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Autore: The Happy Drug Salesman    24/05/2019    0 recensioni
Tutti conoscono il triste destino a cui Radiant Garden è andata incontro, ma nessuno ha mai raccontato com'era la vita prima della caduta del regno di Ansem il Saggio. Questa è la storia che non è stata mai raccontata, la storia di Aura e dei suoi amici, che tra drammi adolescenziali e problemi di poco conto, dovranno affrontare la tempesta che si abbatterà sulle loro vite apparentemente tranquille.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Isa, Lea, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Birth by Sleep
Capitoli:
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Try it Out (Parte 2)




Cammino sotto a un cielo grigio e minaccioso, con il sole ridotto a un mero alone luminoso che cerca invano di spuntare da quei nuvoloni ingombranti carichi di umidità, il freddo umido mi penetra nelle ossa e istintivamente mi stringo nel mio parka. Spero vivamente che non scoppi a piovere da un momento all’altro, altrimenti rischio di tornare a casa fradicia e con le borse cariche d’acqua; questa mattina non ho preso in considerazione l’idea che potesse piovere nel pomeriggio, così come non ho preso in considerazione l’idea di dover andare a fare la spesa subito dopo la scuola, per colpa di qualcuno

Quando l’ennesimo brivido mi percuote le spalle, chiudo il parka fino al mento, alzo il cappuccio e infilo le mani in tasca, un sospiro esce fuori dalle mie labbra sotto forma di nuvola di vapore. Continuo a camminare spedita verso il negozio di alimentari, con lo zaino che ballonzola ad ogni mio passo, sperando che accelerando l’andatura riesca a riscaldarmi un minimo.
Il negozio si trova fuori dal centro, abbastanza lontano dalla scuola, solo dopo un quarto d’ora di cammino riesco a vedere la luce giallastra dei led filtrare dalle molteplici vetrate del piccolo edificio. Mi affretto a entrare e immediatamente vengo accolta dall’odore della frutta e verdura di stagione, fresca di raccolto. A quest’ora il luogo è quasi deserto quindi riesco a muovermi velocemente – e senza intralciare il percorso con il carrellino – tra gli scaffali, alla ricerca degli ingredienti per cucinare i cupcake.
Ricordo bene ciò che devo comprare e anche le quantità, non è la prima volta che cucino dolcetti da vendere a scuola e il mio obiettivo è riuscire a creare più dolci possibile senza sprecare troppo impasto.

Grazie ai soldi che mi ha dato Lea, posso permettermi di comprare anche gli ingredienti per la glassa e le guarnizioni: crema al burro, zuccherini e confetti colorati; di solito ho sempre venduto i miei dolci senza particolari decorazioni, ma questa volta devo renderli più accattivanti possibile se voglio fare più soldi e superare le aspettative di Damien.

Pago la spesa e fortunatamente avanzano all’incirca ancora 2,500 munny. Non appena metto piede fuori dal negozio, carica di borse, noto che un fitto banco di nebbia è sceso sulle strade di Radiant Garden e copre le vie come un lenzuolo bianco. L'aria è così umida che mi sembra di stare sotto acqua ogni volta che inspiro.


“Questo proprio non ci voleva!” borbotto tra i denti mentre m’incammino verso casa, annaspando di metro in metro per il peso delle buste, che ormai mi stanno lacerando le dita.

Maledetto Damien e maledetto Lea! Perché non possono mai lasciarmi avere una giornata tranquilla? Sarei rimasta così bene a oziare nel calduccio di casa mia.

Ormai allo stremo delle forze e con i capelli inumiditi, mi accorgo di essere poco distante dal bar di Rolud e questa notizia mi rallegra parecchio: sto morendo di fame, sono stanca e trovo inaccettabile l'idea di dover tornare a casa e mettermi ai fornelli!

Credo proprio che mangerò fuori, probabilmente dovrei passare al bistrot ma mi manca Rolud, è da tanto che non passo a trovarlo e scambiare un paio di chiacchiere con lui sarà – probabilmente – la cosa più bella di tutta la giornata, oltre al mio meritato 7 in scienze.
Così faccio un ultimo sforzo e percorro i metri che mi separano dal cibo e dagli amici. Finalmente, quando riesco a vedere la luce tenue del locale attraverso la fitta coltre nebbia, tiro un sospiro di sollievo e mi affretto a entrare nel bar, spingendo goffamente la porta, cercando di non schiacciare le borse della spesa.
Mi guardo attorno e mi sento come essere ritornata a casa dopo un lungo viaggio, forse esagero, ma in questo posto ho passato gran parte dei miei pomeriggi d’estate e lo sento come un approdo sicuro in cui restare quando le acque sono agitate. L’atmosfera è sempre la stessa, la cartolina che ho mandato a Rolud è ancora attaccata alla colonna vicino alla cassa e il biondo è dietro il bancone intento a lucidare un bicchiere ma non appena mi vede all’entrata, cambia immediatamente espressione.

«Ehilà, pulce! Chi non muore si rivede. Che fine hai fatto?»

Rolud si sposta dal bancone e corre a salutarmi. La ricrescita della barba mi pizzica leggermente la pelle non appena mi bacia entrambe le guance.

«Ciao Rolud! Mi sei mancato un sacco.» Esclamo con sincerità mentre mi stacco dal suo breve abbraccio.

«Bugiarda, semmai ti mancavano i miei panini! Dai accomodati, cosa posso offrirti?»

Mi siedo al solito posto appoggiando zaino, borse e giubbotto intorno al mio spazio e lo guardo mentre mi raggiunge dalla sua postazione.

«Potresti darmi la lista dei panini?»

«Ah, hai visto che t’interessano solo i miei panini?» scherza l’uomo mentre va a prendere un menu cartaceo da uno dei tavoli e me lo offre.
«Beh questo non lo nego, visto che sono i migliori di tutta Radiant Garden!» ammetto, iniziando a sfogliare il menu «Però mi sei davvero mancato, così come mi è mancato scambiare quattro chiacchiere con te.»

Guardo le pagine con scarsa attenzione, fino a quando non scorgo una lista di panini gourmet nell’ultima pagina. Gli ingredienti per ciascun panino sono ricercati, e mi stupisco nel vedere alcuni abbinamenti imprevedibili come tonno sott’olio, paté di olive, granella di nocciole, datterini e menta!

Non ricordavo che Rolud avesse una così vasta scelta di panini gourmet nel suo menu, forse perché non ho mai avuto abbastanza soldi per permettermene uno…

«Prendo il panino con mortadella, pesto di pistacchi, scamorza e crema di aceto balsamico!» Esclamo con l’acquolina in bocca e lo stomaco che protesta per le ore di digiuno forzato a cui è stato sottoposto.

«Ottima scelta, è uno di quelli che va per la maggiore!» mi risponde lui, per poi urlare l’ordinazione in cucina.

