A volte mi capita di piangere. Così, senza un valido motivo.
Piango e basta. Alcuni la chiamano adolescenza, altri pensano semplicemente che
sia io a crearmi problemi che in verità non esistono.
Eppure non posso farci niente; ci sono momenti in cui tutti i pensieri che
galleggiano nella mia testa si annebbiano e dentro di me cresce uno strano
vuoto seguito da un senso di abbandono. Quel giorno mi sentivo esattamente
così: sola e abbandonata.
Le lacrime mi bagnavano il viso ormai da parecchi minuti e io mi arresi a loro,
lasciandomi andare in un pianto disperato.
Solo pochi giorni prima la preside Ines era entrata con foga in classe e dopo
averci zittiti, sbrigativamente ci annunciò di un’imminente gita al campeggio.
Tre giorni dopo, un pulmino colorato ci aveva portato fino ad un grande campo
circondato da grossi e imponenti alberi, luogo in cui avremmo passato la notte.
Quel pomeriggio non avevo nessuna voglia di aiutare Tamara e le altre a montare
la tenda, così con una scusa mi allontanai fino a quando fui sicura che nessuno
mi avrebbe mai trovata. Mi sedetti con la schiena poggiata ad un tronco
d’albero e chiusi gli occhi per un momento. Mi ritornò in mente la mia
infanzia. L’immagine di me che cercavo di convincere mio fratello Matias a giocare con le bambole mi fece sorridere. Riaprii
gli occhi per una frazione di secondo e quando li richiusi i ricordi
rincominciarono a scorrere come un vecchio filmino in bianco e nero. Ricordai
le ginocchia sbucciate dopo aver giocato a pallone con Tamara e Sol, le granite
comprate dal gelataio all’angolo della strada. Riaprii gli occhi ancora una
volta. Per un momento rimasi spaventata da quei ricordi così nitidi ma poi mi
resi conto che mi piaceva quel gioco e così strinsi ancora una volta gli occhi.
Io che scrivevo sul mio diario, io che litigavo con mio fratello perché non mi
lasciava giocare con lui quando c’erano i suoi amici o ancora quando ruppi il
vaso egizio a casa di Sol e lo sostituimmo con una brutta copia comprata al
mercatino dell’usato.
Riaprii ancora un volta gli occhi, questa volta più lentamente, quasi avessi
paura di tornare alla realtà.
Le lacrime in quel momento, forse per la nostalgia, iniziarono a rigarmi il
volto, fino a scomparire sotto la camicetta bianca.
<< Giusy… >>
sentii chiamare improvvisamente. Alzai di scatto la testa.
<< Caterina…?! >> silenzio.
<< che ci fai qua? >>
Svelta mi strofinai gli occhi per nascondere le lacrime mentre Caterina
avanzava lentamente verso di me.
<< perché piangi? >>
Mi chiese con un tono di voce quasi dispiaciuto.
<< perché mi hai seguita? Ne ho abbastanza delle vostre prese in giro.
Avanti, dì cosa devi dire e poi vattene >> le urlai contro, facendo fina
di non aver sentito la sua domanda>>.
<< ti manda Antonella vero? >>
aggiunsi dopo pochi secondi di silenzio. Caterina, che era rimasta immobile ad
ascoltarmi, mosse qualche passo verso di me scuotendo la testa.
<< non mi manda nessuno e non ti ho seguita. Stavo facendo una
passeggiata e ho sentito dei rumori, così ti ho trovata >>
<< e perché non sei con le altre? >>
Caterina alzò le spalle.
<< avevo bisogno di un po’ di tranquillità. Tu piuttosto, hai voglia di
parlare? >>
scoppiai in una risata sonora.
<< con te? >>
dissi portandomi le mani allo stomaco.
<< si, perché? >> chiese.
Io, confusa, smisi di ridere e la guardai. Era seria.
<< Caterina, pensi che sia così sciocca? Allora è vero, ti ha mandata
Antonella in modo che poi tu possa riferirle tutto >> dissi.
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Caterina sbuffò e si venne a sedere vicino a me.
<< Giusy, io vorrei che capissi una cosa. Solo perché sono amica di
Antonella e perché faccio parte delle Divine, questo non significa che sono
cattiva >> disse agitando le mani.
<< Io questo non l’ho mai detto >> ammisi.
<< Si, ma l’hai pensato, come del resto lo pensano tutti >>.
Seguirono alcuni minuti di silenzio rotto solo dal vento che muoveva i rami
degli alberi, poi improvvisamente dissi: << Caterina, posso chiederti una
cosa? >>.
In risposta ebbi un suono sommesso che interpretai come un si.
<< Perché ti fai comandare così da Antonella e fai tutto quello che ti
chiede se a te non piace il suo comportamento? >> sorrise.
<< E’ strano, sai? >>
<< Cosa è strano?! >>
<< Non saprei come risponderti. La risposta è che non lo so. Forse è per
la paura di rimanere sola. Antonella è l’unica amica che ho >>.
Annuii in segno di risposta, anche se faticavo a capirla.
<< Quando sono triste, mi piace coricarmi in un prato e chiudere gli
occhi, assaporando il vento sulla pelle >> disse. Quando la guardai,
aveva gli occhi chiusi. Avrei voluto imitarla, ma avevo paura che
rincominciasse il filo di ricordi. << Ora sei triste? >>
Sussurrai, quasi avessi paura di interrompere quella quiete.
