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Autore: Amily Ross    01/06/2019    3 recensioni
(Sequel de: “Lontano dagli Occhi, vicini col Cuore”)
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Dopo la tempesta, inevitabilmente, arriva la quiete! Il sole torna alto ad irradiare il cielo con i suoi caldi raggi, creando a volte l’arcobaleno e di sera le stelle tornano a illuminare le tenebre della notte; così anche nella vita, dopo un brutto periodo, ne torna uno bello – con le persone amate accanto – tutto è più semplice. La vita è un po’ come una giostra, ci sono le salite e ci sono le discese – i dolori e le gioie – ed inevitabilmente continua, non si ferma mai a differenza delle montagne russe. Una vita muore, ma un’altra nuova ne nascerà e sarà quella nuova vita a riportare il sole dove prima c’era la tempesta e tutto sembrava inesorabilmente vicino alla fine.
Generi aggiuntivi: Drammatico e un pelino Angst dai capitoli successivi, per almeno metà delle seconda parte della storia!
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Questa fiction è temporalmente collocata alla fine del 2029, i calciatori e le managers sono ormai tutti adulti e…
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Grace (Machiko Machida), Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note introduttive: eccomi di nuovo qua, con una nuova avventura, seguita dalle consuete note. xD le avventure/disavventure non sono certo finite, ma forse – sadismo dell’autrice a parte – questa storia dovrebbe essere un po’ più soft e leggera del prequel “Lontani dagli Occhi, vicini col Cuore”, sono passati quasi dieci anni dal mondiale di Russia, dunque i nostri calciatori sono tutti ormai adulti… e le vicende che verranno narrate in questa storia si intrecceranno con quelle dei figli, ruotando sempre attorno ai genitori, che saranno comunque protagonisti della fiction, ci sarà anche spazio per gli OC che ho inventato nel corso della serie e probabilmente ne entreranno a far parte di nuovi. Le vicende si svolgeranno dunque nel 2029, (a partire da ottobre 2029 e gli anni a seguire) ma è soltanto una data, per il resto tutto sarà com’è nei nostri giorni – perché non possiamo sapere come sarà il mondo tra circa una decina d’anni – quindi andiamo di licenza poetica, che tanto non fanno mai male. ;P “Together Forever” come da titolo, questa storia sarà ancora un inno all’amicizia dei ragazzi – e lo sarà anche per i loro figli – in fondo i vari protagonisti sono cresciuti insieme e ormai hanno un legame indissolubile, anche meglio di una famiglia, a volte, per cui ho pensato che il titolo fosse perfetto per concludere questa serie. Il primo capitolo non inizierà bene, ma serve da trampolino di lancio per introdurre i figli e far conoscere loro alcune verità sui genitori e sarà intervallato da una canzone, da cui anche il titolo prende il nome. Per il momento non ho altro da aggiungere, quindi bando alle ciance e ricominciamo quest’avventura; sto anche lavorando al prequel, ma quello è un po’ più articolato e complicato, quindi mi ci vorrà più tempo per elaborarlo e non so quando inizierò a pubblicarlo. xD Anche se siamo ancora all’inizio, ho già scritto qualche capitolo, ma la strada è ancora lunga per la fine, penso però che pubblicherò sempre mensilmente; con questo, colgo l’occasione per ringraziare la mia insostituibile Darling, che come sempre è una preziosa consigliera e aiutante. ♥ Buona lettura a tutti quanti, la vostra Amy.

 

 

Capitolo 1: Because you live  

 

Amburgo: lunedì 18 ottobre, 2029 Volksparkstadion – seduta di allenamento – h. 11:30 circa

La seduta d’allenamento dell’Amburgo F.C è iniziata all’insegna del buon umore, i calciatori, carichi dalla vittoria sul Borussia Dortmund sono pronti ad affrontare una nuova settimana; tuttavia Schneider oggi non è in condizioni ottimali, si è svegliato con un gran mal di testa, ma ha preso un analgesico e ora è in campo ad allenarsi con i compagni, seppur avrebbe preferito rimanere a letto tutto il giorno, ma ormai non può più permettersi questo lusso come da ragazzino. Suo padre dalla panchina lo osserva con lieve preoccupazione, appena lo ha visto ha subito notato il pallore sul suo viso, ma non gli ha chiesto nulla – in fin dei conti – una giornata no capita a tutti, ma visti i precedenti, Thomas Schneider non può che preoccuparsi e tenerlo d’occhio.

«Ho saputo della bella partita che ha disputato Violet, dunque la classe non è acqua, proprio degna del cognome che porta.» esordisce Hermann Kaltz, correndo al fianco degli amici di sempre. «Sì, è stata fenomenale, dovevi vederla mentre si mangiava tutti gli avversari con delle finte da manuale e quando ha segnato. Sono proprio orgoglioso della mia bambina.» sorride Karl con tutto l’orgoglio di un padre, mordendosi subito le labbra e chiudendo gli occhi per una fitta alla testa. «Io oggi invece ho la partita di Frederic.» aggiunge Benji, continuando a correre, non facendo caso alla smorfia del compagno. «È già un piccolo Price degno del papà?» gli chiede Hermann con un sorriso. Lui si è sposato con Katherine da un anno, ma non hanno ancora dei figli e quelli dei due amici è un po’ come se fossero dei nipotini. «Se consideri che ha iniziato con un anno d’anticipo è già parecchio bravo rispetto ai suoi compagni di squadra, ma per certi aspetti è ancora immaturo e deve crescere.» risponde Benji, che appena può allena personalmente il suo secondogenito, che ha seguito le sue orme.

