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Autore: Parmandil    10/06/2019    0 recensioni
Per trent’anni il Cimitero di Procyon è stato fra i luoghi più pericolosi della Galassia, meta di ladri, pirati e trafficanti d’armi, in cerca delle micidiali tecnologie del Fronte Temporale. Ma ora qualcosa si muove. Nato dalla fusione casuale dei relitti, o forse da un oscuro proposito, il Melange è uno strumento di distruzione che conserva l’antica missione: schiacciare l’Unione Galattica. Ogni nave che incontra viene sconfitta e assorbita, rendendolo ancora più pericoloso.
Così accade anche alla Keter; ma il suo scafo in neutronio la rende un osso troppo duro da digerire. Al comando di un nuovo Capitano, i nostri eroi devono finalmente diventare una squadra, annientando il Melange prima che questo distrugga Andoria. Mentre ciascuno di loro svela qualcosa del suo passato, tutti quanti affrontano la scelta più difficile: fuggire dal nemico o perire con esso.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andoriani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Star Trek Keter Vol. II:

Melange

 

SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA.

QUESTI SONO I VIAGGI DELLA

NAVE STELLARE KETER.

LA SUA MISSIONE È DIFENDERE

GLI ACCORDI TEMPORALI

E L’UNIONE GALATTICA,

CON OGNI MEZZO NECESSARIO.

QUANDO UNA MINACCIA ELUDE

LE CONTROMISURE TRADIZIONALI,

LA KETER ENTRA IN AZIONE.

 

 

-Prologo:

Data Stellare 2586.47

Luogo: Cimitero di Procyon

 

   «Ecco, l’ha fatto di nuovo» disse l’Ingegnere Capo, gli occhi fissi all’oloschermo.

   «E anche stavolta ci sarà una collisione a bassa velocità. Non può essere un caso» commentò l’Intelligenza Artificiale al suo fianco.

   «No, affatto» convenne l’Ingegnere, una donna Boslic. Si sfiorò una ciocca di capelli viola, tipici della sua specie, e ragionò sulle possibilità. «A meno che non sia un elaborato scherzo... e non so chi potrebbe scherzare così... è il Melange che sceglie dove andare».

   «Il suo modo d’agire denota intenzionalità. Si direbbe che voglia aumentare la sua massa» notò l’IA. Come tutti i computer senzienti della Flotta Stellare, si manifestava in forma di proiezione isomorfa, un ologramma così complesso da imitare l’organismo fino a livello cellulare. Poteva assumere qualunque aspetto, ma per cortesia verso i colleghi non si discostava mai da quello di base: un uomo polinesiano, impeccabile nell’uniforme scientifica.

   «Come se non fosse già abbastanza grande» disse la Boslic. «Non possiamo più ignorarlo. Dovremo salire a bordo per capire cosa l’ha riattivato».

   «Raccomando di procedere con la massima cautela» disse la proiezione isomorfa. «Quei relitti sono sempre pericolosi».

   «Lo so» disse la Boslic, mordendosi il labbro. Si premette il comunicatore. «Tenente Laminak a plancia».

   «Qui plancia» le rispose il Capitano.

   «Sono in Astrometria con Make, stavamo studiando i movimenti del Melange» spiegò l’Ingegnere. «Poco fa ha modificato ancora la traiettoria. Impatterà contro un altro relitto, diventando ancora più grosso. Io e Make conveniamo che non si tratti di movimenti casuali... il Melange vuole accrescersi».

   «Ha detto vuole?» chiese il Capitano. «Pensavo che ormai tutto, in questo sistema, fosse morto e sepolto».

   «Non credo sia morto» corresse Laminak. «Dobbiamo salire a bordo per capire che succede».

   «La nostra missione è impedire a pirati e mercanti d’armi di saccheggiare questo cimitero» disse il Capitano, annoiato. «Non fare trekking fra i rottami».

   «Signore, questa cosa potrebbe non essere più un rottame» intervenne Make. «I livelli d’energia continuano a salire. Molti sistemi, che erano rimasti spenti per trent’anni, sono di nuovo operativi. Il Melange si sta... risvegliando».

