Infondo siamo amici
Premetto
di essermi dilungata troppo, avevo pensato di dividere il capitolo ma non
riuscivo a trovare un punto in cui tagliarlo e spero che l’eccessiva lunghezza
non vi scoraggi dalla lettura.
Il
capitolo inizia al termine degli eventi del caso “Nightmare” (Volume 4
capitoli 7-8 del manga, Episodio 12 degli special, Magic Kaito episodio 20),
essendo il manga costruito come una commedia, Gosho non si è soffermato molto
sulle possibili ripercussioni psicologiche dopo la morte di Jack Connery e per
questo esistono le fanfiction! (Tengo a precisare che ho preso ispirazione da una fanfiction inglese "Footprints in the Moonlight di Kakashikrazy256", poi modificata e evoluta a mio gusto personale)
Buona
lettura, vi attendo nelle note infondo alla pagina <3
Aveva
bisogno di un caffè, decisamente.
Saguru non
aveva smesso neanche per un istante di pensare a quella calda bevanda da quando
la giornata era iniziata, o non era mai finita la precedente, dipendeva dai
punti di vista. Era giunto persino ad immaginarne l’odore forte e aromatico, il
torpore emanato dalla tazza di ceramica e il sapore sulle papille gustative.
In altre
circostanze avrebbe rimproverato sé stesso, ne aveva già bevuti otto in meno di
dodici ore e sicuramente Baya non ne sarebbe stata contenta, poteva già sentire
i suoi rimproveri riecheggiare nel grande salone della casa. Questa però era
una situazione diversa, non era riuscito a far tacere la vocina malefica nella testa
che dalla notte precedente continuava a ripetergli di aver sbagliato su tutti i
fronti, di essere stato fin troppo egocentrico e sicuro delle sue capacità
finendo per arrivare tardi. Si accorse della lezione terminata solo quando la
matita con cui era intento a giocare scivolò a terra rotolando fino alla sedia
di Nakamori, l’unica persona rimasta all’interno dell’aula oltre lui. Neanche
durante i casi, in cui aveva seguito Scotland Yard in lungo e largo per interi
giorni si era sentito così stanco e spossato da non rendersi conto del luogo in
cui si trovava e del tempo che scorreva, e lui era uno pseudo maniaco degli
orologi.
Lentamente
andò a raccogliere il prezioso antistress e la sua curiosità venne subito
attirata dal foglietto azzurro, graziosamente decorato dall’orsetto disegnato
nella parte alta, ricoperto ormai per metà dalla grafia elegante della ragazza.
«Stai scrivendo una lettera?» Saguru era
consapevole di sembrare un impiccione con quelle domande improvvise, ma la sua
indole da detective sembrava vedere misteri ovunque. La penna della
compagna si fermò a mezz’aria colta alla sprovvista, non prima di aver
erroneamente lasciato un solco bruno sulla parte immacolata. «Oh no! Questo era
l’ultimo foglio che avevo comprato»
«Aoko-chan scusami, non era mia
intenzione» goffamente aveva tentato di riparare il danno provando a cancellare, almeno un
minimo, il tratto superfluo senza però alcun risultato soddisfacente.
«Non ti preoccupare» con una rinnovata
compostezza la ragazza scosse la testa rivolgendogli un sorriso furbo e tirò
fuori dall’astuccio una serie di pennini colorati, una quantità tale da far
invidia a una cartoleria. Ad opera ultimata alzò il foglio nella sua direzione «Magia!» la striscia nera
trasformata ora nel ramo stilizzato di un albero era attorniata da piccole
foglioline e fiorellini rossi. Non dimostrava le abilità
eccelse di un'artista ma nel complesso quel contrasto di colori infondeva
allegria.
«Kuroba
ti ha corrotto con le sue abilità magiche?»
Il tono scherzoso fece calare un'ombra sul volto della
ragazza, seguendo la direzione del suo sguardo Saguru concentrò a sua volta
l'attenzione vero il banco rimasto vuoto l'intera giornata.
«Non credo di poter raggiungere i suoi livelli, è in grado
persino di sparire nel nulla senza lasciare traccia facendo preoccupare Aoko» Hakuba si morse la lingua, l'osservazione pungente di
associare l'identità del liceale a quella Kid premeva per uscire dalla sua
bocca «Ho anche bussato a casa sua stamattina, non ha risposto nessuno. Probabilmente è andato a trovare sua madre
e si è dimenticato di avvertirmi, come al solito»
Le ultime parole furono poco più di un sussurro appena
percettibile, il detective si chiese come la figlia dell’ispettore non nutrisse
sospetti sull’identità dell’amico, ultimamente ogni singola azione urlava il
nome della vita furtiva notturna. Ne era certo dopotutto, Kaito e Kid erano la
stessa persona, aveva solo bisogno di trovare prove concrete per incastrarlo.
«Comunque Aoko, a chi stai scrivendo una lettera?»
«Kenta»
Trattenne involontariamente il respiro
sentendo quel nome, il tempo sembrò essersi fermato, solo la mano in tasca
stretta attorno all’orologio ticchettante indicava il contrario. Il pianto disperato di quel bambino tornò
prepotente alle orecchie di entrambi riportando alla mente l’episodio accaduto
poche ore prime.
Saguru aveva dovuto letteralmente pregare la ragazza
affinché, giunti alla centrale di polizia, lasciasse la presa sul corpicino
tremante, ma Aoko si era categoricamente rifiutata rendendo l’abbraccio ancor
più soffocante unendosi al pianto. A quel punto aveva capito
fosse del tutto inutile insistere, e il suo cipiglio professionale si era
incrinato dinanzi alla situazione medica del ragazzino, avrebbe dovuto subire
un intervento senza il supporto dei suoi genitori in un paese sconosciuto.
Nemmeno per un istante aveva smesso di ringraziare mentalmente l’ispettore
Nakamori per averlo portato via dalla stanza con la scusa di compilare i
rapporti, un altro secondo e si sarebbe unito ai due rannicchiati sul piccolo
divanetto di pelle.
Quando intorno alle quattro del mattino i singhiozzi si
erano acquietati ed era uscito dall’ufficio, il duo si era ormai addormentato
sfinito per le troppe lacrime versate. Inizialmente non aveva capito l’urgenza
dell’ispettore di svegliare sua figlia per accompagnarla a casa, ma una volta
in piedi tutto gli era sembrato fin troppo chiaro. Aoko aveva avvolto la
coperta sulla figura dormiente di Kenta, messo accanto un peluche preso dallo
zaino, ordinato ad un ufficiale di non muoversi per nessun motivo da quella
stanza e avvisato suo padre che avrebbe portato la colazione prima di andare a
scuola. Capiva la scelta di Nakamori, pochi minuti e Aoko si sarebbe
affezionata troppo per lasciarlo ripartire.
Il detective londinese tornò alla realtà quando la ragazza
riprese a parlare «Stasera sua zia verrà a prenderlo, non sono riuscita a
stargli vicino come desideravo, per questo ho pensato di scrivergli una lettera, così quando si sentirà solo potrà leggerla e sapere
che Aoko anche se lontana pensa a lui. Ho intenzione di dargliela insieme al suo
gelato preferito, una promessa è una promessa e
almeno la mia parola desidero mantenerla».
Saguru sospirò, trovava il pensiero della ragazza molto
dolce ma estremamente illogico «Aoko-chan, con tutto il rispetto, non credo
questo risolleverà quel bambino. Non fraintendermi, non sto cercando di farti
desistere dal tuo intento, voglio solo farti capire che potresti rimanere
delusa dall’esito. Probabilmente adesso starà odiando tutti noi per non aver
impedito a quel criminale di portar via il suo papà» dovette impedire nuovamente alla sua bocca di pronunciare osservazioni scomode, non aveva detto a nessuno di aver
intuito la vera identità di Nightmare, non dopo aver sentito che
l'assicurazione dell'ispettore sarebbe riuscita a pagare la delicata operazione
del bambino. Stentava a crederci ma aveva messo da parte il suo senso di
giustizia per una causa più grande, no in realtà era solo un bugiardo che
continuava a mentire, aveva omesso la verità offrendo quella bugia come tacita
scusa per alleviare la sua frustrazione «Un gelato e delle parole dolci
purtroppo non credo funzioneranno»
«Con Kaito hanno funzionato» un mormorio appena percepibile
ma veemente bastò a bloccare le rimostranze del suo ascoltatore, diventato
improvvisamente attento. Poteva sembrare ingenua il più delle volte, ma
desiderava soltanto vedere felici le persone a cui si affezionava, a costo di
passare in secondo piano o per l’ideatrice di stupide idee.
