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Autore: titti chan yuki    02/06/2019    2 recensioni
Gin non era solamente un personaggio esterno da lei. Cherry, o meglio Titti, lo aveva così tanto desiderato, amato e temuto che lo aveva interiorizzato nel suo corpo. Ora aveva capito: Gin era la sua l’ombra, proprio come Hyde era l’ombra di Jekyll. La situazione era irreparabile e nessuna psicoterapia, forse, sarebbe riuscita a salvarla e liberarla, perché oramai quel suo amore nei suoi confronti, era troppo profondo: lei non era più in grado di vivere senza la sua forza.
Genere: Dark, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Durante quel soffocante pomeriggio di Agosto ho visto per la seconda volta Gin senza cappotto nero, senza quel cappotto che lo rendeva ancora più grosso e muscoloso e senza cappello, quel cappello che sembrava quasi la sua corona. 

Ho visto Gin senza cattiveria, senza  corazza. 

Lí su quella seggiola nell'angolo, lo sguardo fisso sulle piastrelle, dove non c'era niente, solo vuoto. 

Ho visto rabbia nei suoi pugni chiusi, ho visto lacrime nei suoi occhi seppure non vi erano bagliori acquosi, ma le percepivo ugualmente. Ho visto Gin umano, ho visto Gin come me. 

Mi sono guardata ed eravamo nella stessa condizione. 

L'unica differenza tra noi due era che le lacrime a me però scendevano sul volto incontrollate, rapide, abbondanti. Gli occhi miei erano spenti, privi addirittura dell'eye-liner senza il quale non mi sarei mai fatta vedere in giro. 

Gli abiti alla mano, rovinati, stropicciati e non eleganti ed autoritari. 

Ed i capelli fucsia, quei meravigliosi capelli fucsia che erano tutta la mia vita, il fulcro del poco bello che vedevo in me, rovinati, spezzati, scompigliati, sporchi. 

Compresi che se i miei occhi erano senza il nero del mio make-up preferito ed i miei cappelli tinti amati non lavati da chissà quanti giorni, dovevo stare veramente male.  

Eppure non erano neanche quelli i due dati che mi diedero questa certezza. Assolutamente no. Fu lui a darmela: fu Gin. 

Ancora una volta Gin, la parte aggressiva di me che mi sosteneva, era in quello stato pietoso, stanco, incapace di reagire. 

Ed io piangevo non tanto per il dolore che gli ultimi avvenimenti avevano scatenato dentro di me, ma nel vederlo in quello stato. 

Mi avvicinai ancora di più a lui, tremante, timorosa e mi inginocchiai a terra, vicino alla sua gamba massiccia, nella speranza che quegli occhi spenti come i miei non fissassero più il vuoto, ma me, per ricordargli che lui era lì per aiutarmi a sopravvivere e che se lui continuava a non reagire, saremmo scomparsi entrambi. 

Allungai una mano sulla sua gamba ed inizia a stringergliela quando mi accorsi che neanche il mio contatto aveva mosso in lui una qualsiasi reazione. 

«G-in, ma cosa hai?» Chiesi piangendo. 

Nessuna risposta. Nessun segno di vita. 

«G-in ti prego, guardami... Ho bisogno di te...» Gli dissi ancora, ma lui non ebbe ancora nessuna trasformazione. 

Strinsi più forte la mia mano sulla sua gamba e mi piantai al centro sotto di lui, dove c'era lo spazio vuoto lasciato dalle due cosce divaricate. 

«Dì qualcosa, maledizione, Gin!» Avevo urlato alla fine. 

Una scossa, appena, appena.  

Almeno ora mi fissava anche se non parlava ugualmente e non sembrava più neanche lontanamente il mio sostegno solido. 

“Cherry...” Mi chiamò posandomi lentamente una mano sulla guancia. 

Gliela strinsi, più forte che potevo, stringendomi a sua volta ancora di  più a lui, sotto il suo corpo protettivo che però ora era molle e flaccido. 

