E non ci sei più
Ricordava piano ciò che avevano passato, mentre seduto sul
letto serrava i pugni contro il materasso.
Si sentiva un cretino, uno stupido. Abbindolato e lasciato solo in un
momento in cui anche lui aveva bisogno di qualcuno, infondo.
Eppure erano stati piccoli, erano stati uniti e inseparabili.
Ricordava ancora il giorno in cui era seduto tranquillo sotto un albero
e un bambino tutt'occhi gli era venuto prepotentemente vicino
chiedendogli se quei capelli fossero veri. Ricordava
bene il suo sorriso e quei capelli biondi, strani e perfetti che a
desiderarli si sarebbe sentito scemo, ma a vederglieli indosso
diventavano la cosa più bella al mondo.
O come quella volta in cui erano scappati via dalle loro stanze per
ritrovarsi in piena notte a rubar del cibo dalla mensa. Gli rimase
impressa la gracile figura del biondino indaffararsi tanto per
recuperare una scatola nascosta su una mensola allora lontanissima. E
lui che si era offerto di fare da scala umana per consentirgli di
arrivare sano e salvo fino allo scomparto.
Poi il tonfo e le bottiglie d'olio precipitate in terra provocando un
fracasso tale da svegliare metà istituto.
Alla fine nella scatola c'erano solo decine di barrette di cioccolata
che Mello raccattò dal pavimento furtivamente tirando
l'altro per il braccio e cercando di sfuggire alle urla di Roger.
Chissà perché poi la sua fu la prima stanza ad
essere esaminata.
Le tavolette.. il vecchio sapeva chi poteva essere l'unica persona in
tutto l'istituto a poter avere anche solo il pensiero di rubarle..
- amo la cioccolata- gli aveva detto, un giorno.
E quella volta in cui avevano corso tanto per salire sino in cima al
grande albero nel giardino dell'istituto. Il più alto, il
più maestoso.
Al biondo piaceva beffarsi della gente.
Diceva sempre che visti da lassù sembravano così
piccoli che veniva voglia di schiacciarli sotto ai piedi.
Ed erano rimasti su quel grande tronco per ore, senza pensieri,
assaporando l'aria fresca tra le fronde e vacillando al cinguettio
degli uccelli al di là dei rami.
Liberi com'eravamo ieri
dai centimetri di libri sotto i piedi
per tirare la maniglia della porta
e andare fuori
Si guardava le ginocchia nascoste dai jeans, si guardava le mani,
ciò che aveva tra le dita.
Quand'è che aveva iniziato a fumare?
Era stato un gioco, una curiosità, forse un modo di pensare
e sentirsi grandi. Mentre invece, essere grandi, adesso, era tutto
ciò che non voleva.
Stringeva i pugni sbattendoli sul materasso. Si sentiva uno stupido.
Gli sguardi, i giochi, le carezze. Li aveva persi.
E ora non voleva altro che vendetta, vendetta contro il mondo, contro
Kira, contro quel bastardo che gli aveva portato via l'unico amico,
l'unica persona alla quale era legato. La sua famiglia.
- io e te, come una famiglia! -
Riecheggiò nella sua mente quella semplice frase di quando
avevano dodici e bighellonavano tra i corridoi senza far niente. Lo
aveva fermato di colpo e condotto nella biblioteca dell'atrio sinistro,
quella più in disparte, la meno frequentata.
Di solito era ritrovo dei ragazzi più grandi, ma loro ci
andavano perché era più tranquilla di quell'altra.
Il biondo si era messo a cercare una specie di manuale. Vi erano figure
di persone sposate, di fidanzati, bambini felici..
Alla pagina trentadue, nel secondo paragrafo, vi era una frase
sottolineata e ricalcata di nero:
anche due persone non sposate, se stanno bene assieme, possono essere
una famiglia.
- io e te, come una famiglia! -
Il fatto che lo avesse condotto di corsa in biblioteca soltanto
per quello ora lo faceva morire, gli si stringeva il cuore. Lo voleva
indietro. Voleva indietro tutto. Tutto.
Non si erano detti un ciao, non un abbraccio.
Lo aveva visto spalancare con rabbia la porta della stanza e prendere
tutto alla rinfusa per ficcarlo con forza in valigia.
Glielo aveva chiesto cosa cazzo stava succedendo e lo aveva visto
rispondergli in lacrime, gli occhi immensi, azzurri, dirgli
semplicemente:
- L è morto -
E ci era rimasto di merda, ma in quel momento ancora non afferrava bene
ciò che stava succedendo e ciò che sarebbe potuto
succedere.
Troppo
cerebrale per capire che
si può star bene senza calpestare il cuore
ci si passa sopra almeno due, tre volte i piedi
come sulle aiuole
Per
tutte quelle volte in cui erano stati vicini, per tutti quei sorrisi e
tutti quegli abbracci.
Avrebbe voluto spaccargli la faccia, fermarlo a calci in culo.
Dirglielo perché cazzo si era definito suo amico. Il suo migliore amico.