«Sai, anche il papà di Kaito è venuto a mancare otto anni
fa, era la figura più importante per lui. Toichi Kuroba lo avrai sicuramente
sentito come nome, un mago famosissimo non solo qui in Giappone. Kaito ripeteva di voler diventare proprio come lui.
Probabilmente è stato questo a farmi crollare stanotte, Kenta aveva detto
proprio, a me e Kaito qualche ora prima del tragico incidente, di voler
diventare come suo padre, ho ringraziato il cielo che Kaito non fosse con noi
stanotte» Aoko si voltò verso la finestra, le foglie trascinate via dal vento
ondeggiavano in quel movimento ipnotico, improvvisamente aveva bisogno d'aria
«Quando Toichi perì Kaito si spense, non rispondeva più nemmeno a sua madre.
Rimaneva chiuso tutto il giorno nella sua stanza stringendo i vestiti di scena
del padre, più volte andai a trovarlo finendo in un'occasione per scappare via
in lacrime. Mi disse che lo infastidivo con le mie insistenze, ero convinta mi
odiasse.»
Hakuba ascoltava il racconto veramente interessato, non
conosceva le vicende familiari di Kuroba né il rapporto così duraturo fra i due
compagni di classe, si era unito al pensiero comune di chi li additava come
fidanzatini senza conoscerne i reali motivi. «Giunsi a detestare il suo
silenzio. Papà continuava a ripetermi di aspettare, Kaito aveva solo bisogno di
tempo per metabolizzare la cosa ma io non volevo ascoltarlo, mia madre mi aveva sempre ripetuto di non
lasciare mai sola una persona che soffre. Se lui non voleva ascoltarmi allora
gli avrei scritto, e così feci. Dopo aver comprato il gelato al doppio
cioccolato, il suo preferito, andai da lui e senza dire nulla poggiai il
foglietto sulle sue gambe» la voce assunse un
colorito più morbido, persa nei suoi pensieri non si era accorta di aver
serrato la presa attorno alla camicetta della divisa. Le sembrava di essere
tornata con tutti i sensi a quel giorno, poteva vedere gli occhi chiari del
bambino fissi su quel pezzetto bianco, la manina stretta attorno al suo polso
per essersi solo permessa di scostare la giacca sotto la quale si era
rifugiato. Divincolatasi dalla presa aveva oltrepassato le sue resistenze,
intrufolatasi a sua volta in quel nascondiglio segreto lo aveva abbracciato.
Saguru rimase in silenzio ad osservare la ragazza persa nei
propri ricordi, doveva voler davvero molto a quella testa calda se al solo
pensare a lui gli occhi acquisivano una luce nuova. «Nonostante lui cercasse di
allontanarmi in tutti i modi l'ho abbracciato, pregandolo di leggere e capire
ciò che avevo scritto. Probabilmente ora mi darai della scoccia ma mi sono
addormenta in quella posizione, al mio risveglio ero appoggiata al muro con la
giacca del suo rifugio improvvisato, ripiegata sulle mie spalle come coperta.
Lui invece era difronte a me con il cucchiaino a mezz'aria e la vaschetta di
gelato quasi vuota» finì il suo racconto con una risatina allentando la
tensione iniziale, lo sguardo colpevole e la bocca impiastricciata di
cioccolata ancora vividi nei suoi ricordi. Quell'idiota non aveva mai capito
quanto l'avesse fatta sentire bene il sorriso accennato mentre le offriva
l'altro cucchiaino.
Lo squillo del telefono la riportò alla realtà «Pronto? Oh papà grazie, non mi
ero accorta fosse così tardi, sì arrivo subito!» chiuse la chiamata raccogliendo alla
rinfusa tutte le sue cose "Hakuba-kun scusami, devo sbrigarmi altrimenti non farò in tempo a lasciare il mio regalo a
Kenta».
Il ragazzo scosse la testa divertito, gettando i libri in
quel modo confuso non sarebbe mai riuscita a chiudere la cartella «Posso
chiederti una cosa se non sono troppo invadente?» Aoko annui rinunciando a
chiudere la borsa ma piegando accuratamente la lettera fra le mani «A Kenta hai
scritto le stesse parole dette a Kaito?» la ragazza si fermò a pochi passi
dalla porta dandogli le spalle «No, lui lo conoscevo bene, non avevo bisogno di
prendere alla larga la questione. A Kaito scrissi semplicemente "non sarai
mai solo". Sentirsi amati non fa mai male, questo è il mio pensiero» prima
che potesse risponderle era già andata via.
Saguru sospirò poggiandosi al banco, era tremendamente
stanco e nonostante l'invitante pensiero della caffetteria a poca distanza da
scuola, non riusciva a muoversi. La tentazione di chiamare Baya fu estremamente
forte ed ebbe il sopravvento, già pregustava la doccia rilassante e il comodo
letto una volta giunto a casa. Iniziò a comporre il numero ma una frase di
Nakamori tornò a farsi largo nella sua mente, quelle parole a cui prima non
aveva dato apparente peso, il suo cervello le aveva invece recepite e assumevano un altro significato.
«Kenta aveva detto, a
me e Kaito qualche ora prima del tragico incidente, di voler diventare come suo
padre, ho ringraziato il cielo che Kaito non fosse con noi stanotte» Aoko
si sbagliava, lui c'era eccome. Aveva visto quel guanto bianco stretto nella
mano del poliziotto disteso in quel freddo e polveroso deposito. Kuroba poteva
negare tutte le volte, autoconvincersi delle sue parole, ma la verità era una e
la sapevano entrambi.
Maledisse sé stesso, impegnato a modificare la ricostruzione
dei fatti per la polizia e a combattere la propria battaglia personale con il concetto
di giustizia, non aveva utilizzato correttamente il suo ingegno guardandosi
attorno. Il banco vuoto, l'assenza ingiustificata, ora tornava tutto. Kuroba
dopo ogni colpo veniva a scuola, era una sorta di alibi per mostrare la sua
estraneità a fatti, per dimostrare a lui di essere un semplice liceale. Per
aver saltato una parte tanto fondamentale nella sua copertura doveva essere
successo qualcosa.
Scostò da sé il banco in un impeto di rabbia passandosi una
mano fra i capelli con fare isterico, bere tutto quel caffè era stata una
scelta sbagliatissima, stava esagerando con la fantasia, non c'era bisogno di
pensare al ladro rinchiuso in casa sopraffatto dal senso di colpa, poteva semplicemente non aver sentito la sveglia continuando
a dormire.
Sbottonò i primi bottoni della giacca in cerca d’ossigeno,
perché si stava preoccupando così tanto? Neanche si sopportavano, ogni
occasione era buona per punzecchiarsi e lui si struggeva l’anima per un mago
dal sorriso falso perennemente stampato in faccia. Beh, forse alcune volte era
autentico ma considerando la faccia da schiaffi che era in grado di assumere
durante i suoi furti non poteva far a men di pensare che fingesse anche nella
sua vita di tutti i giorni.
Infondo a lui non doveva importare.