<< Un po’ >>
<< E perché? >> chiesi curiosa.
<< Non lo so. Sono triste e basta. Tu invece? >>
<< Io cosa? >>
<< Perché stavi piangendo? >>.
In quei pochi secondi di silenzio che seguirono osservai Caterina, cercando di
capire se potevo fidarmi di lei e confessarle tutto. Per una strana ragione
decisi che mi sarei fidata, ma proprio quando stavo per parlare, Caterina si
alzò in piedi e prendendomi per mano disse:
<< Da queste parti ci deve essere un lago. Vieni >>.
Iniziò a trascinarmi per il piccolo boschetto finché arrivammo ad un enorme
lago azzurrino. Caterina ed io restammo a guardare il panorama che ci si parava
davanti per qualche minuto, poi lei si tolse le scarpe e prima che potessi
fermarla, si tuffò in acqua.
<< Caterina! Ma sei matta? Cosa ti è saltato in mente? >>
<< L’acqua è bellissima! Vieni! >>
Iniziai a scuotere la testa arretrando di qualche passo.
<< Non sai cosa ti perdi! >> disse nuotando più a largo.
<< Caterina, non ti allontanare, è pericoloso! >>
<< Adesso chi è che si preoccupa per me?
>>
sbuffai incrociando le braccia. Continuai a guardarla per un po’, finché non si
immerse completamente nell’acqua scomparendo dalla mia vista. I secondi
passavano svelti, ma lei continuava a restare sotto. Dopo dieci secondi iniziai
a chiamarla a gran voce, ma lei non poteva sentirmi. Tredici, quattordici… il
mio cuore iniziò a battere più forte del solito. Quindici, sedici… Senza
pensarci due volte, mi tolsi le scarpe e mi tuffai anche io nell’acqua. La
raggiunsi in poco tempo e riuscii a portarla subito in superficie.
<< Caterina, stai bene? >>
Caterina scoppiò a ridere. La guardai sbigottita.
<< Non stavo affogando, Giusy! >>
<< Ma i secondi passavano e tu… >>
<< Stavo semplicemente trattenendo il respiro >> disse tornando a
ridere.
Innervosita, feci per tornare a riva, ma Caterina mi trattenne.
<< Dai, ormai sei qua, resta, no? >>.
Inizialmente non mi piacque come idea, ma poi decisi di restare. Giocammo e
scherzammo nell’acqua per quasi mezzora. Scoprii, quel giorno, un lato di
Caterina che non sapevo ci potesse essere. Ne rimasi stranita, ma felice allo
stesso tempo.
<< Giusy…! >> urlò improvvisamente.
<< Quanto tempo è passato? Dobbiamo tornare al campeggio, si saranno
chiesti dove siamo finite! >>.
Quando mi resi conti di quanto tempo era passato, il cuore iniziò a battere
forte e nuotai velocemente fino alla riva, con Caterina dietro e poi insieme, anche
se bagnate dalla testa ai piedi, corremmo fino al campeggio.
Quando tornammo, fummo accolte da parecchi ragazzi che ci vennero incontro
preoccupati e con loro c’erano anche i professori. Caterina raccontò, come al
suo solito, una bugia. Disse che ci eravamo perse e che, tornando, eravamo
scivolate in un ruscello. Grazie alla sua bravura, i professori cedettero alla
bugia e ci permisero di raggiungere le nostre tende. Tamara e le altre, che non
credevano alla storia raccontata da Caterina, iniziarono ad interrogarmi
sull’accaduto.
<< Ti ha spinto lei nel ruscello, vero? >> disse Sol.
<< Io non la sopporto quella ragazza e con lei anche tutte le sue amiche
oche. Anzi, ora vado direttamente a parlarle! >> continuò Tamara.
<< No ragazze! >> le fermai io.
Non ebbi altra scelta. Raccontai tutta la verità.
Anche loro rimasero parecchio confuse, ma non mi importava. Portavo nel cuore
un ricordo che non avrei mai voluto scordare. Quella sera non feci altro che
ripensare a quanto mi ero divertita con Caterina.
Poco prima di unirmi agli altri per la cena, quella sera controllai il mio
cellulare. Sul display c’era una piccola busta con sotto scritto ‘numero
sconosciuto’.
Aprii il messaggio.
Ciao Giusy. Per quanto ti sembrerà strano
questo messaggio, volevo ringraziarti per il tempo passato con me. Spero che tu
sia un po’ meno triste; ho cercato di tirarti su il morale, ma non so se sono
riuscita nell’intento. Nel caso tu abbia ancora bisogno, questo è il mio
numero. Ti prego solo di non dire a nessuno di questa faccenda, soprattutto ad
Antonella. Spero che tu capisca il perché. Caterina.
Appena finii di leggere il messaggio sentii un vuoto nello stomaco e iniziai a
sorridere. Ero sempre più confusa. Riposi il cellulare nella tasca dei jeans.
Le avrei risposto in seguito.
<< Giusy sbrigati, che abbiamo fame! >>
mi urlarono le altre. In risposta urlai che ero pronta e appena le raggiunsi
corremmo al falò che avevano accesso i professori. Quando Caterina arrivò mi
sorrise. Le sorrisi anche io. Sapevo che da quel momento sarebbe stata la mia
nuova amica segreta.