Schneider si ferma improvvisamente e si porta la mano destra sulla fronte «Karl che succede?» chiede Benji, fermandosi subito. «Ti senti male?» gli fa eco Hermann raggiungendo i due amici, vedendo il volto del Kaiser cereo subito si preoccupa; più avanti anche Jamie – neo promosso in prima squadra – si ferma e corre verso l’amico, memore anche lui della malattia del suo idolo, ricordando anche la sua di malattia e ricordando la paura che aveva i primi tempi di sentirsi male o che a volte ancora capita quando si sente stanco. «Mi sta scoppiando la testa, non lo so che cavolo mi sta succedendo, mi sono svegliato così, ho preso un analgesico e non è ancora passato.» sussurra Schneider poggiandosi ai due, sentendo la testa iniziare a girare lievemente. «Forse è meglio se ti fermi un attimo, tornerai appena ti sarai ripreso.» gli consiglia Kaltz, portandolo sottobraccio in panchina assieme a Benji e Jamie che li segue  – mentre anche  il resto della  squadra si ferma. «Che succede?» chiede Thomas, notandoli solo ora, rimettendo in tasca il cellulare al quale stava parlando. «Ha male alla testa.» risponde il portiere, facendo sedere il capitano in panchina, guardando il mister con preoccupazione. L’allenatore annuisce e si siede accanto al figlio, che affiancato da Hermann, sta bevendo. «Ragazzi state tranquilli, tornate ad allenarvi, penso io a lui.» dice Thomas con un sorriso rassicurante.

I due calciatori guardano ancora un attimo l’amico e tornano in campo, dove la squadra, sotto la guida del preparatore atletico e del secondo allenatore ha ripreso l’allenamento. «Mister pensa che possa essere una ricaduta?» chiede Jamie, che non è tornato in campo con i compagni, terrorizzato da quel malore. «No, Jamie, tranquillo, torna in campo ad allenarti.» sorride Thomas. «Tesoro come ti senti?» chiede al figlio, appena il ragazzino si allontana, dismettendo i panni da allenatore, assumendo quelli di padre – carezzandogli la guancia pallida. «Insomma, mi sono svegliato così stamattina, sembrava stesse passando mentre ero in macchina, ma ora è tornato più forte.» risponde il calciatore, guardando il genitore con paura nello sguardo. «Tranquillo, campione. So bene cosa stai pensando, ma ormai sei guarito e il peggio è scampato, capita a tutti una giornata storta e aver mal di testa non è imputabile solo a quello, tesoro mio.» sorride il padre, stringendolo al suo petto – come se fosse ancora un bambino e non un uomo.

Ormai il periodo di remissione è finito e il male peggiore è scongiurato, ma la paura che tutto possa accadere fa male al solo pensiero e Thomas ha paura per suo figlio, mentre Karl inevitabilmente pensa a sua moglie e a sua figlia in primis. «E se Jamie avesse ragione?» sussurra il Kaiser, guardando suo padre negli occhi. «Non lo pensare nemmeno, le ultime analisi che hai fatto erano pulite.» sussurra Thomas con dolcezza, carezzandogli la schiena, Karl annuisce e chiude gli occhi rilassandosi; intanto i calciatori hanno concluso la partitella di quarantacinque minuti e rientrano in panchina. «Come va?» chiede Benji a nome di tutti, aprendo una bottiglietta e bevendo. «Meglio. Vuole riprendere l’allenamento.» risponde il mister, guardando suo figlio alzarsi e sorridere ai compagni, che tirano un sospiro di sollievo e sorridono. Jamie sorride sollevato e lo stringe. «Tranquillo, piccoletto, domenica non ti lascio da solo in campo contro lo Stoccarda.» dice il più grande con un sorriso, scompigliandogli i capelli biondi e ribelli fancendolo sorridere.

La seduta riprende in palestra, Karl corre sul tapis roulant, anche se il dolore non è passato si è un po’ attenuato e vuole allenarsi. Jamie sospira di sollievo e osserva il suo idolo con un sorriso mentre fa gli addominali; Benji ed Hermann lo tengono d’occhio anche se sono lontani, si guardano e sorridono vedendolo parlare con Müller mentre corrono entrambi. «Secondo me invece dovresti accettare la proposta, qui sei il secondo portiere, ma meriteresti di essere titolare anche in campionato tanto quanto Benji.» sorride il Kaiser. «Grazie, capitano, più tardi me ne occupo.» risponde il portiere. Karl sorride, guarda i minuti mancati sul display e sospira, sentendo di nuovo la testa girare, crampi alla bocca dello stomaco e nausea. “Scheiẞe![1] Non di nuovo, anche la nausea no, non voglio rivivere quell’incubo…” pensa terrorizzato, ricordando bene quei terribili mal di testa, accompagnati dalla nausea e dal vomito; nonostante il crescente malessere, continua a concentrarsi sulla corsa, ripetendosi che adesso passa e che non ha nulla a che vedere col tumore.