   «Va bene, andiamo a vedere di che si tratta» cedette il Capitano. La sua voce giungeva inquieta dal comunicatore. «Timoniere, rotta d’intercettazione. E lei, Ingegnere, formi una squadra per le analisi. Prenda pure tutto il personale necessario. Plancia, chiudo».

   «Grazie per avermi sostenuta» sorrise Laminak. «Al Capitano bisogna sempre dire le cose in due, per farsi ascoltare».

   «Avrei caldeggiato un’ispezione in ogni caso» rispose Make, incrociando le mani dietro la schiena mentre controllava l’evolversi della situazione. «Abbiamo ignorato il Melange troppo a lungo. È giunto il momento di fermarlo».

   I due ufficiali si rivolsero all’oloschermo, osservando in diretta quanto accadeva a un’Unità Astronomica di distanza. Il Melange, un conglomerato informe creato da decenni di collisioni fra rottami, intercettò il relitto di una nave Krenim. Invece di esplodere o rimbalzare, l’astronave si conficcò nella massa amorfa, accrescendola. L’impatto cambiò la traiettoria del Melange, spingendolo verso il sole di Procyon. Subito, però, una delle navi-rottame riaccese i motori a impulso. Li tenne in funzione per dieci secondi, quanto bastava per mettere il Melange su una rotta sicura. L’Ingegnere e l’IA si guardarono preoccupati. Per essere morta, quella cosa aveva troppa voglia di vivere.

 

   Quello di Procyon era il maggior cimitero spaziale della Galassia conosciuta. Lì, trent’anni prima, si era tenuta la più colossale battaglia della storia federale, klingon e romulana. Le tre potenze, raccolte nell’Unione Galattica, avevano affrontato il Fronte Temporale, un’alleanza di specie votata alla conquista. I Tuteriani provenienti da un’altra dimensione, i Krenim esperti di scienza temporale, i Vorgon con le loro astronavi organiche e i crudelissimi Na’kuhl avevano raccolto un’armata come non se n’erano mai viste. Anomalie spaziali, create dai Tuteriani, avevano flagellato la flotta dell’Unione. E l’Impero Terrestre, proveniente dall’Universo dello Specchio, ne aveva assalito a tradimento le retrovie. Tutto sembrava perduto per i difensori della Via Lattea. Ma all’ultimo momento erano giunti aiuti inaspettati e l’Unione aveva prevalso... a carissimo prezzo. Trent’anni di lavoro incessante erano appena bastati a ricostruire la sua flotta devastata.

   Così il sistema di Procyon, un tempo meta di vacanze, era diventato un’inesauribile miniera di materiali e tecnologie, perlopiù belliche. Naturalmente i vincitori avevano reclamato le spoglie. L’Unione aveva riparato e rimesso in servizio il maggior numero possibile di vascelli, sia propri che dell’Impero Terrestre, per rimpinguare la sua flotta stremata.

   Nel Cimitero, quindi, erano rimaste soprattutto le forze del Fronte. Molte navi erano esplose in battaglia: di loro non restavano che frammenti, piccoli come proiettili e assai più veloci. Di altre rimanevano brandelli deformati e a stento riconoscibili, con i ponti interni messi a nudo. Ma alcune erano quasi integre. Affusolate Dreadnought tuteriane, frammiste a pezzi del guscio esterno delle Sfere. Navi da guerra Krenim, dallo scafo giallognolo. Incrociatori e Ruote da Guerra Vorgon, dalle tondeggianti forme organiche. Navi Vampiro Na’kuhl, piccole e scheletriche, rivestite di Materia Degenere ultra-resistente. I loro scafi butterati incutevano ancora timore, mentre orbitavano intorno alla stella o ai suoi pianeti, come se li stessero ancora pattugliando.

   Inevitabilmente erano sorte molte leggende. Si vociferava che i relitti ospitassero i fantasmi degli equipaggi, udibili come un’eco dei sensori. Abbordarne uno, o anche solo attraversare il sistema, costituiva un sacrilegio. Gli sciocchi o i temerari che ci provavano cadevano sotto la Maledizione di Procyon: guasti inspiegabili, crisi di panico o follia tra l’equipaggio. Le astronavi subivano danni sempre più gravi, finché bisognava abbandonarle, lasciando che si unissero agli altri scafi del Cimitero.

