Autore:
memi
Titolo:
Can I have a tissue?
Canzone
scelta: When you say nothing at all di Ronan Keating
Personaggi e Pairing:
Naruto Uzumaki. Hinata Hyuga. Konohamaru, Udon e Moegi. Un po’ tutti. NaruHina. SasuSaku. Accenni lievissimi a KibaHina
e KibaIno.
Genere:
Romantico. Commedia. Song-fic.
Rating:
verde.
Avvertimenti:
Alternative Universe.
Introduzione:
Sospirò, trasognata, e rimase in quella posizione per un lungo momento prima di
tornare al suo libro. Era appena arrivata ad un punto di svolta nella storia
quando, come non molto tempo addietro, un’ombra le si parò dinanzi, catturando
così la sua attenzione. Guardò in alto e il cuore, ancora una volta, le si
fermò nel petto davanti a due scintillanti occhi di un azzurro fuorviante.
Lui
era lì, con un sorriso alle labbra e il volto impiastricciato di cioccolata.
“Posso
avere un fazzoletto?”
Note dell’autore:
l’intera fanfiction si vuole concentrare sul rapporto particolare tra Naruto ed
Hinata, soffermandosi in particolare sull’effetto che l’entrare nelle reciproche
vite ha apportato all’altro. Per la scelta dell’ambientazione, mi sono riferita
al video e al film portavoce della canzone, limitando così l’intera storia ad
un unico background. Per la scelta del titolo, il ‘movente’ è un’esperienza
personale, a dire il vero, e di conseguenza chi è alla ricerca di congruenze
con Notting
Hill, non credo ne troverà poi molte,
escluso il parco e la panchina (ma anche questa non si combina con quella del
film). In tutto sono cinque capitoli, con un brevissimo spezzone a farne da
apertura per ognuno di essi.
Can I have a tissue?
“Sei
sicuro di voler venire a vivere qui?”
Sakura
lo fissava, un sopracciglio inarcato e l’aria corrucciata.
“Sì!
Perché? Non ti piace?”
“No,
cioè sì...non è questo. È che non ti ci vedo a vivere qui, ecco.”
“Non
ti ci vede nessuno, a vivere qui.”
Borbottò
Sasuke alle loro spalle, stringendo con noncuranza un fatiscente scatolone.
Naruto
rise, rise sguaiatamente.
“Io
invece penso che mi troverò benissimo, qui!”
#1: The girl of the bench
It's amazing
How you can speak
Right to my heart
Without saying a word,
You can light up the dark
Try as I may
I could never explain
What I hear when
You don't say a thing
Naruto
non era mai stato un attento osservatore.
Tendeva
a dimenticare le cose, a farsi sfuggire i particolari. Era troppo distratto,
troppo sbadato, troppo esuberante per soffermarsi sui dettagli. Naruto era troppo di tutto, ecco.
Sasuke
glielo ripeteva in continuazione, sottolineando soprattutto i troppo negativi.
Sakura era appena un pochino più democratica e, ma proprio ogni tanto, si
lasciava sfuggire anche qualche bella parola dopo l’aggettivo indefinito.
Eppure
quel parco posto al centro esatto del sobborgo era stato come una calamita per
lui.
L’aveva
adocchiato durante il trasloco e c’era andato di primo mattino al suo primo
weekend nella casa nuova, in quel quartiere demodé pieno di ricconi con la
puzza sotto al naso.
Aveva
varcato la soglia del cancelletto con aria tronfia e aveva sorriso fin troppo
audace ad ogni occhiata perplessa ricevuta.
Mentre
camminava a testa fieramente alta, zainetto in spalla e aria sciatta in viso,
non si stupì di come potesse quasi sentire le mute domande che affollavano le
menti compassate di tutte quelle persone. Che
ci fa un tipo così squinternato in un posto come questo? Deve essersi perso,
non è adatto per questo quartiere. Non c’entra niente con noi. E Naruto,
ovviamente, lo sapeva che era così, che avevano ragione.
Un
monolocale in pieno centro: questo sarebbe stato da lui.