Con piccoli passi si avvicinò alla finestra scostando
leggermente il vetro, il riflesso di quel ragazzo dai capelli ramati
disordinati e dagli occhi bruni cerchiati da occhiaie non sembrava nemmeno il
suo. L’albero difronte l’aula lasciò svolazzare la folta chioma con alcune
stelle filanti impigliate fra i rami. Le striscioline colorate raggiunsero il
davanzale marmoreo e Saguru ricordò distrattamente appartenessero allo
spettacolino messo su da Kaito il giorno precedente, qualche ora prima della
rapina. Imprecò fra i denti, era tornato nuovamente con i pensieri a quel ladro
da quattro soldi, quella paura immotivata lo stava logorando, detestava non avere
i tasselli ognuno al proprio posto. Poteva essere la rabbia opprimente a condurlo in quella direzione, non era
arrivato in tempo per assistere al furto a causa del piccolo inganno a cui
aveva abboccato e ora cercava una linea di pensiero alternativa dopo la notte
insonne. Se fosse arrivato prima avrebbe scoperto tutta la verità e impedito
inutili spargimenti di sangue, un pensiero utopistico, forse anche egocentrico
ma estremamente realizzabile.
Chiuse gli occhi cercando di placare le improvvise fitte alla
testa, in effetti mancava solo la sua emicrania all’appello per chiudere in
bellezza la giornata. Seppur sofferente la sua mente arguta continuava a
funzionare ed era giunto il momento di ascoltarla… lui per una serie di
sfortunati eventi non si era trovato sul luogo del crimine, Kid al contrario
c’era stato fin dal primo momento, aveva visto Connery scivolare lentamente
dalla sua presa. Aveva assistito impotente al corpo dell’uomo precipitare nel
vuoto e toccare il suolo con un tonfo sordo. A poca
distanza da lui ma impossibilitato a salvarlo. Si permise di immaginare lui al
posto del ladro, quel cambio di angolazione non gli piacque per niente, anzi un
brivido freddo gli percorse la schiena pensando alla chiazza di sangue attorno
al capo del poliziotto e a gli occhi sbarrati verso la sua posizione
sopraelevata. Non osava immaginare come si sentisse ora l’illusionista, durante
i suoi furti le persone dovevano divertirsi godendosi lo spettacolo, la polizia
doveva impazzire cercando di catturarlo ma nessuno doveva farsi male, tanto
meno morire.
Si passò stancamente le mani sul viso, prima di essere un
ricercato internazionale, Kid era Kaito, il ragazzino con la passione per la
magia che usava la classe come palcoscenico personale per incantare il suo
pubblico, ammirare i sorrisi estasiati dei compagni era
la sua più grande soddisfazione.
Tuttavia, lo considerava capriccioso, infantile e
irresponsabile, non aveva la minima idea dell’enorme spesa pubblica a cui
dovevano far fronte per la sua cattura. Odiava il tono innocente con cui lo canzonava
dopo ogni furto andato a buon fine il giorno prima, lo avrebbe preso volentieri
a pugni se non avesse avuto la sua educazione a trattenerlo.
Poteva stilare una lista di epiteti nei suoi confronti aggiungendo
anche termini di origine ignota ma non lo considerava
una cattiva persona, l’ispettore Nakamori doveva avergli fatto il lavaggio del
cervello ripetendogli sempre la stessa frase «Hakuba-kun se intendi aiutarci
nella sua cattura ricorda che anche se si tratta di un ladro, lui è diverso,
non farebbe del male a nessuno. Niente gesti avventai nei suoi confronti, di
poliziotti dal grilletto facile ne ho abbastanza».
Picchiettò l’indice e il medio sulla fronte ripensando anche al racconto di Aoko, e senza perdere altro tempo raccolse
la sua roba uscendo a passo di marcia dall'aula.
Immobile in mezzo alla strada Saguru osservò
la piccola villetta a due piani per l'ennesima volta, non era stato difficile
avere l'indirizzo dalla segreteria della scuola, nonostante le numerose
rimostranze della segretaria.
Si aspettava una casa più sinistra e misteriosa come base
segreta di un ladro, era rimasto quasi deluso di tanta normalità. Nonostante
l’ostacolo più grande di trovarne l’ubicazione fosse stato aggirato, i suoi
piedi non volevano saperne di collaborare e andare avanti.
Nascosta dietro le vistose tende lilla dell’abitazione
accanto, un’anziana signora continuava a lanciargli occhiate sospette al di là
della finestra, sbuffò concedendosi uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza
chiedendo con disinvoltura se quella davanti a lui fosse casa Kuroba. La donna
dopo aver annuito, probabilmente delusa dal suo tentativo fallito di ricavare
un pettegolezzo interessante era sparita oltre la coltre di stoffa.
Intensificò la presa sulla borsa e il sacchetto di plastica
prima di dirigersi finalmente verso la porta, oltrepassò il cancello
stranamente aperto e bussò al campanello. Attese qualche minuto ma non ebbe
risposta, riprovò una seconda, poi una terza ed altre cinque volte senza alcun
risultato.
«Kuroba lo so che sei lì dentro, apri la porta. Dopo il tuo
furto ha piovuto e qui davanti ci sono solo impronte dirette verso l’interno,
quindi a meno che tu non sia uscito con il deltaplano in pieno in giorno, cosa
alquanto improbabile…no aspetta, ne saresti capace incosciente come sei ma
il mio sesto senso dice che sei qui dentro» aveva mantenuto un tono più basso
per evitare orecchie curiose ma neanche il diretto interessato sembrava averlo
sentito.
Incrociò le braccia sbattendo più volte il piede mentre
fissava con astio la porta, non aveva la minima intenzione di andarsene a mani
vuote e se pensava di poterlo allontanare semplicemente
ignorandolo, lo stava sottovalutando. Sperava fosse così, in realtà
temeva di essere nuovamente in ritardo, quell’incontenibile
paura di aver fatto un altro errore di calcolo e aver lasciato
trascorrere troppo tempo lo stava facendo sudare freddo. Lentamente il detective costeggiò la
facciata controllando attraverso le finestre del pian terreno l’interno
dell’abitazione, un singolo accenno di movimento gli sarebbe bastato ma non
accadde nulla. Giunto sul retro il suo sguardo fu subito catturato dalla
finestra spalancata al secondo piano, poteva capitare di dimenticare gli
infissi aperti uscendo, non c’era nulla di strano a parte una gran
sbadataggine, ma quante possibilità includevano un ladro meticoloso lasciare
incustodita la propria casa in quel modo? Pochissime, e se si trattava di Kid
la percentuale diventava nulla.
«Kuroba?» si sentiva un’idiota, continuava a chiamarlo non
ottenendo risposta mentre il cuore gli martellava nel petto.
Un’idea malsana balenò nella mente di Hakuba osservando le
casse abbandonate in un angolo del giardino, se le avesse posizionate in
prossimità della finestra avrebbe ridotto la distanza di cinquanta centimetri,
lui era alto un metro e ottanta quindi saltando sarebbe riuscito ad arrivare
facilmente alla fitta rete metallica grigliata fissata in prossimità del
sottotetto, appiglio che casualmente passava proprio
accanto al balcone dalle imposte aperte.
Scosse la testa a quell’assurdo piano, stava impazzendo per
davvero? Voleva violare una proprietà privata per assicurarsi che Kaito stesse
bene solo perché il suo intuito avvertiva qualcosa di tremendamente sbagliato?
Sì, ed era proprio tale consapevolezza a preoccuparlo.
«La caffeina mi fa male» borbottò sistemando il sacchetto di
plastica nello zaino per gettarlo poi sulle spalle mentre circospetto iniziava
a spostare i cassoni lignei, cosa ci fosse all’interno non aveva intenzione di
scoprirlo, erano estremamente pesanti.
Asciugò le goccioline di sudore sulla fronte con la manica
della giacca respirando affannosamente, avvertiva tutta la stanchezza
accumulata farsi improvvisamente più pesante. Era ancora in tempo per lasciar
perdere quella follia ma il bisogno impellente di vedere con i suoi occhi la
situazione, e constatare che Kaito fosse sempre il solito rompiscatole
stravinceva la sua battaglia interna.
Afferrò l’estremità lignea issandosi sulla cassa e sperando
di non essere visto, soprattutto non dalla signora anziana precedente, in quel
caso una denuncia non gliel’avrebbe tolta nessuno. Si guardò intorno un paio di
volte prima di aggrapparsi al sottile metallo coperto dai rampicanti, il
profumo dei fiori inondò le sue narici portandolo alla nausea.