«Scusa se non sono riuscita a venire a trovarti in quest’ultimo mese, ma ci hanno letteralmente sommerso di verifiche. Ho passato gran parte del mio tempo rinchiusa in casa a studiare, o almeno, ci ho provato: a volte ho la soglia di attenzione di un pesce rosso.» sospiro, appoggiando la fronte sul freddo marmo del bancone. Rabbrividisco istintivamente. «E ora continuano ad incaricarmi di lavoro extra per la scuola. Di questo passo non avrò mai un attimo di pace!»
«Che cosa è successo?»
«Oggi quello stronzo del mio capoclasse mi ha messo assieme al mio compagno di banco, che non sopporto, per lavorare alla raccolta fondi del ballo di Primavera! E la cosa mi ha fatto incazzare da morire perché Damien l’ha fatto a posta per infastidirci, poi è uscito fuori un litigio assurdo, tra me, lui e quell’altro e…!» le mie parole escono come un fiume in piena, senza controllo.
«Ok, calma. Mi sono già perso: chi è Damien?»
«Quel pezzo di merda del mio capoclasse!»
«Bene, e il tuo compagno di banco sarebbe?»
«Lea, il migliore amico del ragazzo che mi piace…»

Alzo lo sguardo e noto l’espressione stupefatta di Rolud, come se tutto a un tratto si fosse ricordato di qualcosa di molto importante.

«Il ragazzo che ti piace è sempre quello che ha avuto l’attacco di diarrea per il gelato scaduto?»
«Sì.» Lo guardo leggermente indispettita da quell’affermazione, non sopporto quando qualcuno mi ricorda quell’episodio imbarazzante.
«Oh… ora ricordo! E Lea era quel tipo di cui avresti dovuto fingere di diventare sua amica per arrivare al tuo interessato! Era quello il piano, giusto?» gongola, con un sorrisetto stampato in faccia.
«Sì, era quello.»
«È com’è andato?»
«Uno schifo!» mugugno «Già dal primo giorno che ci ho provato ho mandato tutto in malora perché Lea si è messo a sfottermi di fronte all’intera classe e davanti a un prof, quindi, siccome la mia dignità, anche se poca, esiste ancora, ho lasciato subito perdere! Non ho voluto avere più nulla a che fare con lui, non gli ho parlato per un mese… almeno fino allo scorso venerdì…» Mi rattristo solo al pensiero di ciò che è successo alla biblioteca.

«Io ed Emmeline siamo andate all’inaugurazione della nuova biblioteca e lì, per colpa della troppa gente, mi sono imbattuta – nel vero senso della parola – in Isa, il ragazzo che mi piace. Gli ho fatto cadere tutti i libri per terra… » mi fermo un attimo a respirare, prima che crolli in un’improvvisa crisi di pianto. Rolud mi guarda con dispiacere, ma non nasconde una certa curiosità di sapere il resto.
«E quello sarebbe potuto essere il momento migliore per scusarmi di tutto quello che gli ho causato e parlargli, se solo non mi fossi bloccata per l’imbarazzo di averlo ritrovato davanti così all’improvviso! E come se quella situazione non fosse stata già abbastanza drammatica, è arrivato Lea a peggiorarla e a infierire: mi ha letteralmente preso per il culo davanti a lui! Io…»

«Diamine, che situazione…» fortunatamente Rolud, vista la mia imminente crisi, mi interrompe, prendendo in mano le redini della conversazione. «Questo Lea è proprio un lazzarone! Non si trattano così le ragazze!»

L’uomo viene interrotto a sua volta dal suono del campanello della cucina.

«Arrivo subito.» si allontana da me per una manciata di secondi, per poi tornare con un glorioso panino, servito su un piatto quadrato assieme a delle chips di patate. Mi brillano gli occhi, ho l’acquolina in bocca solo a guardarlo, il mio umore fa un balzo in alto immediato e mi rallegro subito non appena lo appoggia davanti a me.

«Buon appetito!»

In men che non si dica mi avvento sul panino. Il sapore deciso della mortadella, combinato a quello lievemente dolce del pesto di pistacchi e la vivacità della scamorza crea un mix dal gusto esplosivo, arricchito alla perfezione dall'unicità della crema di aceto balsamico. Le mie papille gustative sono in estasi.

Rolud mi guarda mangiare con evidente soddisfazione, le braccia incrociate al petto e un sorrisetto sul viso.

«È buonissimo, Rol!» dico, tra un boccone e l’altro, mangiando con voracità.

«Mi lusinghi, così! Comunque, di cosa stavamo parlando?»
«Di Lea, che è uno stronzo.»
«Giusto… quindi ora questo Damien ti ha obbligato a fare coppia con Lea per la raccolta fondi del ballo di Primavera?»
«Già, abbiamo cercato di trovare un accordo, una specie di patto di non aggressione per evitare di ammazzarci a vicenda durante queste due settimane: dobbiamo fare finta di andare d’accordo per distruggere le aspettative negative che Damien si è fatto su di noi.»
«Ma è fantastico! Hai un’occasione d’oro per mettere in pratica l’esperimento e questa volta anche lui sarà partecipe!»
«Sei pazzo! Lui non deve sapere nulla della mia cotta per Isa, altrimenti chissà cosa andrà a dirgli!»
«E chi ha mai detto che lo deve sapere?»

Effettivamente Rolud ha ragione: all’inizio non ci ho fatto caso, ero troppo arrabbiata per riuscire a pensare lucidamente, ma ora che me lo sta facendo notare sono quasi più incline ad accettare più volentieri il nostro compromesso.

«Cavolo, sei un genio.»
«Lo so, un genio incompreso.» ribatte l’uomo ridacchiando.
 

Cambiamo argomento e parliamo del più e del meno fino a quando non mi accorgo di aver perso la cognizione del tempo, non so da quanto sono li, ma sicuramente troppo! Devo sbrigarmi a tornare a casa o rischierò di trovarmi Lea sbraitare di fronte la porta d’ingresso!


«Quanto ti devo per il panino?»
Rolud mi guarda leggermente interdetto per la domanda, sembra quasi che non voglia rispondere. 
«Dai, sul serio. Non posso permetterti di lasciarmi andare via senza pagare, soprattutto oggi che me lo posso permettere!»
«E va bene. Sono 2.450 munny.»

Tiro fuori dal borsellino sgualcito gli ultimi i risparmi di Lea e li appoggio vicino alla cassa. Rolud è impressionato, vuole dire qualcosa ma lo anticipo sul tempo.
«Li vedi questi soldi? Me li ha dati Lea per comprare gli ingredienti per i cupcake, perché ha deciso così di tutto punto di iniziare a cucinare oggi stesso, ma visto che per colpa sua non sono riuscita a tornare a casa in tempo per il pranzo, visto che ho dovuto far la spesa, spendo i suoi ultimi risparmi in questo buonissimo panino. Così impara.»
«Sei tremenda, Aura!»
«Beh che dire» mi schiarisco la voce «aspetto di vendicarmi da parecchio tempo!»

Prendo le mie cose e mi avvio verso l’uscita. «Tienimi aggiornato sulla vicenda, eh! Sono curioso di sapere come va a finire.»
«Contaci, Rol!»
 

Ci salutiamo e corro in fretta a casa, fortunatamente quando arrivo non c’è nessun ragazzo/petardo ad aspettarmi. Con il fiato corto e le mani indolenzite e tremanti apro la porta d’ingresso ed entro, trascinando le borse fino alla cucina.

Barattoli lasciati senza coperchio e posate sporche sono sparse sul tavolo e il bancone, assieme a dei pezzi di carta stagnola sporchi di formaggio spalmabile. Per terra, appallottolati, dei fazzoletti di carta assorbente giacciono coperti di macchie d’unto come reduci di guerra in un campo di battaglia.

