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Autore: Ghostclimber    20/05/2019    4 recensioni
Cosa succede quando ci si tiene tutto dentro per troppo tempo?
Si scoppia.
Per fortuna, c'è qualcuno pronto ad aiutare.
Pairing: HanaRu
Per Jonghyun88. Buon (non) compleanno.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non davanti a loro, ti prego, non davanti a loro!”

 

Questo fu il primo pensiero di Rukawa quando, inseguendo Miyagi durante una partita di allenamento, il suo cuore di colpo accelerò i battiti esponenzialmente.

 

“...non davanti a lui...”

 

Fu il secondo pensiero, mentre i muscoli della gabbia toracica si contraevano tutti assieme, impedendo ai suoi polmoni di espandersi e incamerare ossigeno.

Emise un rantolo soffocato, inciampò nei propri piedi e cadde a terra, su mani e ginocchia.

 

-Rukawa!

-Rukawa, che hai?

-Stai male?

-Qualcuno chiami un'ambulanza!

-Ha un infarto!

 

Voci confuse, che si affollavano e si rincorrevano nella mente offuscata della Matricola d'Oro, irriconoscibili e indistinguibili l'una dall'altra.

 

Due mani che lo prendevano sotto le ascelle e lo tiravano indietro.

Rukawa si lasciò trascinare, e senza sapere bene come si ritrovò semisdraiato contro qualcosa, forse una persona, gli arti molli e privi di forza e i polmoni ancora chiusi.

 

“Non devo.”

 

Tutti i muscoli del suo corpo parvero contrarsi simultaneamente; gli addominali gli dolevano, dal tanto che erano tesi, e le spalle erano così tirate che quasi poteva udire le capsule scricchiolare.

Due mani si posarono sul suo petto, e una voce, che mai aveva sentito così da vicino, disse: -Non è un infarto. Non state a chiamare un'ambulanza, è inutile.

-Senti, Hanamichi, non è il caso di fare il deficiente adesso! Ayako, vai a chiamare un'ambulanza!

-Ho detto che è inutile! Ryota, non sto scherzando, faccio sul serio! Ci penso io.

-Hanamichi, se sta...

-Lascialo fare, Miyagi.- finalmente, nel marasma ecco emergere una voce riconoscibile, quella del coach Anzai. Tutto il resto restava privo di senso e terrificante, come le urla delle strolaghe che si rincorrono su uno specchio d'acqua in una notte di tenebra, in mezzo al bosco.

 

Ogni voce era una minaccia. Ogni voce era l'umiliazione di aver ceduto in pubblico.

 

Rukawa si sentì sollevare da mani rudi ma gentili, e si lasciò trasportare per qualche metro. Percepiva, come se stesse succedendo a qualcun altro, un corpo muscoloso tra le cosce, una spalla solida contro la guancia, un braccio che lo sosteneva passandogli sotto le natiche e una mano forte, aperta, pressata con il palmo tra le sue scapole.

Tutte sensazioni che, lungi dall'offrirgli conforto, acuivano i suoi sensi e il primario istinto di fuga; ma il suo corpo, oscillante fra spasmi e uno stato di molle immobilità, si rifiutava di rispondergli.

 

Una porta sbatté, e poco dopo arrivò la sensazione di essere adagiato a cavalcioni su qualcosa, forse una panca.

Il corpo che lo stava sorreggendo si staccò da lui, e quel contatto non gradito prese improvvisamente a mancare come l'aria; Rukawa si sentì come un lattante ancora affamato a cui viene sottratto il seno della madre.

Qualcuno gli tolse le scarpe, tirando; evidentemente, quel qualcuno si era preso a malapena la briga di slacciargliele, prima di strappargliele dai piedi, che coperti solo dai calzini di spugna ormai madidi di sudore ricaddero sul pavimento freddo. Rukawa si contrasse, sentendosi privato della difesa che gli offrivano quelle semplici calzature di gomma e tessuto tecnico, terrorizzato all'idea irrazionale di poter essere privato anche dell'illusoria protezione dei vestiti.