Deuter intanto finisce la sua corsa e cambia attrezzo, spostandosi alla panca multifunzionale. Nonostante il Kaiser cerchi di rassicurarsi che adesso passa sente l’agitazione salire, mentre la testa riprende a far male e il respiro inizia a diventare più pesante, sente il cuore palpitare nel petto come se dovesse scoppiare da un minuto all’altro e il torace inizia a dolere, l’ansia gli attanaglia lo stomaco in una morsa dolorosa e il panico si impossessa di lui, la testa riprende a girare provocandogli delle vertigini che lo costringono nuovamente a fermarsi. «Karl!» lo chiama suo padre notandolo subito, correndogli accanto, mentre lui si poggia al tapis roulant col respiro affannato, portando la mano sinistra all’altezza del cuore che batte fortissimo; la palestra si ferma, gli occhi di tutti puntati sul capitano, Jamie più di tutti, ricordando quel periodo terribile in ospedale, che entrambi conoscono bene.

«Che succede?» gli chiede il padre mettendogli un braccio intorno alle spalle e sentendogli il polso. Karl lo guarda confuso e agitato e non risponde, continuando a respirare velocemente. «Calmati, va tutto bene, cerca di regolarizzare la respirazione e riprenderne il controllo.» lo incoraggia il padre, carezzandogli la schiena, Karl continua a guardarlo vedendo girare tutto quanto intorno a sé, continuando a respirare affannosamente e iniziando a sudare, sentendo la morsa al torace farsi ancora più dolorosa, la vista annebbiarsi e la debolezza muscolare diffondersi, provocandogli crampi e spasmi. «Karl ascoltami, per favore…» sussurra suo padre con dolcezza, il figlio lo guarda un secondo negli occhi, li socchiude e perde conoscenza accasciandosi tra le sua braccia. «Scheiẞe!» urla Benji, saltando dalla panca e prendendo subito il cellulare dalla tasca della tuta – che aveva preso dal borsone per precauzione – chiamando i soccorsi, mentre il resto della squadra guarda capitano e allenatore col terrore negli occhi. «Va tutto bene, ragazzi, adesso lo portiamo in ospedale e vediamo cosa è successo.» li rassicura Thomas, carezzando il volto cereo del figlio, mentendo la calma e pregando tacitamente che sia solo un malore causato da un banale calo di pressione. «Kaiser…» mormora il piccolo della squadra, fissando il suo idolo con occhi sbarrati. «Tranquillo, Jamie. Hai sentito il mister, no? Magari è davvero una sciocchezza, lo so che anche tu ci sei passato e capisco che sai cosa sta provando Karl, ma non pensiamo subito al peggio.» lo rincuora prontamente Kaltz, mettendogli un braccio sulle spalle per rassicurarlo come un fratello maggiore.

***

Amburgo: lunedì 18 ottobre, 2029 Louise Schroeder Schule, h 15:00 circa

«Kyle se non la smetti di sbuffare ti mollo uno schiaffo!» esclama una bambina con i lunghi capelli castani e gli occhi azzurri, vestita da maschiaccio con tanto di cappellino al contrario calato in testa, guardando male l’amico con i capelli neri e gli occhi verdi, seduto sulle scale della scuola. «Ma io sono stanco, è già un’ora che aspettiamo qui.» sbuffa il bambino, guardando l’orologio dell’edificio scolastico segnare le due e quaranta del pomeriggio, mentre pensa alla storia da studiare per domani. «E io che cosa posso farci? Ti ho detto di tornare a casa da soli e tu non vuoi, quindi non ti lamentare.» sbraita la bambina puntando i pugni ai fianchi, guardando anche lei l’ora mordendosi le labbra, mentre i suoi occhi di ghiaccio si fanno lucidi, stringe i pugni con forza e mette il broncio, orgogliosa com’è, non ha nessuna intenzione di darla vinta a quelle maledette lacrime come tutte le sue stupide compagne di classe che piangono per qualsiasi cosa.

«Violet…» la chiama Kyle in un sussurro, guardandola negli occhi. «Cosa vuoi, Price?» risponde lei voltandosi di spalle e iniziando a camminare intorno a passo di marcia. «Scusa, non sbuffo più.» dice il bambino alzandosi ma rimanendo fermo, indeciso se raggiungerla o meno. Violet non risponde, ma alza il pollice continuando la sua marcia, mentre Kyle decide di avvicinarsi lentamente. «Mi chiedo perché papà non sia ancora venuto a prenderci…» sospira la piccola, correndo sul ciglio della strada, sperando di veder sfrecciare improvvisamente l’auto di suo padre. «Non lo so, magari non hanno ancora finito di allenarsi.» tenta Kyle correndole dietro e guardando anche lui verso la strada, ma nessuna delle auto che passa è quella del padre dell’amichetta o del suo. «Potrebbe essere che tu abbia ragione…» sussurra Violet, sedendosi sul bordo del marciapiede, mettendo le guance sui pugni e sbuffando.