«Maltin!» la mia voce esce con uno strillo strozzato. Mio fratello salta all’indietro per lo spavento, tra le mani appiccicose l’arma del delitto: un grosso panino imbottito di tutto ciò che è stato possibile mettere dentro.

«Che cosa hai combinato?!»
«Avevo fame! Se avessi aspettato il tuo ritorno sarei morto, non tornavi mai!» piagnucola, con il boccone ancora tra le fauci. «Così mi sono arrangiato da solo, ho mangiato quello che ho trovato nel frigo!»

Lascio le borse a terra e inizio a raccogliere la spazzatura lasciata sul pavimento.
«Ho fatto tardi perché ho avuto una giornata impegnativa, va bene?! Ora muoviti: aiutami a pulire tutto questo schifo prima che arrivi l’ospite. Veloce!»
Maltin, visibilmente seccato, ingurgita l’ultimo boccone e si alza dal posto con calma ed io, mossa da un impeto di rabbia, non aspetto un secondo di più per farmi sentire di nuovo:

«Ho detto MUOVITI!»

«Ok, ok!» Recupera immediatamente due coltelli sul tavolo e li mette nel lavello. «Chi deve arrivare?»
«Un tipo, non lo conosci.»
«Un tipo?!» Squittisce Maltin, tra l’incredulo e il divertito «Di solito non inviti mai ragazzi a casa! Papà lo sa?»
«No che non lo sa, non avrei avuto neanche il modo di dirglielo, dato che è stato organizzato tutto oggi.» borbotto ordinando dei barattoli nel frigo.
«Allora chi è? Cosa dovete fare? È il tuo ragazzo?»
Se mettesse a posto la cucina con la stessa rapidità con cui mi rivolge tutte queste domande, sarebbe già pulita e tirata a lucido alla perfezione.

«Non è il mio ragazzo!» rispondo stizzita mentre cerco di pulire il tavolo con movimenti ampi e veloci.

Improvvisamente veniamo interrotti dal suono del campanello. Mio fratello mi rivolge una rapida occhiata seguita da un ghigno, poi prima che io possa fare qualcosa, si precipita ad aprire la porta. Ancora con il busto appoggiato sul tavolo mi lascio andare a un sospiro agonizzante, battendo la fronte sulla superficie in legno.

«Ciao! Io sono Maltin, il fratello di Aura, piacere di conoscerti! Tu saresti…?» Lo sento esclamare a gran voce dal corridoio d’ingresso.
«Piacere mio! Io sono Lea, l’hai memorizzato?»

Decido di prendere in mano la situazione prima che Maltin decida di mettermi ancora più in imbarazzo di quanto non lo sia già, così mi reco in corridoio e vedo Lea di fronte alla porta, mio fratello lo sta accompagnando verso il soggiorno camminando all’indietro come i gamberi. Quando il rosso mi nota si limita ad accennare un saluto con una rapida alzata di sopracciglia e un sorrisetto furbo.

«Vieni, intanto che mia sorella finisce di pulire la cucina, voglio mostrarti il nostro gatto Gash… oh!»

Maltin batte la sua schiena contro di me e con un balzo si gira, guardandomi.
«Sto pulendo lo schifo che TU hai lasciato. Anzi sbrigati a tornare di la e finire di mettere a posto!» mi impongo nel modo più autoritario che riesco, con le mani piazzate sui fianchi.

«Ciao Aura.» mi saluta, divertito dalla situazione.
«Ciao Lea.» gli rispondo, un sorriso tiratissimo si allarga sul mio viso. In realtà c’è ben poco da ridere, siamo solo a metà giornata ed io sono già esausta e sull’orlo costante di una seconda crisi di nervi.

L’ospite rimane in attesa di un cenno e continua a guardarmi. Effettivamente non è carino far aspettare qualcuno, a prescindere che quel qualcuno sia Lea, così gli chiedo cortesemente di darmi la sua giacca  a vento e lo faccio accomodare in soggiorno. Senza pensarci troppo decido di lasciarla in camera mia, sul letto. Esco in fretta richiudendo la porta e scorgo la voce di Lea parlare a voce sommessa con Maltin, in soggiorno.

«Tua sorella è sempre così
«Oh credimi, a volte è anche peggio!»

La mano si stringe istintivamente sulla maniglia della porta, quasi a volerla sradicare; mossa dal nervosismo avanzo a grandi passi verso il soggiorno.

«Giuro che butto entrambi fuori di casa se continuate così!»
Grido così forte da grattarmi la gola, il viso bollente e paonazzo che pulsa. Lea e Maltin mi guardano esterrefatti, senza dire una parola.
«Forse è meglio se me la svigno…» mormora mio fratello, senza staccare gli occhi dal rosso.  Lea gli fa un cenno in segno di assenso e Maltin si dilegua nella sua stanza prima che possa dire qualcos’altro. Sbuffo pesantemente e rivolgo un’occhiataccia al ragazzo/petardo che si limita a grattarsi il capo tenendo lo sguardo basso. «Forse è meglio se ci mettiamo al lavoro, che dici?»

Lea mi segue fino alla cucina in silenzio, i suoi occhi guizzano da una parte all’altra della stanza, per poi guardare me tirare fuori gli ingredienti dalle borse.

«Bella casa.» borbotta tra sé e sé, continuando a vagare girando attorno al tavolo.
«Mmh.»

Appoggio le ultime due confezioni di uova sul tavolo e tiro fuori dalla credenza delle ciotole, un setaccio e altri strumenti. Intanto continuo a tenere d’occhio Lea, che al momento sta fissando fuori dalla finestra, completamente assorto nei suoi pensieri. «Ehilà? Vogliamo iniziare sì o no?»
«Eh? Ah sì…» Lea si volta e sgrana gli occhi alla vista degli ingredienti sul tavolo. «Cazzo, quanta roba hai comprato?!»
«Tutto quello che serve a cucinare tanti cupcake.» ribatto «I soldi che mi hai dato sono bastati per comprare gli ingredienti, ma non è avanzato nulla.» Mento spudoratamente facendo spallucce, mi tengo impegnata ad aprire la busta della farina per non incontrare lo sguardo di Lea.
«Ah!» Si avvicina a me come a voler controllare meglio la sfilza di ingredienti di fronte a lui «Non avevo idea che questa roba costasse così tanto…»
Sembra leggermente deluso. Non rispondo. Non mi sento in colpa per quello che ho fatto, se l’è meritato.

Prima di metterci al lavoro andiamo a lavarci le mani. Poi torniamo in cucina.

«Aiutami: setaccia la farina, il lievito e il cacao in polvere in questa ciotola. Io intanto trito il cioccolato fondente.»
«Non so come si fa!» piagnucola tenendo in mano il contenitore trasparente.
«Guarda.»
Prendo la ciotola dalle mani di Lea, che segue con lo sguardo i miei movimenti, sposto il setaccio sopra il contenitore e ci metto una manciata di farina, poi scuoto leggermente il setaccio per lasciar cadere la farina nella ciotola sottostante.
«Ora tocca a te.»
Lea prende il mio posto ed io mi sposto a qualche metro di distanza, dove il cioccolato fondente giace sul tagliere, pronto per essere tritato.
«Posso mettere assieme alla farina anche il lievito e il cacao in polvere?»
«Va bene, ma non esagerare con gli ingredienti, per il momento prepareremo solo dodici cupcake, ma con tutta questa roba dovremmo riuscire a prepararne almeno trentasei.»