«Giuro che se stai dormendo ti uccido nel sonno» strinse i
denti inveendo sommessamente, sforzandosi di mantenere l’equilibrio e di salire
il prima possibile. Decisamente fare l’acrobata non rientrava nelle attività in
cui eccelleva, come facesse Kaito a non sfracellarsi al suolo rimaneva il più
grande mistero. Lui in sole due falcate aveva rischiato di
cadere altrettante volte e si era pure provocato un taglio sulla mano.
Giunto all’altezza desiderata fu colto dal panico al rumore
della tapparella che la vicina stava alzando, senza calcolare la distanza balzò
sulla ringhiera ed ebbe un mezzo infarto quando l’aderenza venne meno. Cadde
vergognosamente sul lastricato del balcone portandosi dietro il vaso di rose e
rannicchiandosi il più possibile contro la muratura della balconata pregò di non essere stato scoperto. Il cuore sembrava volesse uscirgli fuori dal petto in quell’attesa straziante.
Emise un sospiro di sollievo quando sentì la porta accanto
chiudersi, la mano sul petto nel tentativo di
calmarsi e la bocca improvvisamente secca, aveva assolutamente bisogno di acqua.
Scrollò dai vestiti la
terra del vaso distrutto appuntandone mentalmente l’acquisto per il compagno di
classe e con cautela si alzò constatando fortunatamente di esserne uscito
illeso. La sua tranquillità però si infranse quando notò all’interno della
stanza Kaito seduto ai piedi del letto con le gambe strette al petto e la testa
poggiata su di esse, immobile nella sua posizione nonostante tutto il casino
creato.
Il sole ormai quasi sparito all’orizzonte aveva gettato la
stanza nella penombra, incerto sul da farsi Hakuba era rimasto sulla soglia ad
osservare con apprensione la figura rannicchiata.
«Kuroba? Mi senti?» nessuna risposta. Mandò al diavolo al
diavolo la sua compostezza mollando a terra lo zaino avvicinandosi al ragazzo
deciso a scuoterlo, ma la sua mano aveva appena sfiorato la spalla quando venne
bloccata da una presa ferra sul polso.
«Non mi toccare!» Saguru sussultò a quell’urlo inferocito,
le dita di Kaito artigliavano la sua pelle bloccandogli la circolazione,
entrare di soppiatto probabilmente non era stato molto saggio. Gli occhi color
del mare solitamente avvolti di malizia avevano perso la loro solita luce,
erano puntati verso di lui ma non sembravano vederlo realmente. Il detective si
accigliò accovacciandosi lì accanto, studiava il volto di Kaito cercando una
risposta per quell’insolito scatto d’ira anche se un vago sospetto già aveva
preso forma.
«Kuro-» la frase morì in gola stroncata dalla smorfia di
dolore a causa del polso su cui la stretta si era intensificata, non stava
andando affatto bene la sua ispezione e doveva trovare una soluzione alla
svelta, prima che quel ringhio sommesso sì trasformasse in una nuova sfuriata.
Kaito non riusciva a mettere a fuoco la figura a poca
distanza da lui,
aveva solo tanto freddo, ogni qual volta si addormentava qualcuno veniva a
tormentarlo trasformando i suoi sogni in orribili incubi. Il più delle volte si
trattava di ombre mostruose protese nella sua direzione, lo circondavano con
quei sorrisi sarcastici stritolandolo fino a fargli mancare l’aria senza
lasciargli possibili via di fuga. All’orecchio sussurravano il nome del
poliziotto con cui aveva parlato pochi minuti prima, o forse si trattava di
ore, non aveva più la cognizione del tempo. Quando pensava fosse giunta la sua
fine l’urlo di Kenta gli rimbombava nella testa e si ritrovava immerso nel
buio, con gli abiti ricoperti di sangue e la figura urlante del bambino seduta
davanti a lui. Pian piano dietro si materializzavano lo sguardo di disgusto di
Aoko unito a quello di rimprovero dell’ispettore, la voce glaciale di Hakuba
gli ricordava di aver appena ucciso un uomo e avrebbe pagato tale viltà
marcendo in galera mentre sua madre gli voltava le spalle con sguardo di fuoco
allontanandosi verso suo padre in lontananza.
Kaito strizzò gli occhi, si trovava in un incubo? Nella
realtà? C’era una qualche distinzione fra quelle due dimensioni? Infondo
rimaneva un mostro in entrambe «Mi hai profondamente deluso».
Saguru tossicchiò un paio di volte afflosciandosi sul fianco
massaggiando l’epidermide all’altezza dello stomaco, la ginocchiata del ragazzo
era arrivata totalmente inaspettata. All’improvviso era scattato dimenandosi
come un pazzo, le mani tremanti strette attorno ai capelli mentre scuoteva la
testa continuando a sbiascicare frasi incomprensibili. Il suo timore più grande
aveva preso forma, in cuor suo aveva sperato di trovarlo con la solita
espressione menefreghista pronto a gettarlo fuori dal balcone a calci, lui era
l’invincibile ladro fantasma, il mago dispettoso con il sogghigno strafottente,
quella figura inafferrabile che lui voleva assolutamente catturare…non voleva
scoprire il limite umano che stava mandando in frantumi
tutte le sue certezze.
«Lo giuro, non volevo ucciderlo!» il detective inarcò un
sopracciglio, Kuroba gli stava dando le spalle respirando in modo sempre più
instabile trascinandosi con fatica lontano dal letto, il suo cuore perse un
battito quando capì di non essere lui il destinatario di quelle frasi spezzate.
Il ragazzo aveva allungato una mano verso la parete su cui era posizionato un
quadro a grandezza naturale di un uomo vestito in modo elegante con in mano un
cilindro da mago, non era difficile capire si trattasse del padre.
Si morse le labbra frustrato alzandosi di scatto
frapponendosi in quel dialogo muto, un brivido gli attraversò la schiena quando
entrò in contatto con quegli occhi vitrei, il volto pallido illuminato dai
primi raggi della luna, pensò che un fantasma avrebbe avuto un aspetto
migliore.
Kaito improvvisamente calmo fermo nella sua posizione,
seduto sulle ginocchia non battendo ciglio inclinava il capo con lentezza
esasperante prima da un lato poi dall’altro «Poker face», scandiva le parole
premurandosi di sottolineare ogni sillaba prima di delineare le labbra in un
sorriso sinistro. La flebile risatina isterica fece accapponare la pelle al
detective, credeva di essere in un film horror ambientato in un ospedale
psichiatrico nell’esatto momento in cui la calma apparente veniva distrutta da un
evento poco lieto… la testa di una persona poteva raggiungere l’inclinazione
che aveva assunto quella del mago vero?
Trattenne il respiro, il lieve fruscio mosse l’aria
scompigliandogli i capelli e i folli occhi azzurri improvvisamente furono
troppo vicini, arretrò istintivamente di un passo ma le mani sottili si
strinsero attorno alla sua giacca strattonandolo nella direzione opposta
«Levati di torno!».
Facendo perno sulle gambe Saguru si mantenne stabile
evitando di essere scaraventato lontano, afferrò a sua volta le mani del
ragazzo bloccandole in una morsa evitando per un soffio il calcio del compagno
di classe nuovamente fuori controllo.
«Non puoi impedirmi di parlare con lui! Io devo chiarire la
situaz-» Kaito sentì l’ossigeno non affluire più nei polmoni, l’ombra continuava
a parlargli ma lui avvertiva solo un fischio acuto perforargli i timpani, tutto
era ovattato come quando da bambino in piscina si divertiva a nascondersi
sott’acqua per apparire alle spalle di sua madre.