Un
appartamentino piccolo, caotico e, perché no, persino cadente avrebbe potuto
rendergli giustizia. Lì uno come lui ci sarebbe andato a nozze. Avrebbe fatto
casino tutte le sere, organizzando una sfilza di party da quattro soldi, e la
mattina sarebbe uscito con il sole già bello alto in cielo, il Borsalino
calcato sui capelli arruffati e la maglia come sempre a rovescio.
In
quella zona residenziale ed isolazionista, invece, il suo solo abbigliamento
suscitava scalpore. Se solo non fossero stati tutti tanto perbenisti e con un carrello
educativo tanto rigido alle spalle, Naruto avrebbe giurato si sarebbero messi
ad urlargli contro di andarsene. Avrebbe fatto sfigurare il quartiere e,
insomma, vestirsi un po’ meglio non aveva ucciso mai nessuno, no?
Ma
anziché ferirlo e farlo scappare a gambe levate da un posto che sapeva di
virginale pudore, tutti quei commenti non detti, tutti quegli sguardi eloquenti
lo capacitavano a rimanersene proprio lì. Magari, se lo avessero ignorato
anziché accusarlo con occhiate di rimprovero, avrebbe fatto le valigie già dal
primo istante. Perché lui era fatto in questo modo; quando vedeva una sfida ci
si buttava a capofitto dentro e più tentavano di screditarlo, più se la legava
al dito e continuava con i suoi comportamenti fuori dagli schemi.
Figuriamoci,
in un quartiere del genere ogni suo atteggiamento risultava essere sovversivo e
antieducativo. E Naruto rideva, sì. Si sganasciava dalle risate quando
intercettava gli sguardi carichi di una malcelata avversione della gente e
sorrideva sardonico quando le mamme, per far capire ai figlioletti di aver
assunto una condotta inidonea a quel tipo di società blasonata, indicavano lui
come termine di paragone.
Solo
per questo, se avesse potuto, avrebbe baciato quel maniaco di Jiraiya. Il suo Ero-Sennin, quel vecchio bastardo del suo tutore che gli
aveva lasciato il suo splendido appartamentino nel quartiere più prestigioso di
Tokyo, Konoha, per andarsene in giro per il mondo a pubblicizzare il suo
nuovissimo libro sulle pomiciate per un tempo indecifrabile. Gli aveva
garantito talmente tante di quelle risate da farne una valida abbuffata fino ai
prossimi dieci anni.
Scosse
il capo e lasciò fuori dal cancelletto ogni altro pensiero, seriamente
intenzionato a godersi il più possibile quell’oretta di libertà prima di dover
correre a casa alla ricerca della sua strimpellante chitarra e di nuovo giù al
garage di quel mattoide di Kiba per le prove. L’aria fresca di primavera gli
solleticava il volto, furbetta, per poi scivolare via e scomparire oltre le sue
spalle, in un circolo vizioso che tuttavia non riusciva a stancarlo. Presto,
valutò rimanendo bloccato a metà strada, sarebbe arrivata l’estate e con essa
il caldo, il mare, la spiaggia, le vacanze e, di conseguenza, meno gente in
giro per le strade. Naruto amava l’estate. Tra le quattro, quella era senza
ombra di dubbio la sua preferita.
“Scusi
signore, potresti passarci il pallone?”
Alzò
il capo verso la parte centrale del parco e vide, proprio nel mezzo, un trio di
ragazzini che lo fissavano in attesa di qualcosa. Abbassò il capo sui suoi
piedi e solo allora notò la sfera bianca e nera che, intanto, si era fermata
proprio accanto a lui. Sorrise furbescamente e, chinandosi, raccolse con una
mano il pallone da calcio.
“Ehi,
voi ragazzetti, che dite se vi stracciassi?” Propose, negli occhi uno
scintillio che aveva qualcosa di selvatico.
“Nei
tuoi sogni, forse!” A rispondergli, dopo un attimo di evidente smarrimento in
cui l’intero parco era caduto nel silenzio più carico e le occhiatacce verso di
lui si erano sprecate, era stato quello che appariva come il più intelligente
tra i tre, oltre che il più sfrontato.