«Comunque simpatico tuo fratello.»

Lascio il coltello sul bancone e rivolgo uno sguardo interrogativo a Lea, ancora intento a setacciare gli ultimi grammi di cacao e lievito. «Diresti il contrario se lo avessi a casa tua: è uno scansafatiche, bravo solo a fare casino.»
Prendo un pentolino di metallo e lo riempio con tre dita d’acqua, per poi posizionarvi sopra la ciotola contente il cioccolato. Accendo la fiamma a fuoco basso, regolando la manopola con minuziosa attenzione: mi è già capitato una volta di distrarmi lavorando con il fuoco e ricordo ancora l’odore di composto bruciato, attaccato alla padella, rimasto per giorni tra le mura della cucina…
«Forse è proprio per quello che lo trovo simpatico!»
Lea si pulisce le mani alla bell’e meglio sui suoi pantaloni beige, formando impronte bianche sul tessuto; l’acqua nel pentolino si scalda, il cioccolato inizia a fondere lentamente emanando il suo aroma intenso.
Sento la presenza del rosso alle mie spalle. Mi sento leggermente a disagio quando qualcuno mi guarda cucinare, non sono abituata, o almeno, non lo sono più da quando…
«Che odore invitante! Cosa stai facendo?»
«Sto fondendo il cioccolato.» lo mescolo delicatamente, senza interruzione; sento calore sul viso e noto con la coda dell’occhio la finestra appannarsi in contrasto con il freddo umido dell’esterno. Mi avvicino di più al fornello e il calore si fa più intenso, ma non riesco a capire se è colpa del fuoco o è l’agitazione a farmi sudare. Con uno scatto improvviso mi avvento sulla manopola, chiudendo l’emissione di gas. Lea si sposta non appena mi vede armeggiare con la ciotola di cioccolato fuso, la appoggio sul bancone a fianco ai fornelli e, non appena mi giro verso il tavolo per prendere il burro, noto Lea intenzionato a intingere il dito nel contenitore.

«Non ci provare nemmeno.» Lo ammonisco e lui ritrae immediatamente la mano. «Prendi lo zucchero.» Obbedisce, intanto verso il burro in un’altra ciotola. «Mettine un bel po’ qua dentro.» Il rosso fa come gli dico e prendo lo sbattitore, per poi passarglielo in mano.

Lea guarda lo strumento tra l’incuriosito e il divertito, poi lo accende. «Vibra!»
Quando toglie il pollice dal pulsante le fruste smettono di muoversi, ripete il gesto per qualche secondo fino a quando non gli passo la ciotola contenente il burro e lo zucchero.
«Devi montare il contenuto della ciotola: infila le fruste dentro il composto e muovi lo sbattitore tenendo premuto il pulsante.»

Ci guardiamo restando in silenzio fino a che Lea non trattiene una risata. «Montare, fruste…» grugnisce, mettendosi una mano davanti alla bocca. Rimango a fissarlo, leggermente interdetta, non capisco cosa ci sia da ridere in uno sbattitore elettrico. Prima di mettersi all’opera, si sfila la felpa arancione con un movimento ampio che gli lascia scoperta la pelle bianca della schiena, l’elastico nero delle mutande spunta dai pantaloni a vita bassa. La appoggia sulla sedia e sistema la camicia a quadri dai colori discutibili, stendendo il tessuto con le mani, dopodiché arrotola le maniche fino al gomito, prende in mano lo strumento e fa quanto detto. Rimango qualche secondo a guardarlo montare il burro e lo zucchero con una serietà irreale prima di rompere due uova in un’altra ciotolina. «Ora dobbiamo incorporare le uova.»
Lea si ferma e lascio scivolare delicatamente i tuorli e gli albumi. «Montali ancora: dobbiamo ottenere una massa spumosa e ferma.»
«Ok capo.»

A quell’appellativo mi sfugge un sorriso spontaneo, forse il primo da quando sono tornata a casa.

Dopo aver unito il latte e il cioccolato fondente fuso, aggiungo le polveri e mischio il composto dei cupcake con la spatola fino a farlo diventare omogeneo. Noto il rosso guardarmi con sincero interesse, come se stesse studiando ogni mio movimento e non posso fare a meno di sentirmi nuovamente a disagio. Devo trovare un altro modo per tenerlo occupato, ma come?

Appoggio il recipiente sul bancone e mi sporgo per prendere lo stampo da 12 per muffin, ma nel tirarlo fuori spingo giù una pentola, che cade con un fastidioso clangore.
«Ehi, stacci attenta a queste cose!»
«È tutto ok.» mormoro, con il cuore in gola. Faccio un respiro profondo ma le mie mani tremano ancora per lo spavento.
«Puoi prendere i pirottini di carta?» Mi piego per raccogliere la pentola, dando le spalle a Lea.
«I che?» risponde lui, distratto.
«I piccoli contenitori di carta plissettata.»
Lea prende in mano la confezione e la apre con forza, gli passo lo stampo per i muffin. «Metti i pirottini negli stampi.»
«Carini! Sono personalizzabili? Potremmo scriverci sopra con il pennarello qualche cosa!»
«Dubito che ci riesca, con tutte le pieghe che hanno, ma se proprio insisti…»

Trasferisco l’impasto in una sac-à-poche senza bocchetta e qualche attimo dopo ricordo di averne un’altra più piccola che non uso più da tempo.
Guardo l’impasto avanzato nella ciotola e non ci penso due volte prima di tirare fuori dalla credenza lo strumento. Se lascio che Lea mi aiuti a riempire i pirottini la sua attenzione finirà tutta sul lavoro e i suoi occhi su di me non saranno più un problema!

«Ora dobbiamo riempire gli stampi con l’impasto!» esclamo tenendo in mano con soddisfazione le due sac-à-poche piene. Lea prende quella più grande per compiacere le sue manie latenti di megalomania e ci avviciniamo entrambi allo stampo. Inizio a riempire i pirottini sul mio lato spremendo l’impasto dal sac-à-poche e qualche secondo dopo il rosso fa lo stesso, mimando i miei movimenti. Mi sposto man mano che finisco le fila e quando concludo l’ultima dal mio lato alzo lo sguardo e mi accorgo che i nostri visi si trovano a qualche centimetro di distanza. Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, prima di spezzare quel breve contatto, tirandomi su con la schiena con uno scatto.

Dopo alcuni minuti mettiamo a cuocere i cupcake; Lea è seduto sulla sedia con lo schienale girato al contrario e fissa il forno, l’unica fonte di luce accesa nella cucina oltre alla finestra. Restiamo in silenzio per un bel po’, avvolti solamente dall’inebriante profumo di dolci al cioccolato che si espande per la stanza.

