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Autore: Nyoc    16/05/2019    1 recensioni
George fa il babysitter ad una ragazzina di sei anni dalla spiccata curiosità e con un modo particolare di vedere il mondo.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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George controllava il suo orologio, fermo in piedi di fronte al cancelletto in ferro battuto. Aspettò che fossero le 17.29, in modo da sembrare in orario, senza disturbare per l’anticipo. Quando fu ora, sistemò il pacchetto sotto il suo braccio e suonò il campanello. Il suono gracchiante del citofono lo raggiunse anche lì fuori, a qualche metro di distanza dalla porta, lasciando immaginare quanto potesse essere fastidioso sentito dall’interno. La porta di casa si aprì e una donna mora sulla quarantina si affacciò sorridendo. La signora Miller era davvero bellissima per la sua età. Nonostante i capelli sempre scompigliati e l’aria indaffarata, i suoi occhi allegri riuscivano a donare al suo aspetto qualcosa di magico.

“Vieni avanti George. Io e Alex ti stavamo aspettando. Entrando chiudi il cancello,” gli disse  con un sorriso, sparendo poco dopo dietro la porta.

Il cancelletto davanti a lui si aprì con uno scatto e il ragazzo entrò a passo svelto, avendo accortezza di seguire le istruzioni della donna di casa nel chiuderlo alle sue spalle. Salì i tre gradini dell’ingresso con un solo passo ed entrò in casa.Casa Miller era una delle nuove villette sorte nella periferia della città. Era graziosamente arredata e sempre in ordine.  George si domandava spesso come facessero a tenerla così bene, considerando quanto lavorassero entrambi i padroni di casa, per di più con Alex, di soli 6 anni. Casa sua in confronto era un disastro, ma a lui andava bene così, visto che ormai passava tutte le sue sere a fare il babysitter da loro.

“Sei sempre in perfetto orario George, complimenti.” Il ragazzo si sentì un po’ in imbarazzo per il complimento, non si aspettava mai la gentilezza che gli era riservata in quella casa, non ci era abituato. “Sa, signora Miller, questo lavoro mi serve proprio.”

Lei, che si stava infilando le scarpe, si voltò e lo guardò dritto negli occhi. Il suo sguardo era divertito. George si sentì come se la donna gli avesse guardato dentro, cogliendo al volo la mezza verità nascosta nelle sue parole. Era stato onesto nel dire che quel lavoro gli serviva, ma in realtà preferiva molto stare lì con Alex che a casa sua o con i suoi coetanei. Fortunatamente, Alex comparve da dietro un angolo e corse ad abbracciarlo, spezzando quello sguardo indagatore.

“Dunque,” proseguì la signora Miller, “Alex ha già fatto i compiti per oggi, quindi potete giocare o fare quello che preferite. Come al solito, cena alle otto. In frigo ci sono due porzioni di maiale al latte che basta riscaldare. Magari prepara delle patate o un contorno, vedi tu. Mi raccomando, falle mangiare la frutta, che altrimenti questa principessa poi non va di corp-”

“MAMMA!” Intervenne la ragazzina, cercando di coprire con il tono della voce le parole della madre.

“Che c’è Alex? È la verità…” le rispose la madre, molto divertita dalla reazione esagerata della figlia.

“Sì, ma… ma non si dice!” La bambina era paonazza e pareva sul punto di esplodere: teneva i pugni stretti e fissava la madre con gli occhi sgranati.

George intervenne per cercare di distrarre l’attenzione dalla questione, non voleva che Alex si agitasse troppo o avrebbe passato una pessima serata. “Tranquilla signora, mi occuperò del pasto come al solito, poi a letto per le nove.”

La donna tornò a guardarlo con il suo sguardo penetrante. “Per fortuna ci sei tu, non saprei come fare altrimenti,” disse raccogliendo la borsa e il cappotto.

“Va bene, ora è tardi, devo proprio andare.“

Giunse sulla porta e si chinò per terra, allargando le braccia, “Un bacio per la mamma prima di andare via?”

Alex fissò sua madre con aria scontrosa, ancora offesa per le sue parole di poco prima, esitando ad andarle incontro. George, di nascosto, la sospinse un pochino con il ginocchio per incoraggiarla. La giovane colse al volo il suggerimento e andò da lei, le diede un velocissimo bacio sulla guancia e si allontanò prima che la donna riuscisse a chiuderla in un  abbraccio. La signora Miller sorrise e uscì, augurando  loro una buona serata, mentre chiudeva la porta.

George e la bambina si scambiarono uno sguardo. Lei era già tornata serena, i suoi occhi attenti lo osservavano curiosi; o meglio, osservavano la scatola che teneva sotto il braccio.

“Cos’è quello?” chiese Alex con una voce falsamente innocente, di chi sa già benissimo la risposta alla sua domanda.

“Non capisco di cosa tu stia parlando,” disse George guardandosi intorno, fingendo di non capire a cosa si stesse riferendo.

“Intendo quel pacchetto, proprio sotto il tuo braccio!” disse lei indicando con la mano l’oggetto avvolto dalla carta regalo.