 

Due mani si chiusero sul suo petto e lo trassero all'indietro, contro un petto muscoloso, poi si spostarono sui suoi deltoidi; li circondarono, diventandone coppa, e gli tirarono indietro le spalle.

I suoi polmoni trovarono un briciolo di spazio per espandersi, e il bruciore al petto si attenuò in minimissima parte.

 

-Respira.- disse una voce.

-Respira, conta fino a due mentre inspiri, poi fino a quattro mentre butti fuori l'aria. Ce la fai?

 

Rukawa non riuscì a rispondere, ma si concentrò su quella semplice azione, che sempre aveva dato per scontata e che ora sembrava essere complicata quanto un ragionamento filosofico.

 

Uno, due... uno, due, tre, quattro.

Uno, due... uno, due, tre, quattro.

 

-Bravo, stai andando benissimo.- disse la voce.

-Quando vuoi, prova a fare tre e sei. Quando vuoi, senza fretta.

 

Uno, due... uno, due, tre, quattro.

Uno, due, tre... uno, due, tre, quattro, cinque, sei.

 

-Bravo... bravissimo, continua così.- una guancia morbida si posò contro quella di Rukawa, concentrato solo sul respiro, ignaro del fatto che i suoi muscoli si stavano poco a poco rilassando. La cosa importante, l'unica cosa, ora, era respirare con quel ritmo imposto.

I polmoni, poco a poco, cominciarono ad assecondare la volontà di Rukawa.

 

-Se riesci, trova cinque cose che puoi vedere.- disse la voce.

 

Rukawa sondò i dintorni con lo sguardo, scoprendo di essere nello spogliatoio. Seguendo il suggerimento, guardò la panca su cui era seduto a cavalcioni.

Legno chiaro, forse faggio, verniciato con pittura trasparente che a tratti cominciava a screpolare. Dell'umidità era penetrata nelle spaccature della patina, ingrassando e scurendo il legno sottostante. Vicino al bordo, dei perni di metallo collegavano le tre assi alla struttura di metallo, verniciata di un banalissimo verde scuro.

Tra un'asse e l'altra, Rukawa vide le piastrelle del pavimento: di un grigino chiaro appena maculato, forse volevano dare l'idea del marmo ma non sembravano altro che ciò che erano, ovvero delle dozzinali piastrelle quadrate. Le fughe tra una e l'altra erano grigio scuro, anche se originariamente forse erano più chiare, almeno a giudicare da quelle del piastrellato sulle pareti.

Rukawa alzò gli occhi appena appena, e vide il lavandino, di ceramica bianca, pulito anche se cosparso di gocce raminghe: era già stato utilizzato quel giorno, evidentemente.

Poco più sopra, c'era la lunga asta ricurva del rubinetto, l'acciaio splendente sotto il chiarore algido delle luci al neon. Una gocciolina d'acqua ingrassò alla sua estremità, per poi abbandonarla poco dopo con uno schiocco silenzioso.

Sopra ancora, uno specchio sbilenco e con l'angolo inferiore destro un po' crepato. Era appeso ad uno spago, e puntava la propria superficie riflettente verso il basso; Rukawa vide se stesso, pallido e sudato, tra le braccia di Sakuragi Hanamichi, che gli teneva le mani sulle spalle.

 

Un istante prima che lo shock interrompesse il ritmo respiratorio di Rukawa, gli occhi castani di Sakuragi incontrarono i suoi nello specchio, e la sua voce gli bisbigliò nell'orecchio: -Fatto?

-Sì.- bisbigliò Rukawa ad un volume pressoché inudibile.

-Bene. Stai andando alla grande. Adesso trova quattro cose che puoi toccare. Possono essere anche le stesse, se vuoi, non è che ci sia chissà che scelta, qui dentro.