Guardo fuori dalla finestra, le nuvole grigie si muovono rapidamente nel cielo senza mai lasciare uno spazio vuoto. All’orizzonte i rami degli alberi quasi del tutto spogli rimangono immobili, ogni tanto qualche corvo vi si posa sopra, per poi spiccare il volo verso un’altra meta.
Rivolgo la mia attenzione ai cupcake, verificandone la cottura infilzandoli con uno stuzzicadenti. Una volta estratto noto che è asciutto.
«Sono pronti.» Mormoro, quasi dando voce a un pensiero mentre afferro saldamente lo stampo con le presine.

«Wow, sembrano buonissimi! Posso assaggiarne uno?»

Tiro un’occhiataccia al rosso, appoggiando i cupcake sul bancone, poi rilasso le sopracciglia, sospirando. Mi riesce difficile fare la scontrosa per così troppo tempo senza avere un motivo preciso, Lea si è comportato bene ed è stato un bravo aiutante. Un assaggio se lo merita. «Ok. Stai attento: scottano.»
 
Come un bambino in fibrillazione di fronte all’oggetto dei suoi desideri si avventa sui dolcetti, cercando di sfilare il pirottino dallo stampo con movimenti veloci, facendo attenzione a non scottarsi le dita. Poi, tutto trionfante lo prende in mano e ne assaggia un morso, per poi ritrarsi con uno scatto, la lingua di fuori sporca di briciole marroni. «Caffo fe fcotta!»
Soffia sul cupcake e gli da un altro morso. «È buonissimo!» Poi un altro ancora. «Come hai imparato a cucinare così bene?!» chiede entusiasta, a bocca piena.

Tentenno un po’ prima di rispondere. «Studio, pratica e tanta passione.»
«Ok ci sta, ma cosa ti ha spinto ad avere così tanta passione per la cucina? Uno non si sveglia con l’idea di imparare a cucinare così da un giorno all’altro!»

Sospiro abbassando lo sguardo, i ricordi assopiti riaffiorano nella mente, scorrono veloci e mi travolgono come un fiume in piena.

«È stata mia madre, lei era una cuoca fantastica, mi ha insegnato le basi, mi ha trasmesso la sua passione e la sua creatività…»
«Perché parli di lei al passato?»
«Perché è morta.»

Lea impallidisce, dalla bocca aperta esce soltanto un suono strozzato, poi il silenzio.

«Mi dispiace, non avevo idea…» freme in cerca delle parole esatte da pronunciare. Io invece non voglio dire più nulla, mi sono pentita di aver parlato troppo, non vorrei che questa storia mi venisse ritorta contro, in qualche modo. Sfilo dallo stampo gli altri pirottini, accompagnata dal ricordo di mia madre e del giorno in cui ho saputo della sua prematura scomparsa.

È come se la mia mente avesse deciso di cancellare il ricordo di quel giorno dalla memoria ma qualche traccia è rimasta, indelebile. Ricordo la disperazione di mio padre, in lacrime di fronte alla porta di casa, quando gli hanno raccontato della tragedia che si è consumata quel pomeriggio. Ricordo che è stato un incidente in cui sono state coinvolte più persone, ma i nomi degli altri non sono mai stati rivelati e dopo un paio di giorni nessuno ha parlato più dell’argomento, come se il ricordo stesso di quell’evento si stesse affievolendo nelle memorie di tutti.


Le mie memorie di lei prima di quell’incidente però sono vivide e le tengo strette dentro il mio cuore. Anche se lei non è più qui, nei miei ricordi può vivere per sempre.
 


«Senti, mi dispiace ok? Non avevo intenzione di chiederti una cosa del genere, non potevo sapere nulla! Non ricominciare ad ignorarmi!»
«Ehi, posso aiutarti con quello come ho fatto prima?»

Provo un dolore lancinante al petto e le lacrime scendono dagli occhi, rigandomi le guance. Con un gesto istintivo le asciugo, lasciando cadere il setaccio nella ciotola, sopra la farina già setacciata.

«E dai Aura! Sei incazzata con me, vero? Ti prego non piangere, non volevo farti stare male, lo giuro!»
«Cosa…?»

Mi guardo attorno, scrollandomi di dosso l'orribile sensazione di aver appena avuto un vuoto di memoria. Lea mi sta fissando con evidente preoccupazione.
«Che cosa c’è, Lea?» mormoro, facendo finta di niente.
«Sei incazzata con me?»
Tiro su con il naso e mi stropiccio gli occhi con il dorso della mano. «No che non lo sono…» Il rosso continua a guardarmi, tenta di dire qualcosa ma si ferma. «Posso aiutarti a cucinare o vuoi continuare da sola?»
Sono confusa dalle sue parole, ma capisco a cosa si stia riferendo non appena noto la ciotola nella quale stavo setacciando la farina, lasciata sul bancone. Non ricordo di aver ricominciato a lavorare, ma provo a far finta di niente, sperando che Lea non noti il mio attuale stato di smarrimento.

«Va bene, puoi aiutarmi solo se continui a fare il bravo.»

Lea prende in mano gli strumenti ed io prendo un’altra porzione di cioccolato fondente da tritare e successivamente sciogliere a bagnomaria.

Lavoriamo in silenzio, ripetendo i passaggi fatti in precedenza.
 

Anche se le mie mani sono impegnate a lavorare il composto, la mia testa è completamente altrove: mi ritrovo a pensare nuovamente a mia madre, a mio fratello e infine a Lea. Forse i miei pregiudizi su di lui sono stati un po’ azzardati, ma di certo non mi ha mai dato modo di pensare il contrario, almeno prima di oggi! Non mi sembra una cattiva persona, egocentrica sì, ma non stronza come credevo.
Lo scorgo con la coda dell’occhio, è intento a guardarmi, aspetta che finisca con l’impasto per inserirlo nelle sac-à-poche.
Mi viene in mente il giorno in cui è stato presentato alla classe come “il ragazzo bocciato”, se solo potessi rivedere l’espressione sgomenta che ho assunto non appena l’ho visto entrare in aula penso che riderei fino a domani. Eppure, ripensandoci, ora come ora provo quasi stima per lui: ha perso i suoi amici e i suoi compagni di classe, nonostante tutto non ha mai perso la voglia di mettersi in gioco e cercare di fare nuove amicizie. Io non ce l’avrei mai fatta, probabilmente: solo l’idea di non avere un vero amico pronto ad aspettarmi in aula per affrontare assieme le lezioni mi destabilizza. Certo, ci sono Luneth, Refia e gli altri, ma il rapporto che ho con loro non è solido come quello che ho con Emmeline.
Magari se le cose tra me e Lea fossero andate diversamente all’inizio, non saremmo mai stati in cattivi rapporti e avremmo evitato tutto… questo.

«Posso farti una domanda?»
«Spara.»
«Perché sei stato bocciato?»

La mia domanda suscita in Lea una risata spontanea, che rimbomba forte tra le pareti della cucina.

«Brutti voti, facevo casino, distraevo gli altri. Robe così. Isa, da bravo capoclasse e amico, ha sempre cercato di mettere una buona parola su di me con i prof, ma quel ragazzo non è stato in grado di fare miracoli, così sono stato bocciato.»

Il mio cuore accelera il battito non appena sento parlare di Isa. «Isa era capoclasse?!» squittisco, per poi zittirmi immediatamente. Spero solo che non si sia accorto della foga che ho usato nel chiederlo e, soprattutto, che non si chieda come faccia a sapere il suo nome!