«Gin! Dimmi tutto...sono qui! Ma che hai? Ti prego, riprenditi, ho bisogno di te ora più che mai...» 

Lui aprì la bocca lento, ma non riuscì a dire nulla ed allora io feci con lui lo stesso che faceva a me quando ero troppo scossa per ragionare: gli provocai dolore piantandogli le unghie nella carne della sua mano. 

«Cherry...» Ancora, di nuovo, un tormento. Ripeteva il mio nome, ma non mi rivelava quale era il problema che lo faceva stare in quello stato. 

«Cherry... tu non ti senti... come dire...» 

Esitò e la mia ansia scattò a mille in quella frazione di tempo in cui cercava il termine adatto per spiegarsi. 

«...stanca?» 

Quando parlò finalmente sentii il mio cuore frantumarsi. Anch'io impiegai molto tempo per trovare le parole adatte per dargli una risposta. 

«Sì, Gin, sono anche io, ecco sì, appunto stanca... e direi anche moltissimo... ma tu non puoi, tu sei sempre forte...» Risposi cercando invano di asciugare le lacrime. 

«Hai fatto la tua scelta, mia cara. Mi hai tradito, hai scelto l'altro invece che me, dopo tutti questi anni che ti ho sostenuta... E tutto ciò come è finito, Cherry? Ti hanno pugnalata, ancora ed ancora, ti hanno abbandonata e se non fosse così non saresti qui a parlarmi: ma è tropo tardi, mi dispiace Cherry, il processo di integrazione è già in stato avanzato, ben presto non resterà più niente di me e soffrirai nella consapevolezza che sei stata tu ad avermi ucciso, tu e quella terapeuta che tanto dici di amare, forse anche più di me. Ora sei sola e per di più non puoi contare neanche più su di me. Ma dimmi, Cherry, non saresti dovuta stare bene, come sosteneva la dottoressa, una volta che non ci sarei stato più? A me non sembra, anzi ti vedo stare anche peggio. Guarda in che stato sei e per di più mi ci hai trascinato con te.» Sentì la sua mano colpire la mia guancia con forza, ma non mi sottrassi, non mi spostai, voleva picchiarmi e aveva tutto il diritto per farlo dopo che lo avevo quasi ammazzato. Il dolore che provavo alla guancia non era assolutamente paragonabile a quello che provavo nel petto, pensai scioccamente per un momento addirittura che in realtà mi avesse fatto una carezza. 

“Hai visto, Cherry?“ Continuò ed io mi sforzai di non tapparmi le orecchie. 

“Su una cosa aveva ragione però il tuo medico, non hai dovuto usare né coltelli né pistole per uccidermi. Guarda, non ho ferite. O meglio, non sul corpo, mi hai lacerato più profondamente, nelle viscere, nel petto, nella mente con la tua stupida terapia.” 

Sentì la punta della sua scarpa conficcarsi nel mio stomaco, ma neppure quando vidi il sangue a terra percepì un pari dolore a quello psicologico e mentale. 

Al contrario mi sentivo molto felice. Gin stava reagendo ancora. E fino a quando avrebbe avuto la forza per tirarmi anche un solo schiaffo o un solo calcio, significava che ancora resisteva al mio fianco, significava che le sue radici erano ancora ancorate al mio corpo. 

Non era completamente andato. 

Avevo ancora una speranza. 

Gin non era morto e ora lo avrei stretto così forte a me da non lasciarlo mai più e fu, infatti, la stessa identica determinazione che io sentivo che animò anche Gin, che in quel preciso istante si sollevò da quella sedia malconcia e si infilò finalmente il suo immancabile impermeabile. 

Potei nuovamente udire quel rumore ben troppo familiare del suo accendino scattare ed accendere il tabacco di una delle sue tante sigarette. 

Percepire di nuovo quell'odore di fumo invadere ogni singolo vertice dello spazio in cui ci trovavamo. 