Ma mentre pensava, e mentre fissava il pavimento, l'altro in lacrime lo
salutava a distanza, sul ciglio della porta.
Per dirgli
- tranquillo -
per dirgli
- a presto-
sforzandosi di fare un sorriso, in mezzo alle lacrime
- ci rivedremo -
afferrava il suo rosario, stringendolo in mano
- te lo giuro -
potrei,
ma non voglio
fidarmi di te
io non ti conosco
e in fondo non c'è
in quello che dici
qualcosa che pensi
E
nei suoi occhi, lucidi e chiari da sembrare bianchi aveva visto solo
una gran paura, un'umiliazione celata d'egoismo, la voglia di non farsi
più vedere.
Quella notte lo osservò per la prima volta in maniera
diversa, chiedeva aiuto, implorava pietà.
Ma talmente preso dal modo in cui doveva pensare a ciò che
era meglio da dire, perché non aveva avuto il coraggio di
fermarlo?
Accese una piccola candela profumata per guardarlo in volto. Sapeva di
cioccolata.
L'altro
tirò su il naso di chi aveva appena pianto e improvvisamente
il suo sguardo sembrava essere mutato.
Più piccolo, meno leggero. Meno bambino.
Si era aggiustato il borsone sul braccio, scostato la frangia dal volto
gonfio.
Lo guardò ancora una volta negli occhi, prima di scappare
lungo il corridoio.
E lui rimase sull'uscio fino all'ultimo, quando chiuse piano la porta,
lasciò la maniglia, si sedette sul letto.
La candela ancora in mano ad illuminare il buio della camera, gli occhi
bagnati, il naso caldo.
leggera
leggera
si bagna la fiamma
rimane la cera
e
non ci sei più
Si alzava dal divano, Matt avvolto nei suoi videogiochi e dalla cenere
impressa sopra i muri.
Prendeva il suo borsone, ci infilava la sua vita e partiva, un'auto
rossa a seguire quel destino abbandonato e mai perduto.
Quanto tempo aveva aspettato prima di capire che quella sarebbe stata
la sua vita, quanti attimi trascorsi ad imprigionarsi in ricordi mai
più riavuti e assaporati.
Libero com'ero stato ieri
ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi
adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori
Lo aveva rincontrato, una cicatrice gli divedeva il volto, ma gli occhi
parlavano sempre allo stesso modo. Sembrava ne avessero viste
tante, vissute di più. Eppure era come se
ricordassero ognuno degli attimi trascorsi quando ancora era bambino,
quando ancora non si era macchiato della colpa del peccato.
Gli ordinava ed imprecava di restarsene al suo posto, di non
immischiarsi che di aiuto non ce ne sarebbe stato il bisogno.
Intelligente e caparbio, ma troppo poco per comprendere ciò
che l'altro sarebbe stato disposto a fare per lui.
Gli diceva:
- tranquillo -
sussurrava:
-andrà tutto bene-
E calava un bacio ad allietare quella pelle chiara così
tanto familiare.
Sentiva male, male dentro. Male fuori. Segnato a vita dalle fiamme, ma
disposto a vivere e a distruggere, lui.
I capelli lunghi e biondi ancora lì ad aspettare la carezza
di una mano, la mano di un fumatore e di un amico. La mano di colui che
con lui attendeva la resa.
sono
una nuvola, fra poco pioverà
e non c'e vento che mi sposti
o vento che mi sposterà
Non
pioveva, non ci fu il tempo per piangere.
Afferrò il manubrio, si mise al volante. Sentiva che sarebbe
tornato a casa, che sarebbero tornati a casa. C'era ancora tanto da
dirsi, troppo da farsi, per sfuggire alla vita.
Accendeva quella sigaretta, mentre scappava dal destino beffardo,
mentre cadeva in esso e da esso scendeva.
Teneva in bocca quella sigaretta, prima che facessero fuoco sul suo
corpo troppo in vista, mentre gli occhi illuminati dai fari delle auto
smettessero di vedere, prima che la mente rinunciasse a pensare.
Cadeva quella sigaretta, si spegneva nel sangue.
leggera
leggera
si bagna la fiamma
rimane la cera
E non ci sei più
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Ai tempi,
quando da piccola mia madre ascoltava questo brano, era piuttosto
famoso. Certo non pensavo sarei tornata ad ascoltarlo per poter
scrivere una fiction su di loro!
Il testo in questione è di un pezzo di Samuele Bersani, Giudizi
Universali. non che la sua musica mi faccia
impazzire, sono di tutt'altra sponda.. Eppure ogni qualvolta ricantassi
le parole avevo queste idee per la testa, queste immagini..
Insomma, il caldo mi ha dato alla testa!
Grazie a tutti coloro che leggeranno, commenteranno, penseranno di
farlo, guarderanno il titolo, poi l'orologio e penseranno 'magari la
leggerò domani' e.. chiunque altro abbia avuto un pensiero
su questa mini fiction :)
Un abbraccio :)