«Guarda, arriva un auto rossa, magari è mio padre.» esordisce Kyle, sperandolo davvero, facendo sbuffare la ragazzina che calcia via una pietra. «Ma se doveva venire mio padre a prenderci e la sua auto è nera.» dice arrabbiata, alzando lo sguardo, mentre l’auto passa oltre. «Come non detto, non era papà.» sospira Kyle sedendosi accanto all’amica e guardandola. «Che vuoi? Perché mi fissi?» chiede acidamente lei. «Nulla…» mormora Kyle distogliendo lo sguardo. «Pensi davvero siano ancora all’allenamento? O che magari… non lo so, magari potrebbe esser successo qualcosa. Forse tuo padre stava venendo a prenderci e ha avuto un incidente, mentre il mio sa che siamo con lui ed è tranquillamente a casa…» continua il ragazzino timidamente, sperando di sbagliarsi.

«Oh, ma che palle!» urla Violet alzandosi con un balzo e pestando i piedi sull’asfalto. «La smetti di fare l’uccello del malaugurio? Sei insopportabile quando te ne esci con queste cose, Kyle Price.» continua, facendo calare lo sguardo al compagno. «Scusa, non volevo, però…» sussurra lui, alzandolo di nuovo e incrociando i loro sguardi. «Però forse non hai tanto torto a pensare che sia successa qualcosa… di solito mio padre non è mai in ritardo.» sussurra Violet con la voce che trema, abbassando lo sguardo azzurro, ma non versando lacrime. «No, uffa! Secondo me non è successo nulla, magari sono davvero ancora all’allenamento.» dice poi risoluta, scuotendo con forza il capo e convincendo se stessa delle sue parole.

Kyle le sorride. «Allora aspettiamo ancora un po’, in caso andiamo a casa da soli come avevi detto tu.» le dice facendola annuire e sospirare, mentre torna a sedersi accanto a lui e guarda l’ora. «A che ora è la partita di tuo fratello?» gli chiede per distrarsi e cambiare discorso. «Non lo so, mi sembra sia alle quattro, ma penso che tra un po’ andranno al campo.» risponde Kyle, ricordandosi improvvisamente della partita del fratellino alla quale lui, mamma, papà e la sorellina avevano promesso di andare. «Forse non lo vedrò giocare lui ci rimarrà male…» sussurra Kyle guardando l’orologio: le tre e quindici. È passata un’altra ora e un quarto e del padre di Violet non c’è nemmeno l’ombra; il suo sarà sicuramente al campetto assieme alla mamma e ai gemelli. “Però anche io avevo detto che volevo andare a vederlo, perché papà non è andato a casa di Violet a prendermi, scoprendo che non ci sono?” pensa il bambino, fissando ancora l’orologio.

«Kyle?» lo strattona Violet, balzando in piedi e mettendosi lo zaino sulle spalle. «Terra chiama Kyle! Alzati, sta arrivando davvero tuo padre.» dice ancora, attirando l’attenzione dell’amico, mentre con l’indice punta la Maserati rossa in arrivo. Kyle si alza, si issa la cartella sulle spalle e fissa l’amica confuso. «Ma non doveva venirci a prendere tuo padre? Perché è venuto il mio?» le chiede retoricamente. «E io che cavolo ne so!» sbuffa irritata Violet, mentre l’auto di Benji si ferma davanti a loro e apre lo sportello del passeggero. «Salite!» dice guardando entrambi attraverso gli occhiali da sole. Kyle fissa suo padre senza muoversi. «Oh, Kyle, smetti di fare il salame e muoviti.» sbuffa Violet esasperata, spingendolo di lato per salire sul sedile posteriore. «Ciao!» borbotta tirando indietro il sedile anteriore, Benji le sorride con dolcezza, poi sorride a suo figlio che esce la lingua a Violet ed entra in auto.

Il ragazzino chiude lo sportello e guarda suo padre al volante, che sospira e riparte. «Sei in ritardo, papà. Anzi non dovevi nemmeno venire tu.» gli dice, osservando un attimo la sua amica dietro, che fissa il parabrezza con sguardo truce. «Lo so che sono in ritardo e che doveva venire a prendervi Karl, scusate, ragazzi, non volevamo lasciarvi qui, ma abbiamo avuto contrattempo.» risponde il portiere dell’Amburgo, svoltando a sinistra. «Dov’è mio padre?» chiede Violet poggiandosi ai sedili anteriori. «Tuo padre ha avuto un impegno improvviso ed è fuori, ora ti porto a casa di tua nonna.» risponde Benji con un sorriso, cercando di non lasciar trapelare nulla. Violet sbuffa. «No!» dice categorica. «Non voglio andare dalla nonna, voglio sapere dove cavolo  è mio padre e poi puoi benissimo portarmi a casa, tanto la mamma non è più a scuola.» dice arrabbiata, sbattendo il piede sul pavimento dell’auto.