 

Rukawa si concentrò sulla sensazione dei vestiti sudati a contatto con la propria pelle. I calzoncini, che si fermavano a metà coscia, un po' arruffati intorno ai fianchi; Rukawa percepì l'orlo ripiegato e cucito premergli contro la pelle e tirargli qualche pelo.

Poi, il freddo del pavimento contro le piante bagnate dei piedi; Rukawa arricciò le dita, come se volesse in qualche modo tentare di ancorarsi al terreno, e trovò conforto nel sentire la solida compattezza delle piastrelle premergli contro i polpastrelli. L'unghia del suo alluce incontrò e intrappolò una maglia del calzino contro il pavimento.

Come terza cosa, c'era senza dubbio la panchina, cigolante ma solida, appena incurvata sotto il suo peso e quello di Sakuragi. Le tre assi parallele di legno premevano contro l'interno delle ginocchia di Rukawa e contro le sue natiche.

La quarta cosa che Rukawa stava toccando era in effetti una persona. Si concentrò sulla sensazione del torace ampio e massiccio di Sakuragi contro la propria schiena, un lembo della sua canottiera che sfregava contro la sua nuca nuda e intirizzita, la sua guancia contro la propria, il lievissimo solletico del sopracciglio spesso di Sakuragi contro la propria tempia.

 

-Stai andando davvero bene. Dimmi quando ci sei.

-Ci sono.

-Allora, tre cose che puoi udire.

 

Voci. Voci dei compagni di squadra che, al di là della porta, scambiavano qualche parola mentre giocavano, e voci di ragazzi che attraversavano il giardino che circondava la palestra. Voci femminili e voci maschili, allegre e meditabonde, urla e sussurri.

I tonfi regolari del pallone da basket: evidentemente, il coach Anzai aveva dato istruzione di continuare la partita che Rukawa, con il suo malore, aveva interrotto.

Ma il rubinetto non faceva rumore, nemmeno le gocce che a ritmo lento e regolare cadevano nei lavandini avevano un suono: erano troppo piccole, troppo lievi, troppo lontane.

La caldaia non mormorava come suo solito; forse, si erano dimenticati di accenderla, o forse si faceva sentire solo quando venivano aperte le docce, Rukawa non si era mai posto il problema.

E ora, questo interrogativo si faceva prioritario.

Il suo respiro tornò ad affannarsi.

 

-Ehi, ehi, ehi, calma. Che succede?

-La terza.

-Non trovi la terza cosa?

-No.- Rukawa non poteva concentrarsi sulla voce di Sakuragi. Era troppo intermittente, troppo vicina, troppo piena di questioni irrisolte.

-Aspetta.- disse Sakuragi, e fece per alzarsi.

-No!- gemette Rukawa, disprezzandosi al contempo per la disperazione che emergeva dal suo urlo roco e mormorato.

-Non ti mollo, tranquillo, sono qui. Fammi prendere una cosa. Ti tengo la mano?

-Sì.- Sakuragi si alzò e si allungò verso il proprio armadietto, da cui prese un lettore mp3. Tornò a sedersi dietro le spalle di Rukawa, attirò di nuovo il suo torso contro il proprio e lo circondò con le braccia mentre accendeva l'apparecchio.

Mise un auricolare nell'orecchio sinistro di Rukawa, e l'altro nel proprio orecchio destro.

-Scusa, sai, questa canzone mi piace un sacco, già che ci sono l'ascolto anch'io se non ti spiace.

 

La terza cosa.

Le note dolci e soavi di un pianoforte suonato con maestria, lente ma non asfissianti, una dopo l'altro, a creare una dolce melodia dal tono confortante.

Una melodia nota, che Rukawa riconobbe ancor prima che cominciasse la parte vocale.

-SHINee.

-Proprio loro.- bisbigliò Sakuragi, e la sua mano si alzò ad inanellarsi tra i capelli di Rukawa. Rimasero in silenzio, ad adeguare il ritmo del respiro a quello delle note, ad ascoltare “I'm With You” come due estimatori ad un concerto di musica classica, come se quelle parole incomprensibili fossero l'unica cosa esistente al mondo.