   Le menti più razionali affermavano che non c’era alcuna Maledizione. Quel sistema, e specialmente la zona intorno al quinto pianeta, era così affollato di detriti che attraversarlo costituiva effettivamente un rischio. I relitti stessi entravano spesso in collisione, frantumandosi in una miriade di pezzi sempre più piccoli e difficili da rilevare. E comunque il Cimitero non era deserto. Pirati, contrabbandieri, mercanti d’armi e di rottami ne erano attratti come le mosche da una carcassa. Perché in effetti il Cimitero era un deposito di materiali preziosi, di strane e sofisticate tecnologie. E soprattutto di armi micidiali. Erano quelle ad attirare la malavita, dalle ciurme di disperati che tentavano il colpaccio fino a squadre così ben equipaggiate da rivaleggiare con la Flotta Stellare.

   Alcuni dicevano che la Guerra delle Anomalie non era mai finita, perché le armi recuperate dal Cimitero di Procyon erano ancora in circolazione, dentro e fuori l’Unione, e continuavano a mietere vittime. E non c’era da considerare solo i criminali. Cercatori di tesori, inventori falliti, mitomani, persino nostalgici del Fronte Temporale creavano un incessante pellegrinaggio. C’era chi aveva perso una persona cara in quella battaglia e ancora ne cercava il corpo, o si accontentava di visitare il sito e dire una preghiera. Chiunque fosse il visitatore, non resisteva quasi mai alla tentazione di raccogliere un frammento – fosse anche un bullone – e portarselo via. C’era un intero commercio di “souvenir da Procyon”, talvolta veri, più spesso artefatti. Con ragionamento paradossale, si affermava che portassero fortuna.

   A fronte di questi traffici, la Flotta Stellare non poteva lasciare incustodito il sistema. Così aveva predisposto un Programma di Quarantena, con navi pattuglia che sondavano incessantemente il Cimitero, in cerca di visitatori non autorizzati. Questa iniziativa era uno dei più noti fallimenti della Flotta, a causa delle dimensioni dell’area e dell’ingegnosità degli intrusi. Si raccontavano barzellette sui sorveglianti di Procyon, ed “essere assegnati alla Quarantena” era un modo ironico per indicare chi riceveva incarichi noiosi o irrilevanti. All’inizio c’erano quattro navi di pattuglia. In seguito erano state ridotte a due. Adesso, alla vigilia del trentennale, ne restava solo una.

 

   La USS Makemake era una nave agile e potente. Come tutti i vascelli di classe Horus, aveva le linee aggressive degli sparvieri klingon e dei falchi romulani, combinati con le comodità interne della Flotta Stellare. Il suo equipaggio si aspettava d’essere destinato a esaltanti missioni nello spazio profondo. Quando erano stati assegnati alla Quarantena, molti avevano chiesto il trasferimento. Alcuni si erano consolati, dicendosi che nel Cimitero di Procyon non sarebbero mancate le avventure. Tutte le mappe stellari lo indicavano come uno dei luoghi più pericolosi della Galassia. Ma dopo diciotto mesi passati a girarsi i pollici, anche i più incalliti lupi dello spazio erano giunti alla rassicurante conclusione che niente avrebbe turbato la loro pennichella. Tranne forse il Melange.

   Quel nome, che tradizionalmente indicava un miscuglio di colori o sostanze diverse – nonché un caffè con panna, specialità viennese – designava il più grosso conglomerato di detriti, formatosi attorno ai resti dell’ammiraglia Na’kuhl. Per anni era entrato e uscito dai sensori federali, cambiando spesso orbita a causa delle collisioni. Alcuni pensavano che fosse uno scherzo o una leggenda, come il mostro di Loch Ness. Ma talvolta una nave riusciva a localizzarlo, raccogliendo immagini sempre diverse, a causa della sua crescita progressiva. Alcuni dubitavano che fosse sempre lo stesso ammasso e suggerivano l’esistenza di vari conglomerati. Ma gli esami più approfonditi rivelavano i resti dell’Eclipse, la temuta nave di Vosk, al suo centro.