«Papà… cosa è successo allo zio Karl? Perché non è venuto lui a prenderci?» chiede Kyle, mentre vede suo padre sospirare, fermarsi a un semaforo rosso e portarsi la mano sinistra sul viso. «Allora?» lo incalza Violet, sorridendo all’amico, notando però il gesto del portiere. «E va bene, tanto lo verreste a scoprire comunque e tu, Violet, continueresti a sfinirmi finché non l’avrai vinta.» dice, sospirando ancora. «Tuo padre si è sentito male all’allenamento e ora è in ospedale. Tua madre, tuo nonno e Fanny sono lì con lui, anche io ero lì prima di ricordarci che vi avevamo dimenticati a scuola.» ammette ripartendo. «In ospedale?» ripete Kyle, non staccando lo sguardo da suo padre che è concentrato alla guida. «Il mio papà sta male?» mormora Violet lasciando sfuggire quelle lacrime che tanto detesta. «Benji… portami in ospedale, ti prego, voglio il mio papà…» piange la bambina, poggiando la fronte sulla spalla destra del portiere e piangendo di paura. Il suo papà è il suo eroe, il suo mito e il suo grande amore, nessuno è più forte di lui e le sembra assurdo che sia finito in ospedale, perché lui è il Kaiser ed è imbattibile agli occhi della figlioletta di quasi dieci anni.

«Va bene, Violet.» sussurra Benji con dolcezza paterna, dandole un bacio sul capo e continuando a guidare. In fin dei conti, quella piccola peste, è la figlia dei suoi migliori amici e per lui è come se fosse figlia sua e, pertanto, le vuole bene come ne vuole ai suoi tre tesori. Violet gli sorride e asciuga le lacrime. «Ti voglio bene, zio Benji.» gli dice dandogli un bacio in guancia, che lo fa sorridere. «Papà è grave quello che è successo a zio Karl?» gli chiede suo figlio, prendendo la mano della sua migliore amica e sorridendogli. Benji scuote la testa e svolta a destra cambiando direzione per andare in ospedale. «Papà il telefono, è la nonna.» dice Kyle, notando solo ora il cellulare del padre abbandonato sul cruscotto che vibra e suona, lo prende e lo attacca al dispositivo bluetooth. «Cosa?» sussurra Benji, mentre la chiamata si apre in automatico e la voce di una donna riempie di urla l’abitacolo della vettura. «Mamma…» risponde Benji confuso dalle urla e ancora scosso dal malore del compagno.

«Benji si può sapere dove diavolo sei? Tuoi figlio non ha intenzione di entrare in campo se non vede te e tua moglie seduti lì a guardalo.» sbraita la donna, Violet fissa il vuoto e sospira, gli dispiace per il piccolo Frederic, ma poi ripensa al suo papà e nuove lacrime le bagnano le guance. «Cazzo! La partita.» sbuffa il portiere sbattendo una mano sul volante. «Mamma sono in macchina con Kyle e Violet, Karl è finito in ospedale per un malore, tra mezz’ora arrivo.» le risponde. «Karl è in ospedale?» chiede la signora Price ora preoccupata. «Sì, ti spiego dopo, convinci Freddy a entrare in campo anche se io e Fanny arriveremo in ritardo.» risponde il figlio. «Bella storia, tuo figlio è più testardo di te.» sospira la donna, ricordando il caratterino di suo figlio all’età del nipote, facendo sospirare Benji, che accelera. «Benji… lo so che è un’emergenza e che di solito sei sempre presente con i tuoi figli, ma ti prego, non commettere mai gli stessi errori che tuo padre – ed anche io in passato – abbiamo commesso.» mormora Eleonor con la voce incrinata. «Non accadrà mai, stai tranquilla, mamma.» risponde il figlio con un sorriso, guardando a sinistra e imboccando una curva in velocità – costringendo i bambini a reggersi. «Spiegagli la situazione e convincilo, io arrivo tra poco.» dice ancora, frenando all’ultimo minuto a un semaforo rosso; Kyle guarda suo padre, poi si volta a guardare Violet, che si è girata il cappellino e ha calato la visiera sugli occhi e decide di non disturbarla. «Va bene, a dopo.» risponde la signora Price chiudendo la chiamata.

Benji riparte velocemente appena scatta il verde e guarda l’ora sbuffando. È tardissimo e lui è in mezzo al traffico quando dovrebbe già essere alla partita di suo figlio, le parole di sua madre gli rimbombano in testa, ricordando perfettamente quanto odio provava per i genitori che trovavano sempre una scusa per non andare alle sue partite da bambino; lui è ormai padre da quasi dieci anni e non ha mai perso un evento importante dei tre figli – nei limiti concessi dal lavoro – ma ha sempre cercato di essere presente e gli dispiace immensamente non essere lì a sostenere il suo piccolo campione e rassicurarlo prima di entrare in campo – come lui avrebbe voluto facesse suo padre. «Muoviti, imbecille!» urla al tipo dell’auto davanti, che sembra stia dormendo al volante. «Ma stai calmo!» gli urla quello di rimando partendo con i suoi comodi, facendo esasperare il portiere, che preme sull’acceleratore e lo sorpassa togliendoselo di mezzo, riprendendo a correre quando può. La giornata è iniziata storta e sembra volersi concludere allo stesso modo, a quanto pare anche il traffico sembra esser contro la sua corsa contro il tempo.