Quello, le voci fuori dallo spogliatoio e il pallone da basket che rimbalzava sul parquet.

Quello, i vestiti sudati, il pavimento, la panchina e il petto di Sakuragi.

Quello, il legno, le piastrelle, il lavandino, il rubinetto e lo specchio.

 

La voce di Sakuragi coprì per qualche istante quella di Jonghyun che usciva dagli auricolari: -Se vuoi, quando vuoi, cerca due cose di cui puoi sentire l'odore.

 

Lasciandosi cullare dalla voce di Onew, ancora tra le braccia di Sakuragi, Rukawa inspirò l'odore della sua pelle. Un afrore di sudore, un aleatorio sentore più pungente che forse arrivava dalle sue ascelle e un lontano ricordo di bagnoschiuma speziato, forse al sandalo, forse al kifi, anzi no: patchouli, ecco cos'era, che si mescolava con quel che restava del sapone al muschio bianco che Rukawa amava usare.

Dietro, non nascosto quanto appena celato, come il sole dietro a un velo di nuvole, l'odore tipico dello spogliatoio, tanto sgradevole quanto amato e confortante: calzini sporchi, scarpe sudate, borotalco, deodorante spray da quattro soldi, umidore, forse un lontanissimo puzzo di flatulenza.

Per quanto quell'aria potesse risultare mefitica ad un qualunque frequentatore occasionale, Rukawa amava quell'insieme di odori, e anche se a volte si era ripromesso di portare un deodorante per ambienti non l'aveva mai fatto: quell'aria chiusa e viziata era profumo di casa, rappresentava per lui uno dei pochissimi posti in cui si sentiva a suo agio.

 

La mano di Sakuragi percorse lieve il braccio di Rukawa, e gli mise in mano un minuscolo cartoccio scrocchiante, che Rukawa riconobbe all'istante come l'incarto di una caramella; a giudicare dalla sensazione era una di quelle alla frutta, di zucchero duro, di quelle che di solito si trovano nelle sale d'aspetto dei dottori e a casa delle nonne, di quelle che non si possono mordere ma solo succhiare pian piano. Rukawa non era mai riuscito a finirne una, dopo un po' il sapore fintamente fruttato e troppo dolciastro gli dava la nausea.

 

-Ora, trova una cosa di cui puoi sentire un sapore.- disse Sakuragi, dando un senso a quel piccolo dono pressato contro il palmo della mano di Rukawa.

 

Rukawa esitò.

 

Sapeva che avrebbe dovuto prendere la caramella, scartarla e metterla in bocca, aspettare pazientemente che il sapore gli invadesse la bocca, arricciandogli le papille gustative e asciugandogli la saliva sulle pareti della guance e sul palato, mentre ancora gli SHINee cantavano la loro dolce musica, ma non riusciva a risolversi a farlo.

Forse, se fosse stata una caramella gommosa, ci sarebbe riuscito.

 

Invece, si voltò verso Sakuragi, scostando allo stesso tempo le spalle dal confortevole nido delle sue clavicole.

Sakuragi girò la testa per guardarlo, una muta domanda dipinta nelle iridi di cioccolato.

Rukawa portò in avanti il viso e assaggiò le labbra di Sakuragi.

Erano morbide e umide, la saliva aveva un vago odore di fondo quasi metallico, come monetine lasciate al sole. Non sapeva di fresco, evidentemente non si era lavato i denti, tuttavia non era spiacevole. Rukawa avvertì un sapore agrumato che riconobbe come il gusto di Pocari Sweat, la bibita energetica preferita di Sakuragi, e passò la lingua tra le sue labbra per coglierne ogni molecola.

Le labbra di Sakuragi, meno ruvide all'interno, si schiusero delicatamente, come le valve di un'ostrica quando viene cosparsa di succo di limone, e la lingua di Rukawa toccò fugacemente il bordo dei suoi incisivi prima di oltrepassarli mentre la bocca di Sakuragi si apriva per accoglierlo con tutti gli onori.