Naruto
ridacchiò al commento, calcando meglio sopra la testa il Borsalino ingrigito.
“Scommettiamo?”
E
prima ancora di poter ricevere risposta, aveva abbandonato con un lancio da
manuale lo zainetto in un angolo ed era corso, palla al piede, verso il
terzetto.
“Vediamo
di che siete capaci, voi tre nanerottoli!”
“Noi
abbiamo un nome!” Si lamentò quello di prima, arrabbiato.
“Davvero?”
Alzò un sopracciglio Naruto, al limite della buona educazione.
L’altro
annuì. “Io sono Konohamaru e loro sono Udon e Moegi.” Fece le dovute presentazioni, indicando
rispettivamente un bambino occhialuto e una ragazzina dagli stopposi capelli
rossicci. “Mentre tu, nonnetto, saresti..?”
Sorrise;
bene: sfacciato e anche impertinente. “Naruto Uzumaki. Segnati questo nome per
quando vincerò, pigmeo!” Così dicendo, con un colpo di tacco, gli fece passare
il pallone tra le gambe, come un allocco, e lo superò diretto alle due scarpe
poste l’una ad una distanza di qualche metro dall’altra che, con una buona dose
d’immaginazione, dovevano essere i pali della porta.
Se
ci fosse stato Sasuke, con lui, lo avrebbe con ogni probabilità deriso per il
suo comportamento immaturo ed esibizionista. Sakura, invece, con la solita
grazia avrebbe preferito rifilargli un pugno in pieno viso e trascinarlo
ansante via dal parco. Inoltre Naruto era abbastanza certo che molte persone,
lì dentro, non aspettavano altro che il momento propizio per sbatterlo fuori,
indispettiti dal suo libertino e poco consono modo di fare.
Anche
mentre giocava a calcio con quei tre ragazzini, era facile sentire gli sguardi
di fuoco che gli divampavano addosso ed era proprio prendendo forza da essi se
le sue capriole si facevano sempre più spettacolari e i palleggi da capogiro.
Lo avevano messo al centro dell’attenzione? Perfetto, se lo tenevano.
“Attento!”
La voce di Moegi fu l’ultima cosa che udì prima che
qualcosa gli sbattesse violentemente sul viso, oscurandogli la vista per un
lungo istante e facendolo precipitare rovinosamente col sedere a terra.
“Ahi!”
Si lagnò, massaggiandosi prima le natiche doloranti, poi il naso.
“Ti
sei fatto male?” Gli domandò subito la ragazzina, preoccupata.
“Forse
dovresti farti vedere.” Obiettò pratico Udon,
sistemandosi con un dito gli occhiali sul naso adunco.
“Che
pivello, non era neppure tanto forte!” Incrociò invece le braccia al petto
Konohamaru, risentito.
Solo
in quel momento, vedendo una chiazza rossastra allargarsi sull’erbetta e
strofinando una mano sotto al naso, Naruto capì che stava sanguinando.
“Che
palle!” Borbottò, alzandosi in piedi per guardarsi attorno, freneticamente,
alla ricerca di qualcuno o qualcosa in particolare.
Saltellò
con lo sguardo su ogni millimetro quadrato di giardino, scartando e
selezionando chi tra i tanti potesse fare al caso suo e alla fine, proprio
quando stava per arrendersi ad avvicinarsi alla tipa col bimbo, si accorse
della ragazza mingherlina seduta su una panchina al limitare del parco. Non si
soffermò tanto di più sui capelli nerissimi quanto sulla borsa riposta accanto,
perché, dopotutto, non era mai stato bravo con le minuzie. Né lei parve
accorgersi del fatto che lui le si stesse avvicinando, immersa com’era tra le
pagine di un vecchio libro dall’aria minacciosa.
“Ehm...
Non è che posso avere un fazzoletto?” Domandò a bruciapelo, dritto al sodo come
gli era congenito fare.