«Manca ancora molto?» mormora Violet dal sedile posteriore, che ha smesso di piangere, ma non di essere preoccupata. «No, tesoro, siamo quasi arrivati.» le risponde Benji con dolcezza, svoltando a destra. «Guarda, quello è l’ospedale, siamo arrivati.» aggiunge, Violet alza la visiera del cappellino e guarda la struttura davanti a suoi occhi. “Finalmente!” pensa tirando un sospiro di sollievo, vuole solo correre tra le braccia di suo padre e sentire dalla sua voce che sta bene. Il portiere sorride ed entra con l’auto percorrendo il viale alberato del complesso ospedaliero, sorridendo inevitabilmente nel vedere la piccola Schneider con quel temperamento duro all’apparenza e poi sciogliersi come se nulla fosse. Gli ricorda terribilmente suo padre da ragazzino e a volte anche un po’ se stesso, e forse, involontariamente, è stato proprio lui a trasmettere alla figlia dell’amico la fissa per i cappellini. «Eccoci!» dice parcheggiando e uscendo di corsa; Violet spinge subito il sedile e scatta fuori come una molla, correndo verso l’entrata, ma fermandosi subito fuori, rendendosi conto che una bambina non può entrare da sola. Kyle afferra il cellulare del padre ancora attaccato a dispositivo bluetooth ed esce chiudendo la portiera, mentre l’uomo inserisce l’antifurto.

***

La porta della camera viene sbattuta con violenza, mentre un piccolo uragano corre sul letto stringendo l’uomo seduto con la flebo al braccio sinistro, che riconosce subito la figlia e la stringe. «Benji perché li hai portati qui? Ti avevo detto portare Violet da mia suocera.» gli dice Grace confusa, guardando sua figlia piangere sul petto del marito, che le bacia e carezza i capelli dopo averle tolto il cappellino. «E secondo te non era quello che avevo intenzione di fare? Ma tua figlia non ha voluto sentire ragioni, voleva solo vedere suo padre.» risponde il portiere sospirando. Grace sorride e gli bacia la guancia. «Grazie.» dice avvicinandosi poi al letto e baciando i capelli di Violet, che rimane incollata al petto di suo padre. «Fanny dobbiamo scappare alla partita di Freddy, è tardissimo. Mi ha chiamato mia madre e non voleva entrare in campo senza di noi.» dice alla moglie, salutando i presenti e scusandosi, prendendo per mano Kyle. «È vero, l’ometto di mamma ha la partita!» realizza improvvisamente Fanny, raccogliendo velocemente le sue cose, salutando e correndo in auto con il marito e il figlio.

«Grace vado anche io, oggi la mia Prinzessin ritorna da Parigi, devo andarla a prendere all’aeroporto con Bea.» dice Thomas stanchissimo dalla giornata nera. «Vero, oggi tornava Marie Käte. Vai tranquillo, me la sbrigo io qui.» sorride la giovane donna stringendo il suocero che le bacia la guancia con affetto; subito dopo scompiglia i capelli della nipotina che solleva il viso e lo guarda in lacrime, mentre lui le bacia la guancia. «Ci vediamo stasera a casa tua, campione.» dice poi sorridendo a suo figlio che annuisce, indossa il giubbotto e lascia la camera. «Cosa è successo?» chiede Violet ai genitori, dopo che il nonno si è chiuso la porta alle spalle, Grace sospira e si siede sulla sedia guardando suo marito e mordendosi le labbra, Karl le stringe la mano e le sorride, guardando poi la sua bambina in quegli occhi identici ai suoi. «Amore…» sussurra Grace ricambiando la stretta del marito mentre sua figlia si volta a guardarla e aspetta una risposta. «Starlet lo so, ma ormai la nostra Kaiserin è grande, è giusto che sappia la verità.» dice Karl capendo subito dallo sguardo della moglie che vorrebbe tacere alla sua piccola quel periodo orribile prima della sua nascita.

«Mamma…» sussurra Violet poggiando la sua manina sopra quelle strette dei genitori. «Hai ragione, ormai  è grande.» sorride Grace asciugando una lacrima fuori controllo con la mano sinistra, sorridendo a suo marito e baciando la mano della figlia che poi prende tra le sue. Karl, tenendo la figlia sulle ginocchia, si solleva e bacia le labbra di Grace – che ricambia e sorride – poggiando poi la schiena al letto e guardando il frutto del loro amore, che ricambia lo sguardo e aspetta impaziente. «Stai bene, vero, papà?» chiede non riuscendo più a sopportare l’assenza di risposte. «Sì, amore, sto bene. Appena finisce la flebo mi lasciano tornare a casa, è stato solo un malore.» le risponde dolcemente il Kaiser stringendola al suo petto e vedendola sorridere. «Perché ti è venuto?» chiede Violet curiosa. «Vedi, piccola, prima che mamma e papà si sposassero e tu non eri nemmeno nei loro sogni più remoti è stato un periodo molto difficile per tutti.» inizia Karl deglutendo dolorosamente, guardando gli occhi di sua figlia fissarlo con curiosità a timore.