Si baciarono a lungo, respirandosi addosso a ritmo lento e regolare, i cuori che battevano rapidi ma non ossessivi; infine, Sakuragi si scostò con delicatezza.

 

-Ti senti meglio?- chiese a bassa voce.

-Sì.- rispose Rukawa, mentre un'altra spira di panico cominciava a prenderlo dai tricipiti, facendolo sentire come se qualcuno gli stesse strofinando della neve sotto le braccia.

 

Aveva baciato Sakuragi.

 

Aveva gettato al vento ogni logica, ogni briciolo di dignità, ogni possibilità di salvezza, e aveva baciato Sakuragi.

 

Una mano si intrufolò tra ciocche di capelli corvini.

-Se ti fa star meglio, poi farlo quando vuoi.- disse Sakuragi appoggiando la fronte a quella di Rukawa, che nonostante la vicinanza riuscì a vedere le sue guance che si tingevano di un delicato rossore.

-Lo...

-Sì?

-Lo fai per pietà?- chiese Rukawa. Sakuragi tacque.

Poi, le sue braccia salirono a circondare le spalle di Rukawa, la sua testa fulva si accoccolò nell'incavo del suo collo e con voce soffocata Sakuragi disse: -Soffro anch'io di attacchi di panico. Vederti così mi stava spaccando in due. Forse hai ragione, forse sono davvero un idiota, perché...- Sakuragi sbuffò, e il suo fiato accarezzò la pelle sul petto di Rukawa, -Perché per anni mi sono buttato in cotte da due soldi che non valevano il fiato sprecato e le lacrime versate, ho cercato di trovare qualcuno che mi potesse sorreggere quando crollavo e...- Sakuragi esitò.

Rukawa rimase in silenzio, timoroso di interrompere quella che sembrava una confessione molto sofferta. Finalmente, in un sussurro, Sakuragi concluse: -E ora che sono qui, con te tra le braccia, il tuo sapore in fondo alla bocca e il profumo dei tuoi capelli nel naso, mi sembra inutile cercare qualcuno che mi possa sorreggere... perché mi sembra impossibile l'idea di poter crollare.- Rukawa sentì il cuore accelerare il ritmo e per un attimo un riflesso inconscio gli suggerì di dominare l'imminente attacco di panico; fu solo un battito di ciglia, tuttavia, perché dopo un istante Rukawa realizzò che era una sana reazione emotiva, e non un'irrazionale crisi di ansia.

 

Non c'era motivo di essere in ansia, non lì, tra le braccia di Sakuragi, avvolti dal suo odore e culla del suo sapore.

Lì c'era solo il caldo buono della sua pelle, del sangue che scorreva nelle sue vene, del profumo dei suoi capelli lavati da poco.

-Era per te.- disse Sakuragi, -La canzone. Era per te. Non era scelta a caso. Era per te.- ribadì, come se ce ne fosse stato bisogno. Rukawa gli accarezzò il bordo della mandibola con il dorso dell'indice, in un gesto dolce e inconsapevolmente sensuale. Spinto da un riflesso involontario, Sakuragi si sporse in avanti, e le sue labbra tornarono ad unirsi a quelle di Rukawa.

 

Un lieve bussare alla porta dello spogliatoio.

Uno sguardo interrogativo, un lievissimo cenno d'assenso.

-Avanti.- disse Sakuragi. Rukawa rimase tra le sue braccia, una spalla pigiata poco più all'interno di quella del rosso, la testa appoggiata alla sua.

-Rukawa...- cominciò Miyagi, a bassa voce. Un lieve scricchiolio di gomma sulle piastrelle, mentre avanzava di un piccolo, esitante passettino. -Rukawa, come stai?- il neo capitano attese con pazienza mentre il silenzio si allungava, stupito via via che quell'assenza di risposta non si stesse addensando in una coltre di nebbioso imbarazzo.