“Aaahn, intendi questo! Beh, mi pare evidente che sia un pacchetto,” disse lui rigirandosi tra le mani l’oggetto e cercando di osservarlo da tutte le direzioni, come ad indagarne la natura. Muovere a quel modo la scatola la fece risuonare come una maracas, come se fosse stata piena di piccoli oggetti rigidi che sbattevano contro il fondo e le pareti, mentre se la passava tra le mani.

La bimba, sempre più incuriosita dalla scatola, incalzò. “Sì, ma cosa contiene?”

George allora fece un ampio gesto teatrale, inginocchiandosi e porgendole la scatola, come un cavaliere avrebbe offerto alla regina la sua spada. “Devi essere tu a scoprirlo.”

La bimba afferrò il pacchetto e cominciò a scartarlo con foga, facendo a brandelli la carta colorata che lo avvolgeva. Poi si fermò improvvisamente, come se qualcuno l’avesse rimproverata, e sollevò lo sguardo per fissare il ragazzo dritto negli occhi.

“Grazie,” disse concisa, come se fosse stata una parola d’ordine senza la quale il regalo sarebbe rimasto per sempre sigillato. Subito dopo ricominciò la sua opera di meticolosa distruzione, concentrata e carica di aspettative.

Quando si ritrovò la sorpresa tra le mani, Alex corse al tavolo da fumo del salotto e ce la poggiò sopra, quindi sollevò il coperchio. Ne osservò il contenuto, confusa, poi tornò a guardare la confezione. La sua espressione si fece corrucciata e la sua fronte si aggrottò nello sforzo di richiamare alla memoria qualcosa di molto difficile.

“P-U-Z-Z-L-E, Puzzle… Cosa sarebbe?”

George fu un po’ spiazzato dalla domanda, “Veramente non hai mai visto un puzzle prima?”

La bambina scosse il capo, fissandolo intensamente. I suoi occhi erano esattamente come quelli della madre: attentissimi e con quella luce nel fondo che permetteva di capire, a chi li guardava, che non gli si poteva nascondere nulla.

“Beh, è un gioco.” George prese il coperchio della scatola e lo mostrò alla bambina. “Vedi questa bella foto coi delfini? Se noi saremo abbastanza bravi da ricomporre tutti i pezzi che ci sono dentro la scatola, la faremo riapparire qui sul tavolo.”

La bimba non capì subito, ma come cominciarono a mettere insieme i primi pezzi entrò subito nello spirito del gioco, immergendosi a capofitto nell’opera di ricostruzione. Passarono diverso tempo così, osservando la copertina per cercare di individuare quale punto di blu fosse mare e quale i delfini, componendo prima piccoli gruppi di pezzi, poi i bordi e infine quel che restava.

Dopo quasi un'ora di lavoro, Alex si fermò. Teneva un pezzo sollevato in aria, osservandolo con un occhio chiuso e uno aperto, in controluce.

“Cosa guardi?” chiese il ragazzo, incuriosito dal suo comportamento.

“Non sto guardando. Sto pensando,” disse lei, come se fosse stato ovvio, senza abbassare il pezzo.

George decise di assecondarla per vedere dove avrebbe condotto la conversazione.

“Ah, certo. E a cosa stai pensando?”

Lei abbassò il pezzo e si girò verso di lui con aria un po’ scocciata. “Sto cercando di capire come hanno fatto a fare il disegno spezzettato su tutti questi pezzi.”

Lui sorrise. Quella bambina sapeva davvero fare dei ragionamenti sorprendenti. Molti ragazzi dell’età di George non si chiedevano mai come funzionasse ciò che li circondava, mentre una bambina di sei anni era lì davanti a lui a interrogarsi su come si potesse creare un puzzle.

“In tutta sincerità non ci ho mai pensato,” disse lui cercando di pensare a una buona risposta. “Che io sappia, stampano la foto su un grande pezzo di cartone, poi lo tagliano a pezzi e qualcuno li divide tutti quanti per metterli nella scatola.”

Alex parve confusa dalla risposta, come se quel chiarimento avesse sollevato altre mille questioni dentro di lei. Dopo un paio di secondi passati a osservare il pezzo che teneva in mano, si voltò verso di lui.

“Ma le persone che fanno i puzzle sono cattive?”

George a quel punto si sentì quello più confuso dei due. “No, che io sappia non sono persone cattive a fare i puzzle.”

Lei continuò. “Allora siamo noi ad essere cattivi?”

Il ragazzo stava perdendo il controllo della conversazione. “Alex, nessuno è cattivo: né noi, né le persone che fanno i Puzzle. Ma perchè dici queste cose?”

La bimba incrociò le braccia. “Le cose non si rompono mai per niente. Se io rompo una cosa vuol dire che se lo meritava. Se qualcuno la riaggiusta è cattivo. Se invece è una persona cattiva che ha rotto una cosa, o lo ha fatto per sbaglio, allora è giusto aggiustarla. Ma se loro rompono il puzzle e noi lo rimettiamo insieme, chi fa la cosa giusta?”

George colse il ragionamento della bambina e tentò di spiegare. “Aah, ora ho capito. Il punto è che il puzzle è soltanto un gioco: loro creano l’immagine smontata perché tu possa divertirti a riaggiustarla.”

Alex fece spallucce. “Se volevano un’immagine aggiustata, bastava che non la rompessero.”

Il ragazzo sorrise. Adorava come quella bambina riuscisse sempre a fargli vedere il mondo in modo nuovo.

   
 
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