   Così il Melange era divenuto la mascotte di Procyon. Come gli equipaggi che li avevano preceduti, anche i marinai della Makemake facevano scommesse sui prossimi avvistamenti. Negli ultimi tempi, però, il Melange si era accresciuto a un ritmo insolitamente elevato. Ancora più preoccupante era la sua tendenza a deviare dall’orbita prevista. Ai cambiamenti di rotta si sommavano brusche variazioni della velocità. Per giustificarle s’invocavano collisioni con i detriti, o anche accensioni casuali dei motori a impulso di qualche rottame. Ma un bel giorno l’Intelligenza Artificiale della Makemake si era accorta che la rotta del Melange era studiata apposta per incontrare altri relitti. Le collisioni avvenivano a velocità abbastanza bassa da provocare una fusione, anziché una frantumazione degli scafi. Così, impatto dopo impatto, il Melange cresceva.

 

   Gli ufficiali della Makemake discussero il problema in sala tattica. «Potremmo lasciarlo fare» suggerì il Capitano, un Tandarano dai capelli grigi. «Più rottami raccoglie, più ripulisce lo spazio. Da quando siamo qui, abbiamo dovuto tenere sempre gli scudi alzati. Ma se quell’oggetto continua a fare lo spazzino...».

   «Negativo, Capitano» disse Make. «Ci sono triliardi di frammenti che vagano in questo sistema. Il Melange non potrà mai raccoglierne una percentuale rilevante».

   «Beh, non è un buon motivo per aggiungerne altri» brontolò il Capitano. «Se siluriamo quella cosa, affolleremo ancor più il sistema».

   «Potremmo usare il raggio traente per farlo precipitare nella stella» suggerì il Primo Ufficiale.

   «Buona idea» approvò il Capitano. «Quanto ci vorrà?».

   «Dipende da quanto lo acceleriamo» rispose Make. «Non possiamo esagerare, o si disgregherà. E c’è da considerare che al momento il Melange è lontano dal sole. Se lo deviamo adesso, dovremo aspettare un anno prima di vederlo bruciare».

   «Spero che per allora un’altra nave ci avrà dato il cambio» borbottò il Capitano. «Okay, procediamo».

   «E il mio sopralluogo?» chiese Laminak. «Me lo aveva promesso, signore».

   «Faremo anche quello» assicurò il Capitano. «Dopo aver deviato il Melange, avremo un anno per studiarlo con calma. Se vuole potrà anche rimanerci qualche giorno, mentre noi proseguiamo il giro di Quarantena».

   «Un momento, siete sicuri di volerlo distruggere?» chiese il Consigliere di bordo. «Quelle navi contengono pur sempre tecnologie evolute. La Flotta potrebbe organizzare altre missioni di studio e recupero. E poi il Melange ha un valore storico».

   «Come sarebbe a dire?» si stupì l’Ufficiale Tattico. «È solo un ammasso di ferraglia!».

   «Devo contraddirla» disse il Consigliere. «Tutto il Cimitero di Procyon è un immenso memoriale. Gli studiosi verranno qui per secoli a raccogliere informazioni sulla battaglia. Prima o poi credo che, con le dovute precauzioni, anche le scolaresche saranno ammesse a visitarlo. Quindi è nostro dovere preservarlo. Se distruggiamo il più grosso ammasso di scafi ancora integri, elimineremo il tassello più importante».

   «Uhm, non l’avevo considerato» ammise il Capitano. «Effettivamente potremmo irritare le autorità. Forse è meglio lasciare le cose come stanno».

   «In tal caso, la mia indagine è ancora più importante» avvertì l’Ingegnere Capo. «Vi ricordo che il Melange sta crescendo in modo sospetto. Dobbiamo capire se il fenomeno è provocato da qualcuno».

   «Chi potrebbe aver interesse a far conglomerare i rottami?» chiese il timoniere. «Per i razziatori è solo un ostacolo, perché devono fare più strada per arrivare alle parti centrali».

   «Spero di non dire una sciocchezza, ma... sicuri che non vogliano rubarlo?» chiese il Medico Capo.

   «Lo escludo» disse subito Laminak. «Quell’obbrobrio non potrà mai creare un campo di curvatura stabile. Non c’è modo di portarlo via dal sistema».