“Staring out at the rain with a heavy heart

It’s the end of the world in my mind

Then your voice pulls me back like a wake-up call.

I’ve been looking for the answer somewhere

I couldn’t see that it was right there

but now I know what I didn’t know.”

 

Il Kaiser incrocia lo sguardo di sua moglie che gli sorride e si sposta per farle spazio sul letto, Grace sorride e gli si siede accanto, mettendogli la mano in cui ha la flebo sulla sua gamba e baciandolo in guancia, guardando la figlia che sorride e aspetta che suo padre continui a parlare. «Non è facile, cucciola e non volevamo venissi a scoprirlo così…» le dice invece la mamma, mentre lei sorride e carezza la guancia del suo papà. «Mamma ha ragione, Violet.» riprende Karl baciandole la manina poggiata sulla sua guancia e sentendo un macigno sul cuore per dover rivelare una verità tanto brutta al tesoro più grande della sua vita; una parte di lui sa che è giusto che la figlia sappia che in passato ha avuto il cancro – preferisce lo sappia da lui piuttosto che poterlo leggere o sentire da altri – l’atra parte, quella che non vorrebbe, cerca un modo per indorare la pillola e rivelarle tutto senza che sia troppo doloroso per una bambina di quasi dieci anni.

Improvvisamente nella sua mente riappare il volto di Jamie quando si conobbero, quando entrambi erano malati, anche lui all’epoca era un bambino di dieci anni e ora ne ha ventidue ed è suo compagno di squadra – come gli promise il giorno in cui lo conobbe. Sorride ripensando a quel bimbo coraggioso tutto felice con indosso la maglia del suo idolo e trova il modo per dirlo alla sua bambina. «Kaiserin hai presente quel poster dei mondiali del 2018 in cui papà tende al cielo la Coppa del Mondo con dietro tutta la Nazionale?» le chiede facendo annuire la figlia. «Il poster più bello della mia collezione perché ha tutti gli autografi della Nazionale e perché tu sei bellissimo.» sorride Violet ammirando suo padre dal profondo.

“Because you live and breathe

because you make me believe in myself

when nobody else can help

Because you live, girl.

My world has twice as many stars in the sky.

It’s all right, I survived, I’m alive again.

‘Cause of you, made it through every storm.

What is life, what's the use if you’re killing time.”

Grace sorride ricordando quella finale e quanto erano brillanti gli occhi del suo Kaiser con in mano quella coppa; e bacia la guancia di quell’uomo che la sera dopo, le chiese di diventare sua moglie e madre dei suoi figli. Il calciatore sorride alla donna che ama e a cui deve tutto, quella meravigliosa donna che è il suo angelo e la sua stella più preziosa; bacia il nasino di Violet e stringe la mano di Grace nonostante la flebo. «Quell’anno fu molto particolare, bello e brutto al tempo stesso: brutto perché papà ha avuto una brutta malattia e pensava di morire, ma grazie a tutti quanti che mi sono sempre stati accanto – soprattutto alla mamma – che è stata più che mai la mia Starlet sono riuscito a vincere la partita più difficile della mia vita; bello perché quella coppa al cielo è un emozione unica a prescindere, ma per me non significò solo la vittoria del Mondiale, ma anche e soprattutto, la vittoria sulla mia vita che avevo rischiato di perdere.» le racconta tenendole stretta la manina, Violet annuisce appena e si fionda sul petto di suo padre in lacrime.

«Adesso è tonato di nuovo?» mormora tra i singhiozzi non alzando il viso e tremando, Karl le bacia i capelli e la stringe forte a sé. «No, amore. Sono passati dodici anni e papà è ormai guarito. Oggi però ha avuto paura che quell’incubo potesse tornare perché si è svegliato con un gran mal di testa che non voleva passare e ricordando quei brutti giorni è entrato nel panico.» le spiega con tutta la sua rara dolcezza, cullando la sua adorata bambina. «Non voglio vederti star male, papà. Tu sei più forte del cancro perché l’hai già sconfitto e lui non tornerà più.» dice Violet alzando il capo e sorridendo ai genitori, che ricambiano il sorriso e la guardano con gli occhi lucidi.

“I’m so glad I’ve found an angel

someone who was there when all my hopes fell.

I wanna fly looking in your eyes.

Because you live and breathe.

Because you make me believe in myself

when nobody else can help.

Because you live, girl.

My world has twice as many stars in the sky,

because you live, I live.”

