l'eccessivo gonfiore delle labbra, finse di non notare lo chignon disfatto, l’orecchino sinistro piegato di lato e il succhiotto – oddio, non voleva neanche pensarci! – dietro l'orecchio.
Lui che l’aveva presa bene: aveva ingoiato il rospo e si era trattenuto dal fare commenti poco appropriati. Il suo non tanto degno erede, al contrario... sembrava gli avessero ucciso il gatto.
Durante tutto il tragitto verso casa si era piazzato vicino alla sua sorellina e non aveva detto una parola, semplicemente le aveva fatto intendere senza troppi giri di parole che in caso di bisogno lui era libero per qualche scazzottata. Gelosia fraterna, , commovente.
Jacklyn non sapeva sul serio cosa pensare.
«Lo verranno a sapere prima o poi.»
David sospirò esausto. «Lo sanno già tutti quanti.»
«Lo sospettavo ma...»
«Piuttosto, com’è che hai accettato la cosa così di buon grado? Solitamente mi avresti prima riempito di pugni e poi ti saresti fritta il cervello a furia di pensare.»
Jacklyn sospirò, indispettita. «Non sono affari tuoi!»
E se ne andò in camera sua come una vera codarda.
Non avrebbe mai e poi mai ammesso di averlo aspettato per tutto quel tempo. Era difficile da ammettere persino con se stessa.
Le dispiaceva per Mark ma non era mai stata sincera nemmeno con lui: gliel’aveva chiesto, le aveva chiesto se fosse realmente innamorata di David e lei gli aveva risposto di no. Che bugiarda.
Dopotutto, come avrebbe potuto non innamorarsene?
Era sempre lì. La sbeffeggiava, la sfotteva e la prendeva in giro. Le diceva le cose in faccia, le faceva capire che quello che stava facendo e pensando era sbagliato.
Glielo faceva capire nel modo più contorto e strano possibile, trattandola male e sfidandola a fare di meglio... l’Imbecille. Doveva avere anche lei qualcosa che non andava, visto che ci era caduta comunque.



 

 
«Avevi un maglione extra large su un jeans probabilmente da uomo.»
«Erano di mio fratello.»
«L’avevo capito, stupida.»
«Volevi dirmi solo questo?»
«Mi hai dato dello schizzato.»
«Me lo ricordo.»
«Ma la vera schizzata sei tu.»
«Non è vero!»
«Invece sì.»
«Invece no.»
«Invece sì.»
«Dobbiamo continuare all’infinito?»
«Sì!»
«Ti odio.»
«Io pure.»
«E ti amo.»
«Io pure... mi amo.»
«...»
 












#Rosy:
Storia revisionata per la seconda volta *^* oddio, non posso credere di aver rimesso mano a questa storia, a quasi un anno di distanza! (15/12/20) Jackie mi è mancata, devo ammetterlo... COMUNQUE lei e la sua improponibile famiglia torneranno, che lo vogliate o meno ^^
Alla prossima!

 
  
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