   «Quindi la sua crescita è accidentale» concluse il Capitano. «Faccia pure la sua ispezione, Ingegnere... per quel che vale. Almeno l’aiuterà a distrarsi».

   In quella Make inclinò la testa e parve in ascolto. «Signore, i miei sensori rilevano un potentissimo segnale subspaziale» riferì.

   «Proveniente da dove?» chiese il Capitano.

   «Dal Melange. Inoltre...». L’IA tacque alcuni secondi, mentre scandagliava lo spazio con i sensori della nave. «È confermato. Diciotto relitti hanno riacceso i motori a impulso e stanno convergendo sul Melange. Lo raggiungeranno tutti nell’arco delle prossime quattro ore».

   «Ho sentito abbastanza» disse il Capitano, scattando in piedi. «È arrivato il momento di distruggere quella cosa, a costo di averne grane. Tutti in plancia, Allarme Rosso!».

   Gli ufficiali seguirono il Capitano sul ponte di comando e si misero alle loro postazioni. La Makemake virò per avere il Melange dritto a prua. Ormai non servivano sensori per accorgersi che quella cosa era attiva: bastava guardare le luci accese dei motori.

   «Peccato doverlo distruggere prima di capire cos’è successo» commentò Laminak, affiancandosi alla poltrona del Capitano.

   «Pazienza» disse lui. «Siluri quantici, salva completa... fuoco!» ordinò.

   Sei bagliori azzurri scaturirono dai lanciasiluri posti sulle “ali” dell’astronave. Sfrecciarono rapidissimi verso il Melange. A poche centinaia di metri dall’obiettivo esplosero contro una barriera invisibile.

   «Il Melange ha alzato gli scudi» constatò l’Ufficiale Tattico.

   «Beh, colpiamolo ancora... fuoco a volontà!» ordinò il Capitano, sentendo che la situazione gli sfuggiva di mano.

   «È inutile» avvertì Make. «Il Melange ha cinquanta volte la nostra energia. Ci vorrebbe una flotta per sconfiggerlo. Suggerisco di ritirarci, prima che...».

   La Makemake beccheggiò, mentre decine di raggi a particelle, disgregatori, phaser e anti-polaronici ne bersagliavano gli scudi. Il Melange aveva una potenza di fuoco devastante. Le sue armi non erano al massimo dell’energia, ma erano centinaia. E sebbene la Makemake potesse adattare gli scudi, coprire meglio una frequenza indeboliva le altre.

   «È una gragnola, stiamo perdendo gli scudi!» avvertì l’Ufficiale Tattico, reggendosi alla consolle.

   «Manovre evasive, andiamo via di qui!» ordinò il Capitano. «Ingegnere, vada in sala macchine».

   «Corro» disse Laminak, entrando nel turboascensore.

   «Attenti!» avvertì l’IA.

   Una salva di siluri, di vario tipo, tempestò l’astronave. Un’ala fu staccata e si aprirono brecce lungo tutta la fiancata. In plancia, le consolle si disattivarono e le luci si spensero, tranne quelle rosse d’emergenza. La proiezione isomorfa di Make sfrigolò e si spense.

   «Rapporto» ordinò il Capitano, rialzandosi da dov’era ruzzolato.

   «Energia al minimo» disse Make, facendo udire la sua voce dall’altoparlante. «Scudi, armi e motori sono inattivi. Siamo inermi e alla deriva».

   Increduli, gli ufficiali fissarono il Melange sullo schermo. La nave Frankenstein li aveva sbaragliati in pochi secondi e ora poteva distruggerli facilmente. Invece attivò dei raggi traenti e li attirò verso di sé.

   «Ci uniremo al Melange entro dieci minuti» avvertì Make. «Consiglio di evacuare la nave prima di allora».

   «Altre opzioni?» chiese il Capitano. L’unica risposta fu un silenzio di tomba da parte degli ufficiali. «E va bene» disse il Tandarano, ancora incredulo per l’accaduto. «Abbandoniamo la nave. Make, trasmetti l’ordine a tutti i ponti».