Karl lascia la mano di Grace e asciuga gli occhi della figlia carezzandole le guance. «Hai ragione, piccola, papà è più forte e non si ammalerà più.» le dice sorridendo e stringendola, facendola sorridere. «Ti amo, Violet, tu e la mamma siete le donne più importanti della mia vita, lei è la mia Starlet tu sei il mio Engel.» sussurra Schneider con dolcezza. «Anche io ti amo, papà, e anche alla mamma.» sussurra la bambina voltandosi verso la madre che li guarda sorridente. «Anche io vi amo, amori miei bellissimi.» sussurra Grace unendosi all’abbraccio, che viene subito ricambiato; Karl sorride e bacia il nasino della figlia e le labbra della moglie, che lo guarda con occhi che brillano e mette più passione nel bacio di quanto avesse intenzione suo marito. Violet li guarda divertita e si allontana dal petto di suo padre per lasciarli fare, il calciatore si solleva e stringe la moglie mettendo anche lui passione. La piccola ridacchia, afferra il cellulare del padre sul comodino e scatta loro una foto. «Eravate carini.» dice appena i genitori si staccano e la guardano ridendo, mentre lei volta il cellulare facendo vedere la foto.

«Sei una monella, signorina.» ride il Kaiser scuotendo la testa, beccandosi la linguaccia dalla figlia che fa ridere Grace, che ritorna subito seria, toglie il cellulare alla figlia e lo posa sul letto guardando entrambi. «Devo dirvi una cosa.» sussurra dolcemente attirando la loro curiosità. «Sono incinta.» sussurra ancora portando la mano destra sulla pancia ancora piatta. Violet la guarda per metà felice per metà no. «Starlet… da quando?» chiede invece il marito con occhi lucidi che brillano di emozione. «Quasi due settimane, Kaiser.» risponde lei guardandolo negli occhi, Karl sorride ancora di più e la stringe forte col cuore colmo di felicità.

“Because you live, there’s a reason why.

I carry on when I lose the fight,

I want to give what you've given me always.

Because you live and breathe

Because you make me believe in myself

When nobody else can help,

because you live, girl.

My world has twice as many stars in the sky.

Because you live and breathe

Because you make me believe in myself

When nobody else can help.”

«È meraviglioso, Grace.» sussurra Schneider emozionato come quando seppe di Violet, Grace sorride e lo bacia sulle labbra, guardando poi la figlia che è rimasta in silenzio a guardarli. «E tu non sei felice di avere un fratellino o una sorellina?» le chiede. Violet pensa subito a Kyle e ai gemellini che ha per fratello e sorella e la cosa non la alletta particolarmente, perché il suo miglior amico le dice sempre che rompono, strillano e litigano tutto il giorno e ha anche potuto vedere di presenza quanto siano insopportabili. «Sarà antipatico o antipatica come Frederic e Keira?» chiede innocentemente, facendo scoppiare a ridere suo padre per un motivo ben preciso. «Ma tesoro, Frederic e Keira non sono antipatici, sono solo monelli come tutti i bambini e litigano sempre perché hanno due caratteri opposti.» le risponde la mamma, dando un pizzicotto al marito. «Già, proprio come facevano Benji e Fanny.» aggiunge Karl smettendo ridere. «Allora va bene, sono contenta di avere un fratellino o una sorellina.» decreta Violet guardando i genitori. «Però sarò sempre io la Kaiserin di papà, vero?» aggiunge subito dopo, specchiandosi negli occhi del padre che ride e annuisce. «Tu sarai sempre la mia Kaiserin, ma anche il bimbo o bimba che nascerà sarà importante quanto te, io e mamma vorremmo bene a entrambi allo stesso modo.» le sussurra il Kaiser facendola annuire e facendo annuire Grace, che scompiglia i capelli alla figlia e sorride.

«Karl come ti senti?» chiede un medico appena entrato dopo aver bussato, facendo staccare la famiglia dall’abbraccio. «Sto bene, dottor Brown, la ringrazio per tutto quello che ha fatto.» risponde il calciatore grato, il medico sorride e chiude la flebo ormai vuota, staccandogli l’ago dalla mano. «Puoi tornare a casa e stare tranquillo, le analisi che abbiamo fatto non hanno rivelato nulla di anomalo, il malore di oggi è stato solo un brutto attacco di panico nel ricordo di quanto hai passato.» lo rassicura, sorridendo poi alla bambina. «Sono stato io a curare il tuo papà quando è stato male, ma ora non c’è più nulla di cui preoccuparsi, piccola. Il tuo papà è un grandissimo campione e mi ha detto che anche tu lo sei.» le dice scompigliandole i capelli e facendola sorride. «Grazie, dottore per aver salvato il mio papà da quella brutta malattia.» dice. Karl annuisce e sorride al medico a cui deve la vita, si alza e lo stringe con affetto, il dottor Brown sorride alla bambina e ricambia l’abbraccio, consegna la cartella della analisi a Grace, salutando tutti e lasciando la camera; la famiglia Schneider raccoglie le proprie cose e fa ritorno a casa.

 

 


[1] Merda

   
 
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