Saguru poteva avvertire gli ingranaggi del suo cervello
lavorare alla ricerca di una soluzione, Kaito non aveva terminato la frase
iniziando a tremare vistosamente e se non lo avesse sorretto sarebbe crollato a
terra. La scelta più logica era chiamare un’ambulanza ma il telefono era nello
zaino e lui non voleva lasciare la visuale del quadro libera. Osservava il
petto dell'amico alzarsi e abbassarsi sempre più velocemente, poteva sentirne il
respiro sul collo per quanto erano vicini. Le mani cianotiche strette fra le
sue iniziarono a tremare vistosamente come il resto del corpo, diventando
sempre più fredde e sudate.
«A-aria» un campanello d'allarme suonò nella sua testa, Kaito non stava
respirando, la bocca semi aperta annaspava alla ricerca di ossigeno. Lasciò la
presa sollevandogli delicatamente il mento «Non agitarti, inspira ed espira con
calma» come faceva a calmare una persona se il primo ad essere in apprensione
era lui. Non aveva dimestichezza con gli attacchi di panico, il massimo che
poteva fare era cercare di tranquillizzarlo e fargli riprendere una
respirazione normale.
Kaito avvertì il tocco leggero sul viso e un fil di voce raggiungerlo in
quella bolla ovattata, il sapore acido dei succhi gastrici bruciava la gola
aumentando la nausea. Il modo circostanze girava a velocità elevate ma qualcuno
continuava ad insistere suggerendogli un modo per tornare a respirare, non
riconosceva quella voce gentile eppure gli stava dando la massima fiducia
assecondando le sue istruzioni.
Saguru scostò i capelli bruni appiccicaticci dalla fronte del ragazzo,
continuava ad essere scosso da capo a piedi da una serie di sussulti ma il
respiro fortunatamente stava tornando stabile. Diavolo, quel ragazzo lo aveva
spaventato a morte, continuava a tenergli il viso sollevato per constatare
effettivamente le sue condizioni e lentamente vide le palpebre schiudersi e due
occhi celesti fissarlo con intensità.
Nella mentre di Kaito però tutto si fece confuso, la figura del ragazzo
dai capelli chiari appena intravista venne sostituita subito da una fin troppo
familiare. La sua copia lo guardava con derisione, il dito alzato verso di lui
in tono accusatorio mentre continuava a ripetergli di essere stato una nullità,
di aver disonorato la memoria del primo Kid macchiandosi di omicidio. Proprio
per quell’atto deplorevole presto sarebbe stato arrestato dalla polizia, trascinato
in commissariato senza avere più l'opportunità di vendicare suo padre. «Sei
diventato proprio come Snake» il sorriso affilato e la voce derisoria offuscarono
definitivamente ogni altro pensiero.
Hakuba batté le ciglia un paio di volte prima di cogliere appieno le
mosse del mago. Lo aveva allontanato con l'espressione di una belva inferocita e
il pugno era sopraggiunto improvviso sulla sua guancia
destra, con una violenza tale da scaraventarlo per terra. Non aveva avuto
neanche il tempo di realizzare quanto accaduto che Kaito gli si era gettato
addosso mozzandogli il respiro, il braccio di nuovo alzato in procinto di colpirlo
di nuovo.
Bloccata la mano serrata a pochi centimetri dal naso aveva
scostato la testa appena in tempo per non essere centrato dall’altra. Con un
colpo d’anca lo spinse di lato ribaltando le posizioni senza purtroppo riuscire
a bloccarlo, per essere così mingherlino aveva una forza non indifferente e l'agilità di
certo non gli mancava, considerando come saltava i tetti degli edifici
probabilmente si allenava appositamente allo scopo.
Rotolarono a terra un paio di volte, il gomito sinistro di
Saguru urtò il parquet, la testa di Kaito si scontrò con il pavimento, le loro
gambe rovesciarono un piccolo mobiletto sparpagliando a terra il contenuto dei
cassetti. Le biglie colorate rimbalzarono rotolando sul pavimento consentendo
finalmente al biondino di fare breccia nelle difese
del mago, il ginocchio poggiato su quelle palline aveva perso aderenza
permettendogli di inchiodarlo alla spalliera ai piedi
del letto, dove tutto era cominciato.
Saguru poteva avvertire il sapore ferroso del sangue in
bocca mentre annaspava per riprendere fiato, sicuramente non si sarebbe
permesso più alcuna distrazione, non poteva permettere a quel pazzo di
liberarsi nuovamente della sua presa.
«Kuroba si può sapere cosa diavolo ti prende?! Dannazione
rispondimi in modo sensato!» era stanco di usare le buone maniere, non aveva
ottenuto niente trattandolo con i guanti e anche se non era il comportamento
più corretto da seguire in tali circostanze aveva deciso di cambiare approccio.
Kaito avvertì il dolore propagarsi sulla guancia quando il pugno dello sconosciuto
lo colpì in pieno, strizzò gli occhi intravedendo una capigliatura chiara a
poca distanza, perché non riusciva a metterlo a fuoco?
«Kaito!» al suono del suo nome il ragazzo si voltò
strusciando la guancia lesa sulla spalla con uno sguardo più sano rispetto ai
precedenti. Un moto di panico lo invase quando riconobbe il proprietario di
quegli occhi castani così vicini ai suoi, un piccolo spostamento e i loro nasi si
sarebbero toccati.
«Hakuba… cosa ci fai qui?» Saguru si concesse
un sospiro, finalmente era tornato a un minimo di lucidità riconoscendolo
«Questo al momento non ha importanza» strinse le dita attorno alle braccia del
ragazzo osservandolo con serietà prima di chiedere in
modo più pacato «A cosa stai pensando? Alla rapina di stanotte?».
Il silenzio calò per qualche secondo e il detective iniziò a
dubitare di essere stato ascoltato finché le labbra del ragazzo non si mossero
tremolanti per serrarsi nuovamente.
«Kaito puoi fidarti, non sono qui per giudicarti, voglio solo aiutarti»
era la seconda volta che il londinese lo chiamava per nome senza ricorrere ad
inutili onorifici, non sembrava mentire sulle sue vere intenzioni ma lui aveva
bisogno di aiuto? Per tutta la notte lo aveva chiesto ai muri della sua stanza
senza avere risposta, non aveva voluto far preoccupare sua madre chiamandola e
non avendo nessun altro con cui parlare si era chiuso nel suo mondo.
«S-sì…» rispose infine puntando lo sguardo sul bottone dorato mancante della divisa del detective.
«Mi sapresti dire cosa è successo prima dell’arrivo di
Nakamori?» Kaito deglutì avvertendo un macigno sullo stomaco, poggiò la testa contro
la ruvida superfice lignea tornando con la memoria a quegli attimi infernali.
«Eravamo sulla balaustra, dopo aver lanciato i gioielli
verso Nightmare ho iniziato a parlargli, volevo fargli cambiare idea sui suoi
furti… giuro che non volevo ucciderlo!» graffiò il parquet sentendo l'aria
defluire nuovamente e la bile risalire su per esofago.
«Lo so Kaito…Ascoltami bene, tu non lo hai ucciso, hai
tentato di salvarlo. Mi hai capito?» pensava sul serio quello che stava dicendo
e doveva capirlo anche Kuroba, in qualunque dimensione si stesse alienando la sua mente. Il
mago scosse la testa tormentandosi il labbro «Non è vero».
In risposta Saguru accentuò la presa
continuando a mantenerlo fermo, lo scrollò delicatamente
per le spalle attirando la sua attenzione, se qualche giorno prima gli avessero
detto che si sarebbe trovato lì a consolarlo gli avrebbe riso in faccia.
Kaito riportò lo sguardo annebbiato sul suo interlocutore
dalla voce così dolce e pacata, sembrava davvero fiducioso delle su parole, lui
al contrario si sentiva estremamente vuoto «Non
ci sono riuscito, lui è caduto, l’ho visto sbarrare gli occhi mentre
precipitava nel vuoto… non ha voluto lasciare la presa sulle gemme, voleva aiutare suo figlio, quello a cui io ho rovinato
la vita», si interruppe imprecando sottovoce, non
solo aveva la voce incrinata ma stava spiattellando la vera identità dell’uomo
senza ritegno.