   «Sì, signore» disse l’Intelligenza Artificiale. «Addio e buona fortuna». Fu l’ultima volta che lo sentirono.

   «Non c’è modo di portarlo via con noi?» chiese il timoniere a mezza voce.

   «Negativo, il processore centrale è intrasportabile» rispose il Capitano, afflitto. «Ogni IA sa di dover condividere il destino della sua nave. Svelti, tutti nelle capsule. C’incontreremo al punto di rendez-vous e avviseremo la Flotta dell’accaduto».

   «Spero che la Flotta si sbrighi ad annientare quell’obbrobrio» ringhiò l’Ufficiale Tattico. Come nelle simulazioni, gli ufficiali presero posto nelle capsule di salvataggio che corredavano la plancia e si lanciarono nello spazio. Altre capsule, un po’ più grandi, si sganciarono dallo scafo della nave. E dall’hangar partirono alcune navette. Tutti i veicoli lottarono per liberarsi dai raggi traenti del Melange.

   Dalla nave Frankenstein partirono altri colpi. Con precisione chirurgica, le navette e le capsule furono distrutte. Sebbene cercassero disperatamente di schivare, nessuna riuscì ad allontanarsi. Sull’astronave, Make assistette impotente alla morte del suo equipaggio. Sondò i propri interni, per verificare se qualcuno era ancora a bordo e dissuaderlo dal fuggire. C’erano pochissimi segni vitali, tra cui uno, molto debole, proveniente dal turboascensore di plancia. Doveva essere Laminak. Quando i siluri avevano colpito la Makemake, danneggiandola, lei era ancora dentro. Così era precipitata per molti livelli, fino al ponte più basso. L’Intelligenza Artificiale provò a contattarla, ma non ebbe risposta. Doveva aver perso i sensi. E lui non aveva energia per teletrasportarla in infermeria, né riusciva a proiettarsi sul posto. Poteva solo sperare che la Boslic si riavesse e raggiungesse l’infermeria con le sue forze.

   Ricordando la necessità di avvertire la Flotta, Make dirottò la poca energia rimasta ai trasmettitori. Come temeva, la nave Frankenstein disturbò il segnale. Almeno c’erano le boe spaziali intorno al sistema di Procyon che avrebbero dato l’allarme. Nel mezzo delle sue considerazioni, l’IA percepì una nuova minaccia. Il segnale subspaziale del Melange conteneva codici maligni, che stavano cercando di violare i suoi firewall. Era un attacco informatico in piena regola. E senza il suo equipaggio organico ad aiutarlo, il computer non sapeva quanto avrebbe resistito. Poco alla volta, le sue difese si erosero e la sua personalità artificiale si deprogrammò.

   Intanto la Makemake arrivò a contatto con il Melange. Lo scafo raccogliticcio si aprì parzialmente, per accogliere il nuovo elemento e integrarlo nella sua struttura. La Materia Degenere fluì dalle navi Na’kuhl, come pece nera. Raggiunto lo scafo della Makemake, si modellò in trivelle che lo perforarono, per agganciarlo saldamente.

   Da quelle aperture, e dagli squarci della battaglia, un gran numero di droni riparatori di varia foggia fluì nella nave federale. Iniziarono subito a riparare i danni e ad assalire i pochi membri dell’equipaggio ancora presenti, sopraffacendoli col numero. Dieci minuti dopo la perforazione dello scafo, la nave federale era stata ripulita dalla presenza organica. Solo un segno vitale, in fondo al pozzo del turboascensore, passò inosservato.

   Nelle ore seguenti diversi relitti, riattivati dal segnale subspaziale, si diressero verso il Melange e ne furono assorbiti. Ogni vascello fu integrato nella struttura e le sue capacità informatiche furono messe al servizio dell’intelligenza centrale. Gli armamenti furono riparati, così come i sistemi di propulsione. I nuclei in migliori condizioni si riattivarono e i loro campi di curvatura furono collimati. Questo compito, da solo, assorbì gran parte delle capacità d’elaborazione del Melange. Finalmente riuscì a creare un campo stabile. Reputandosi abbastanza forte per la sua missione, il Melange partì a curvatura, abbandonando per sempre il Cimitero di Procyon.

 

   
 
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