«Lo è stato e lo è tutt’ora!» esclama lui «È un capoclasse con i controcazzi, altroché quel montato del cazzo di Damien, quello è bravo solo a dar aria alla bocca e a infastidire le persone. A proposito: perché il damerino ce l’ha tanto con te?»
«Se mai, perché lo odio così tanto.» lo correggo, iniziando a riempire il primo pirottino posizionato sullo stampo.
«È iniziato tutto il primo anno di scuola: non conoscevo nessuno in classe e non sono mai stata brava a fare amicizia, mi sentivo costantemente in imbarazzo a parlare davanti a tutti quando i prof interrogavano, soprattutto nel primo periodo scolastico. Uno in particolare mi aveva messo parecchio a disagio con le domande, tanto da non riuscire nemmeno a spiccicare parola, mi sentivo davvero ridicola, e come se non bastasse Damien aveva iniziato a sfottermi dandomi della stupida, mi aveva detto che questo non era il posto per me e che, piuttosto, avrei dovuto ripetere la scuola primaria se non fossi riuscita nemmeno ad articolare una frase di senso compiuto!
Dopo quell’episodio il mio percorso scolastico era stato segnato: oltre a quello stronzo di Damien, anche Elseid, Arleen e i gemelli mi avevano preso di mira.»

Ricordare tutto questo mi provoca un fastidio tale da spremere istintivamente la sac-à-poche più del dovuto, immaginando che quello fosse il loro collo, riempiendo il pirottino fino all’orlo.

«Elseid ad esempio mi chiamava stuzzicadenti per via del mio fisico…» borbotto a denti stretti, cercando – questa volta – di moderare la forza. Lea mi guarda e i nostri sguardi si incrociano di nuovo, a qualche centimetro di distanza, poi si concentra nuovamente sui cupcake.

«Fortunatamente Luneth e gli altri avevano preso le mie difese perché non sopportavano più quel comportamento, così per tutta risposta gli altri hanno iniziato a sfottere anche loro… per colpa mia.»

Lea vorrebbe dire qualcosa ma lo interrompo. «Con il tempo ho imparato a rispondere alle loro provocazioni e si sono calmati un poco, ma tutta la sofferenza che ho patito durante questi anni non la dimenticherò tanto facilmente.»
«Che razza di stronzi cacati con sforzo!» Sbotta, come se stesse trattenendo per troppo tempo quelle parole.
«Poi, come se non bastasse ti ci sei messo pure tu a prendermi per il culo davanti alla classe!»
«Io? Ma era solo per… ah lasciamo stare.»
«Giuro che se mi ritorcerai contro anche questa storia ti do fuoco ai capelli e lo faccio passare per un incidente!»
«Hey, ma per chi mi hai preso?! Non sono così infame! So riconoscere uno sfottò goliardico da una presa per il culo fatta per ferire!» finge di fare l’offeso e incrocia le braccia al petto. Non gli do corda, inforno la seconda dozzina di cupcake.

«Damien mi è sempre stato sulle palle: sin dal primo momento in cui ho messo piede nell'aula ho sentito la puzza di arroganza provenire dal suo fottuto banco! Fortunatamente non mi ha mai rotto, almeno fino ad oggi. Ed io per fargli dispetto ho umilmente accettato di venire qui oggi, per aiutare questa donzella in difficoltà…» esclama con teatralità per poi accasciarsi sulla sedia. Roteo gli occhi e incrocio le braccia al petto alzando un sopracciglio. «Ringrazia che ti abbia umilmente accettato qua dentro, piuttosto, principicchio
«Beh» inizia lui, sedendosi con lo schienale rivolto al contrario. «Pensala così: ti sto offrendo il mio aiuto per far capire a quel montato quanto vali, poi se non hai più interesse, in quel caso…»

Lea continua a sproloquiare e tra una chiacchiera e l'altra continuiamo a cucinare. In men che non si dica inforniamo anche la terza dozzina di cupcake. Nel tempo che ci rimane a disposizione prepariamo la crema al burro per guarnire i dolcetti, per poi decorarli con zuccherini colorati.

Se riuscissimo a venderli tutti per 85 munny ciascuno porteremmo ben 2.975 al fondo cassa della sezione. Una cifra tale potrebbe mettere a tacere Damien almeno fino alla prossima settimana, o almeno spero!

Copriamo le teglie di cupcake con della carta stagnola e, con nostro stupore, ci rendiamo conto che è quasi ora di cena.
«Meglio che io vada, altrimenti mia madre mi fa di nuovo lo scherzo della poltrona in penombra e mi minaccia con il mattarello! Se non arrivo in tempo per la cena posso assicurarti che non ceno!» 
Accompagno Lea alla porta, ancora perplessa da quello che mi ha detto riguardo sua madre e per poco non mi scordo della sua giacca a vento. Vado a recuperarla in fretta prima che possa vedermi e seguirmi fino in camera: non voglio concedergli questa confidenza tale da portarlo nel mio “rifugio”.
Maltin esce allo scoperto e ne approfitta per salutarlo prima che se ne vada:

«Ciao Lea! Spero di rivederti presto!»
«Credimi, sarà più presto di quanto tu possa credere. E poi ora siamo amici: potrei venire a casa vostra senza il permesso di Aura, se me lo concedi!»
Tiro un’occhiataccia ad entrambi e il rosso esplode in una fragorosa risata.
«Puoi giurarci!»

Lea ci saluta entrambi con un occhiolino, schiocca le dita e mima il gesto di una pistola, per poi dileguarsi nel buio della sera.
 
 

Il giorno dopo sono pronta per uscire di casa con lo zaino in spalla e le due teglie di dolci tra le mani quando sento suonare il campanello, non appena apro la porta mi ritrovo davanti qualcosa che non mi sarei mai aspettata di vedere: Emmeline e Lea stanno bisticciando sonoramente di fronte all’entrata di casa mia. I due si accorgono della mia presenza e prima che potessi dire qualsiasi cosa Emmeline mi precede:

«Aura, perché questo citrullo è qui?!»
«Io– non ne ho la più pallida id…-»
«Maltin mi ha dato il permesso di venire qui quando voglio!» sottolinea Lea guardando Emmeline in malo modo, come se quelo fosse effettivamente un motivo serio per presentarsi fuori casa di qualcuno alle 7:30 del mattino.

«Comunque, ora sono qui per portare almeno una teglia di cupcake: visto che li ho fatti anch’io non voglio che tu ti prenda tutto il merito solo perché sei più brava di me a cucinare.»
«Che razza di egocentrico!»
«Va bene.» gli porgo le teglie e Lea ne prende una, con evidente soddisfazione. Emmeline è senza parole e il rosso le rivolge un sorrisetto che mal cela il suo orgoglio. «Visto che ora siamo tutti qui potremmo andare a scuola assieme.» propongo, richiudendomi la porta di casa alle spalle.
«Ok capo!»
«Seriamente, Aura?!» La mia migliore amica sembra sull’orlo di una crisi di nervi mattutina, ma non so che altro fare per assecondare entrambi ed evitare un altro litigio in luogo pubblico.
«Ti prego, è solo per oggi. Stai al gioco.» Le sussurro. Emmeline mi guarda di sottecchi, senza più fiatare.
 