Sembrava, al contrario, che l'aria fosse più pulita, come d'inverno quando dopo una notte umida e una mattinata di foschia comincia a vedersi il cielo terso.

E aveva un sapore, come di un mattino d'inverno, chiusi al caldo di uno chalet, mentre la vita intorno si risveglia poco a poco, attraversando con passi di lana spifferi freschi e corroboranti e l'agro tepore delle braci arse per tutta la notte nella stufa, mentre le brioches calde chiamano con voce suadente dalla cucina.

Rukawa alzò gli occhi in quelli di Sakuragi, un solo istante, poi guardò Miyagi e con sicurezza rispose: -Sto bene.- il playmaker fece un mezzo sorriso, mentre sentiva le spalle farsi più leggere e l'animo più sereno.

-Bene, allora... lo dico agli altri.- disse, e prima di voltarsi lanciò un ultimo sguardo alle figure intrecciate di Rukawa e Sakuragi; sembravano così calmi che Miyagi non riuscì a meravigliarsi per quello spettacolo così inaspettato e apparentemente fuori da ogni logica.

-Ah...- aggiunse il capitano, come un ripensamento, -Non stare a preoccuparti per le pulizie, tanto oggi è venerdì e domani non ci dobbiamo allenare.

-Ma è il mio turno.- protestò Rukawa debolmente, poco convinto delle proprie parole.

-Ti lascio le chiavi sulla panchina, se vuoi, puoi farlo nel weekend.

-Ma...

-Va tutto bene.- lo interruppe Sakuragi, -Puoi riposare oggi. Lo faremo domani.- con un semplice scambio di sguardi, il rosso fece capire a Miyagi che il discorso era chiuso.

-L'importante è che stai bene, Rukawa, per tutto il resto c'è tempo.- Miyagi sorrise e uscì.

-Sì...- mormorò Rukawa, mentre la porta si richiudeva alle spalle di Miyagi, -Ora sto bene.- senza un'altra parola, si accoccolò di nuovo tra le braccia di Sakuragi.

 

 

 

 

Dedico questa fic a una persona conosciuta per caso.

Come canta Paul Stanley (ma quanto amo quell'uomo?), “La vita ha modi per far sembrare le cose più luminose, più leggere”, e spesso ciò accade in maniera così imprevedibile che noi, semplicemente, non siamo pronti a cogliere l'occasione al volo.

Questa volta, invece, lei è entrata nella mia vita in un momento in cui ero abbastanza serena; abbiamo condiviso fanfiction e recensioni, risate e sentimenti yaoi, ma poi sono accadute tante cose, e nonostante mi conoscesse appena ha avuto la forza di starmi accanto quando non c'era praticamente nessun altro, ha condiviso con me pensieri, parole, musica ed emozioni.

Quando nessun altro sembrava sapere cosa farsene di me, mi ha fatto conoscere gli SHINee che, lo ammetto, da boriosa appassionata di grandi mostri sacri tipo Queen, Led Zeppelin, Deep Purple, Kiss, dapprima ho ascoltato superficialmente, con un certo sospetto, ma che ci hanno messo davvero poco a prendermi.

E, nel momento in cui ne avevo più bisogno, ha condiviso con me alcune parole di Jonghyun, che sono poi quelle che alla fine della fic Sakuragi dice a Rukawa.

Mi ha mostrato cosa significa essere una vera Tassorosso, portare il proprio cuore appuntato sul bavero e mi ha fatto scoprire che è vero quello che dice Morgan Freeman in “Un'Impresa da Dio”: il mondo si cambia con un atto di reale e cortese affetto alla volta. E siamo noi a poterlo cambiare.

Grazie di aver cambiato il mio, Ilaria, grazie di cuore.

Spero di poter ricambiare in minima parte il tuo essere la mia ancora di salvezza.

Per citare di nuovo quell'anima bella di Jonghyun, “Vieni a trovarmi in qualsiasi momento. Io ci sarò.”

 
   
 
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