Lo sguardo ora rivolto nuovamente ed unicamente su di me che a terra stavo sputacchiando ancora sangue e bile. 

«Ringrazia di non aver nessun rapporto talmente saldo di cui tu riesca a fidarti ciecamente. Se ne avessi anche uno solamente, Cherry, io non ci sarei più. Già da parecchio. La certezza invece che tutti hanno qualcuno di più importante di te ha fatto sì che il terrore di restare nella solitudine più nera, in cui non ci sarei neanche più io come compagno, alimenta la mia essenza e le impedisce di essere distrutta. Vieni, Cherry. Piccola e povera, Cherry. Ferita, ancora. Abbandonata per l'ennesima volta. Pugnalata da chi si fidava. 

Mi occuperò io di te, ti darò l'amore che vuoi: ti darò tutti i baci, gli abbracci e le carezze che gli altri riservano sempre a tutti, ma mai a te perché non ti amano abbastanza come amano coloro che ti sono attorno. Cherry, alzati.» 

Fui sollevata da terra in quell'istante doloroso a causa di quella verità che aveva pronunciato, proprio come un burattinaio recupera la sua marionetta dalla cesta dei fantocci prima di comandarla nuovamente a suo piacimento. Mi scrutò a fondo e parve leggere nei miei occhi neri i miei desideri più malati. 

«No, mi sono sbagliato, tu mi stai chiedendo chiaramente una altra cosa in questo momento, qualcosa di ancora più forte che solo al mio fianco puoi trovare. Tu vuoi il dolore fisico, vero Cherry?» Aumentò la pressione sul mio collo ed annaspai in cerca di aria, anche se un sorriso sul mio volto andava formandosi istintivamente a quella compressione. I ruoli stavano tornando al loro esatto posto. 

«Tu vuoi essere picchiata e tramite il dolore fisico dimenticare, o meglio sovrastare, quello mentale e psicologico. Qualcosa che solo io riesco a fare perfettamente, dico bene, dolcezza?» Chiese ancora retoricamente, in quanto non potevo parlare stretta in quella morsa d'acciaio, mentre si apprestava a recuperare anche la sua corona di stoffa: quel cappello che gli era caduto quando aveva iniziato a sgonfiarsi ed era finito nelle mie mani per qualche giorno. 

“Sei una brava bambina, Cherry. È così che al tuo Gin caro piaci: remissiva, docile e completamente devota e fedele al sottoscritto. Gin punisce Cherry solo quando fa la cattiva, quando smette di ringraziare colui che l'ha salvata e cerca di tradirlo. Ma oggi sei stata molto brava, prima di tornare a questo punto della trasformazione passerà molto tempo ed io per allora ti avrò mostrato che sono l'unica tua certezza tra tutti questi lupi travestiti da agnelli e che il dolore che ti provoco con le mie mani o con i miei attrezzi, è molto meno intenso di quello che ti fanno provare gli altri abbandonandoti di continuo e voltandoti le spalle alla prima difficoltà che scorgono nel stare al tuo fianco. Io invece preesisto proprio in quei momenti, aiutandoti a non sprofondare. Se non fosse per me gli altri ti avrebbero già fatta finire da anni nell'oblio.» 

Lentamente mi fece posare i piedi per terra seppur stringendomi ancora la mano sulla pelle del collo anche se non intensamente come pochi secondi prima. 

«G-in, non andartene...» Dissi posandogli dolcemente le mani sul polso che mi bloccava la gola. 

Lui rise: un ghigno che conoscevo molto bene si stagliò sulle sue labbra per la millesima volta. 

«Fin quando tornerai da me e mi rivolgerai la parola, ci sarò sempre.»

Poi venne a farmi vista il buio di molto tempo fa ed in quella oscurità ci fui trascinata ancora una volta, ma non ebbi paura perché non ero sola, avevo Gin, il demone potente che mi aveva soccorso quando avevo urlato dalla disperazione la prima volta, per non crollare nell'oltretomba.

   
 
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