«Oh cazzo!» Sbotta Lea all’improvviso. Siamo a metà strada ed Emmeline è già sfinita dalle chiacchiere incessanti del rosso.

«Cosa? Cosa c’è?!» Inchiodiamo di colpo, Lea mi fissa con gli occhi sgranati e sbianco di colpo.
“Non è che ha dimenticato qualcosa?!”

«Mi sono dimenticato di avvisare Isa che stamattina sono venuto da te a prendere i cupcake! Di solito andiamo sempre a scuola assieme e si incazzerà se non mi troverà al solito posto!»

Tutt’a un tratto mi sento avvampare dall’imbarazzo. Lea ha parlato ad Isa di me?! Ora sarà totalmente conscio della mia presenza a scuola e saprà che la mia aula è vicina alla sua!
Un solo pensiero mi attraversa la mente, probabilmente non dovrei dargli voce, ma...
«Beh, in questo caso non sarebbe meglio passare da lui?» esclamo, fingendomi totalmente disinteressata alla cosa. Io e la mia migliore amica ci scambiamo un fugace sguardo d’intesa.
«Nah, arrivati a questo punto non conviene. Il posto dove ci troviamo di solito è dall’altra parte della città e non abbiamo abbastanza tempo per arrivarci. Pazienza, subirò le sue ramanzine anche oggi!»

Arriviamo a scuola e non posso fare a meno di guardarmi attorno per vedere se c’è Isa nei paraggi, avendo Lea accanto il rischio di incappare in lui aumenta di molto. Salutiamo Emmeline e ci avviamo verso l’aula, ma del ragazzo non c’è traccia al momento.
In compenso veniamo accolti da Damien, che alza un sopracciglio non appena ci vede portare i due vassoi e appoggiarli sul banco.

«Come funziona ora? Quand’è che si iniziano a raccogliere i dindini?» gli si rivolge con arroganza, incrociando le braccia al petto.
«Che simpatici, state forse cercando di impressionarmi portando qui la vostra roba il giorno dopo avervi affidato il vostro incarico? Parliamone dopo, quando e se riuscirete a vendere tutta quella roba.» La sua risata di scherno però non smuove le nostre convinzioni.

«Tsk! Aspetta e vedrai!»


 
Le due ore di storia ed educazione civica scorrono in fretta e a cinque minuti dalla ricreazione corriamo fuori dall’aula a sistemare su due banchi i cupcake e la piccola cassetta porta valori – “gentilmente” concessa da Damien – in cui dovremo tenere i soldi raccolti.
Anche se durante la notte la crema al burro ha perso un po’ del suo volume, i cupcake rimangono sempre carini e accattivanti proprio come abbiamo deciso di decorarli. Un po’ di zuccherini colorati sono rimasti attaccati all’involucro di carta stagnola con cui sono stati coperti per il trasporto, fortunatamente le scritte fatte con la cioccolata sono quasi intatte: Lea ha insistito tanto nel voler personalizzare a modo suo i dolcetti che, dopo essersi arreso al voler scrivere sulla carta plissettata con il pennarello, ha deciso di scrivere direttamente sulla crema al burro, e ora i cupcake con su scritto “mangiami” sono pronti per adempiere al loro scopo.

Al suono della campanella gli studenti escono dalle loro aule, Lea non ci mette molto prima di attirare su di sé e il cibo e l’attenzione dei presenti. Non si fa tanti scrupoli a urlare come se fossimo al mercato per lodare i nostri “fantastici cupcake al cioccolato”, ma dopo tutta la fatica che ho fatto ieri accetto qualsiasi schiamazzo imbarazzante pur di vendere qualcosa. I primi clienti non tardano ad arrivare, tra cui Emmeline che ci aiuta comprando ben due dolcetti, e in men che non si dica abbiamo già guadagnato 425 munny!
Vedo Elseid a un paio di metri di distanza puntarci contro il dito e ridere di noi assieme a Damien e gli altri, Lea non ci pensa due volte prima di alzare il dito medio nella loro direzione. Con uno scatto gli abbasso la mano, prima che uno di loro lo veda. Non ha la minima idea di quanto faccia paura Elseid quando si arrabbia, ne ha avuto un breve assaggio quella volta quando ha assalito Baxter. Quel tipo tutto muscoli e niente cervello è una vera testa calda e l’ultima cosa che vorrei in questo momento è vedere tutti i nostri dolcetti a terra per colpa di un suo impeto di rabbia!

Qualche minuto dopo un’altra persona si avvicina al banco irradiando l’intero atrio con la sua bellezza. Sento il battito cardiaco rimbombarmi nelle orecchie e il respiro accorciarsi non appena si ferma proprio davanti a noi.          

«Isa!» Lea saluta il suo amico, ma lo sguardo di Isa non trapela lo stesso entusiasmo del rosso; io invece cerco di tenermi occupata fingendo di contare i munny, cercando di eludere il suo sguardo torvo.
«Dov’eri stamattina? Ti ho cercato ovunque, sono persino entrato in ritardo per vedere se arrivassi o meno!»
«Scusami!» squittisce allungando l’ultima vocale di qualche secondo. «Mi sono dimenticato di avvisarti che sarei passato a casa sua per prendere una teglia di questi invitantissimi cupcake al cioccolato con crema al burro.»
«Li hai fatti tu?»
«Ovvio, e Aura mi ha aiutato.»

Il mio viso avvampa e le mie mani tremano, evito persino di ribattere all’affermazione di Lea perché penso di aver perso l’uso della parola in questo momento. Il cuore mi batte all’impazzata, lo sento pulsarmi nei polsi, nel petto, nelle orecchie.
«Sì, come no. Hanno un aspetto davvero invitante per essere stati fatti da te. Quanto costano?»
«85 munny! Niente sconto amicizia: abbiamo bisogno di guadagnare soldi altrimenti il capoclasse ci gambizza!»
Isa trattiene una risata mentre paga il suo dolcetto, poi intravedo la sua mano chiara prendere uno dei cupcake con su scritto “mangiami”. Alzo gli occhi dalla cassetta porta valori e lo vedo mentre sta per addentarlo.
«Sta attento, quello l’ha fatto Aura! Potrebbe contenere degli ingredienti scaduti dentro!» Tiro un pestone al piede di Lea e la sua risata si trasforma in uno starnazzo addolorato.
«Hey! Ma che ti dice il cervell-…»
«Non è vero! I cupcake sono stati fatti ieri pomeriggio, sono freschissimi!» Lo rassicuro, in un attimo di sfrontato coraggio, con la faccia paonazza per la vergogna. Isa rivolge a me la sua attenzione, mi scruta con lo sguardo ed io mi stupisco di essere ancora in piedi, siccome le gambe mi tremano come foglie mosse dal vento.
«Tu sei la ragazza della biblioteca, e della gelateria!»
«Sì, sono proprio io…» squittisco tutto d’un fiato.
Il ragazzo guarda me, poi Lea. «Mi fa piacere che siate riusciti a fare pace, voi due.»
Il rosso vorrebbe dire qualcosa ma prontamente gli tappo la bocca, sento i suoi mugugni sommessi sotto il mio palmo. «Pace è un parolone, diciamo che ci sopportiamo per convivere! Comunque…»

“Devo dirglielo, devo approfittare di questo momento!”