«Lo hai appena detto tu stesso, non ha voluto lasciare la
presa sui gioielli. Non darti colpe che non hai riducendoti in questo stato,
hai avuto dei riflessi eccezionali Kaito, sia per tentare di salvarlo sia per
allontanare via la maschera nascondendo per sempre la sua vera identità al
mondo. Hai rubato a quel bambino l’incubo della verità, non è una cosa di poco
conto» titubante lasciò la presa, aveva avvertito sotto i polpastrelli il
tremore nelle braccia del liceale che appena fu libero di muoversi si portò le
mani sul viso nascondendo le iridi cerule pericolosamente lucide. Una
musichetta stridula risuonò nell’aria, sorpreso si guardò intorno
individuandone la fonte sullo schermo del pc acceso in un angolo della stanza.
Gettò un’occhiata alla schiena curva di Kaito impegnato a ricostruire la sua
maschera d’impassibilità, con scarsi risultati aggiunse mentalmente, le macchioline d’acqua sulla stoffa dei pantaloni
aumentavano e sembrava non essersi accorto della
melodia.
Lasciandogli la sua privacy si diresse verso il monitor,
nell’angolo di notifica in basso vide il contatore segnare cinquanta
videochiamate perse della madre più quella tutt’ora in attesa di risposta. Non
erano affari suoi, ma dato lo stato in cui aveva ritrovato Kuroba dubitava
fortemente avesse pensato di aggiornare sua madre dopo la rapina. Aveva sentito
dire da Aoko che la signora era spesso in viaggio all’estero e lui non voleva
lasciarla in preda all’ansia dall’altra parte del mondo, le avrebbe rifilato
velocemente una scusa senza scendere nei dettagli.
Cliccò sul tasto verde e per poco non saltò all’indietro
quando la donna vicinissima allo schermo iniziò ad urlare «KAITO! Ti sembra
questo il modo di far preoccupare la mamma?! Avevi promesso di contattarmi dopo
ogni… aspetta, tu non sei Kaito» Saguru stirò la bocca in un sorriso
imbarazzato davanti agli occhi indagatori della donna «Mi scusi se ho risposto
al posto di suo figlio signora, ma Kaito è in bagno e mi sembrava scortese
lasciarla in attesa. Sono un suo compagno di classe, oggi dovevamo studiare
insieme per un compito e l’ho costretto a non distrarsi quindi è colpa mia se
non le ha dato attenzioni. Qui va tutto bene, le auguro una buona giornata, o
serata, ovunque lei sia, è stato un piacere conoscerla, arrivederci!»
Chikage fissò lo schermo improvvisamente nero chiedendosi
cosa ci facesse realmente quel ragazzo a casa sua, lo aveva riconosciuto
subito, si trattava del detective di cui Kaito le aveva parlato in più di
un’occasione. Poggiò la testa sulla mano osservando la distesa d’acqua
salmastra oltre la balconata del bistrot, i capelli dorati arruffati, la divisa
sgualcita, la guancia arrossata e il naso con un rivolo di sangue secco non
rispecchiavano l’aspetto serioso ed elegante descrittogli da Kaito. Sbuffò
infastidita, suo figlio era Identico a Toichi
sia nelle abilità che nel farla preoccupare.
Saguru si era sentito in soggezione, anziché spegnere
semplicemente la chiamata aveva staccato la spina dell’apparecchio per evitare
ulteriori conversazioni sconvenienti, la sua priorità era un’altra e
fortunatamente non si era mossa dalla sua posizione. Vide Kaito raccogliere uno
dei foglietti sparsi sul pavimento, insieme a tante altre cianfrusaglie cadute
dopo la loro colluttazione, incuriosito si abbassò alla sua altezza sporgendosi
per sbirciarne il contenuto. Un pezzo di carta logoro, stropicciato con la
scritta traballante ormai sbiadita ma perfettamente leggibile recante poche
semplici parole “non sarai mai solo”.
Involontariamente sorrise, a discapito della sua razionalità che considerava
quasi impossibile fra tutte gli oggetti caduti, individuare proprio quello.
Kaito sentì i suoi muscoli rilassarsi, il tremendo mal di testa non andava via ma in compenso era
riuscito a mettere a fuoco l’ambiente circostante finendo attirato come una
calamita da quel piccolo tesoro. Aoko a distanza di anni aveva avuto di
nuovo ragione, solo che al suo posto si era trovata la persona più inaspettata
possibile.
Il respiro caldo sulla pelle gli fece alzare di scatto la
testa, le loro fronti quasi si sfiorarono e sbarrò gli occhi quando capì quanto
fosse minima la distanza fra loro.
«Hakuba» il detective accovacciato
sollevò un sopracciglio osservandolo con sufficienza non muovendosi di un
millimetro, le ciocche ramate scomposte gli solleticarono il viso facendo
ritornare la sua mente alla piacevole sensazione data da quelle parole di
conforto e sostegno insite di dolcezza nei suoi confronti. Non era rimasto solo
e a farglielo capire era venuta l'ultima persona che si aspettava.
Sorrise ironico indossando la solita espressione
sfacciata ripetendosi mentalmente il mantra di suo padre, mantenere la sua
faccia da poker dopo ciò che era successo sembrava un'ardua impresa. Aveva parlato al detective fidandosi per davvero, non
si era nascosto dietro il "se fossi stato Kid" come al solito, da
perfetto idiota aveva mandato all'aria la copertura insieme alla facciata impassibile,
il suo errore più grande.
«Hai vinto, sei contento ora?» la frase uscì più
velenosa del previsto, ma Kaito nonostante la gratitudine nei suoi confronti proprio
non riusciva a digerire una sconfitta. Saguru lo guardò interdetto, non era per
niente contento della piega che avevano preso gli eventi e il suo spaesamento
fece aumentare quel sorrisetto provocatorio facendogli perdere la pazienza.
«Se ti stai riferendo alla nostra chiacchierata precedente, sapevo già
fossi Kid e non avendo registrato le tue parole non mi meraviglierei se ora
continuassi a negare all’infinito, anche dopo averlo praticamente confessato»
schioccò la lingua assottigliando gli occhi ancora più vicino all’altro «E per
la cronaca, sono deluso. Mi aspettavo un degno show prima di questa scoperta,
avrei provato tanto piacere nel constatare la veridicità dei miei sospetti
togliendoti la maschera davanti al tuo pubblico»
«Tantei-kun, non dirmi di non essertene accorto» le iridi azzurre
maliziose nascoste dalla frangia maldestramente celavano una certa preoccupazione,
senza riflettere rapidamente aveva estratto la pistola spara carte puntandola
sotto la gola del detective londinese. Talmente vicini da poter avvertire il
suo corpo irrigidirsi al contatto con il metallo gelido, non lo stava minacciando
sul serio, sapevano entrambi non avrebbe mai sparato, era soltanto l’ultimo
appiglio di protezione alla sua immagine. Dopo qualche attimo Kaito sospirò
aprendo le dita e lasciando scivolare via l’arma accasciandosi con tutto il
peso alla spalliera del letto. Non aveva senso quella farsa, incrociò le
braccia in attesa, tanto sarebbe stata questione di pochi minuti prima che quell’impiccione
rimettesse insieme i pezzi.
Hakuba storse le labbra in una smorfia, l’espressione di superiorità del
ladro era un affronto alla sua intelligenza, chi si credeva di essere per poter
ancora atteggiarsi soprattutto andando in giro con quel costume ridicolo? Un
momento… lo squadrò da testa a piedi
capendo finalmente le sue parole. I pantaloni candidi sporchi di terra, la
giacca e il mantello di seta del medesimo colore insieme alla camicia blu lui
li stava ancora indossando. La cravatta rossa allentata attorno al collo
completava il classico abbigliamento notturno, mancavano solo il cappello e il
monocolo che Kaito gli stava indicando sul letto alle spalle roteando gli occhi
con sufficienza. Preoccupato per le sue condizioni non aveva notato fosse
vestito come Kid, aveva bellamente ignorato la prova schiacciante della sua
colpevolezza sbattutagli sotto il naso.