Le
si era fermato davanti, ponendosi a barriera tra lei e i raggi caldi del sole,
incurante e ignorando di poterle arrecare fastidio così facendo. D’altro canto
lei, assorbita dalla lettura, ci mise un po’ ad accorgersi del cambiamento e a
capire che sì, si stavano rivolgendo proprio a lei. Qualcosa come un lieve tic
al sopracciglio destro, l’aveva indotta a valutare l’ipotesi e ad alzare il capo,
con lentezza disarmante, per puntare due inusuali iridi glicine su di lui.
Naruto l’aveva vista passare, nel giro di una manciata di secondi, da
un’accentuata frastornazione ad un goffo imbarazzo, salito su lungo il collo e
sviluppatosi in una deliziosa macchia rossastra su ambedue le guance.
Intanto
il sangue continuava a venir giù dal naso e a colargli lungo le mani, sul
braccio, ricadendo in gocce rossastre sull’erba.
“Oh,
s- sì. C- Certo!” Trillò dopo una lunga esitazione lei, rianimata dall’inarrestabile
scia vermiglia, mentre con ambo le mani snidava un pacco di fazzolettini dalla
borsa di paglia. “E- Ecco.”
Gli
porse il fazzoletto e Naruto si affrettò a prenderlo, per poi tamponarsi il
naso con quello. Per un momento il suono leggero, quasi inudibile della sua
voce lo aveva lasciato con la bocca aperta, come trasognato. Era abituato alle
parole della gente, a sentirsi immerso e a fare al contempo parte di quel fiume
di chiacchiere, ma era la prima volta che sentiva una vocina tanto delicata,
quasi trasparente.
“Te
lo restituirò!” Promise, con un sorriso largo, prima di darle le spalle e
correre verso Konohamaru e gli altri, mentre il viso di lei scivolava via da
ogni pensiero e la pelle di porcellana, e gli occhi grandi, e i capelli della
notte che tanto l’avevano colpito diventavano un ricordo già troppo vecchio, da
rilegare in qualche angolo polveroso della sua scarsa memoria.
“Ti
muovi o no, vecchiaccio?”
≈♦≈♦≈♦≈
Stento ancora a crederci, sul serio.
Vero che sono una disfattista cronica
per natura, soprattutto –per non dire esclusivamente- quando si parla di me. Ma
è anche vero che non avevo mai scritto, prima, una fanfiction dove Hinata non
sia di Neji. E poi, diciamocelo, tendo ad essere un tantino perfezionista
quando mi ci metto e, ergo, ho dovuto riscrivere la fanfiction una decina di
volte buone (tanto più che all’inizio sarebbe dovuta essere una NaruINO, con un
altro contesto, altra ambientazione, altra canzone...tutta un’altra faccenda,
insomma).
Un simile risultato, però, no, non me lo sarei mai aspettata. Mai e
poi mai. E ne sono davvero contenta. Beh, ‘contenta’ è un eufemismo bello e
buono, a dire il vero. Elettrizzata, entusiasta ed eccitata dovrebbero rendergli
maggiore giustizia, credo.
Ma veniamo alla storia.
Sono cinque capitoli in tutto dove il
punto di vista di Naruto si alterna a quello di Hinata e viceversa fino alla
fine.
Se posso dare un consiglio spassionato,
ascoltate la canzone se potete. È divina. Divina. *-*
Colgo l’occasione, inoltre, per
ringraziare le giudici bambi88 e LalyBlackangel, sia per l’impegno profuso, sia
per la celerità nel rispondere a qualsiasi tipo di domanda –anche le più
stupide, sì- e per la pubblicazione dei risultati, sia per la serietà e,
infine, per gli splendidi bannerini. Li adoro! ^-^
E poi volevo complimentarmi anche con le
altre podiste, Hotaru e Valy88, e con ValeHina e Iledesu. È stato fantastico concorrere
con voi!
Perciò non mi rimane che eclissarmi,
almeno per il momento, e darvi appuntamento al prossimo capitolo. Intanto,
sotto, vi lascio i bannerini del concorso.
Baci.
memi