Cerco di calmarmi con un respiro e prendo coraggio.
«Voglio scusarmi per quello che è successo… quest’estate. Davvero, se avessi saputo che quel gelato fosse stato avariato non l’avrei di certo venduto.» Mento spudoratamente. «Mi spiace tantissimo, non avrei mai voluto causarti tutti quei problemi!»

Per un momento riesco a immaginare la voce di Rolud chiamare Isa “il ragazzo con la cacarella”, caccio immediatamente questo fastidioso pensiero intrusivo dalla mia mente. «E scusami anche per non essermi scusata quando ti ho fatto cadere tutti i libri, a volte sono davvero una frana!»

Isa si stringe nelle spalle e mi sorride. «Non fa niente, può capitare a tutti di avere un’indigestione.»
«E che indigestione! Sei stato tutto il pomeriggio sul cesso!» replica Lea.

Abbozzo un sorriso mal celando il mio imbarazzo, Isa ignora completamente le affermazioni di Lea e mi tende una mano.
«Scuse accettate. In ogni caso, io sono Isa. Piacere.»

Lea si occupa dei clienti appena arrivati, ma per me è come se il tempo si fosse fermato e con esso anche qualsiasi rumore, riesco a sentire soltanto il sangue che scorre nelle orecchie. Stringo la sua mano, la sua presa è ferrea.
«Piacere mio, io sono Aura!»

Il ragazzo interrompe quel breve contatto tra noi e, non appena i due ragazzini se ne vanno, prende l’occasione per salutare il suo amico.

«Ci vediamo dopo, Lea.»
«A dopo, fra!»
«Ciao! A presto!» lo saluto con la mano, ma lui non può vedermi. Si allontana da noi infilando una mano in tasca e affonda i canini nella crema al burro.

Non ho mai sognato di essere un dolce prima d’ora.
 

Nel tempo che ci rimane vendiamo tutti i nostri dolcetti a dei ragazzini del primo anno, fruttando un bel gruzzolo di munny al fondo cassa!
Sono ancora parecchio scossa dall’incontro con Isa e non riesco a fare a meno di ripensarci, di pensare a lui, ai suoi occhi dal taglio felino, alle sue mani bianche…

Il suono della campanella mi riporta alla realtà e, accompagnata dal lungo sbuffo di disappunto di Lea, sistemiamo i banchi per poi tornare in classe, dove ci aspetta un’entusiasmante ora di matematica.
 

Damien ci attende all’entrata dell’aula, come un avvoltoio che aspetta il cadavere di cui cibarsi, di certo non si aspetta un esito positivo dalla nostra vendita e prontamente, Lea, come a volergli gettare addosso il fatto che ha avuto torto, gli lascia la cassetta porta valori aperta tra le mani, traboccante di munny.
«2,975 munny. Abbiamo venduto tutto.»
Il castano alza un sopracciglio, dando una rapida occhiata ai soldi accumulati. «Volete un applauso? Avete solo svolto il vostro compito, ora sforzatevi a superare questa cifra, se ci riuscite.»
Lea si morde la lingua piuttosto che farsi sfuggire un insulto, ma la sua espressione infervorata parla da sé. Lo prendo per un braccio e lo trascino fino alla nostra bancata, intanto anche gli altri si siedono al loro posto non appena il professor Brains fa capolino dalla porta.

«Che razza di lurido sacco di merda lasciato sotto al sole!» si lascia finalmente andare. «Cosa stracazzo dovremmo fare ora?!»
Incrocio le braccia sul banco e appoggio sopra la testa, lasciandomi andare un sospiro: si vede che Lea non è abituato a subire le angherie di Damien, io invece non ci do neanche più troppo peso. Non sarà di certo lui a rovinare il mio buonumore, non oggi!
«Tu cosa proponi?»

Il professore inizia a spiegare i sistemi di equazioni ma la nostra attenzione è completamente altrove, Lea si sta sforzando di architettare un piano capace di fruttarci più soldi di quelli guadagnati oggi, ma nessuna delle sue idee sembra così efficiente.
«Ho un’ideona!»
«Dimmi» mormoro, fingendo di prestare attenzione alla lezione, copiando sul quaderno tutte quelle cifre e quei simboli apparentemente senza senso scritti alla lavagna.
«Perché non prepariamo del gelato al sale marino? Tu sei una gelataia, dovresti sapere come si fa!»
«A chi verrebbe in mente di mangiare del gelato con questo freddo, genio?»
«Parla per te, io mangerei gelato ogni giorno, a prescindere dal tempo che c’è fuori.»

«Aura, Lea, prestate attenzione per favore! Non spiegherò di nuovo l’argomento solo perché preferite chiacchierare piuttosto che seguire le lezioni.» Ci ammonisce l’uomo, guardandoci dalle spesse lenti degli occhiali rotondi.

«Comunque non conosco la ricetta del gelato al sale marino» gli faccio presente, non appena il professore si gira verso la lavagna. «È top secret, solo il capo la conosce.»
«Allora andiamo a rubarla!» lo sussurra al mio orecchio con una leggerezza tale da lasciarmi esterrefatta. «Rubarla? Ma sei pazzo?! Dopo tutta la buona reputazione che mi sono fatta in quel posto?»
«Oh ma dai, che palle. Era una buona idea!».

Il professore si volta di scatto in direzione del nostro vociare e ci fulmina con lo sguardo. «Basta parlare! È un avvertimento!»

«
Buona idea” e “rubare nel mio vecchio posto di lavoro” non mi sembrano due cose che stanno troppo bene assieme!»
«Che razza guastafeste!» si allontana da me trascinando la sedia sul pavimento, lo stridio prodotto mi fa accapponare la pelle. L’uomo si gira di nuovo, stavolta è furente!
«Aura, stacca il banco da quello di Lea e resta accanto alla finestra fino alla fine dell’ora! È incredibile: io vi ho disposto in questo modo per non farvi parlare e voi parlate lo stesso!» sbotta l’uomo, spazientito. Si toglie gli occhiali e si massaggia le palpebre per qualche secondo. «Che cosa devo fare con voi?»
«Si chiama integrazione, prof!» ribatte Lea con un sorrisetto idiota stampato in faccia.
«Zitto tu!» L’uomo ormai esasperato e sull’orlo di una crisi di nervi inforca nuovamente gli occhiali da vista e tenta di calmarsi. «E ora fate silenzio. Ci sarà una verifica su questo argomento e fareste meglio a stare attenti!»

Per colpa della distanza che ci divide, non posso che fingere di stare attenta alla lezione. Incrocio le braccia al petto e tiro un’occhiataccia a Lea.

Andare a rubare la ricetta del gelato al sale marino è una follia, se mi scoprisse Paperon de Paperoni mi metterebbe alla gogna, ne sono sicura. Non sono una guastafeste, è solo che rispettare la legge mi sembra la cosa più logica da fare, non capisco quali siano le leggi morali di Lea, se per lui rubare è una cosetta da niente.
Forse siamo davvero troppo diversi per andare d’accordo, ma questa convivenza forzata sarà costretta a durare almeno per altre due settimane! Chissà se ne usciremo vivi entrambi...
  
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