«Tantei-kun ti piace il mio cosplay?» il giovane mago trattenne la
risatina preferendo fermarsi al ghigno di sfida mentre il silenzio era ancora
il padrone della stanza «Sai, pensavo fosse la prima cosa su cui avessi posato gli
occhi» continuò iniziando a giocherellare con tre carte facendole comparire e
scomparire nella mano prima che l’altro lo colpisse sulla fronte.
«Tu sei un completo idiota!» Saguru avrebbe voluto tirargli dietro la
sedia, il tavolo, persino il letto anziché limitarsi a quel singolo schiaffetto
e il broncio infantile messo su dal ladro mentre si massaggiava la parte lesa
non migliorava la situazione. Lo stava prendendo in giro?
«A che gioco stai giocando Kuroba?» ringhiò fra i denti sentendo
ribollire il sangue.
«Io non sto facendo nulla, sei tu troppo manesco»
Saguru si trattenne dall’urlare riprendendo un minimo di compostezza,
quell’idiota era l’unico in grado di fargli perdere il controllo, dannazione
non doveva essere lui quello in agitazione.
«Perché lo hai fatto? E non far finta di non capire la domanda»
Kaito inclinò la testa con aria innocente, il volto del detective a
pochi centimetri dal suo lo stava mettendo in soggezione, si comportava come un
cacciatore con la sua preda.
«Non lo so» ammise infine in un soffio grattandosi la guancia imbarazzato,
gli era venuto spontaneo prendersi gioco di lui, come del resto faceva sempre
durante le diverse rapine, non importava se il cappello e il monocolo mancavano
all’appello.
Il pugno di Hakuba gli sfiorò il viso prima di infrangersi alle spalle,
con la coda dell’occhio vide le nocche cianotiche artigliare la superficie
legnosa nel tentativo di placare la rabbia, all’ultimo secondo la traiettoria
era cambiata risparmiando la sua faccia.
«Come fai a non saperlo Kuroba? Dannazione non capisco se soffri di duplice
personalità o sei semplicemente uno strafottente! Neanche mezz’ora fa eri preda
di un attacco di panico, e chissà per quanto tempo prima del mio arrivo versavi
in quello stato, ora invece fai lo spaccone come se niente fosse successo»
davvero non lo capiva e questo lo mandava in bestia, avere il tassello mancante
del puzzle a così poca distanza e non riuscire ad afferrarlo era frustrante. Il
ladro si scompigliò i cappelli più che arruffati sospirando, sganciò il mantello
dalla giacca piegandolo con cura, per quanto la sua presenza gli impedisse i
movimenti, e sembrava del tutto intenzionato a far finta di non aver capito la domanda.
«Kuro-»
«Perché è più facile così» il mantello accuratamente ripiegato giaceva
sulle gambe, non lo stava più guardando interessato maggiormente al pezzo di
stoffa «Se mi fermassi a pensare alla mia crisi precedente finirei per ricaderci,
non voglio farlo e perdere di nuovo il controllo. Dal momento in cui sono
tornato a casa fino al tuo arrivo non mi sono mosso dalla posizione in cui mi
hai trovato, capisco benissimo come si sente quel bambino adesso e sapere di
non aver fatto abbastanza e che il fantasma di suo padre mi perseguiterà per il
resto della mia vita, la considero già una punizione sufficiente. Preferisco
almeno da sveglio far finta di nulla»
«Non potrai scappare per sempre» questo lo sapeva benissimo,
probabilmente con il tempo avrebbe affrontato nuovamente le sue paure ma non
era questo il momento, in più quella frase aveva un duplice significato. Non
poteva perdersi sui fatti passati perché era già difficile mantenere la paura
di finire dietro le sbarre, di non terminare la sua missione, sigillata a
quello sguardo inquisitore. Saguru però si sbagliava, non sarebbe scappato per
sempre da un’altra situazione. Circondò con le sue gambe quelle accovacciate del
detective annullando la distanza, poteva quasi sentire i battiti del cuore al
di sotto della divisa scura, alzò il viso per poco non scontrandosi con quello
dell’altro, la differenza d’altezza anche se abbassati risaltava. I muscoli del
collo tesi all’indietro implorarono pietà mentre nel poco spazio rimasto alzava
le braccia incrociando i polsi all’altezza del petto accertandosi che fossero
ben visibili.
«Lo so… Tantei-kun sono in arresto, vero?»
Il primo pensiero di Saguru fu una possibile trappola da cui tenersi
lontano, ma il ghigno di sfida strideva con gli occhi arrossati carichi di
malinconia malcelata dietro la malizia di quelle parole provocatorie. Le iridi
azzurre scintillavano nel buio come i diamanti scelti solitamente come
obbiettivi delle rapine provocandogli una fitta nel petto. Non stava provando a
scappare, del resto si trovava in casa sua non aveva posti più sicuri in cui
rifugiarsi, lo fissava indifeso come un bambino e per la prima volta il
pensiero di mettergli le manette lo nauseò. Lui l’impeccabile detective sposato
con la giustizia non voleva arrestare un criminale internazionale, si era fatto
influenzare dagli eventi e ora provava compassione a rinchiuderlo dietro le sbarre.
“Bugiardo” gli sussurrò la vocina
nella sua testa, la verità era un’altra e non era sicuro di volerla accettare,
aveva compreso di tenere in modo contorto al ladro già durante il caso “Chat
Noir” quando lo aveva chiamato dalla Francia per dargli informazioni non
richieste. Poteva essere ossessionato dal desiderio di vedere Kid in carcere ma
allo stesso tempo non voleva vederci Kaito, o almeno non arrestandolo in questo
modo. Non era mai stato molto bravo a mantenere le sue amicizie con il tonno
saccente che si ritrovava, le persone si allontanavano. Forse era stato proprio
trovare un avversario in grado di tenergli testa a far scattare, infondo a
tutto, quel legame non ben definibile. Si stuzzicavano, si arrabbiavano l’un l’altro
arrivando ad offendersi in tutti i modi possibili ma in alcuni momenti sembrano
due normali… amici. Soltanto la settimana prima erano stati accoppiati per un
progetto di chimica, aveva pensato di dover fare il doppio del lavoro per
entrambi ma Kaito si era comportato come un normale compagno di studio, avevano
persino riso e scherzato avvolti dai fumi del laboratorio, l’origine delle
bombe fumogene durante i suoi colpi non era più un mistero. Quel ragazzo aveva
un’intelligenza applicata nel modo sbagliato, da piccolo scienziato pazzo aveva
iniziato a mescolare sostanze utilizzando i composti come base per i suoi
trucchetti magici suscitando in lui un briciolo di ammirazione… come mago era
veramente bravo. Era caduto nella sua trappola ammaliatrice, avrebbe voluto
vedere uno di quegli spettacoli all’interno di un teatro, vederlo su quel palco
con il suo vero nome e non dietro una maschera.
«Idiota» con ben poca delicatezza lo spinse lontano da sé schiacciandolo
sul pavimento evitando accuratamente di bloccargli le braccia troppo vicine,
non voleva ritrovarsi qualche trucco improvvisato, e arrestò i suoi movimenti
sedendosi cavalcioni chino verso di lui.
«E io dovrei arrestati qui, ora, in un modo così stupido… Ma non ce
l'hai un briciolo di orgoglio?»
Kaito si era aspettato tutto ma non questo, non riusciva a muovere un
muscolo in quella posizione e sì aveva il suo orgoglio ma voleva solo
velocizzare le cose, pensava che il detective non vedesse l’ora di chiudere le
manette attorno ai suoi polsi. Un gemito gli sfuggì dalle labbra avvertendo le
dita stritolargli le braccia, non lo aveva mai visto privo della sua
compostezza e charme ma sembrava avere tutte le intenzioni di sfogare su di lui
la sua frustrazione.
Sorrise scuotendo la testa «Ehi se vuoi colpirmi perché non lo fai e
basta? Si vede lontano un miglio che stai rimpiangendo di non aver fatto centro
prima. Ti da fastidio pensare che il desiderio di soddisfare il tuo ego sia più
forte di quello di giustizia tanto da lasciarmi andare?» il fruscio della
stoffa e la mano serrata sollevata furono movimenti fin troppo veloci e chiuse
gli occhi aspettando un colpo che non arrivò mai.
«Tu non hai capito niente» la mano di Saguru si era fermata a poca
distanza dal naso e poi era ricaduta inerme sul suo petto «Non sono venuto qui
con l’intenzione di arrestarti, e non sai quanto mi da fastidio ammetterlo, per
quanto tu sia arrogante e presuntuoso non saresti in grado di far del male a
nessuno, al massimo potresti farne a te stesso come è accaduto. La tua amica
logorroica dicendo di essere contata che tu non fossi presente stanotte ha
fatto scattare il mio senso del dovere e sono venuto a controllare»
Kaito lo squadrò non provando ad alzarsi, c’era dell’altro oltre quelle
parole, non era stata un’azione dettata dalla sua etica venire a controllare,
altrimenti con lui ci sarebbe stata anche Aoko. Ricordava perfettamente di non
aver mai detto al detective dove abitasse, lui aveva fatto le sue ricerche ed
era venuto da solo per un motivo che non riusciva ad afferrare.
«Perché anziché nasconderti dietro frasi fatte non dici la verità?»
«Perché è più facile così» touché, era stato fregato dalle sue stesse
parole.
Saguru lasciò la presa scostandosi leggermente e tendendo una mano al
mago per aiutarlo a mettersi seduto e inarcò un sopracciglio vedendolo fermarsi
improvvisamente nel movimento per annusare l’aria. Arricciato il naso aveva
iniziato a spostarsi verso di lui come i cani antidroga mettendolo a disagio, non
credeva l’odore di tutto il caffè ingerito fosse così forte.
«Questo profumo floreale» Kaito si spostò ancora più vicino annusando la
giacca «Si tratta di gelsomino e rose, li riconosco perché a mamma piacci-»
improvvisamente si interruppe sgranando gli occhi e alternando lo sguardo dalla
finestra al detective un paio di volte, lui la porta non l’aveva aperta e quel
profumo poteva significare solo una cosa. Per la prima volta non si preoccupò
di nascondere la sorpresa «Non dirmi che sei entrato dalla finestra».
Anche se Saguru avesse negato, il rossore comparso sul viso lo aveva tradito
ancor prima di rendersene effettivamente conto, di scatto si era alzato
dandogli le spalle, non voleva ammettere di essersi preoccupato a tal punto da
aver fatto una sciocchezza.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dalla risata cristallina, si
voltò verso la figura accasciata sul pavimento in preda al più completo
divertimento «Non ci credo!» le troppe risa lo avevano interrotto, con il polso
asciugava le lacrime agli occhi mentre con l’altra mano si manteneva la pancia
rotolando per terra «Hai violato una proprietà privata, proprio tu!».
Indispettito lo guardò in cagnesco, non c’era bisogno di sottolineare la
sua efferatezza, soprattutto se a farlo era una persona recidiva in tale campo «È
colpa tua, non hai aperto la porta e ho dovuto trovare un’alternativa». Kaito
ondeggiò le mani in risposta non riuscendo a parlare, respirò affannosamente
nel tentativo di placare quell’improvvisa ilarità nonostante gli strascichi delle
risate continuassero a farlo sussultare. Vide il biondo a braccia conserte
giocherellare nervosamente con la catenella dell’orologio guardando in un’altra
direzione infastidito e finalmente afferrò quel pensiero mancante. Era andato a
casa sua dopo aver parlato con Aoko, aveva pensato potesse essersi sentito male
dopo l’accaduto, a differenza della ragazza lui sapeva che in quel magazzino
era stato coinvolto in prima persona. Non era andato alla polizia dicendo di
sapere dove potesse trovarsi Kid, anzi, si era recato personalmente ad
accertarsi delle sue condizioni, andando contro i suoi stessi principi non ottenendo
risposta al campanello. Non lo aveva arrestato perché infondo si era
affezionato… quel pensiero lo fece sentire bene, oltre alla sua amica d’infanzia
nessun altro si era preoccupato così tanto per lui al di fuori della famiglia.
Disteso sul parquet sorrise al soffitto buio della stanza «Grazie Saguru»
Le dita del biondo si aggrovigliarono intorno al cordoncino dorato,
pensava di essersi immaginato i ringraziamenti del ragazzo tanto era intento ad
ignorarlo. Colto il suo sguardo sorpreso con un risolino il mago del chiaro di
luna si era seduto di scatto incrociando le gambe ridacchiando «Non farmelo
ripetere» no, si accontentava di aver sentito quelle parole almeno per una
volta.
Kaito lanciò un’occhiata al disastro in giro per la stanza sbuffando,
non aveva la benché minima voglia di riordinare e il suo stomaco trovò il
momento più silenzioso in cui brontolare. Sentì i passi del detective
avvicinarsi e si trovò a fissarlo imbambolato. Le mani sui fianchi e l’espressione
corrucciata gli ricordarono pericolosamente sua madre, e anche il tono era
molto simile.
«Da quando non mangi? Tralasciando questa giornata hai mangiato qualcosa
prima del furto?»
«No» sembrava di essere ad un interrogatorio.
«Hai dormito la notte prima della rapina?»
«Ehm…No» non sapeva nemmeno lui perché stava rispondendo alle sue
domande, ma la successiva non arrivò mai, il detective in modalità materna sembrava
essersi ricordato improvvisamente di qualcosa.
Saguru aveva completamente dimenticato il sacchetto di plastica, aperto
lo zaino aveva sospirato di sollievo al contatto con la confezione ancora
gelida «Oltre all’armamentario per le rapine hai dei cucchiaini come delle
normali persone?»
Kaito sussultò sorpreso alla vista del gelato, lo fissò intensamente,
tutto ciò era un déjà-vu.
«Questo gesto non è da te»
«Lo so, è più un gesto di Nakamori. Sa essere molto convincente quando
vuole, e so di non essere la tua bella ma non farmelo riportare indietro, ho fatto
svuotare il congelatore al proprietario del negozio, quello al doppio
cioccolato sembrava essersi voluto nascondere sul fondo. Se mi presento a
restituirlo tenterà di uccidermi»
Kaito non sapeva se maledire o ringraziare la lingua lunga della sua
amica, andava raccontando i fatti suoi in giro senza averne il permesso, ma il
pensiero di Aoko passò in secondo piano quando si accorse del ragazzo in
movimento pericolosamente vicino alle biglie colorate.
Prima che potesse avvertirlo del pericolo Saguru era scivolato e nel
tentativo di frenare la caduta si era appoggiato all’unica zona da evitare
sulla parete, la sua figura era sparita inghiottita dal varco apertosi oltre il
quadro che dopo l’ennesima giravolta si fermò tornando in posizione. Il suono
del tonfo e la successiva scarica di imprecazioni giunsero ovattate al di là
del muro, poteva lasciarlo lì dentro per il resto dei suoi giorni, ma la
vaschetta di gelato era caduta con lui.
Si chiese cosa avesse fatto di male nella sua vita per ritrovarsi in
situazioni sempre più incasinate.
«Ohi ohi, e chi glielo spiega adesso dove è finito?»
Qualcuno è arrivato alla fine di questa storia? <.<
Spero di sì, non vorrei provare rimpianti nell’averla scritta.
Apprezzo davvero tanto la complicità e l’atmosfera che si respira nei
capitoli in cui ladro e detective si sfidano, e dato che Gosho sembra essersi
dimenticato del bellissimo manga a cui ha dato vita, mi consolo scrivendo.
Ho davvero tante idee su possibili storie, alcune persino allegre, ma
finisco per scrivere sempre quelle più malinconiche e mi sento una brutta persona
a far soffrire Kaito >.<
Mi auguro abbiate apprezzato la storia e spero in un vostro parere
positivo o negativo che sia, va bene anche piccino piccino! <3
Un enorme abbraccio a tutti!
Aky
Questi personaggi
non mi appartengono, ma sono proprietà di Gōshō
Aoyama, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.